Tema 11. La testimonianza evangelica

Gesù inviò gli apostoli nel mondo intero per «predicare il Vangelo a ogni creatura». Il contenuto del Vangelo era quello che Gesù aveva detto e fatto nella sua vita terrena. I quattro racconti di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono il risultato di un lungo processo di composizione. I vangeli non sono libri che presentano Gesù come una figura del passato: sono parola di oggi, in essi Gesù è sempre vivo.

La testimonianza scritta più antica della parola “vangelo” in senso cristiano ci viene da san Paolo, anche se l’uso del termine è precedente a lui. L’apostolo la utilizza senza aver bisogno di spiegarla a 20 anni dalla morte del Signore[1]. Sulla bocca di Gesù la parola “Vangelo” suole essere accompagnata da un complemento: “Vangelo del Regno di Dio”.

Nell’antichità - in Omero o in Plutarco - la parola “vangelo” si impiegava per indicare la ricompensa che si dava al portatore della notizia di una vittoria, oppure il sacrificio di ringraziamento agli dei che si offriva per questa buona notizia. I romani chiamarono “vangeli” l’insieme dei benefici che Augusto aveva portato all’umanità, come testimonia un'iscrizione che si riferisce all’imperatore: «Il giorno della nascita del dio ha segnato l’inizio delle buone nuove per il mondo».

Tuttavia, nella traduzione greca dell’Antico Testamento (Septuaginta), il verbo euaggelidso, “dare una buona notizia”, era posto in relazione con l’annuncio dell’arrivo dei tempi messianici, nei quali Dio avrebbe salvato il suo popolo: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio!”» [2].

Nel Nuovo Testamento questo messaggero o araldo che proclama la regalità del Signore e con la sua parola inaugura i tempi messianici è Gesù.


1. Composizione e autenticità della testimonianza evangelica

I vangeli ci informano che «dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio»[3]. La buona notizia consiste nel fatto che con Gesù si fa presente il Regno di Dio. Non solo Gesù è il messaggero di questa buona nuova, ma il messaggio si riferisce a Lui stesso. Dopo la risurrezione, Gesù inviò gli apostoli nel mondo intero per «proclamare il Vangelo a ogni creatura»[4]. Il contenuto di quel Vangelo era quello che disse e fece Gesù durante la sua vita terrena, oltre che la sua passione, morte e risurrezione, dimostrando così che si erano adempiute in lui le promesse dell’Antico Testamento.

Da questa missione apostolica nascono i “vangeli”, che si chiamano così perché contengono per iscritto il Vangelo predicato. Sono arrivate a noi quattro testimonianze di un unico Vangelo: quelle di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Questi quattro racconti sono il risultato di un lungo processo di composizione, che si suole dividere in tre tappe:

1) La vita e gli insegnamenti di Gesù in Palestina durante i tre primi decenni della nostra era. In quegli anni i suoi discepoli furono ascoltatori e testimoni dei segni e dei miracoli compiuti dal loro Maestro. Furono inoltre da lui inviati a predicare il suo messaggio, e questo comportava imparare quello che dovevano trasmettere. È un periodo nel quale la memoria gioca un ruolo di grande importanza.

2) A partire dalla morte e la risurrezione di Gesù si sviluppa la tradizione orale. In questo periodo gli apostoli predicarono quello che il Signore aveva detto e fatto alla luce della comprensione più profonda degli avvenimenti dei quali essi godevano e dell’assistenza dello Spirito della verità[5]. È un periodo di altri 30-40 anni, durante il quale la tradizione su Gesù si diffonde oralmente dalla Palestina in molti altri luoghi dell’Impero romano. È sicuro che in quei decenni le tradizioni su Gesù si andavano anche coagulando in forme scritte (insegnamenti e detti di Gesù, miracoli da lui compiuti, il racconto della sua passione e morte, ecc.), che si andavano adattando alle necessità degli ascoltatori grazie alla predicazione, alla catechesi e alle celebrazioni liturgiche.

3) Dalla fine degli anni 60 - quando comincia a scomparire la maggior parte di quelli che erano stati testimoni diretti della vita e delle opere di Gesù e il tempio di Gerusalemme è stato distrutto - sino alla fine del I secolo, gli evangelisti misero per iscritto in forma di racconto alcune delle molte cose che si trasmettevano in maniera orale o scritta. Per fare questo, sintetizzarono le tradizioni o ne svilupparono altre in base alle nuove circostanze nelle quali vivevano le diverse comunità cristiane. Essi mantennero comunque lo stile della proclamazione apostolica.

