Tema 10. Il peccato e la misericordia di Dio

La perdita del senso del peccato ha portato a non comprendere più la necessità della salvezza e, di conseguenza, alla dimenticanza di Dio per indifferenza. Tuttavia il trionfo di Cristo è l’espressione della sua misericordia verso l’uomo: “l’amore è più forte del peccato”. La misericordia è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda il fratello che incontra lungo il cammino della vita.

1. Il mistero della misericordia nonostante il peccato

Accanto alle grandi conquiste della nostra civiltà, il panorama del mondo contemporaneo presenta anche ombre e incertezze tutt’altro che superficiali in quanto «gli squilibri che il mondo moderno patisce sono collegati con lo squilibrio fondamentale che affonda le sue radici nel cuore umano»[1].

La persona umana in quanto creatura deve fare i conti con molti limiti. Quando si sperimenta l’impossibilità di dare risposta al male, alla sofferenza e all’ingiustizia, in molti casi più che la supplica a Dio misericordioso, sgorga una sorta di accusa, frutto dell’indignazione. L’esperienza del male e della sofferenza si converte così in una giustificazione per allontanarsi da Dio, senza prendere in considerazione la sua bontà misericordiosa. Alcuni arrivano persino a convincersi che la sofferenza sia un castigo divino nei confronti del peccatore, deformando così, ancora di più, la misericordia di Dio.

Si instaura in questo modo un circolo vizioso. San Giovanni Paolo II affermava che «al cuore del dramma vissuto dall'uomo contemporaneo è l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo»[2].

Sembra che Dio non sia rilevante perché non può risolvere i nostri problemi. Per un verso, non abbiamo chiaro di aver bisogno di salvezza, d’altra parte la salvezza offerta dalla Chiesa di Gesù Cristo non ci sembra adeguata.

La conseguenza finale di questa eclissi di Dio è il rifiuto sociale della necessità di ricorrere al perdono e alla misericordia di Dio. In questo modo la perdita del senso del peccato ha portato alla perdita della necessità della salvezza e di conseguenza all'oblio di Dio per indifferenza.

Per questo motivo, quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso della parola misericordia, tanto più la Chiesa sente come un imperativo il diritto e il dovere di predicare il Dio della misericordia. Il mistero della fede cristiana sembra trovare la sua sintesi in questa parola. La missione evangelizzatrice è l’annuncio a viva voce che in Cristo, crocifisso, morto e risorto, si realizza la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte.[3]

Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. «È come se Cristo avesse voluto rivelare che il limite imposto al male, la cui causa e vittima risulta essere l’uomo, è in definitiva la Divina Misericordia»[4]

Il trionfo di Cristo è l’espressione della sua misericordia verso gli uomini, manifestazione che «l’amore è più forte del peccato», «più forte che la morte e ogni male».[5] Il mondo riuscirà a raggiungere la pace, superando la guerra e la violenza, solo se invoca la misericordia: «Gesù, confido in Te»[6].

Non è facile dare una risposta all’evidenza del male nel mondo, forse perché il male è un mistero più che un problema, un mistero nel quale siamo tutti coinvolti personalmente, un mistero che non si risolve con la teoria, ma con un approccio vitale o esistenziale.

Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia: la relazione tra la sofferenza, l’ingiustizia, il peccato, gli uomini e Dio, perché, come afferma papa Francesco[7], la misericordia è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda il fratello che incontra lungo il cammino della vita. Misericordia è la parola che rivela il mistero della Santissima Trinità. Misericordia è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro, pertanto la misericordia è la via che unisce l’uomo a Dio.

Nella vita della Chiesa la misericordia è una realtà permanente, ma ci sono momenti nei quali siamo chiamati a fissare il nostro sguardo su di essa con maggiore intensità.


