Tema 23. La Confessione e l’Unzione degli infermi

La Penitenza o Confessione è un sacramento specifico di guarigione e di salvezza. La forma concreta con la quale i ministri di Cristo e della Chiesa hanno esercitato il potere di perdonare i peccati è cambiata nei secoli, anche se mantiene una struttura fondamentale che comprende due elementi ugualmente essenziali: gli atti dell’uomo che si converte per azione dello Spirito Santo e l’azione di Dio mediante il ministero della Chiesa. L’Unzione degli infermi è un aiuto alle persone la cui vita è in pericolo.

1. Che cos’è la Penitenza o Confessione

«Celebrare il Sacramento della Riconciliazione significa essere avvolti in un abbraccio caloroso: è l’abbraccio dell’infinita misericordia del Padre. Ricordiamo quella bella, bella parabola del figlio che se n'è andato da casa sua con i soldi dell'eredità; ha sprecato tutti i soldi, e poi, quando non aveva più niente, ha deciso di tornare a casa, non come figlio, ma come servo. Tanta colpa aveva nel suo cuore e tanta vergogna. La sorpresa è stata che quando incominciò a parlare, a chiedere perdono, il padre non lo lasciò parlare, lo abbracciò, lo baciò e fece festa. Ma io vi dico: ogni volta che noi ci confessiamo, Dio ci abbraccia, Dio fa festa!»[1].

La grazia e la nuova vita in Cristo, ricevute mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana (ossia, il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia), rendono i fedeli santi e immacolati alla presenza di Dio[2]. Tuttavia, la ricezione di questi sacramenti non ripristina del tutto l’armonia e l’equilibrio interiore. Di fatto rimangono le conseguenze del peccato originale: la fragilità e la debolezza della natura umana e l’inclinazione al peccato.

Rigenerato dal Battesimo, illuminato dalla parola di Dio e fortificato dalla potenza salvifica della Confermazione e dell’Eucaristia, l’uomo possiede indubbiamente i mezzi per rimanere nell’amore di Dio e affrontare la lotta spirituale necessaria per vincere le tentazioni del Maligno[3]. Ciononostante, il fedele cristiano continua a essere un “viandante”, un pellegrino sulla terra, in cammino verso la patria del cielo. La sua intelligenza e la sua volontà non sono ancora fissate nella Bellezza, nella Verità, nell’Amore che è Dio. Per conseguenza, finché è viator, il cristiano è chiamato a “camminare” liberamente verso Colui che è l’origine e il fine ultimo della vita; sarà costretto a scegliere incessantemente tra l’accettazione e il rifiuto della volontà paterna di Dio che vuole la sua salvezza, pur rispettando la libertà della quale lo ha dotato. E così può allontanarsi dall’amore di Dio e cadere nel peccato come conseguenza di una cattiva scelta.

Proprio per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo, il Signore, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, ha istituito un sacramento specifico di guarigione e salvezza: il sacramento della Confessione, noto come sacramento della Penitenza e della Riconciliazione[4].

Secondo la Tradizione viva della Chiesa e gli insegnamenti del Magistero, Gesù istituì il sacramento della penitenza e della riconciliazione soprattutto quando, una volta risuscitato, infuse lo Spirito ai suoi Apostoli, conferendo loro il proprio potere divino di perdonare i peccati: «Soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”»[5].

È un potere che si trasmette ai vescovi, successori degli Apostoli come pastori della Chiesa e ai presbiteri, che sono anche sacerdoti della Nuova Alleanza, collaboratori dei vescovi, in virtù del sacramento dell’Ordine. «Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico»[6].