I vangeli non indicano nel testo quelli che furono i loro autori. Sono opere anonime. Alcuni scritti cristiani della fine del I secolo citano frasi o passi presenti nei vangeli, ma senza fare riferimento a coloro che li avevano scritti. Ad ogni modo, nel II secolo c’era già consenso sul fatto che questi scritti fossero soltanto quattro e che le personalità che vi stavano dietro erano le figure apostoliche di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Questo riferiscono Papia di Ierapoli (citato da Eusebio di Cesarea), sant’Ireneo, Clemente di Alessandria e il Codice Muratoriano, riportando le più antiche testimonianze sulla paternità dei vangeli. Per esempio, sant’Ireneo scrive:

«Matteo ha pubblicato tra gli ebrei, nella loro lingua, una forma scritta di vangelo, mentre Pietro e Paolo a Roma annunciavano il vangelo e fondavano la Chiesa. Fu dopo la loro morte che Marco, il discepolo e interprete di Pietro, ci trasmise anche per iscritto quello che era stato predicato da Pietro. Anche Luca, compagno di Paolo, riunì in un libro quello che era stato predicato da questi. Infine Giovanni, il discepolo del Signore, lo stesso che aveva riposato sul suo petto (Gv 13, 23), pubblicò il vangelo mentre risiedeva ad Efeso»[6].

Con queste parole il vescovo di Lione dimostra l’origine apostolica dei quattro vangeli canonici. Sono autentica e vera tradizione degli apostoli. È importante notare che con il termine “autentico” si indica il carattere originale o di conformità con l’originale di un atto o di un documento. In questa condizione sta la sua autorità e perciò può dar fede o costituire una prova. Infatti si dice che uno scritto è autentico per indicare che ha realmente come autore la persona alla quale si attribuisce. Però il termine “autentico” si utilizza anche al plurale per indicare i rappresentanti della Tradizione rivestiti di autorità, che sono stati universalmente riconosciuti dai Santi Padri. In tal senso, gli apostoli (Matteo e Giovanni) o i loro discepoli diretti (Marco, discepolo di Pietro, e Luca, discepolo di Paolo) sono “autentici” perché danno garanzia dell’autenticità e della veracità della testimonianza dei vangeli che portano i loro nomi, e non perché essi necessariamente abbiano scritto di loro pugno i racconti evangelici.

In realtà non conosciamo esattamente in che modo furono composti questi racconti. Le somiglianze e le differenze fra i tre primi - Matteo, Marco e Luca -, chiamati “vangeli sinottici” perché se si trascrivono in colonne parallele si possono osservare a colpo d’occhio (sinopsi) le coincidenze e le discordanze, hanno dato luogo a diverse ipotesi sulla loro origine.

Per molto tempo, seguendo sant’Agostino, si è ritenuto che il primo vangelo ad essere composto fosse stato quello di Matteo, che poi Marco avrebbe abbreviato. Più tardi Luca, conoscendo entrambi gli scritti, avrebbe redatto il suo.

Inoltre è stata avanzata l’ipotesi, che si rifà a Clemente d’Alessandria, per cui Matteo sarebbe stato il primo a scrivere il suo Vangelo per gli ebrei cristiani e poi Luca lo avrebbe adattato per i cristiani di origine pagana, e Marco, alla fine, avrebbe realizzato un compendio di entrambi.

Tuttavia la spiegazione che oggi riscuote maggior credito è quella che ritiene che l’opera di Marco abbia favorito la relazione tra vangelo orale e vangelo scritto e in seguito sia diventata il prototipo di “vangelo”. Gli altri evangelisti avrebbero adottato lo schema di questo primo racconto aggiungendo del materiale comune a entrambi che non era presente in Marco e altro materiale proprio. In ogni caso, fra le diverse tradizioni legate agli apostoli, ogni evangelista dovette fare una scelta tra quello che aveva a disposizione, inserirlo in una narrazione e abbreviarlo o ampliarlo, tenendo conto della situazione delle comunità alle quali era diretta.

Secondo questa ipotesi sembra che Matteo e Luca, che probabilmente neanche si conoscevano, abbiano utilizzato il vangelo di Marco. Quanto è comune tra Matteo e Luca, ma non si trova in Marco, si suole invece identificare con una raccolta di detti di Gesù (chiamata abitualmente “fonte Q”), della quale, però, se pure è esistita, non ci è arrivata nessuna prova certa. Inoltre, ognuno dei tre vangeli riporta tradizioni che sono esclusivamente sue e non appaiono in altri. Giovanni, da parte sua, conosce le tradizioni riportate in Marco, anche se presenta la narrazione della vita e dell’opera di Gesù con caratteristiche proprie.

