Lotta, vicinanza, missione (3): Tutto è nostro e tutto è di Dio

Qualunque sport richiede sforzo, ma produce un certo godimento e apre nuove possibilità. Succede lo stesso nella vita cristiana: nel bel mezzo del combattimento e della lotta, si può stare bene con il Signore, crescendo e affrontando nuove sfide con lui.

- Il punto di partenza: Dio ci ama senza condizioni

- Guardare il paesaggio, non soltanto a terra

- Lottare è già amare


«Sei diventato nuova creatura, e ti sei rivestito di Cristo. Questa veste bianca sia segno della tua nuova dignità: aiutato dalle parole e dall'esempio dei tuoi cari, portala senza macchia per la vita eterna» [1]. Sin dall’antichità, nella Chiesa è viva la tradizione di vestire di bianco i nuovi battezzati, per esprimere visibilmente il desiderio di essere una cosa sola con Cristo, di farlo vivere in noi [2]. A questa realtà corrispondono insieme il nome e il gesto stesso del battesimo; baptizein vuol dire immergere, perché con questo sacramento entriamo nella vita della Trinità, come una spugna che, messa nell’acqua, senza smettere di essere sé stessa, diventa una cosa sola con l’acqua stessa. Si ha, così, «una interpenetrazione dell’essere di Dio e del nostro essere, un essere immerso nel Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, così come nel matrimonio, per esempio, due persone diventano una sola carne, trasformandosi in una nuova, unica realtà, con un nuovo, unico nome» [3]. Da qui in poi, prendersi cura di questa nuova vita diviene impegno di ogni giorno, che richiede una costante lotta spirituale, come avverte la Scrittura: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni» (Sir 2, 1-3).

Il punto di partenza: Dio ci ama senza condizioni

Al momento del nostro battesimo, Dio ci ha detto per sempre che ci ama così come siamo, qualunque cosa possa accadere. Questa certezza è il punto di partenza dell’itinerario interiore; senza di essa, correremmo sulla strada sbagliata, perché in questa corsa non si tratta di meritare nulla da noi stessi e neppure di dimostrare nulla a nessuno, ma di vivere liberamente, godendo dell’amore di Dio. «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi», scrive san Giovanni (1 Gv 4,16). «È necessario far sì che queste verità della nostra fede penetrino nella nostra anima fino a cambiare tutta la nostra vita. Dio ci ama!» [4].

Però, la grazia di Dio non sostituisce l’uso intelligente e perseverante delle nostre forze: «La nostra santificazione personale è un dono di Dio; ma la creatura umana non può rimanere passiva» [5]. È vero che, per la grazia, la nostra vita ha un valore che va oltre le nostre stesse possibilità, però la grazia non sostituisce la natura: bisogna lavorare… danzare! con essa. Si può dire che nella nostra vita tutto è nostro e, allo stesso tempo, tutto è di Dio. «Nel susseguirsi dei piccoli fatti quotidiani, gradevoli o penosi, previsti o imprevisti, scorre la serie parallela delle grazie attuali, che ci sono offerte in ogni momento. (…) A poco a poco, tra Lui e noi si stabilirà un dialogo quasi ininterrotto, che sarà la vera vita interiore» [6].

Stando così le cose, sarebbe riduttivo descrivere la vita che si dispiega nel cuore dell’uomo soltanto con parole come «lotta» o «combattimento». Quello che, secondo la resistenza che troviamo dentro e fuori di noi, appare come un combattimento, da un punto di vista più ampio può descriversi come attività e movimento, come dinamismo e crescita. Questi aspetti dello sviluppo di ogni essere vivente, che includono la lotta contro le minacce o le asprezze dell’ambiente come momenti di questo stesso sviluppo, esprimono in modo più completo la ricchezza della vita spirituale.

Guardare il paesaggio, non soltanto a terra

Gli alpinisti e gli appassionati di mountain bike sanno quanto necessarie siano nello sforzo la concentrazione e il dosaggio delle energie; per questo, spesso avanzano con lo sguardo quasi esclusivamente a terra. Tuttavia, sarebbe un peccato se tale concentrazione impedisse loro di godere del panorama che si apre loro intorno a mano a mano che procedono. Nel combattimento spirituale può accadere qualcosa del genere: che ci fissiamo eccessivamente sul male che vogliamo superare, oppure che vediamo soltanto il costo per conseguire qualche bene. Per questo è sempre meglio sollevare lo sguardo per non perdere di vista tutto quello che stiamo guadagnando nel cammino.

«Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12, 21), scrive san Paolo in un versetto che san Josemaría certe volte sintetizzava così: «annegare il male nella sovrabbondanza del bene» [7]. Il combattimento cristiano non è tanto una lotta contro i peccati, quanto lo sforzo per alimentare la vita che ci è stata affidata sin dal nostro battesimo. Ad esempio, se in una certa occasione lasciamo le cose migliori agli altri, possiamo intenderlo come una vittoria nella lotta contro l’egoismo, oppure come un esercizio per non legarsi a certe cose; ma, meglio ancora, possiamo intenderlo come lotta per rendere più grande il nostro cuore, per crescere nell’amore, nella generosità, nel distacco, ecc. E questo, non per un desiderio personale di perfezione, ma perché, dal cuore di Cristo, vogliamo vivere per gli altri.

Questi due diversi modi di mettere a fuoco la lotta del cristiano sono legati anche a due diversi modi di fare propositi di miglioramento. In tal senso, invece di proporsi di «non rifare qualcosa», può risultare molto più positivo sollevare lo sguardo, ammirare l’orizzonte, e dire ciò che vogliamo davvero fare. In omnibus respice finem, recita un motto classico: «in ogni cosa guarda al fine»; oppure, con una formulazione aggiornata, «comincia con il perché». Per vivere con gli occhi alla meta, bisogna prendere più volte la distanza dalla situazione concreta, prendersi il tempo per riflettere, condividere con Dio le nostre impressioni. Allora vedremo meglio: comprenderemo che non c’è in gioco soltanto un proposito immediato, una piccola battaglia concreta, ma la nostra apertura alla grazia di Dio, alla possibilità che Dio faccia di noi un altro Gesù, alter Christus.

Lottare è già amare

«Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3, 18). Nessuno si sente amato davvero quando l’amore, proclamato con ogni tipo di dichiarazioni e promesse, è poi smentito dai fatti. Per questo, con ogni nostra decisione rispondiamo a quella domanda di Gesù a Pietro: «Mi ami?» (Gv 21, 16). La vita cristiana, scriveva il prelato dell’Opus Dei, è «una risposta libera, piena di iniziativa e disponibilità, a questa domanda del Signore» [8]. Ogni momento in cui vinciamo il nostro egoismo, ogni sforzo per crescere in questa o quell’altra virtù che ci permetterà di servire meglio, ogni volta che scegliamo l’umiltà contro il nostro desiderio di affermazione sugli altri, senza parole, stiamo dicendo a Dio: ti amo di più.

«È questo il nostro destino sulla terra: lottare, per Amore, sino all’ultimo istante», ha scritto una volta san Josemaría, facendo il bilancio alla fine dell’anno [9]. Lottare per amore è molto di più che aggiungere esteriormente alla lotta una motivazione d’amore: «mentre parlavi con il Signore nella tua orazione, hai compreso con maggiore chiarezza che la lotta è sinonimo di Amore, e gli hai chiesto un Amore più grande» [10]. La lotta spirituale è più necessaria della vittoria, perché «finché c'è lotta, lotta ascetica, c'è vita interiore. Il Signore ci chiede proprio questo: la volontà di volerlo amare coi fatti, nelle piccole cose di ogni giorno» [11]. E ciò che trasforma la lotta in amore è il fine del combattimento: perché e per chi lotto. Queste risposte danno forma allo stesso combattimento; si trasformano nelle basi stesse del suo sviluppo.

