Tema 29. Il terzo comandamento: Ricordati di santificare le feste

Anche l’uomo, che è chiamato ad essere partecipe del potere creatore di Dio perfezionando il mondo per mezzo del suo lavoro, deve cessare di lavorare il settimo giorno per dedicarlo al culto divino e al riposo. La domenica si santifica soprattutto partecipando alla Santa Messa. La Chiesa stabilisce quest’obbligo perché non manchi ai suoi figli il nutrimento indispensabile per vivere come figli di Dio.

Il terzo comandamento del decalogo è Santificare le feste. Comanda di onorare Dio anche con atti di culto la domenica e gli altri giorni di festa.


1. Il terzo comandamento. La domenica o giorno del Signore

    La Bibbia narra l’opera della creazione cadenzata in sei “giorni”. Quando l’ebbe portata a compimento, «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona [...]. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando»[1].

    Per questa ragione, Dio nell’Antico Testamento stabilì che il settimo giorno della settimana fosse santo, un giorno separato e diverso dagli altri. Anche l’uomo, che è chiamato ad essere partecipe del potere creatore di Dio perfezionando il mondo per mezzo del suo lavoro, deve cessare di lavorare il settimo giorno per dedicarlo al culto divino e al riposo. In tal modo egli protegge nel suo cuore il vero ordine della vita dei figli di Dio, in modo che le dinamiche e le esigenze proprie del lavoro e di altre realtà quotidiane siano compenetrate con le priorità autentiche e con il vero senso delle cose nel concreto della vita.

    Il contenuto più importante di questo precetto non è, dunque, la semplice interruzione del lavoro, ma ricordare e celebrare (che vuol dire vivere come veramente presenti, con la forza dello Spirito Santo) le meraviglie operate da Dio, per ringraziarlo e lodarlo per esse. Il comando del riposo rivela anche il suo pieno significato nella misura in cui questo senso è vissuto personalmente: nel suo riposo l’uomo è profondamente partecipe del “riposo” di Dio e diventa capace di quella stessa felicità provata dal Creatore dopo la creazione al vedere che tutto quello che aveva fatto «era cosa molto buona».

    «E allora inizia il giorno del riposo, che è la gioia di Dio per quanto ha creato. È il giorno della contemplazione e della benedizione. Che cos’è dunque il riposo secondo questo comandamento? È il momento della contemplazione, è il momento della lode, non dell’evasione. È il tempo per guardare la realtà e dire: com’è bella la vita! Al riposo come fuga dalla realtà, il Decalogo oppone il riposo come benedizione della realtà»[2].

    Prima della venuta di Gesù Cristo il settimo giorno era il sabato; nel Nuovo Testamento è la domenica, il cosiddetto “Dies Domini”, il giorno del Signore, perché è il giorno in cui Gesù Cristo è risuscitato. Il sabato rappresentava la conclusione della Creazione; la domenica rappresenta l’inizio della “Nuova Creazione” inaugurata dalla Risurrezione di Gesù Cristo[3].


    2. Il terzo comandamento. La partecipazione alla Santa Messa della domenica

      Dato che il Sacrificio dell’Eucaristia è «la fonte e il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa»[4], e di conseguenza lo è anche della vita di ogni fedele, la domenica si santifica principalmente con la partecipazione alla Santa Messa. «Per noi cristiani, il centro del giorno del Signore, la domenica, è l’Eucaristia, che significa “rendimento di grazie”. È il giorno per dire a Dio: grazie Signore della vita, della tua misericordia, di tutti i tuoi doni»[5].

      Per ciò che riguarda il terzo comandamento del Decalogo, la Chiesa dispone ciò che segue: «La domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all’obbligo di partecipare alla Messa»[6]. A parte la domenica, i principali giorni di precetto (tenuto conto che l’autorità ecclesiastica a seconda delle circostanze di un paese o di una regione, può sopprimere, spostare o dispensare il precetto per qualcuno di essi) sono: Natale, Epifania, Ascensione, Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, Santa Maria Madre di Dio, Immacolata Concezione e Assunzione, San Giuseppe, Santi Apostoli Pietro e Paolo e, infine, Tutti i Santi»[7].

      «Soddisfa il precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque essa venga celebrata nel rito cattolico, o nello stesso giorno di festa o nel vespro del giorno precedente (CIC, can. 1248)»[8]. Per “vespro” qui si intende intorno all’ora canonica dei Vespri (più o meno tra le 4 e le 6 del pomeriggio) o dopo.

      Il precetto vincola i fedeli, «a meno che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la malattia, la cura dei lattanti o ne siano dispensati dal loro parroco (cfr. CIC, can. 1245). Coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave»[9].

      Nello stesso tempo è bene considerare che quando la Chiesa fissa questi requisiti minimi di partecipazione all’Eucaristia, rendendo chiaro con questo quello che è il modo principale di “santificare le feste”, si comporta come una madre che si preoccupa che non manchi ai propri figli il cibo assolutamente indispensabile per vivere come figli di Dio: per questo, prima che il dovere, i battezzati hanno la necessità e il diritto di partecipare alla celebrazione eucaristica. Dei primi cristiani si dice negli Atti degli Apostoli che «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere»[10]. La norma della Chiesa cerca proprio di proteggere e incoraggiare questa vitalità dei primi tempi della vocazione cristiana.