Ad ogni modo, questi primi documenti contengono tradizioni che risalgono alla predicazione apostolica. Non sono biografie di Gesù nel senso che oggi si dà del termine “biografia” - benché raccontino la vita terrena del Signore -, bensì testimonianze apostoliche di Gesù Cristo. Infatti san Giustino si riferisce ad essi come «Memorie (o ricordi) degli apostoli», che «sono chiamati vangeli»[7]. Questo nome finirà per imporsi, mostrando la sua originalità e il legame con la predicazione apostolica, anche nel modo di strutturare il racconto.

Infatti, lo schema dei quattro vangeli è lo stesso di quello dell’annuncio apostolico (kérigma), sintetizzato, per esempio, nel discorso di Pietro in casa del centurione Cornelio[8]: Gesù viene battezzato da Giovanni, predica e compie miracoli in Galilea, sale a Gerusalemme dove, in seguito al suo ministero nella città santa, è condotto alla passione e alla morte. Dopo essere risuscitato appare agli apostoli e ascende ai cieli accanto al Padre, da dove ritornerà come giudice. Quelli che credono in lui ricevono il perdono dei peccati.

Su questo schema ogni evangelista scrive una propria narrazione. Matteo e Luca fanno precedere il ministero pubblico di Gesù dai racconti della sua infanzia e Giovanni, con il prologo che dimostra la preesistenza di Gesù, il Logos fatto carne. Marco sottolinea la necessità della conversione per ricevere il Messia e il ruolo di Pietro. Matteo presenta il ministero di Gesù intervallandolo con i suoi grandi discorsi. Luca mette in evidenza la salita di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme. Giovanni va rivelando la condizione messianica di Gesù mediante segni (miracoli) fino a mostrare la morte di Cristo come una glorificazione.


2. Affidabilità storica della testimonianza evangelica

Prima di parlare della veracità storica dei vangeli è necessario capire bene di che cosa si tratta. Non sono cronache contemporanee della vita di Gesù scritte da un testimone. Sono racconti fedeli alla tradizione apostolica, che, a sua volta, è fedele alla predicazione e alla vita di Cristo. In altre parole, gli apostoli non si limitavano a ripetere quello che Gesù aveva detto o a raccontare in dettaglio quello che aveva fatto. Trasmettevano la vita di Gesù attribuendole un significato. Lo si nota chiaramente nella più antica confessione di fede di cui riferisce san Paolo in 1 Cor 15, 3 e che egli stesso aveva ricevuto dalla tradizione: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture». Vale a dire, la predicazione apostolica narra alcuni fatti storici indiscutibili «Cristo morì», un avvenimento storico accaduto sotto Ponzio Pilato - con un significato salvifico che riguarda direttamente gli uomini e le donne di tutti i tempi - «per i nostri peccati», così come era annunciato negli scritti sacri di Israele - «secondo le Scritture».

Quello che è narrato nei vangeli, pertanto, rimanda alla verità dell’accaduto, a quello di cui gli apostoli furono testimoni e che predicarono allo scopo di comunicare alle genti di tutti i tempi che la salvezza si trova in Cristo morto e risorto, come annunciavano le Scritture di Israele. Perciò in questi scritti non si devono cercare i nudi fatti - cosa che, d’altra parte, è impossibile riscontrare in un racconto antico - separati dal significato che gli diedero gli evangelisti. La realtà storica non si può separare dall’insegnamento degli apostoli, che ogni evangelista presenta in maniera personale.

Questo non significa che non sia possibile risalire ai fatti storici trasmessi nei vangeli o che la loro condizione di racconti inseparabilmente uniti a un insegnamento impedisca di affermare che quello che viene narrato è affidabile. Nel corso dei secoli si è esaminata la storicità dei racconti evangelici secondo il concetto di storia che si aveva in quel momento. In epoca moderna, con la concezione della storia come una narrazione basata sulla critica storica di documenti antichi che non si consideravano oggettivi, si stabilì la distinzione tra il “Gesù della storia e il Cristo della fede”. Con essa si separava la figura di Gesù ricostruibile dagli storici da quello che la Chiesa insegna su Cristo. Anche se per un cristiano non c’è alcuna disgiunzione - dal momento che il Gesù storico è lo stesso Signore Gesù Cristo, la cui persona e i cui insegnamenti la Chiesa trasmette fedelmente -, il problema che essa pone è inevitabile. Non si può rinunciare alla domanda sul modo di accostarsi a Gesù dal punto di vista storico. Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, è stato ed è vero uomo. È un personaggio della storia e anche la sua opera di redenzione è avvenuta con azioni inserite nella storia degli uomini. Come insegna Benedetto XVI, se Gesù fosse un’idea o una ideologia, il cristianesimo sarebbe una gnosi. Perciò la ricerca storica su ciò che è narrato nei racconti evangelici è un requisito indispensabile, non solo per consolidare la fede, ma anche per avere una migliore conoscenza della santa umanità del Signore.