2. La struttura del sacramento della Penitenza o Confessione

Nel corso della storia, la forma concreta secondo la quale i ministri di Cristo e della Chiesa hanno esercitato il potere di perdonare i peccati è cambiata notevolmente[7]. Ciò nonostante, «attraverso i cambiamenti che la disciplina e la celebrazione di questo sacramento hanno conosciuto nel corso dei secoli, si discerne la medesima struttura fondamentale. Essa comporta due elementi ugualmente essenziali: da una parte, gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall’altra parte, l’azione di Dio attraverso l’intervento della Chiesa. La Chiesa che, mediante il vescovo e i presbiteri, concede nel nome di Gesù Cristo il perdono dei peccati e stabilisce la modalità della soddisfazione, prega anche per il peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale»[8].

Il primo elemento essenziale del sacramento della Penitenza è, dunque, costituito dagli atti stessi del penitente, vale a dire, dalla contrizione del cuore, dalla confessione dei peccati e dal compimento delle opere penitenziali imposte dal ministro di Cristo e della Chiesa[9].

Il secondo elemento strutturante di questo sacramento è l’assoluzione del ministro, di cui parte essenziale sono le parole: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo»[10]. Sono parole performative ed efficaci perché indicano ciò che veramente si compie per mezzo dell’assoluzione sacramentale: il perdono e la riconciliazione del peccatore da parte del Dio Vivo, Padre, Figlio e Spirito Santo. «Quindi, per mezzo del sacramento della Penitenza, il Padre accoglie il figlio pentito che ritorna a lui, Cristo ripone sulle sue spalle la pecora smarrita per riportarla all’ovile e lo Spirito Santo santifica nuovamente il suo tempio o intensifica in esso la sua presenza»[11].

È bene considerare che tra i due elementi (gli atti del penitente e l’assoluzione del ministro) c’è uno stretto legame: il primo è ordinato al secondo e i due insieme costituiscono una unità morale, che deve sussistere necessariamente perché ci sia effettivamente il sacramento. In altre parole, il segno sacramentale della penitenza non può in nessun modo ridursi alla sola assoluzione del ministro, perché questa può essere impartita unicamente se prima il penitente ha confessato i suoi peccati con cuore contrito.

L’esame di coscienza è una condizione necessaria per una retta e fruttuosa celebrazione del sacramento della confessione e della riconciliazione. La persona deve farlo prima di confessarsi. Infatti, nessuno può pentirsi e accusarsi dei propri peccati davanti a Dio se prima non riflette sulle proprie colpe con l’aiuto della luce di Dio. Pertanto «è bene prepararsi a ricevere questo sacramento con un esame di coscienza fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo scopo sono da cercarsi nella catechesi morale dei Vangeli e delle lettere degli Apostoli: il Discorso della montagna e gli insegnamenti apostolici»[12].

Tra gli atti del penitente, al primo posto c’è la contrizione, che consiste nel «dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire»[13]. La “contrizione del cuore”[14] richiede un atto chiaro e fermo dell’intelligenza e della volontà dell’uomo che, mossi dall’aiuto divino e dalla fede, aborrisce i peccati commessi in quanto lo hanno allontanato da Dio (dimensione teologale), da Cristo (dimensione cristologica), dalla Chiesa (dimensione ecclesiale) e dagli uomini, suoi fratelli. Oltre a questo aspetto per così dire “negativo”, ossia di rifiuto o di odio dei peccati, c’è anche un aspetto positivo della contrizione che si traduce nel desiderio di ritornare a Dio, con la speranza di ottenere il suo perdono e di rimanere nel suo amore[15].

La contrizione può essere “perfetta” o “imperfetta”. «Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta “perfetta” (contrizione di carità). Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale»[16]. «La contrizione detta “imperfetta” (o “attrizione”) è, anch’essa, un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza»[17].

La confessione dei peccati è l’atto penitenziale con il quale il cristiano peccatore comunica al sacerdote le colpe delle quali si considera responsabile, al fine di ottenere il perdono di Dio e di tornare alla piena comunione con la Chiesa Santa.

Nel corso dei secoli, teologi e pastori hanno precisato frequentemente che la confessione dei peccati deve essere sincera, chiara, concreta, contrita, umile, discreta e rispettosa (seguendo le norme della prudenza, della modestia e della carità), orale e integra o formalmente completa.

