TEP Talks (II) Comunicare il Vangelo da papa Francesco a san Paolo

Come trasmettere la fede oggi? Nel suo pontificato, iniziato il 13 marzo 2013, papa Francesco ci sta rispondendo a questa domanda, in modo simile a quanto dice san Paolo agli abitanti della città di Filippi. I TEP (Tu Es Petrus) Talks sono una serie di approfondimenti sull’importanza del ministero del Papa nella vita di tutti i cattolici. Le autrici e gli autori dei TEP hanno studiato e meditato diversi aspetti del messaggio dei pontefici nel corso degli anni.

Vorrei proporvi di guardare il cambio d’epoca che stiamo attraversando secondo un punto di vista che riguarda la Chiesa nel pontificato di Francesco, iniziato il 13 marzo 2013: quello della trasmissione della fede. Chi non si interroga su come fare perché avvenga oggi? Chi non pensa a volte con scoraggiamento alla sua parrocchia con le luci spente?

Proveremo a trovare una nuova prospettiva con tre passi, considerando prima il Verbo, poi la sua sintassi, e infine la comunicazione che ne viene. Il primo passo richiede un tuffo nel Vangelo e nella teologia, e bisognerà trattenere un po’ il fiato tra un brano biblico e un ragionamento, poi sorgeranno i punti di domanda a cui accosteremo qualche altro passaggio della Scrittura e alla fine speriamo che qualche grumo di timore si possa sciogliere con un bel sospiro di sollievo.

Gesù, il Verbo: una pienezza di significato

Quando si deve analizzare la sintassi di una frase – come si fa a scuola - anzitutto si guarda al verbo, da lì si risale al soggetto e poi a tutti i complementi.

Se cominciamo dal punto che «in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1), abbiamo pressappoco il “calcio di inizio” del cambiamento culturale abissale che è sbocciato nel Mediterraneo e si è aperto al mondo intero circa venti secoli fa. Dire infatti che «il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» e che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14) significa affermare una sintassi del Verbo che introduce una semantica nuova, una pienezza di significato per ogni parte del discorso, per tutto ciò che esiste. Il senso delle cose e della vita sulla terra si illumina a partire dalla relazione resa nota da questo Verbo entrato nella storia[1].

Quando l’Evangelista Giovanni, a cui Gesù di Nazareth era stato indicato dal Battista come il Verbo di Dio, dice di lui che da sempre era presso Dio, sta utilizzando una preposizione che cambia tutto il senso della divinità avuto sino ad allora e che in greco si scrive così: προς. Pros indica una disposizione, un atteggiamento, un modo di essere in relazione di Dio per Dio.

Giovanni sta dicendo, in pratica, che l’uomo che ha incontrato, quel Gesù indicatogli dal suo amico, è chi è Dio per Dio, la sapienza stessa di Dio, la Parola generata prima del tempo; sta dicendo che Gesù è per Dio il Figlio che da sempre è in relazione con il Padre, è rivolto verso il Padre, è disposto in modo reciproco con il Padre, conosce il Padre perché è Dio da Dio.

Da tale nuova sintassi Verbo-Dio segue una nuovissima semantica per il creato: il Verbo dice che il soggetto Dio è nella disposizione del Padre anche verso il mondo. Nella sua unicità Dio non è anzitutto Dominatore o Legislatore, ma è sorgente di vita ed è comunione, è Padre per il Figlio e Figlio per il Padre, nel loro reciproco Amore[2].

Tutto il Vangelo sarà la spiegazione di che cosa questa disposizione originaria in Dio comunichi al mondo, infatti la vita di Cristo sarà manifestare alla gente che Dio è sostanzialmente Padre perché da sempre dona tutta la sua vita e mai cesserà di donarla; e che è eterno perché la vita procede da Lui senza interruzione. Poi Gesù, il Verbo di Dio, comunicherà che questa stessa vita, che Egli non cessa di ricevere dal Padre, è più forte della morte ed è per tutti.

In greco questa disposizione di Dio verso l’umanità si chiama φιλανθρωπία (philanthropia) –come per primo ha scritto Clemente Alessandrino nel III secolo–[3], ovvero amore gratuito per tutti gli esseri umani e desiderio di dare la salvezza a chi si ritrova assoggettato dai limiti, propri e altrui. Vogliamo perciò dire che la disposizione del Verbo e del soggetto che è Dio, si estende a tutti i predicati, a tutti quanti sono figli di Dio.

Ciò significa pure che se Gesù ha predicato una dottrina nuova, insegnata con autorità (Mc 1,27), il Vangelo è anzitutto la sua stessa vita, ricevuta e donata; è la disposizione del suo cuore verso il Padre e verso di noi che dona un senso nuovo al mondo, perché ci dice che il mondo è buono perché è amato e questo porta a delle conseguenze molto pratiche sulla trasmissione di tale verità.

Sintassi: avere in noi gli stessi sentimenti di Gesù Cristo

Vediamo dunque come la sintassi di questo Verbo di Dio coinvolga i suoi complementi. Tra gli apostoli è stato l’ultimo, San Paolo, a voler sintetizzare per primo in che cosa consiste la cooperazione dei cristiani per il Vangelo; lo fa esplicitando nelle sue lettere una sorta di sintassi del cristianesimo, spiegando la disposizione delle parti secondo la quale quell’insieme di parole, che siamo noi, comunica il senso proprio da intendere.