Per avvicinarsi a Gesù si deve partire dai vangeli, che sono la fonte principale per conoscere Gesù. Allo stesso tempo ci è giunta la testimonianza storica di altre fonti non bibliche che confermano quello che questi quattro racconti contengono. Per esempio, i ritrovamenti archeologici nella regione della Palestina hanno portato alla luce dati importanti che appoggiano o confermano quello che è narrato nei vangeli. I testi ritrovati a Qumran, le traduzioni delle scritture ebraiche in aramaico, la tradizione orale ebraica e le sue modalità di trasmissione, le fonti rabbiniche, permettono di conoscere meglio la vitalità religiosa di quel periodo e del modo in cui si utilizzavano gli scritti sacri. La testimonianza su Gesù dello storico ebreo-romano Flavio Giuseppe e le altre testimonianze di fonte pagana (Tacito, Svetonio, Plinio), insieme all’informazione che si ricava dai testi retorici greco-romani, lo studio dell’educazione ellenistica o l’influenza o le scuole di pensiero greche, aiutano anche a inquadrare e a conoscere meglio alcuni aspetti storici presenti nei vangeli. E di fronte alle accuse di soggettività di questi racconti, le menzionate fonti esterne si integrano con un insieme di criteri che assicurano l’affidabilità storica dei racconti dei vangeli. Alcuni dei più importanti sono:

1) Il criterio di discontinuità. Si considerano sicuramente storici le espressioni e i fatti che non coincidono col giudaismo del tempo né sarebbero state inventate dalla Chiesa primitiva o dagli evangelisti. Per esempio, “Regno di Dio”, “Figlio dell’Uomo”, “Abbá”, “Amen”, il battesimo di Gesù da parte di Giovanni, i difetti degli Apostoli.

2) Il criterio della testimonianza multipla. Alcuni tratti della figura, della predicazione e dell’attività di Gesù che sono testimoniati in tutti i vangeli e in altri scritti del Nuovo Testamento o fuori di esso sono autentici. Per esempio, la posizione di Gesù di fronte alla Legge, ai peccatori e ai poveri; la resistenza a essere riconosciuto come un re-messia di stampo politico; la predicazione del Regno, la sua attività di guaritore e i suoi miracoli.

3) Il criterio di coerenza o di conformità. Alcuni aspetti che non è possibile considerare storici attraverso altri criteri, ma che sono coerenti con quel che sappiamo in modo degno di fede sulla predicazione di Gesù e sul suo annuncio della venuta e della instaurazione del Regno di Dio, si considerano autentici. Per esempio, il Padre Nostro, le parabole o le beatitudini.

4) Il criterio di spiegazione necessaria. Si considerano autentici anche alcuni avvenimenti che danno senso e illuminano un insieme di elementi che, in caso contrario, non si comprenderebbero. Per esempio, il successo dell’inizio del ministero di Gesù, la sua attività a Gerusalemme, gli insegnamenti in privato ai suoi discepoli.

A questi criteri si aggiungono i cosiddetti “indizi” che qualcosa narrata sia probabilmente certa. Alcuni dettagli, come Gesù che dorme a prua della barca o l’indicazione che qualcosa è accaduto, per esempio, “nei pressi di Gerico”, sono indizi che dietro il racconto c’è la testimonianza di un testimone oculare.

Tutto ciò dimostra che i vangeli, benché siano testimonianze di fede, sono storicamente affidabili. Provano che il modo teologico e salvifico che hanno i vangeli di presentare Gesù non deforma la realtà storica ingrandendone la figura. Questo non significa che l’immagine che trasmettono gli evangelisti si esaurisca nei loro racconti perché, come scrive san Giovanni, ci sono molte altre cose che non sono state riportate nei vangeli[9]; ma soprattutto perché Gesù è il Figlio eterno di Dio, la cui immagine va oltre ogni tentativo umano di piena comprensione.