A proposito della confessione integra il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: «È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta di peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi»[18].

La soddisfazione sacramentale consiste nell'accettazione volontaria e nell'adempimento successivo delle opere penitenziali imposte dal confessore. È un segno che manifesta il pentimento interiore e l’autenticità della conversione del cristiano peccatore ed è finalizzato a rimediare con l’aiuto della grazia divina ai disordini che i peccati hanno causato in lui e nell'ambito familiare, sociale ed ecclesiale nel quale vive. L’assoluzione toglie i peccati ma non cancella tutti i disordini che hanno provocato[19].

Il ministro del sacramento della penitenza e della riconciliazione è il sacerdote (vescovo o presbitero), validamente ordinato e in possesso della facoltà di esercitare la potestà di perdonare i peccati dei fedeli ai quali dà l’assoluzione[20].

«Celebrando il sacramento della Penitenza, il sacerdote compie il ministero del Buon Pastore che cerca la pecora perduta, quello del Buon Samaritano che medica le ferite, del Padre che attende il figlio prodigo e lo accoglie al suo ritorno, del giusto Giudice che non fa distinzione di persone e il cui giudizio è ad un tempo giusto e misericordioso. Insomma, il sacerdote è il segno e lo strumento dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore»[21].

Durante la celebrazione del sacramento della confessione o riconciliazione il ministro deve agire, dunque, come padre e buon pastore (mostrando e trasmettendo ai penitenti l’amore misericordioso del Padre del Cielo[22]; e seguendo l’esempio di Cristo Buon Pastore); come maestro di verità (comunicando non un suo pensiero personale ma la dottrina di Cristo Maestro che insegna la verità e indica la strada che porta a Dio[23]); come giudice benigno ed efficace del perdono (per questo dovrà conoscere i peccati che gravano sulla coscienza del penitente e formulare un “giudizio spirituale” sulle sue disposizioni - soprattutto sul suo pentimento e sul suo proposito di rettificare la sua condotta disordinata - in modo che possa impartirgli l’assoluzione con cognizione di causa e non in modo arbitrario)[24].

Dopo la celebrazione del sacramento il ministro ha l’obbligo assoluto di mantenere il segreto su tutto quello che ha ascoltato nella confessione. «Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle persone, la Chiesa dichiara che ogni sacerdote che ascolta le confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato. Non gli è lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere, attraverso la confessione, dei suoi penitenti. Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il “sigillo sacramentale”, poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane “sigillato” dal sacramento»[25].


3. Gli effetti della Confessione o sacramento della Penitenza

«Gli effetti del Sacramento della Penitenza sono: la riconciliazione con Dio e quindi il perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il recupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenze del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l'accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano»[26]. Inoltre questo sacramento rende i penitenti particolarmente conformi a Cristo, vincitore del peccato attraverso la sua passione di redenzione e la sua risurrezione gloriosa[27].

Infine bisogna ricordare che durante la celebrazione del sacramento i fedeli vivono un’anticipazione del giudizio finale di Cristo Signore sugli uomini[28] in modo misterioso, tuttavia reale ed effettivo. Si può dire senza sbagliare che chi riceve l’assoluzione sacramentale è già stato giudicato e assolto dal Signore: i suoi peccati sono stati perdonati per sempre.

«Per chi cade dopo il battesimo questo sacramento della Penitenza è altrettanto necessario come il Battesimo lo è per quelli non ancora redenti»[29].

L’atto interiore di pentimento (la contrizione del cuore) incoraggia il cristiano a cercare il perdono di Dio e la piena comunione con Cristo e con la Chiesa. E Cristo ha stabilito che li si ottenga col sacramento della riconciliazione: dando agli Apostoli il potere di perdonare i peccati e vincolando il suo perdono a quello che essi concedono[30], Egli ha fatto di questo sacramento «la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei peccati gravi commessi dopo il Battesimo»[31].