Leggendo le vite dei santi, è possibile che arriviamo a immaginare il combattimento spirituale come la lotta di alcuni eroi che si sforzano sino al limite, affrontando imprese difficili, che necessitano di una grande forza interiore, un coraggio fuori del comune. In tal modo, può sembrare che il santo «faccia una sorta di “ginnastica” di santità, qualcosa che le persone normali non riescano a fare» [12]. Ma, questa impressione non coglie il segreto fondamentale dei santi; quello che conta alla fine, e in ogni istante del cammino, è l’amore, la carità, che viene da Dio. «Anche il martirio ha la sua grandezza non in un atto di fortezza, ma principalmente in una eroica azione di meravigliosa carità. I tre secoli delle persecuzioni della Chiesa primitiva sono stati certamente tempi di coraggio, di fortezza eroica, ma soprattutto lo sono stati di ardente amore di Dio» [[13].

A volte, una eccessiva ansia di sicurezza può portarci a una valutazione quantitativa della lotta, per la quale vorremmo misurare i nostri progressi, come chi si confronta con un piano personale di allenamento per migliorare la propria forma fisica. Certamente è importante fare propositi di miglioramento, superare sé stessi in molti aspetti, sacrificare qualcosa, però tutto questo non è necessariamente un segnale della crescita che si vuole assicurare. La santità, diceva san Josemaría, «non consiste nel fare cose ogni giorno più difficili, ma nel farle ogni giorno con più amore» [14]. Ciò che dà frutti spirituali non è fare cose difficili, quanto rispondere con amore a quell’amore primario che Dio ha per noi; santità non vuol dire che «uno ha fatto grandi cose da sé, ma che nella sua vita appaiono realtà che non ha fatto lui, perché lui è stato trasparente e disponibile per l'opera di Dio» [15]. Per questo, proprio perché tutto ha inizio dall’amore gratuito di Dio, che ci ha dato il dono del battesimo e della vita cristiana, possiamo capire quello che ci dice la Sacra Scrittura: la santità «non dipende dalla volontà, né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che ha misericordia» (Rm 9, 16).

Sapere che ogni opera di santità ha inizio da una iniziativa divina, che è Dio che ha dato inizio alla sua opera e che è Egli stesso che la porterà a compimento: è questo che segna la nostra comprensione della lotta spirituale. Noi non “accumuliamo punti” con Dio, per meritare il suo amore: è lui che ci si dà continuamente, nonostante tutto. «La Chiesa ha insegnato numerose volte che non siamo giustificati dalle nostre opere o dai nostri sforzi, ma dalla grazia del Signore che prende l’iniziativa (…) La Sua amicizia ci supera infinitamente, non può essere comprata da noi con le nostre opere e può solo essere un dono della sua iniziativa d’amore (…) Così come il supremo comandamento dell’amore, questa verità dovrebbe contrassegnare il nostro stile di vita, perché attinge al cuore del Vangelo e ci chiama non solo ad accettarla con la mente, ma a trasformarla in una gioia contagiosa»[16].

Come uno sport

Da dove è meglio «cominciare e ricominciare»?[17] Su quale fronte dell’anima iniziare concretamente questa lotta? La risposta è diversa per ognuno, però una buona pista può essere individuare qual è il nostro difetto più ricorrente, tenendo conto che in genere si tratta di qualcosa che ha una profonda relazione con il nostro modo di essere. Ad esempio, se abbiamo un temperamento molto energico, questo modo di essere potrebbe spesso degenerare in modi bruschi: oppure, se la nostra personale caratteristica è la gentilezza, il difetto principale potrebbe essere la mollezza o la timidezza. La lotta sarà rivolta, quindi, ad escludere, principalmente, tutto ciò che è contrario all’amore di Dio, cioè il peccato mortale, poi quelle cose che impediscono al nostro cuore di aprirsi al Signore e agli altri, cioè i peccati veniali, e, infine, anche le mancanze d’amore, la mediocrità. È tutto un progetto di vita che san Nicola di Flue ha condensato in pochi versi: «Signore Dio e Dio mio, allontana da me tutto ciò che mi allontana da te. Signore mio e Dio mio, dammi tutto ciò che mi avvicina a te. Signore mio e Dio mio liberami da me stesso, per darmi tutto a te» [18].

