Prendere in casa propria chi esce di prigione: la storia di don Francesco Pirrera

Don Francesco, parroco di Valderice e cappellano della casa circondariale di Trapani ha aperto le porte di casa sua ai ragazzi che, finito il periodo di detenzione, escono di prigione e non sanno dove andare.

Don Francesco, in basso sulla destra, insieme ai ragazzi che ospita, durante la cena di Natale.

Da circa due anni le porte della casa di don Francesco sono aperte alle persone che, uscite dal carcere dopo aver scontato una pena, non hanno piani per il proprio futuro e nessuno che le accolga.

Per don Francesco, parroco di Valderice (paese in provincia di Trapani), l’esperienza della pastorale per i detenuti non è una novità, come lui stesso racconta: “Già da seminarista il Signore aveva messo nel mio cuore questo seme, perché in alcuni periodi dell’anno ospitavamo in parrocchia dei detenuti per mezza giornata, e quando ero diacono ho predicato un triduo pasquale proprio in un carcere. Già allora mi resi conto che le persone che si trovano in carcere sono persone che hanno un grande bisogno di essere ben volute”.

"mi resi conto che le persone che si trovano in carcere sono persone che hanno un grande bisogno di essere ben volute"

Una scelta scomoda

La vita da parroco di don Francesco è proseguita in maniera ordinaria sino a due anni fa. Il vescovo stava cercando un cappellano per il carcere. “Io credevo che il Signore me lo stesse chiedendo - ricorda don Francesco - per mezzo del vescovo, ma non mi soffermavo troppo su questa sensazione. Dopo l’incontro con un amico sacerdote sentii come una voce interiore che mi diceva: Ti devi scomodare, dì di sì al vescovo! Telefonai al vescovo che mi disse che ci saremmo visti tra qualche giorno, ma io insistetti di vederlo quanto prima per non perdere lo slancio interiore”.

Una foto presa da una gita a Monreale fatta da don Francesco

Oggi per don Francesco, che è un Sacerdote della Società Sacerdotale della Santa Croce, accogliere in casa propria chi esce dal carcere e non ha dove andare è la normalità, ma tutto è nato gradualmente, passo dopo passo. “Un giorno il responsabile dell’area educativa del carcere mi ha chiesto di accogliere un ragazzo che usciva. Poi si sono aggiunti altri ragazzi che godevano di permessi premio. Si trattava di passare con loro una giornata: vedevamo insieme qualcosa della città, facevamo delle piccole escursioni nei dintorni”.

Qualcosa è scattato quando don Francesco è entrato in contatto con un Centro di espulsione

Qualcosa però è scattato quando don Francesco è entrato in contatto, a Trapani, con un Centro di permanenza per il rimpatrio, comunemente detto Centro di espulsione. “Vidi un giovane appoggiato a un pilastro. Non stava facendo niente, e gli ho chiesto che cosa stesse aspettando. Si trattava di un ragazzo del Gambia che non sapeva dove sarebbe andato a dormire. Decisi di lasciargli il mio numero di telefono. Giusto il tempo di tornare in parrocchia e lui mi aveva già chiamato”.

Una nuova famiglia

Dopo il primo nuovo “ospite” ne sono arrivati tanti altri. Alcuni trovano lavoro, altri se ne vanno in cerca di nuove opportunità, “a volte con troppa fretta perché manca la pazienza”, osserva don Francesco, con un po’ di rammarico.

ognuno ha un piccolo incarico domestico

La vita in casa diventa per i nuovi arrivati una vita di famiglia: “a pranzo e cena ci ritroviamo insieme, - spiega don Francesco - e ognuno ha un piccolo incarico domestico. Chi apre le finestre, chi chiude, chi controlla le luci, chi prepara da cucinare. Parallelamente alla vita di casa continua la ricerca, molto difficile, di un lavoro regolare. Quando mi sembra di avere fretta, di voler cambiare tutto e subito, ritorno a quello che diceva san Josemaría: Non dimenticare che sulla terra tutto ciò che è grande è cominciato piccolo. Ciò che nasce grande è mostruoso e muore (Cammino, 821)”.

La cena di Natale

“Può sembrare che papa Francesco esageri quando parla di poveri, immigrati e carcerati. - aggiunge don Francesco - Ma chi vive in mezzo agli altri, senza isolarsi, capisce quanto sia giusto che il Papa dia voce a questi nostri fratelli meno fortunati. Io penso di avere appena iniziato a capire”.

“Il vescovo Pietro Fragnelli - conclude don Francesco - al quale devo tutto questo, non mi ha mai lasciato senza sostegno e ha voluto passare la notte di Natale con noi. Ha voluto ricordare quella sera con delle parole molto toccanti:

persone che stanno cambiando vita e hanno bisogno dell’aiuto e della fiducia di tutta la Chiesa

È stata una serata ricca di emozioni: abbiamo avuto videotelefonate per augurare buon Natale ai loro bambini e familiari lontani. Quattro persone che stanno cambiando vita e hanno bisogno dell’aiuto e della fiducia di tutta la Chiesa e di tutta la società per redimersi da un passato che ha meritato la detenzione. Una fiducia che comincia anche da te!”

Il vescovo Pietro durante la cena di Natale, con un ospite di don Francesco.