Ai Filippesi, ad esempio, Paolo esprime tale disposizione così: «che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio, ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio» (Fil 1,9-11). L’apostolo delle genti indica così in che cosa consiste per il cristiano essere in relazione con il Verbo di Dio e, affinché nessuno creda di poter ridurre la cooperazione al Vangelo alla ripetizione di un insegnamento meramente dottrinale, nella medesima lettera aggiunge: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5).

Questa esortazione, espressa con il greco φρονεῖτε (phroneite), racchiude tutto il sapore della comprensione profonda di qualcuno che dentro di sé ha Cristo, che ha interiorizzato la relazione con il Verbo così come il Verbo ha dentro la sua relazione con Dio Padre. Si potrebbe tradurre quel phroneite con «comprendete in voi stessi come in Cristo Gesù», cioè andate per il mondo avendo in voi la sua disposizione interiore, il suo giudizio, la sua sapienza, la sua vita ricevuta e donata, la sintassi di quel Verbo. Portate in voi il Verbo e tutti i vostri predicati potranno avere senso compiuto.

Ora, tutto questo dove ci porta?

Comunicazione: puro dono

Il fatto è che oggi il cambio d’epoca ci inquieta e possiamo sentirci in difficoltà e chiederci che cosa significhi anche per noi cooperare ora con il Vangelo di Gesù.

A me sembra che papa Francesco ci stia rispondendo, in tanti modi, che non significa niente di diverso da quanto già diceva Paolo agli abitanti della città di Filippi. Desidera sia rassicurarci che trasmetterci un senso di urgenza..

La sua enciclica programmatica è Evangelii gaudium (2013) ed è lì che il papa argentino ha voluto riportare sotto gli occhi di tutti i cristiani di oggi la legge fondamentale, la grammatica, dell’annuncio cristiano: «Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate» (EG 99). E poco oltre: «Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto!» (EG, 101). Poco prima esplicitava il rischio: «non lasciamoci rubare il Vangelo!» (EG, 97) e: «quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta verso l’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso“[4]» (EG, 199). Ecco la sintassi del Verbo che riconfigura in pienezza il senso di tutto. Da qui, da questa attenzione –il corsivo è nel testo originale– discende ogni annuncio di bene che possa essere significativo per un essere umano: dalla disposizione dell’Amore che viene interiorizzato può aprirsi il cuore al desiderio di salvezza.

Il Papa sembra esplicitare lungo tutto il suo pontificato – durante il quale non indica modi in cui si debbano ridefinire i contenuti della fede, né si sofferma a commentare delle leggi di comportamento – che per trasmettere il cristianesimo abbiamo bisogno di soffermarci con cura sulla sintassi, sull’ordine delle parole del Verbo. Francesco non cessa di indicare modi semplici e concreti di stare nelle relazioni – chi non ricorda la potenza di quel “permesso, grazie, scusa”?–[5] sicuro che dalle relazioni passa la vita, che si riceve e si dà, e con la vita passa la salvezza che viene dall’alto e che risplende da dentro[6]. Con il suo magistero sembra dirci: prendiamoci cura della sintassi, come Gesù ci parla, e allora sarà comprensibile la semantica. Curiamo le relazioni e solo allora passerà la fede, che è affidamento a Cristo Signore, da cuore a cuore.

Dunque, come spiegare oggi che Gesù Cristo è venuto a salvarci dal peccato e dalla morte? Che cosa significa annunciare che il terzo giorno è risuscitato? Che rilevanza porta alla vita sociale che Dio sia Padre, giusto e misericordioso? Che senso ha tutto ciò per una persona qualsiasi del terzo millennio? La stessa. La stessa rilevanza e significatività che ha avuto venti secoli fa.

Cristo è sempre lo stesso e sempre e nuovamente viene in contatto con tutti attraverso i suoi amici. Ciò che accade è che il senso di un annuncio si intende solo nella disposizione delle parti che lo compongono, le parole nell’ordine del discorso, il testo nel suo contesto.

La domanda vera allora, quella che può spaventarci, è forse: ma io, che amico sono dei miei amici?

Allora il sospiro di sollievo viene con il lieto annuncio.

Se la vita di Cristo passa al mondo è perché i suoi amici hanno dentro di sé la relazione con Lui, la disposizione del suo cuore, per puro dono. Non è questione di guadagnarsela ma di lasciarla operare. Infatti, la sintassi del Verbo incarnato è la stessa della Sua relazione immutabile con il Padre: la libertà dell’Amore, lo Spirito che dà la vita (Gv 6,63), il suo Santo Spirito.

Ilaria Vigorelli, docente di Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università della Santa Croce.


[1] Per farsene rapidamente un’idea più approfondita, consiglio il magnifico librino di J. Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 20114 o quello di G. Maspero, Uno perché trino, Cantagalli, Roma 2013.

[2] Cfr. J. Daniélou, La Trinità e il mistero dell’esistenza, Queriniana, Brescia 1989.

[3] Clemente Alessandrino, Paedagogus I,8,62,3.

[4] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 27, art. 2.

[5] Francesco, Udienza generale, 15-5-2015. Ripresa poi tante volte, fino all’Angelus del 27-12-2020, in cui ha voluto celebrare la festa della Sacra Famiglia ricordando ancora un volta “le tre parole”.

[6] S. Basilio, Homiliae super psalmos, PG 29, 412A.

Ilaria Vigorelli