Il cristiano peccatore che desideri riconciliarsi con Dio pertanto non deve solo pentirsi interiormente e riconoscere che ha bisogno del perdono divino, ma deve anche accettare i mezzi attraverso i quali la grazia e il perdono di Dio arrivano agli uomini nel tempo della Chiesa. Per chi ha peccato gravemente dopo il Battesimo non ci sono due vie diverse per ottenere lo stato di grazia, quella della contrizione del cuore o quella del sacramento della Penitenza, perché, di fatto, le due vie si identificano. La vera contrizione comprende sempre il desiderio di ricevere il sacramento del perdono. Un pentimento dei peccati unito al rifiuto di confessarli al sacerdote in questo sacramento sarebbe incoerente perché Dio stesso ha voluto che utilizziamo questo mezzo.

Su questo punto l’autorità della Chiesa ha precisato: «Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, [...] senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale, a meno che non abbia un motivo grave per comunicarsi e non gli sia possibile accedere a un confessore; in questo caso tenga presente che è obbligato a fare un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima (CIC, can. 916)»[32].

«Secondo il precetto della Chiesa, “ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno” (CIC, can. 989)»[33].

«Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione dei peccati veniali è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa. In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella via dello Spirito»[34].

«Anche per i peccati veniali è molto utile il ricorso assiduo e frequente a questo sacramento. Non si tratta infatti di una semplice ripetizione rituale né di una sorta di esercizio psicologico: è invece un costante e rinnovato impegno di affinare la grazia del Battesimo, perché, mentre portiamo nel nostro corpo la mortificazione di Cristo Gesù, sempre più si manifesti in noi la sua vita»[35].


4. L’Unzione degli infermi, nota anche come “estrema unzione”

L’Unzione degli infermi è un sacramento istituito da Gesù Cristo, fatto intravvedere come tale nel Vangelo di Marco[36] e che viene raccomandato ai fedeli e promulgato dall’Apostolo Giacomo: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati»[37]. La Tradizione viva della Chiesa, che si riflette nei testi del Magistero ecclesiastico, ha riconosciuto in questo rito uno dei sette sacramenti della Nuova Legge, rivolto particolarmente a confortare i malati e a purificarli dal peccato e dalle sue conseguenze[38].

Per aiutare le persone la cui vita è in pericolo per una grave malattia e che desiderano ricevere l’aiuto di questo sacramento, si può far loro considerare che «l'uomo gravemente infermo ha infatti bisogno, nello stato di ansia e di pena in cui si trova, di una grazia speciale di Dio per non lasciarsi abbattere, con il pericolo che la tentazione faccia vacillare la sua fede. Proprio per questo, Cristo ha voluto dare ai suoi fedeli malati la forza e il sostegno validissimo del sacramento dell'Unzione»[39]. Più precisamente, «questo sacramento conferisce al malato la grazia dello Spirito Santo; tutto l'uomo ne riceve aiuto per la sua salvezza, si sente rinfrancato dalla fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l'ansietà della morte; egli può così non solo sopportare validamente il male, ma combatterlo, e conseguire anche la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale; il sacramento dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il cammino penitenziale del cristiano»[40].


5. La struttura e la celebrazione dell’Unzione degli infermi

Secondo il Rituale dell’Unzione degli infermi, la materia più adatta del sacramento è l’olio di oliva o, in caso di necessità, un altro olio vegetale[41]. Quest’olio deve essere benedetto dal vescovo o da un presbitero che abbia questa facoltà[42].

L’Unzione si conferisce ungendo il malato sulla fronte e sulle mani[43].

La formula sacramentale con la quale nel rito latino si conferisce l’Unzione degli infermi è la seguente: «Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. Amen. / E, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi. Amen»[44].

Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, «è molto opportuno che [l’Unzione degli infermi] sia celebrata durante l’Eucaristia, memoriale della Pasqua del Signore. Se le circostanze lo consigliano, la celebrazione del sacramento può essere preceduta dal sacramento della Penitenza e seguita da quello dell’Eucaristia. Il quanto sacramento della Pasqua di Cristo, l’Eucaristia dovrebbe essere sempre l’ultimo sacramento del pellegrinaggio terreno, il “Viatico” per il “passaggio” alla vita eterna»[45].

Ministro di questo sacramento è soltanto il sacerdote (vescovo o presbitero)[46].

Il soggetto dell’Unzione degli infermi è ogni persona battezzata che abbia raggiunto l’uso di ragione e si trovi in pericolo di morte per una grave malattia o a causa della vecchiaia accompagnata da una avanzata debolezza senile[47]. L’Unzione dei malati non può essere amministrata ai defunti.

Per ricevere i frutti di questo sacramento si richiede nel soggetto una preliminare riconciliazione con Dio e con la Chiesa, almeno con il desiderio, unito inscindibilmente al pentimento dei propri peccati e all’intenzione di confessarli nel sacramento della Penitenza non appena possibile. Per questo motivo la Chiesa prevede che, prima dell’Unzione, si amministri al malato il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione[48].

Il soggetto deve avere l’intenzione, almeno abituale e implicita, di ricevere questo sacramento[49]. In altre parole, il malato deve avere una volontà non revocata di morire come muoiono i cristiani e con gli aiuti soprannaturali a loro destinati.


6. La necessità e gli effetti dell’Unzione degli infermi

Anche se l’Unzione dei malati può essere amministrata a chi ha già perduto i sensi, bisogna fare in modo che sia ricevuta in piena consapevolezza, in modo che il malato possa meglio disporsi a ricevere la grazia del sacramento. Non va amministrata a coloro che rifiutano ostinatamente di pentirsi in casi di peccato mortale manifesto[50].

Un malato che ha ricevuto l’Unzione e recupera la salute può ricevere questo sacramento un’altra volta, nel caso di una nuova grave malattia; il sacramento può essere ripetuto nell’evoluzione della stessa malattia qualora questa si aggravasse[51].

Infine, è bene tener presente questa indicazione della Chiesa: «Nel dubbio se l'infermo abbia già raggiunto l'uso di ragione, se sia pericolosamente ammalato o se sia morto, questo sacramento sia amministrato»[52].

La ricezione dell’Unzione degli infermi non è necessaria come mezzo indispensabile di salvezza, ma non si deve prescindere volontariamente da questo sacramento se è possibile riceverlo perché vorrebbe dire rifiutare un aiuto di grande efficacia per la salvezza. Privare un malato di questo aiuto potrebbe costituire un peccato grave.

È opportuno che i fedeli tengano a mente che al giorno d’oggi si tende a “isolare” la malattia e la morte. A volte i malati gravi muoiono in solitudine nelle cliniche e negli ospedali, benché siano circondati da altre persone e molto ben curati in “unità di cure intensive”. Tutti - e in particolare i cristiani che lavorano negli ospedali - devono impegnarsi affinché ai malati ricoverati non manchino i mezzi che danno consolazione e sollievo al corpo e all’anima di chi soffre; tra questi mezzi - oltre al sacramento della Penitenza e del Viatico - c’è il sacramento dell’Unzione degli infermi.

In quanto vero e proprio sacramento della Nuova Legge, l’Unzione degli infermi offre al fedele cristiano la grazia santificante; la grazia sacramentale specifica dell’Unzione degli infermi ha pure i seguenti effetti:

- l’unione più intima con Cristo nella sua Passione di redenzione, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa[53];

- il conforto, la pace e il coraggio per sopportare le difficoltà e le sofferenze proprie della malattia grave o della fragilità della vecchiaia[54];

- la guarigione dalle conseguenze del peccato, il perdono dei peccati veniali e di quelli mortali nel caso in cui il malato si fosse pentito ma non avesse potuto ricevere il sacramento della Penitenza[55].