3. L’immagine di Cristo secondo la testimonianza evangelica

Pur essendo incompleta, l’immagine di Cristo che trasmettono i vangeli non solo è quella che Dio ha voluto rivelarci, ma è alla base di tutte le altre immagini di Cristo che sono state proposte e diffuse nel corso della storia della Chiesa, specialmente attraverso i suoi santi. Tutte quante si fondano sulle immagini di Gesù che si trovano nei vangeli.

Gesù è presentato da san Matteo in tutta la sua maestà, perché è il Figlio di Dio[10]. È anche il Messia promesso. In lui trovano compimento gli annunci dei profeti dell’Antico Testamento, come dimostrano le volte in cui si dice che «si è compiuto ciò che Dio aveva detto per mezzo del profeta» o espressioni simili[11]. Però è al tempo stesso il Messia, che le autorità di Israele non accolgono e che respingono. Per questo annuncia che Dio si formerà un nuovo popolo (che «ne produca i frutti»[12]. Questo nuovo popolo è la Chiesa. In essa, Gesù è il Maestro, ma soprattutto l’Emmanuele - Dio con noi - ancor prima del suo concepimento[13], che sarà presente in mezzo ai suoi sino alla fine dei tempi[14]. È, infine, il Servo del Signore annunciato da Isaia, che con la sua parola e i suoi miracoli porta a compimento il piano di salvezza di Dio nei confronti degli uomini[15].

Per san Marco, e non poteva essere diversamente, Gesù è anche il Messia annunciato nell’Antico Testamento, il quale, più che con i testi che si compiono in lui, viene presentato nella realizzazione delle opere del Messia promesso. Ma, onde evitare interpretazioni di carattere politico, Gesù chiede il silenzio a coloro che traggono beneficio da queste opere, affinché il suo messianismo non venga interpretato in senso temporale, ma alla luce della croce[16]. Perciò l’evangelista riferisce anche che il titolo con il quale Gesù preferiva farsi chiamare era «Figlio dell’Uomo»[17], un titolo che evoca la visione del libro di Daniele che annuncia che un essere celeste, «come un figlio di uomo», verrà dall’alto e riceverà il potere su tutte le nazioni[18], mostrando la condizione trascendente del Messia. Inoltre san Marco sottolinea che Gesù è il «Figlio di Dio». Lo denomina così fin dall’inizio del racconto[19], così lo proclama il Padre nel battesimo e nella trasfigurazione[20] e lo confessa il centurione davanti alla croce[21].

San Luca mette in evidenza che Gesù è il Profeta per eccellenza[22]. Nessuno come lui può parlare in nome di Dio. Inoltre, come i profeti dell’Antico Testamento che erano mossi dallo spirito di Dio, Gesù fu unto dallo Spirito nel Battesimo[23], condotto da lui nel deserto per essere tentato[24] e spinto a dirigersi in Galilea per iniziare la sua missione[25]. Per il terzo evangelista Gesù è anche il Salvatore, poiché egli sta per salvare il suo popolo dai suoi peccati. In lui si compiono le promesse di salvezza fatte da Dio ai patriarchi e ai profeti di Israele[26], che si rendono evidenti nelle sue azioni salvatrici, specialmente nei gesti di misericordia verso i deboli e i peccatori[27]. Allo stesso modo, Gesù è il Signore. Con questo titolo si indicava Dio tra gli ebrei per evitare di pronunciare il suo santo nome. Nello stesso tempo era una forma di rispetto nel rivolgersi a una persona. San Luca fa un abbondante uso di questo titolo riferito a Gesù, indicando così la sua condizione divina dalla nascita fino a quando si manifesta pienamente nella risurrezione[28].

Anche per san Giovanni Gesù è il Messia promesso di Israele e anche il Profeta[29] e Maestro (Rabbí) che insegna[30]. Ma questa rivelazione nel quarto vangelo acquista una maggiore profondità teologica. Come negli altri vangeli, Gesù è il Figlio di Dio, ma san Giovanni sottolinea che è «il Figlio», l’Unigenito[31], l’unico veramente Figlio, del quale Dio è Padre in modo diverso da come lo è degli altri uomini[32]. Infatti, è una sola cosa con Lui[33]. Inoltre, come Figlio di Dio, Gesù è preesistente[34]. Si è fatto carne e ha posto la sua dimora tra gli uomini[35]. È la Parola sempiterna del Padre, il Logos, che ha creato e sostiene il mondo[36], ed è stato inviato come Parola ultima e decisiva di Dio all’umanità per rivelare agli uomini chi è Dio[37]. È colui nel quale si avverano alcuni aspetti che nell’Antico Testamento si attribuivano a Dio: Gesù è il Pane di Vita[38], la Luce del mondo[39], la Porta (delle pecore)[40], il Buon Pastore[41], la Risurrezione e la Vita[42], il Cammino, la Verità e la Vita[43], la Vita[44]. Ecco perché è colui che può servirsi dell’espressione «Io sono» in senso assoluto, senza un predicato[45], per indicare la sua condizione divina. Però è anche il «Figlio dell’Uomo», veramente uomo, che è disceso dal cielo per morire[46], l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo morendo sulla croce[47].

