TEP Talks (III) La verità e l’amore, due doni inseparabili

Dio ci ama per quello che siamo e non per quello che facciamo. Ma quali sono le conseguenze di questo amore sulla vita di ciascuno, e come facciamo a spiegarlo a chi non conosce ancora questa verità? I TEP (Tu Es Petrus) Talks sono una serie di approfondimenti sull’importanza del ministero del Papa nella vita di tutti i cattolici. Le autrici e gli autori dei TEP hanno studiato e meditato diversi aspetti del messaggio dei pontefici nel corso degli anni.

Lo sguardo di Dio sulla realtà

Una volta sentii usare questa espressione da un collega filosofo, profondamente credente: la carità è lo sguardo di Dio sulla creazione. Mi colpì: sia per lo stile un po’ poetico, sia perché sottendeva la possibile distanza tra la realtà e la sua percezione. Questa “distanza”, tuttavia, è solamente nell’essere umano, non in Dio: Egli ci vede come siamo, nell’interezza della verità e nella singolarità di ciascuno, e ci ama come siamo, indipendentemente dalla qualità delle nostre azioni o dal fatto di aderire o meno a Lui. Ci sono numerose affermazioni e comportamenti di Gesù narrati nei Vangeli che attestano ciò; ma resta il fatto che, pur constatando che “è così”, spesso personalmente non ne siamo convinti ed esistenzialmente non agiamo di conseguenza. Abbiamo insomma bisogno di riconsiderare tutto ciò, di comprenderlo più profondamente, di tradurlo sempre più effettivamente nella concretezza dell’esperienza quotidiana, in breve di continuare a imparare a guardarci e a guardare come guarda Dio, nella prospettiva dell’amore misericordioso.

Quando san Giovanni Paolo II precisava che Gesù stesso – che ha detto di essere «Via, Verità e Vita»[1] – «è, in un certo senso, la misericordia»[2] attestava l’impossibilità di disgiungere verità e carità nell’essere e nell’operare di Dio. Papa Francesco, parlando ai Vescovi – quindi offrendo un’indicazione primariamente pastorale – ha ricordato tale esigenza: «senza la verità, l’amore si risolve in una scatola vuota, che ciascuno riempie a propria discrezione: e un cristianesimo di carità senza verità può facilmente essere scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali, che in quanto tali non incidono sui progetti e sui processi di costruzione dello sviluppo umano»[3]. Tali parole riecheggiano quelle espresse da Benedetto XVI nelle battute introduttive della Caritas in veritate, enciclica che pone a tema questioni sociali radicandole su un solido impianto teologico e antropologico. La «carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa» perché è il principio di tutte le relazioni umane, qualsiasi sia il loro piano o ambito, il che motiva «il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da Paolo, della veritas in caritate (Ef. 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della caritas in veritate. La verità va cercata, trovata ed espressa nell’“economia” della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità»[4].

Il desiderio di verità, libertà e amore

Poiché essere cristiani significa essenzialmente aver incontrato Cristo, aver deciso di stare in relazione con Lui[5] e rinnovare quotidianamente sia l’incontro con Lui sia la decisione per Lui, l’intreccio vitale tra verità e carità non è tanto o soltanto una questione intellettuale, ma qualcosa che si realizza nell’esperienza di ogni essere umano e mettendone in gioco la libertà. Ciò significa che è nel vissuto esistenziale di ciascuno che si gioca la ricerca della verità e la pratica della carità. Proviamo a chiarire meglio che cosa intendiamo quando parliamo di verità, libertà e carità o amore: sono termini molto ricchi, ma proprio per questo può accadere che il significato che si attribuisce loro non sia sempre univoco. Una prima considerazione è che quelli di verità, di libertà e di amore sono desideri costitutivi dell’essere umano: ognuno di noi infatti aspira a comprendere il senso profondo di sé stesso e della realtà, sente la tensione a sviluppare tutto le proprie risorse e potenzialità, desidera amare ed essere amato. Una vita pienamente umana esige che questi desideri abbiano adeguato nutrimento e poiché Cristo non ha rivelato solo l’identità di Dio ma anche quella dell’essere umano e con essa la sua vocazione[6], nella relazione con Lui ogni uomo trova la via per essere pienamente sé stesso e insieme pienamente di Dio, proprio e soltanto trovando il modo di tenere insieme verità, libertà e amore.