A san Josemaría piaceva paragonare questa lotta allo sport: «La lotta ascetica non è qualcosa di negativo e, quindi, di odioso, bensì affermazione lieta. È uno sport» [19]. Qualsiasi sport richiede sforzo, ma produce momenti di godimento: per l’interazione con gli altri, per le nuove esperienze, per la gioia di superarsi… Allo stesso modo, con un poco di allenamento, possiamo iniziare a stare a nostro agio con il Signore nella lotta spirituale. Così, nelle difficoltà oggettive vedremo non soltanto degli ostacoli, ma piuttosto delle opportunità per la crescita della nostra vita in Dio. Se accettiamo le difficoltà come una sfida, queste ci daranno meno fastidio. E cambierà anche il modo con cui guardiamo gli altri che ci stanno intorno, soprattutto quelli con i quali magari abbiamo minor sintonia: «Non dire: quella persona mi secca. —Pensa: quella persona mi santifica» [20].

Un fattore chiave dell’allenamento sportivo è la costanza. Non si conquistano grandi vittorie in un solo giorno. A volte sono necessari molti tentativi. «Lo sportivo insiste, il vero sportivo dedica molto tempo ad allenarsi, a prepararsi. Quando deve saltare, prova una e un’altra volta» [21]. I piccoli passi, con tenacia e perseveranza, alla fine portano alla meta. In questo senso è più efficace fare propositi piccoli e concreti, da vivere con costanza, piuttosto che fare grandi propositi che molto spesso lasceremo incompiuti. Inoltre, nelle battaglie dell’anima è necessario tener conto del tempo, cominciare e ricominciare, rifare i propositi con umiltà e creatività, tutte le volte che sia necessario. Una risposta d’amore si costruisce progressivamente nel corso di tutta la vita.

Come nello sport, nella vita spirituale anche le sconfitte fanno parte del gioco. Ma, così come c’è «gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7), possiamo immaginare che per ogni nostra più piccola vittoria, o per ognuno dei nostri «ricominciare», il Signore gioisce di più di tutto quello che ci riesce bene. Per quanto rimanga sempre molto da fare, dovremmo saper “sostare” un poco dopo una vittoria. Le vittorie vanno assaporate: ogni passo in avanti è un momento per ringraziare Dio, per acquisire nuove energie. E non dobbiamo dimenticare che nella lotta non siamo soli. Come gli atleti, anche noi abbiamo gente che ci sta intorno, messa lì da Dio, per aiutarci nell’allenamento e a superare noi stessi. Possiamo contare sui nostri fratelli e sulle nostre sorelle nella fede, sulla loro preghiera e sul loro sostegno; su quello di chi ci ha preceduto e ci aiuta dal Cielo; su quello del nostro angelo custode e della Madonna.


[[1]Rito del Battesimo dei bambini.

[2] Cfr. Rm 13, 14; Gal 2, 20.

[3] Benedetto XVI, Lectio Divina, 11 giugno 2012.

[[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 144.

[5] Ibíd., n. 176.

[6] R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, Tomo I.

[7] San Josemaría, Solco, n. 864.

[8] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 9 gennaio 2018, n. 5.

[9] San Josemaría, In dialogo con il Signore, n. 83.

[10] Solco, n. 158.

[11] San Josemaría, Via Crucis, terza stazione.

[12] J. Ratzinger, «Lasciare operare Dio» (in “L’Osservatore Romano”, 6 ottobre 2002; disponibile in www.opusdei.org).

[13] R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, Tomo I.

[14] San Josemaría, Appunti dalla predicazione (AGP, P10, n. 25), cit. da E. Burkhart y J. López, Vita quotidiana e santità nell’insegnamento di san Josemaría, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2018, vol. II, p. 274.

[15] J. Ratzinger, «Lasciare operare Dio».

[16] Francesco, Gaudete et exsultate, nn. 52, 54, 55.

[17] San Josemaría parlava così della vita interiore. Cfr. per esempio Cammino, n. 292; Forgia, n. 384; È Gesù che passa, n. 114.

[18] Questa preghiera si può trovare, ad esempio, inclusa in quella pronunciata da san Giovanni Paolo II davanti alla tomba del santo, il 14 giugno 1984. San Josemaría pregava con parole simili: «Allontana da me, Signore, tutto quello che mi allontana da Te!» (cfr. A. Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei, Rialp, Madrid, 2023, vol. 3).

[19] Forgia, n. 169.

[20]Cammino, n. 174.

[21]In dialogo con il Signore, n. 32.

Maria Schörghuber