- il ristabilimento della salute del corpo, se questa è la volontà di Dio[56];

- la preparazione al passaggio alla vita eterna. In questo senso, nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: «questa grazia [propria dell’Unzione degli infermi] è un dono dello Spirito Santo che rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte (cfr. Eb 2, 15)»[57].

Ángel García Ibáñez


Bibliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1499-1532.


Letture raccomandate

- Ángel García Ibáñez, Conversione e riconciliazione. Trattato storico-teologico sulla penitenza post-battesimale, Edusc, Roma 2020.

- Félix María Arocena, Penitencia y Unción de enfermos, Eunsa, Pamplona 2014.


[1] Papa Francesco, Udienza, 19-II-2014.

[2] Cfr. Ef 1, 4.

[3] Cfr. 2 Pt 1, 3-11.

[4] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1446.

[5] Gv 20, 22-23. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 976; Concilio di Trento, sess. XIV, Dottrina sul sacramento della Penitenza, cap. 1: DH 1670.

[6] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1442.

[7] Cfr. Ivi, n. 1447.

[8] Ivi, n. 1448.

[9] Ovviamente si tratta degli atti del penitente non in quanto atti puramente umani (il perdono dei peccati non si ottiene solo con le proprie forze), ma in quanto compiuti nella fede in Cristo Redentore e sotto l’azione dello Spirito Santo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1448).

[10] Rituale della Penitenza, Praenotanda, n. 19.

[11] Ivi, n. 6, d.

[12] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1454.

[13] Ivi, n. 1451. La citazione riportata dal Catechismo della Chiesa Cattolica è del Concilio di Trento: DH 1676.

[14] Cfr. Sal 50, 19.

[15] Cfr. Is 55, 7-8; Ez 18, 21-23; 33, 10-11; Gl 2, 12-13; Lc 5, 11-32.

[16] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1452.

[17] Ivi, n. 1453.

[18] Ivi, n. 1456.

[19] Cfr. Ivi, n. 1459.

[20] Cfr. Ivi, n. 1461-1462.

[21] Ivi, n. 1465.

[22] Cfr. Lc 15, 20-31.

[23] Cfr. Mt 22, 16.

[24] Nel caso si rivolgano a lui persone che vogliono avvicinarsi a Dio ma che ancora non possono ricevere l’assoluzione perché non hanno le dovute disposizioni, egli cercherà di trattarle con comprensione e misericordia, accompagnandole pastoralmente in modo che si inseriscano nella comunità cristiana nei modi in cui possono farlo. Più esattamente, nel caso dei divorziati risposati civilmente o di persone che convivono in modo irregolare, farà loro notare che, malgrado la loro situazione, «continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli» (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 29).

[25] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1467.

[26] Ivi, n. 310.

[27] Cfr. Lumen Gentium, n. 7.

[28] Cfr. Mt 25, 31-46; Rm 14, 10-12; 2 Cor 5, 10. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo esprime in questi termini: «In questo sacramento, il peccatore, rimettendosi al giudizio misericordioso di Dio, anticipa in un certo modo il giudizio al quale sarà sottoposto al termine di questa vita terrena» (n. 1470).

[29] Concilio di Trento, sess. XIV, Dottrina sul sacramento della Penitenza, cap. 2: DH 1672.

[30] Cfr. Gv 20-22-23.

[31] San Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia, n. 31, I.

[32] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1457.

[33] Ibid.

[34] Ivi, n. 1458.

[35] Rituale della Penitenza, Praenotanda, n. 7, b.

[36] Cfr. Mc 6, 13.

[37] Gc 5, 14-15.

[38] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1512.

[39] Rituale dell’Unzione e della Pastorale dei malati, Praenotanda, n. 5.

[40] Ivi, n. 6.

[41] Cfr. Ivi, n 20.

[42] Cfr. Ivi, n. 21.