2. Il peccato si comprende a partire dalla misericordia

«Dio è infinitamente buono e tutte le sue opere sono buone. Tuttavia nessuno sfugge all'esperienza della sofferenza, dei mali presenti nella natura – che appaiono legati ai limiti propri delle creature – e soprattutto al problema del male morale»[8]. «Nella storia dell'uomo è presente il peccato: sarebbe vano cercare di ignorarlo o di dare altri nomi a questa oscura realtà»[9]. Ma, da dove viene il male e, in particolare, il male morale?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo soffermarci sul mistero di Dio perché il peccato può essere compreso solo a partire dal Dio-misericordia di Gesù Cristo. «“Il mistero […] dell’iniquità” (Ts 2, 7) si chiarisce solo alla luce del “Mistero della pietà” (1 Tm 3, 16). La rivelazione dell’amore divino in Cristo ha reso manifeste sia l’estensione del male sia la sovrabbondanza della grazia (cfr. Rm 5, 20). Dobbiamo pertanto esaminare la questione dell’origine del male tenendo fisso lo sguardo della nostra fede su colui che, solo, ne è il vincitore (cfr. Lc 11, 21-22; Gv 16, 11; 1 Gv 3, 8)»[10].

Come afferma Pascal nei suoi Pensieri, la conoscenza di Dio senza la conoscenza della necessità della nostra redenzione risulta ingannevole, così come lo è riconoscere la nostra miseria senza riconoscere il Redentore[11].

Per chiarire la realtà del peccato, la luce della Rivelazione divina ci parla soprattutto del peccato delle origini, ma il punto di partenza per comprenderlo è il messaggio della misericordia divina rivelata da Gesù.


3. Peccato e misericordia. Il peccato originale: una verità essenziale della fede

«La dottrina del peccato originale è, per così dire, “il rovescio” della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo»[12].

«Il racconto della caduta (cfr. GS 13, 1) attraverso un linguaggio per immagini afferma un avvenimento primordiale, un fatto che ebbe luogo all’inizio della storia dell’uomo (cfr. GS 13, 1). La Rivelazione ci dà la certezza della fede che tutta la storia umana è segnata dal peccato originale liberamente commesso dai nostri progenitori»[13].

«Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c'è una voce seduttrice, che si oppone a Dio, (cfr. Gen 3, 1-5) la quale, per invidia, li fa cadere nella morte (cfr. Sb 2, 24). La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo (cfr. Gv 8, 44; Ap 12, 9). La Chiesa insegna che all’inizio era un angelo buono, creato da Dio»[14].

«L'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato che si spegnesse nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore (cfr. Gen 3, 1-11) e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell'uomo (cfr. Rm 5, 19). In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà»[15].

«La Scrittura mostra le conseguenze drammatiche di questa prima disobbedienza. Adamo ed Eva perdono immediatamente la grazia della santità originaria (cfr. Rm 3, 23). Hanno paura di Dio (cfr. Gen 3, 9-10) di cui si sono fatti una falsa immagine falsa, quella cioè di un Dio geloso delle proprie prerogative (cfr. Gen 3, 5)»[16].

Come conseguenza, «l’armonia nella quale essi erano posti, grazie alla giustizia originale, è distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell’anima sul corpo è infranta (cfr. Gen 3, 7); l’unione dell’uomo e della donna è sottoposta a tensioni (cfr. Gen 3, 11-13); i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all’asservimento (cfr. Gen 3, 16)»[17].

Si spezza anche l’armonia con la creazione; «la creazione visibile diventa aliena e ostile all’uomo (cfr. Gen 3, 17-19). A causa dell’uomo la creazione è soggetta “alla schiavitù della corruzione” (Rm 8, 21). Infine, la conseguenza esplicitamente annunciata nell’ipotesi della disobbedienza (cfr. Gen 2, 17), si realizzerà: l’uomo “tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto” (Gen 3, 19). La morte entra nella storia dell’umanità (cfr. Rm 5, 12)»[18].

«Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato da una vera “invasione” del peccato: il fratricidio commesso da Caino contro Abele (cfr. Gen 4, 3-15); la corruzione universale quale conseguenza del peccato (cfr. Gen 6, 5-12; Rm 1, 18-32); nella storia di Israele il peccato si manifesta frequentemente soprattutto come infedeltà al Dio dell’Alleanza e come trasgressione della Legge di Mosè; anche dopo la Redenzione di Cristo, fra i cristiani, il peccato si manifesta in svariati modi (cfr. 1Co 1, 6; Ap 2, 3)»[19].


4. Conseguenze del peccato originale per l’umanità

L’esistenza umana mostra l’evidenza del peccato nella nostra vita e che il peccato non vuol dire che siamo cattivi per natura, ma è conseguenza di una libera scelta del male. Ma da dove viene il peccato? Il male morale non appartiene alla struttura umana, non proviene né dalla struttura sociale dell’uomo, né dalla sua materia, e neppure ovviamente da Dio o da un destino immodificabile. Il realismo cristiano pone l’uomo di fronte alla propria responsabilità: egli può fare il male come conseguenza della sua libertà e l’unico responsabile di ciò non può essere che lui stesso[20].

«Ciò che la Rivelazione divina ci insegna coincide con l’esperienza stessa. Infatti l’uomo, nell’esaminare il suo cuore, si scopre anche inclinato al male e immerso in molti mali che non possono procedere dal suo Creatore, che è buono. Rifiutando con frequenza di riconoscere Dio come suo principio, ha infranto l’ordine rispetto al suo fine ultimo e, nello stesso tempo, l’ordine dentro di sé, con tutti gli uomini e con tutte le cose create»[21].

Lungo la storia la Chiesa ha formulato il dogma del peccato originale opponendosi sia all’ottimismo esagerato, sia al pessimismo esistenziale[22]. In opposizione a Pelagio che riteneva che l’uomo può realizzare il bene con le sue sole forze naturali e che la grazia è un mero aiuto esterno, minimizzando così sia la portata del peccato di Adamo, sia la Redenzione operata da Cristo - ridotti rispettivamente a un buono o cattivo esempio -, il Concilio di Cartagine (418), sulla scorta di Sant’Agostino, ha proclamato la priorità assoluta della grazia perché l’uomo, dopo il peccato, è rimasto ferito[23].

D’altra parte, mentre Lutero sosteneva che dopo il peccato l’uomo è essenzialmente corrotto nella sua natura, che la sua libertà è ormai annullata e che c’è peccato in tutto ciò che fà, il Concilio di Trento (1546) ha affermato la rilevanza ontologica del battesimo che cancella il peccato originale; e che, anche se permangono le sue conseguenze, tra le quali la concupiscenza, che non va però identificata con il peccato stesso (a differenza di quanto affermato da Lutero), l’uomo resta libero nei suoi atti e può ottenere meriti con le opere buone, sostenute dalla grazia[24].

Alla base della posizione luterana, e anche di alcune interpretazioni recenti di Gen 3, c’è una comprensione non adeguata della relazione tra 1) natura e storia, 2) piano psicologico-esistenziale e piano ontologico, 3) individuo e collettività.

  1. Anche se ci sono alcuni elementi di carattere mitico nel racconto della Genesi

(intendendo il concetto di mito nel suo significato migliore, ovvero di parola-narrazione che dà origine e che quindi è il fondamento della storia successiva), sarebbe un errore interpretare il racconto della caduta come una spiegazione simbolica della originaria condizione di peccato dell’umanità. Questa interpretazione trasforma la natura in un fatto storico, rendendolo mitico e inevitabile: paradossalmente se il senso di colpa è conseguenza del fatto di riconoscersi “naturalmente” peccatori, viene mitigata. se non eliminata, la responsabilità personale nel peccato poiché l’uomo non potrebbe evitare ciò a cui tende spontaneamente.

È corretto invece affermare che la condizione di peccato appartiene alla dimensione storica dell’uomo e non alla sua natura originaria.