Certamente la filosofia, prima della rivelazione o indipendentemente da essa, sa riconoscere come profondamente umani il desiderio di verità, amore e libertà; ma è nella fede di Abramo e dei Patriarchi e in pienezza nella vita di Gesù che l’orientamento di questi desideri diventa decisivo per rispondere a un altro desiderio, che pure alberga nel cuore umano: il desiderio di salvezza. Il passo della Gaudium et spes tanto amato da san Giovanni Paolo II – Cristo «proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche l’uomo a sé stesso e gli svela la sua altissima vocazione»[7] – ci ricorda che l’amore è la “stoffa” di cui è fatto l’essere della persona umana, è la sua verità profonda, l’origine e lo scopo della sua libertà.

Vivere il Vangelo nel contesto culturale e sociale contemporaneo

È pur vero che oggi c’è molta difformità e confusione tra i significati di questi termini, il che determina spesso dinamiche di contrapposizione tra credenti e non credenti, ma anche all’interno del popolo cristiano, perché incide sia sulle forme e sulle possibilità di autentico dialogo culturale e sociale, sia sull’attuazione della missione evangelizzatrice propria della Chiesa e di ogni suo fedele. La comunicazione tramite i social media, ultimamente divenuta dominante, tende a favorire dinamiche relazionali di pura “azione-reazione” o la polarizzazione delle posizioni: anziché esaminare la realtà nella sua interezza e complessità, essa viene semplificata e alternative radicalmente opposte l’una all’altra si fronteggiano secondo la logica “io vinco-tu perdi”. Qualche precisazione, a titolo esemplificativo. È diffusa la tendenza ad appiattire la verità sulla percezione che ne ha la coscienza del singolo: ciò si traduce operativamente nella negoziazione dei principi in base al criterio della maggioranza e in vista del consenso sociale (una cosa è vera se ritenuta valida dal maggior numero di persone). Tale posizione è evidentemente relativista e da essa i pontefici hanno sempre preso le distanze[8]. È frequente, d’altra parte, che a tale deriva si reagisca con un’altra uguale e contraria, cioè ritenendosi «gli unici possessori della verità», assecondando «la tentazione di rinchiudersi in certezze acquisite»[9], che trasmettono sicurezza, che danno la presunzione di “essere a posto”. Se il rischio di chi riduce la verità alla propria percezione soggettiva è quello di vivere la libertà come emancipazione da sé piuttosto che come sviluppo della propria identità, quello di chi pretende di poter “controllare” o “possedere” la verità, anziché esplorarne la profondità e per molti versi il mistero, è di non vivere nella libertà dei figli di Dio[10], che esige di rispondere alla propria unicità, e di cadere nel legalismo, che Gesù riconosceva nel comportamento dei farisei, le cui parole e azioni testimoniavano un cuore indisponibile all’amore.

Il magistero degli ultimi pontefici – in particolare il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – ha gettato delle luci importanti su questo aspetto, che ultimamente ha assunto espressioni più radicali per il trasformarsi dei mezzi e delle forme di comunicazione mediatica: ciascuno di loro lo ha fatto con uno stile specifico, frutto della formazione e del compito che ha sentito proprio entro l’unica missione di “essere Pietro”, soffermandosi su temi e questioni secondo le sue corde e insieme rispondenti alle esigenze del momento storico in cui ha governato la Chiesa. Nei loro scritti è possibile ritrovare sia la chiarificazione della verità sull’essere umano in vista della sua piena libertà e felicità a partire dal disegno d’amore di Dio sulle creature, sia l’indicazione ai pastori e ai fedeli di interrogarsi, rispetto a sé e rispetto agli altri, su «quale sia il bene accessibile alla tale persona nella tale determinata situazione»[11]. Ciò ci ricorda che la verità va incarnata nella storia del singolo, tenendo conto del suo passato e situandola nel suo presente, individuando il “bene possibile” a cui può aprire la sua libertà: così ogni persona potrà sentire lo sguardo di Dio su di sé, percepire il Suo “mi piaci come sei” perché “ti amo come figlio, perché ci sei e non per ciò che fai”.

Evidentemente è possibile situarsi in questa prospettiva se, assecondando l’incoraggiamento dei pontefici, cogliamo nell’amore misericordioso il primo e principale messaggio da trasmettere nella Chiesa e dalla Chiesa. L’appello di Francesco a essere “in uscita”[12], così dirompente per i credenti di oggi, tendenzialmente sfiduciati o sulla difensiva a causa dell’aggressività della cultura atea e anticristiana, perciò portati a chiudersi in zone di comfort, in cui sentirsi esenti da rischi, fa il pari con quello ad “aprirsi a Cristo” che san Giovanni Paolo II rivolse all’inizio del suo pontificato nel 1978[13]: in entrambi al cuore c’è l’amore di Dio da ricevere per poterlo donare. Pertanto, lo slancio missionario che pervade ad esempio Evangelii gaudium ha la sua forza propulsiva «non in una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere», ma nella «bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Cristo morto e risorto»[14]. Ma, ancora una volta, la sfida che la relazione con Gesù ci consente di raccogliere è evitare ogni aut-aut per aderire alla logica dell’et-et. Ciò significa: non sganciare mai la difesa della verità dalla cura amorosa delle persone, o la libertà del proprio operato dalla verità dell’essere umano, ma impegnarsi a individuare vie per tenere fattivamente insieme questi fattori.