In ogni caso, i vangeli non sono libri che presentano Gesù come una figura del passato. Sono parola attuale, nei quali Gesù è sempre vivo. Proprio per questo, san Josemaría poteva dare questo consiglio: «Vivi assieme a Cristo! Devi essere, nel Vangelo, come uno dei personaggi, che vive con Pietro, con Giovanni, con Andrea..., perché Cristo vive anche adesso: Iesus Christus, heri et hodie, ipse et in saecula! - Gesù Cristo vive!, oggi come ieri: Egli è lo stesso, nei secoli dei secoli»[48].

Juan Chapa


Bibliografia di base

- Concilio Vaticano II, Dei Verbum, nn. 18-19.

- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 124-127.


Letture raccomandate

- Facoltà di Teologia dell’Università di Navarra, “Introducción a los Santos Evangelios” e “Introducciones” a cada evangelio, in Sagrada Biblia. Nuevo Testamento, EUNSA, Pamplona 2008, 35-45; 58-66; 239-248; 363-374; 557-567.  


[1] 1 Ts 1, 5; 2, 4; Gal 2, 5. 14; 1 Cor 4, 15; Rm 10, 16.

[2] Is 52, 7; ved. anche Is 61, 1-2; Sal 96, 2-10.

[3] Mc 1, 14.

[4] Ivi 15, 15.

[5] Cfr. Gv 16, 13.

[6] Adversus Haereses, “Contro le eresie” 3 1, 1.

[7] Apologia, 1 66, 3.

[8] At 10, 37-43.

[9] Cfr. Gv 20, 30-31; 21, 25.

[10] Cfr. Mt 1, 20; 27, 54.

[11] Ivi 1, 22-23; 2, 5-6, 15, 17-18, 23; 3, 3-4; ecc.

[12] Ivi 21, 43.

[13] Ivi 1, 23.

[14] Ivi 18, 20; 28, 20.

[15] Ivi 8, 16-17; 12, 15-21.

[16] Mc 1, 44; 5, 43; 7, 36; 8, 26

[17] Ivi 2, 10-28; 8, 31-38: ecc.

[18] Dn 7, 13-14.

[19] Mc 1, 1.

[20] Ivi 1, 11; 9, 7.

[21] Ivi 15, 39.

[22] Lc 1, 76; 4, 24; 7, 16-26; 13, 33; 24, 19.

[23] Ivi 3, 22.

[24] Ivi 4, 1.

[25] Ivi 4, 14-18.

[26] Ivi 1, 47- 69 e 71-77; 2, 11-30; 3, 6; ecc.

[27] Ivi 7, 50; 8, 48-50; 18, 42; 19, 9-10.

[28] Ivi 2, 11; 5, 8.12; 7, 6; ecc.

[29] Gv 4, 19; 6, 14.

[30] Ivi 1, 38-49; 3, 2; ecc.; 6, 3-69; 7, 14-28; 8, 20.

[31] Ivi 1, 14-18.

[32] Ivi 20, 17.

[33] Ivi 10, 30; 5, 19-21 e 23-26; 14, 11.

[34] Ivi 1, 30; 8, 58.

[35] Ivi 1, 1-14.

[36] Ivi 1, 1-3.

[37] Ivi 17, 25.

[38] Ivi 6, 35-51.

[39] Ivi 8, 12.

[40] Ivi 10, 7-9.

[41] Ivi 10, 11-14.

[42] Ivi 11, 25.

[43] Ivi 14, 6.

[44] Ivi 15, 1-5.

[45] Ivi 8, 28-58; 18, 5.

[46] Ivi 1, 51; 3, 13; 6, 62.

[47] Ivi 1, 29-36; cfr. 19, 14.

[48] San Josemaría, Forgia, n. 8.