2. Dato che dopo il battesimo rimangono alcune conseguenze del peccato, il cristiano può sperimentare con forza la tendenza verso il male sentendosi profondamente peccatore, come capita nella vita dei santi. Tuttavia questa prospettiva esistenziale non è l’unica, né quella fondamentale in quanto il battesimo ha realmente cancellato il peccato originale e ci ha resi figli di Dio[25]. Dal punto di vista ontologico il cristiano in grazia è giusto davanti a Dio. Lutero ha radicalizzato la prospettiva esistenziale, estendendola alla comprensione a tutta la realtà, e per questo considerandola come segnata ontologicamente dal peccato.

3. Il terzo punto riguarda la questione della trasmissione del peccato originale, «un mistero che non possiamo comprendere pienamente»[26]. La Bibbia insegna che i nostri progenitori trasmisero il peccato a tutta l’umanità. I capitoli seguenti della Genesi[27] narrano la progressiva corruzione del genere umano stabilendo un parallelo tra Adamo e Cristo. San Paolo afferma: «Come per la disobbedienza di un solo uomo tutti furono costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo [Cristo] tutti saranno costituiti giusti»[28]. Questo parallelismo aiuta a capire correttamente l’interpretazione che si suole dare del termine adamáh come singolare collettivo: come Cristo è uno solo e contemporaneamente capo della Chiesa, così Adamo è uno solo e nello stesso tempo capo dell’umanità[29]. «Per questa “unità del genere umano” tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo, così come tutti sono coinvolti nella giustizia di Cristo»[30].

La Chiesa intende in modo analogico il peccato originale dei progenitori ereditato dall’umanità. «Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Della santità e della giustizia originali. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la natura umana privata della santità e della giustizia originali.

Per questo il peccato originale è chiamato peccato in senso analogico: è un peccato contratto e non commesso, uno stato e non un atto»[31]. Così, «anche se proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale»[32].

Per alcune persone è difficile accettare l’idea di un peccato ereditato[33], soprattutto se si ha una visione individualista della persona e della libertà. «Che cosa c’entro io con il peccato di Adamo? Perché devo pagare le conseguenze di un peccato commesso da altri?»

Queste domande riflettono l’assenza del senso di reale solidarietà che esiste tra tutti gli uomini in quanto creati da Dio. Paradossalmente, questa assenza può essere intesa proprio come una manifestazione della condizione di peccato trasmessa ad ognuno, in quanto il peccato originale offusca la comprensione di quella profonda fraternità del genere umano che ne rende possibile la trasmissione.

Davanti alle tristi conseguenze del peccato e alla sua universale diffusione ha senso domandarsi: “Perché Dio non ha impedito che il primo uomo peccasse?»

«San Leone Magno risponde: “L’ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l’invidia del demonio ci aveva privati (Ser 73, 4)”. E San Tommaso d’Aquino: “Nulla si oppone a che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato. Dio infatti permette che ci siano mali per trarre da essi un bene più grande”. Da qui il detto di San Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5, 20). Perciò nella benedizione del cero pasquale si dice: “O felice colpa che hai meritato un tale e così grande Redentore!” (Summa Theologiae, III, 1, 3, ad 3)»[34].


5. La vita come lotta tra peccato e misericordia

Questo sguardo al peccato a partire dalla Redenzione di Cristo comprende con lucido realismo la situazione dell’uomo e il suo agire nel mondo. Il cristiano deve essere consapevole sia della grandezza della sua condizione di figlio di Dio, sia del fatto di essere peccatore.