Il significato e il ruolo della legge

È particolarmente opportuno chiarire, pur brevemente e non certo in modo esaustivo, il significato del termine “legge” nell’uso che ne viene fatto nella Bibbia e quale ruolo rivesta nell’intreccio complesso di verità, libertà e amore che stiamo esaminando. In generale “legge” indica una norma, un principio regolatore: già queste parole consentono di individuare una prima grande distinzione tra leggi costitutive dell’essere, i “principi”, che sono intessuti nella realtà e in noi stessi e che siamo chiamati a riconoscere e ad accogliere, e le “norme” o “regole” che nascono dall’umana esigenza di disciplinare i comportamenti nei vari ambiti della vita, che creano tradizione e cultura e, proprio perché sono di origine umana, sono spesso difformi nelle diverse tradizioni e culture. Una seconda considerazione è che le leggi – sia i principi che le regole – non sono mai fini, ma sempre mezzi in vista di fini: Gesù ha testimoniato con fermezza di non subordinare mai le persone concrete a una legge[15], più ancora di non definire mai una persona in base alla sua conformità alla legge[16]. San Paolo definisce la legge un “pedagogo”, ossia le attribuisce un ruolo di accompagnamento nella relazione con Dio[17], chiarendo che non dall’osservanza della legge deriva la salvezza, quanto dalla relazione con Dio, a cui la legge è guida propedeutica: l’accento è posto sull’essere, non sul fare; sul dono gratuito di Dio, non sul controllo possessivo dell’uomo.

Papa Francesco ci guida nell’esplorare la nostra coscienza su questo punto: ci «farà bene chiederci se […] siamo ben consapevoli di aver ricevuto la grazia di essere diventati figli di Dio per vivere nell’amore. Come vivo io? Nella paura che se non faccio questo andrò all’inferno? O vivo anche con quella speranza, con quella gioia della gratuità della salvezza in Gesù Cristo? È una bella domanda. E anche la seconda: disprezzo i Comandamenti? No. Li osservo, ma non come assoluti, perché so che quello che mi giustifica è Gesù Cristo»[18].

C’è dunque bisogno di interezza e di integrazione delle varie dimensioni presenti nelle situazioni e in noi stessi; di imparare a vivere fino in fondo e tutte intere le dimensioni dell’amore, che è insieme accoglienza ed esigenza, paziente attesa e chiarificazione della verità; di attuare la verità esistenzialmente, non riducendola a “aderenza legale”, ma vivificandola di iniziative specifiche per la realizzazione di tutto il bene possibile in ogni situazione concreta.

Nutrirsi di Cristo nella preghiera, nel Vangelo, nell’Eucarestia

Lo statuto a cui Dio ispira il proprio agire è la legge dell’amore, perché Egli è sempre fedele a Sé Stesso: talvolta si tratta di un amore virile, talaltra di un amore materno, perché in Lui ci sono tutti i volti dell’amore. Questa è la vocazione cristiana come vocazione dei figli di Dio, pienamente rispondente alla vocazione umana: ciò che ci orienta nel comprenderne il messaggio, nel viverlo e nel trasmetterlo fedelmente è la consapevolezza che il desiderio di Dio è che ciascun uomo e ciascuna donna realizzi in pienezza la propria umanità, che la accolga, la sviluppi e la doni[19]. Non siamo soli in questo percorso: il magistero della Chiesa ci è proposto come strumento di accompagnamento nella relazione con Dio, ma soprattutto abbiamo la grazia per vivere l’itinerario che Gesù ci indica con la sua vita e la sua predicazione. Questo stile di evangelizzazione è decisivo sia verso chi è al momento fuori della Chiesa – e a cui papa Francesco ci incoraggia ad andare incontro – sia al suo interno, perché si realizzi non un’anonima uniformità, ma un’unità plurale, segno e frutto della carità vissuta secondo verità e nella libertà.