[43] Cfr. Ivi, n. 23. In caso di necessità basterà fare una sola unzione sulla fronte o in altra parte conveniente del corpo (cfr. Ibid.). Nelle Chiese Orientali - per esempio, nella Chiesa Bizantina, Copta e Armena - si fanno sette unzioni (in modo simile a come si faceva nell’antica liturgia romana), sulla fronte, sulle labbra, sulla naso, sugli occhi, sul petto, sulle mani e sui piedi del malato, come segno di purificazione dei peccati commessi con la mente e con ognuno dei sensi; cfr. I.-H. Dalmais, Las Liturgias Orientales, Bilbao 1991, p. 127-128.

[44] Rituale dell’Unzione e della Pastorale dei malati, Praenotanda, n. 25. Questa formula si pronuncia in modo che la prima parte si dica mentre si unge la fronte e la seconda mentre si ungono le mani. In caso di necessità, quando si può fare una sola unzione, il ministro pronuncia di seguito l’intera formula (cfr. ivi., Praenotanda, n. 23). Nella Chiesa Orientale Bizantina, già citata, in ogni unzione si pronuncia la formula: «Padre Santo, medico delle anime e dei corpi, che hai mandato il tuo figlio unico Gesù Cristo per curare ogni male e liberare dalla morte, guarisci anche il tuo servo N. dalla sua debolezza sia fisica che spirituale mediante la grazia del tuo Cristo» (I.-H. Dalmais, Las Liturgias Orientales, cit., p. 129.

[45] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1517.

[46] Cfr. CIC, can. 1003, 1. I diaconi e i fedeli laici non possono amministrare validamente l’Unzione degli infermi (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota sul ministro del sacramento dell’Unzione degli infermi, «Notitiae» 41 [2005] 479.

[47] Cfr. Concilio Vaticano II, Sacrosantum Concilium, n. 73; CIC, cann. 1004-1007. Pertanto, l’Unzione degli infermi non è un sacramento per quei fedeli che semplicemente sono arrivati alla cosiddetta “terza età” (non è il sacramento dei pensionati) e non è neppure solo un sacramento per i moribondi. Nel caso di un’operazione chirurgica, l’Unzione degli infermi può essere amministrata quando la malattia, che è motivo dell’operazione, mette in pericolo di per sé la vita del malato.

[48] Cfr. SC 74.

[49] A questo proposito nel CIC si dice: «Si conferisca questo sacramento a quegli infermi che, mentre erano in possesso delle proprie facoltà mentali, lo abbiano chiesto almeno implicitamente» (can. 1006).

[50] Cfr. CIC, can. 1007. Per ciò che riguarda l’ultimo punto, si deve distinguere il caso della persona non pentita che vuole ostinatamente rimanere in uno stato di peccato mortale risaputo da tutti e quello del soggetto che si trova in una situazione gravemente contraria alla Legge di Dio, ma non strettamente per cattiveria, quanto piuttosto per ignoranza o perché è immerso in una cultura profondamente secolarizzata e la grave malattia lo ha colto di sorpresa. Nel primo caso non si deve amministrare l’Unzione, perché sarebbe inutile per il peccatore; nel secondo, sì, soprattutto se il malato reagisce positivamente all’incoraggiamento del sacerdote ad abbandonarsi alla misericordia di Dio, a pentirsi dei suoi peccati e a fare il proposito di correggere la propria vita in futuro. In ogni caso, se il ministro dubitasse che il soggetto dovesse effettivamente persistere con ostinazione in una situazione di peccato grave di pubblica notorietà, potrebbe amministrargli questo sacramento sub conditione.

[51] Cfr. Ivi, 1004, 2

[52] Ivi. 1005.

[53] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1521-1522; 1532.

[54] Cfr. Ivi, nn. 1520; 1532.

[55] Cfr. Ivi, n. 1520.

[56] Cfr. Concilio di Firenze: DH 1325; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1520.

[57] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1520.