      3. Il terzo comandamento. La domenica, giorno del riposo

        «Come Dio “cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” (Gen 2, 2), così anche la vita dell’uomo è ritmata dal lavoro e dal riposo. L’istituzione del Giorno del Signore contribuisce a dare a tutti la possibilità di godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa»[11]. Proprio per questo la domenica e nelle altre feste di precetto i fedeli hanno l’obbligo di astenersi «da quei lavori e da quegli affari che impediscono di rendere culto a Dio e turbano la letizia propria del giorno del Signore o il dovuto riposo della mente e del corpo»[12]. Si tratta di un obbligo grave, come il precetto di santificare le feste, anche se potrebbe non obbligare in presenza di un dovere superiore di giustizia o di carità. In ogni caso la Chiesa ricorda che «ogni cristiano deve evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore»[13].

        Attualmente in alcuni paesi è molto diffusa una mentalità secondo la quale la religione è una questione privata che non deve avere manifestazioni pubbliche e sociali. Viceversa, la dottrina cristiana insegna che l’uomo deve «poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica»[14]. Infatti la legge morale naturale, che è propria di ogni uomo, prescrive «di rendere a Dio un culto esteriore, visibile, pubblico»[15].

        Ovviamente il culto personale a Dio è prima di tutto un atto interiore, però si deve poter manifestare all’esterno, perché lo spirito dell’uomo «ha bisogno di servirsi delle cose materiali come dei segni mediante i quali sia stimolato a realizzare quelle azioni spirituali che lo uniscono a Dio»[16].

        Inoltre, non solo si deve poter professare la religione esternamente, ma anche a livello sociale, vale a dire assieme ad altri, perché «la stessa natura sociale dell’uomo esige [...] che professi la propria religione in modo comunitario»[17]. La dimensione sociale dell’uomo richiede che il culto abbia espressioni sociali. «Si fa ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli uomini, se si nega all’uomo il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato il giusto ordine pubblico [...]. Il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla»[18].

        Esiste un diritto sociale e civile alla libertà in materia religiosa e questo significa che la società e lo Stato non debbono impedire, ma piuttosto favorire e incoraggiare perché in questo àmbito ciascuno possa agire in base al dettato della propria coscienza, sia in privato che in pubblico, sempre che si rispettino i giusti limiti che derivano dalle esigenze del bene comune, come possono esserlo l’ordine pubblico e la pubblica moralità[19].

        In questo senso, «nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, i cristiani devono adoperarsi per far riconoscere dalle leggi le domeniche e i giorni di festa della Chiesa come giorni festivi. Spetta a loro offrire a tutti un esempio pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere le loro tradizioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana»[20]. Era anche il pensiero di san Josemaría quando scriveva: «Questo è il tuo compito di cittadino cristiano: contribuire a far sì che l’amore e la libertà di Cristo presiedano tutte le manifestazioni della vita moderna: la cultura e l’economia, il lavoro e il riposo, la vita di famiglia e la convivenza sociale»[21].

        Ogni persona è obbligata in coscienza a cercare la vera religione e ad aderire ad essa. In questa ricerca può beneficiare dell’aiuto di altri (i fedeli cristiani hanno anche il dovere di offrire questo aiuto con l’apostolato dell’esempio e della parola) ma nessuno dev’essere coartato. L’adesione alla fede dev’essere sempre libera così come la sua pratica[22].

        Javier López / Jorge Miras


        Bibliografia di base

        - Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2168-2188; san Giovanni Paolo II, lettera ap. Dies Domini, 31-V-1998.

        - Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret.


        Letture raccomandate

        - San Josemaría, omelia Il rapporto con Dio, in Amici di Dio, nn. 142-153.

        - Papa Francesco, Udienza, 8-XI-2017. Inizio della catechesi del Papa sull’Eucaristia.


        [1] Gen 1, 31; 2, 3.

        [2] Papa Francesco, Udienza, 5-IX-2018.

        [3] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2174.

        [4] Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilum, n. 10.

        [5] Papa Francesco, Udienza, 5-IX-2018.

        [6] CIC, can. 1247; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2180.

        [7] CIC, can. 1246; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2177.

        [8] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2180.

        [9] Ivi, n. 2181.

        [10] At 2, 42.

        [11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2184.

        [12] CIC, can. 1247.

        [13] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2187.

        [14] Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, n. 15; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2137.

        [15] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 122, a. 4,c; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2176

        [16] Ivi, II-II, q. 81, a. 7, c.

        [17] Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, 3.

        [18] Ibid.

        [19] Ivi, 7; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2109.

        [20] Ivi, n. 2188.

        [21] San Josemaría, Solco, n. 302.

        [22] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2104-2106.