Questo realismo:

  1. previene tanto l’ottimismo ingenuo, quanto il pessimismo disperato e «offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell'uomo e del suo agire nel mondo. […] Ignorare che l'uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale e dei costumi»[35].
  2. Dà una serena fiducia in Dio, Creatore e Padre misericordioso, che non abbandona la sua creatura, perdona sempre e conduce tutto verso il bene, anche in mezzo alle avversità. «Ripeti: “Omnia in bonum!”, tutto quello che succede, “tutto quello che mi succede”, è per il mio bene… Pertanto questa è la conclusione giusta: accetta come una dolce realtà ciò che ti sembra così costoso»[36].
  3. Suscita un atteggiamento di profonda umiltà che porta a riconoscere i propri peccati senza stupirsene e a dolersene principalmente in quanto sono offesa a Dio, non tanto perché implicano un difetto personale.
  4. Aiuta a distinguere ciò che è proprio della natura umana in quanto tale da ciò che è conseguenza della ferita del peccato nella natura umana. Dopo il peccato, non tutto ciò che si sperimenta in modo spontaneo è buono. La vita umana ha quindi il carattere di un combattimento: è necessario lottare per comportarsi in modo umano e cristiano[37]. «La tradizione della Chiesa ha sempre considerato i cristiani come milites Christi, soldati di Cristo. Soldati che portano agli altri la serenità mentre combattono costantemente le proprie cattive inclinazioni»[38]. Il cristiano che si sforza di evitare il peccato non perde nulla di ciò che rende la vita buona e bella. Dinanzi all’idea che è necessario che l’uomo faccia il male per sperimentare la sua libera autonomia, perché in fondo una vita senza peccato è noiosa, si staglia la figura di Maria, concepita senza peccato, che ci mostra che una vita completamente donata a Dio lungi dal produrre noia, si trasforma in un’avventura piena di luce e di infinite sorprese[39].

6. La tenerezza di Dio: peccato, salvezza, misericordia

La misericordia di Dio si innalza imponente davanti alla realtà del peccato. Gesù Cristo è il volto di questa misericordia, lo si può notare nel suo atteggiamento verso i peccatori («non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori») come Zaccheo, il paralitico, la donna adultera, la Samaritana, Maria Maddalena, il buon ladrone, Pietro e innumerevoli altri personaggi.

Lo si vede in modo particolare nelle parabole della misericordia, come quella del figliol prodigo, portando a pieno compimento tutto l’insegnamento dell’Antico Testamento sul Dio «misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà»[40]. A ciò si riferiscono più volte i Salmi: il Signore è «pietoso e misericordioso, lento all'ira e grande in bontà e in verità»[41]; «Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore»[42]; «Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso»[43]; «Paziente e misericordioso è il Signore, lento all'ira e ricco di grazia»[44].

Nella Passione di Gesù tutta la sporcizia del mondo entra in contatto con l’immensamente Puro, con il Figlio di Dio[45]. La cosa normale è che ciò che è impuro contagi e contamini ciò con cui viene in contatto. In questo caso, avviene il contrario: quando il mondo con tutta la sua ingiustizia e le crudeltà che lo contaminano, entra in contatto con Colui che è immensamente Puro, in questo contatto ingiustizia e crudeltà vengono davvero assorbite, annullate, trasformate mediante il Suo amore infinito.

Il male, l’ingiustizia che deteriora il mondo e offusca l’immagine che ci facciamo di Dio, è una realtà che esiste per colpa nostra. Non può essere semplicemente ignorata, deve essere eliminata. Non si tratta di un Dio crudele che esiga qualcosa di inarrivabile, è vero piuttosto il contrario: Dio stesso si pone come luogo di riconciliazione e, nel Suo Figlio, prende la sofferenza sopra di sé. Dio stesso introduce nel mondo la sua infinita purezza come dono, Dio stesso «beve il calice» di tutto ciò che è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del Suo amore che, attraverso la sofferenza, trasforma le tenebre.

Gesù nella Passione invoca il Padre con tutte le sue forze. In qualche modo, «Tutte le angosce dell'umanità di ogni tempo, schiava del peccato e della morte, tutte le implorazioni e le intercessioni della storia della salvezza confluiscono in questo grido del Verbo incarnato. Ed ecco che il Padre le accoglie e, al di là di ogni speranza, le esaudisce risuscitando il Figlio suo»[46]. Questa sofferenza porta dentro di sé la miseria, il peccato e la morte degli uomini, tutto il male della storia, e lo supera, lo salva.