Può aiutarci a tal proposito tornare a considerare rapidamente due parabole narrate nei Vangeli: quella del padre misericordioso raccontata da Luca[20] e quella dei servi debitori di cui parla Matteo[21]. Nella prima, i due figli rappresentano proprio la scissione tra verità e libertà, esperienza con cui tutti ci scontriamo, e il padre - ossia Dio - l'amore che cerca di comporle. Egli infatti aiuta il figlio minore a riconoscere la vera libertà nella fedeltà a sé stesso, alla sua verità di figlio, garantita in primo luogo dal fatto di stare in relazione con il padre, e il figlio maggiore a non vivere da servo, restringendo i suoi desideri – un capretto per far festa con gli amici – senza cogliere che possiede già tutto, proprio perché sta nella casa del padre, perché vive con lui. Nella seconda parabola, in cui sono posti a confronto il comportamento di un re, che condona un debito enorme a uno dei suoi servi, e quello di quest’ultimo, che pretende il risarcimento di un piccolo debito da parte di un collega, l’esigenza della misericordia e del perdono veicola sotto traccia il limite della legge, l’impossibilità di essere giusti solo uniformando a essa il proprio operato. Se accostiamo i due racconti, possiamo evincere quale sia la logica di Dio che a Gesù sta a cuore comunicare: Egli attira l’essere umano a sé, lo attende – come fa il padre della parabola – ne osserva il percorso e non pretende una compiutezza che non appartiene all’“essere in cammino” che connota ciascuno – il padre tiene con sé, nella sua casa, il figlio maggiore anche se lo vede con il cuore un po’ indurito, ingessato negli adempimenti e non audace nell’iniziativa. Come il re giusto e misericordioso, Dio non ci guarda attraverso ciò che abbiamo sbagliato o il bene che non abbiamo compiuto, ma ci incoraggia costantemente a sentirci sempre capaci di bene.

Allora la chiave per integrare verità, libertà e carità è crescere nella relazione con Dio. Che cosa significa? San Josemaría Escrivá incoraggiava a cercare con fame Cristo[22], nella preghiera e nella vita sacramentale, a leggere quotidianamente il Vangelo, guardando Gesù, dialogando con Lui, ascoltando le Sue domande e ponendogli le nostre. Accanto alla frequentazione della Sacra Scrittura e dell’Eucaristia, anche l’accompagnamento spirituale è un luogo fecondo di formazione della coscienza, in cui si coniugano l’iniziativa personale e l’ascolto, si mette in gioco in fatti di libertà e amore la verità della nostra umanità, finita ma desiderosa di Infinito, assetata di Dio[23]. Allo Spirito Santo possiamo chiedere di ispirarci quale sia il bene possibile in ogni circostanza e di accendere il nostro desiderio di realizzarlo; a Gesù di rivelarci il vero volto del Padre e in esso di poterci vedere come Egli ci vede; al Padre di saper incarnare nelle azioni quotidiane il Suo amore paterno e materno.

Alessandra Modugno, docente di Filosofia Teoretica presso l’Università di Genova, esperta in orientamento formativo.


[1] Giovanni, 14, 6.

[2] Cfr. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n. 2.

[3] Francesco, Discorso alla 66a Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, 19 maggio 2014.

[4] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 2.

[5] Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 1.

[6] Cfr. Gaudium et spes, n. 22.

[7] Ibidem.

[8] Cfr. ad esempio Paolo VI, Allocuzione 7 dicembre 1965 (Ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II); Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, nn. 1, 48, 84, 112 e Fides et ratio, nn. 5 e 80; Benedetto XVI, Discorso alla curia romana 22 dicembre 2005; Francesco, Amoris laetitia, n. 307.

[9] Francesco, Udienza generale 23 giugno 2021.

[10] Cfr. Paolo, Galati, 5,13. Cfr. inoltre J. Escrivà, La libertà, dono di Dio, in Amici di Dio, n. 27.

[11] L. Calmeyn, Accompagnamento e legge di gradualità, in “L’Osservatore Romano”, 18 maggio 2019, p. 2.

[12] Cfr. Francesco, Evangelii gaudium, nn. 20-24.

[13] Giovanni Paolo II, Omelia per l’inizio del Pontificato, 22 ottobre 1978.

[14] Francesco, Evangelii gaudium, n. 36.

[15] Si pensi alle dispute con i farisei per il suo operare guarigioni durante il sabato: cfr. Matteo, 12, 9-12; Marco, 3, 1-6; Luca, 13, 10-17.

[16] Cfr. ad esempio l’episodio a casa del fariseo Simone in cui Gesù perdona la peccatrice (Luca, 7, 36-50) o l’incontro di Gesù con la Samaritana (Giovanni, 4, 1-26).

[17] Paolo, Galati, 3, 22-29.

[18] Francesco, Udienza generale 18 agosto 2021.

[19] Cfr. S. Pacot, Torna alla vita!, Queriniana, Brescia 2019, pp. 9-29.

[20] Cfr. Luca, 15, 11-32.

[21] Cfr. Matteo, 18, 23-35.

[22] J. Escrivà, Cammino, n. 382.

[23] Cfr. Salmi, 41, 2-3.

Alessandra Modugno