La Croce è l’ultima parola dell’amore di Cristo per noi, ma non è l’ultima parola del Dio dell’Alleanza. Questa ultima parola sarà pronunciata all’alba della Domenica: «È risorto»[47]. Dio risuscita Suo Figlio Gesù Cristo e, in Cristo, ci dona la vita cristiana per sempre.

Pablo Martí del Moral


Bibiliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica n° 374-421

- San Giovanni Paolo II, Credo in Dio Padre Onnipotente (I), ed. Piemme

- Francesco, Misericordiae Vultus, 11-IV-2015


    [1] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 10.

    [2] San Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 21.

    [3] Cfr. san Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 44.

    [4] San Giovanni Paolo II, Memoria e identità.

    [5] Queste espressioni ricorrono più volte in: san Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia.

    [6] Santa Faustina, Diario della Divina Misericordia nella mia anima, nn. 47, 309, 327, 949.

    [7] Cfr. Francesco, Misericordiae Vultus, n. 2.

    [8] Ivi, n. 385.

    [9] Ivi, n. 386.

    [10] Ivi, n. 385.

    [11] B. Pascal, Pensieri, n. 556 (ed. Brunschvicg) e n. 449 (ed. Lafuma).

    [12] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 389.

    [13] Cfr. Concilio di Trento: DS 1513; Pio XII, Humani generis: ibid., 3897; Paolo VI, discorso 11- VII- 1966.

    [14] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 391.

    [15] Ivi, n. 397.

    [16] Ivi, n. 399.

    [17] Ivi, n. 400.

    [18] Ibid.

    [19] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 401.

    [20] Cfr. Ivi, n. 387.

    [21] Gs 13, 1.

    [22] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 406.

    [23] Cfr. DH 223-227; cfr. anche il Concilio II di Orange del 529; DH 371-372.

    [24] Cfr. DH 1511-1515

    [25] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 405.

    [26] Ivi, n. 404.

    [27] Cfr. Gen 4, 1; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 401.

    [28] Rm 5, 19.

    [29] Questa è la principale ragione per la quale la Chiesa ha letto sempre il racconto della caduta in un’ottica di monogenismo (provenienza del genere umano da una sola coppia). L’ipotesi contraria, il poligenismo, parve imporsi come dato scientifico (e anche esegetico) per alcuni anni, ma oggigiorno a livello scientifico si considera più plausibile la discendenza biologica da una sola coppia (monofiletismo). Dal punto di vista della fede, il poligenismo è problematico, poiché non si vede come possa conciliarsi con la Rivelazione circa il peccato originale (cfr. Pío XII, Humani Generis, DH 3897), anche se si tratta di una questione sulla quale occorre ancora investigare e riflettere.

    [30] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 404.

    [31] Ibid.

    [32] Ivi, n. 405. In questo senso si è tradizionalmente fatta la distinzione tra peccato originale originante (il peccato personale commesso dai nostri progenitori) e il peccato originale originato (lo stato di peccato nel quale nasciamo noi, loro discendenti).

    [33] Cfr. san Giovanni Paolo II, Udienza generale, 24-IX-1986, n. 1.

    [34] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 412.

    [35] Ivi, n. 407.

    [36] San Josemaría, Solco, 127; cfr. Rm 8, 28.

    [37] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 409.

    [38] San Josemaría, È Gesù che passa , 74.

    [39] Cfr. Benedetto XVI, Omelia, 8-XII-2005.

    [40] Es 34, 6.

    [41] Sal 86, 15.

    [42] Ivi 103, 8.

    [43] Ivi 116, 5.

    [44] Ivi 145, 8.

    [45] Questo commento sulla purezza di Cristo e la sozzura del peccato si trova in Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, vol. 2

    [46] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2606

    [47] Encuentro, Madrid 2011, pp. 269-270