Professionisti di tutto il mondo raccontano al prelato la lotta al Coronavirus

Mons. Fernando Ocáriz ha partecipato alla seconda edizione di “Harambee Covid-19 Conversations”, una serie di dialoghi in videoconferenza tra professionisti della sanità dell'Africa e di altre parti del mondo colpite dalla pandemia.

Competenze tecniche e creatività cristiana al servizio dei più fragili colpiti dal Coronavirus: con questo atteggiamento, gli operatori di diverse strutture ospedaliere ispirate agli insegnamenti di san Josemaría stanno affrontando la pandemia in diversi paesi in Europa, Africa e America. Harambee Africa International ha voluto riunirli in un incontro online per promuovere una riflessione comune e soprattutto per comunicare speranza, alla presenza e con il sostegno di mons. Ocáriz.

Il 10 giugno scorso, Harambee ha avviato una campagna di raccolta fondi, con il coinvolgimento dei suoi diversi comitati, a sostegno proprio delle iniziative mediche di emergenza Covid in Africa.

All’incontro hanno partecipato otto rappresentanti di istituzioni mediche della Repubblica Democratica del Congo, Argentina, Costa d'Avorio, Italia, Nigeria e Spagna.

"Grazie per le vostre riflessioni e informazioni - ha detto il prelato dell'Opus Dei nel suo saluto finale ai partecipanti - e grazie soprattutto per il vostro lavoro a servizio dei malati e delle loro famiglie. Molto si può imparare ascoltando le vostre esperienze. Si vede che avete lavorato per la salute fisica dei malati, che è molto importante, ma anche che avete portato dignità a tante persone, avete trasmesso l'amore di Dio a tanti malati e alle loro famiglie".

Per l’Italia, il Paese europeo più colpito, è intervenuto il prof. Felice Agrò, direttore dell'Unità Covid-19 del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma. Ha raccontato di come sconforto e pessimismo accompagnavano i tanti pazienti e pertanto, oltre al recupero fisico, lo staff dell'Unità Covid-19 si è fortemente speso anche per un sostegno psichico e spirituale: "Abbiamo tentato di rispondere ad esigenze ed abitudini del quotidiano -il bisogno di chiacchierare, di assaporare una buona pasta all’amatriciana, di recuperare oggetti…- e di assicurare l’Eucarestia a quanti ne sentivano il desiderio”.

La dottoressa Rose Segla, ginecologa del Centro medico-sociale Walé di Yamoussoukro, ha partecipato in rappresentanza della Costa d'Avorio. Ha spiegato che "la maggior parte dei casi di Covid-19 sono ad Abidjan, nel sud del Paese, dove vigono misure contenitive che rendono difficili gli spostamenti tra le persone". Per il medico, è prioritario garantire l'assistenza alle persone che hanno perso il lavoro o le loro fonti di reddito: "Nel nostro Paese - ha detto - le cure mediche sono costose e ci sono malattie endemiche, come la malaria, che necessitano di terapie continue". Walé sta tentando di affrontare questi problemi, riducendo il costo delle consultazioni, dei test e dei farmaci.

Dall’Argentina è intervenuto Rafael Aragón, direttore dell'Hospital Solidario Covid Austral, un Centro medico creato per accogliere i pazienti affetti da Coronavirus che non hanno accesso all'assistenza sanitaria perché non se lo possono permettere. Per il Segretario Generale dell'Ospedale Universitario Austral, i valori fondamentali che sostengono il lavoro dei medici devono essere la "solidarietà, compassione, vocazione al servizio e responsabilità sociale verso i più bisognosi" e l’espressione di tali valori (cristiani) “ha commosso molte persone e favorito la partecipazione attività di tutti, così da rendere possibile la gestione di una tale emergenza".

Ito Diejomaoh è il direttore del Niger Foundation Hospital di Enugu (Nigeria). Ha spiegato che "al momento, il tasso più alto di infezione si sta verificando tra i medici e gli infermieri e molti hanno paura”; ha raccontato che il reparto di emergenza dell'Ospedale è stato così tanto sotto pressione che in qualche momento si è pensato di doverlo chiudere: "Tuttavia, la risposta del personale è stata unanime: non lasceremo mai i pazienti da soli”. Il medico ha aggiunto: "Continueremo a prendere tutte le precauzioni possibili, ma non smetteremo di esprimere gli insegnamenti lasciatoci da San Josemaría e che ispirano il nostro Ospedale: mettere la persona al centro”.

La neurologa Maria Sanchez-Carpintero si è collegata dall'Ospedale Universitario Infanta Elena di Madrid, uno dei primi Centri pubblici in Spagna ad accogliere pazienti affetti dal virus. Lei ha evidenziato la capacità di dedizione di tutti i colleghi. Oltre alle cure mediche necessarie, è stato naturale per i medici dedicare molto tempo ad "accompagnare e sostenere i pazienti lasciati in solitudine per via del Virus". In molti casi, “l’accompagnamento cristiano è stato di grande conforto per i malati terminali e per i loro parenti”.

Dalla Repubblica Democratica del Congo ha partecipato la dott.ssa Nicole Muyulu, infermiera e insegnante presso l'Istituto Superiore di Scienze Infermieristiche-ISSI di Kinshasa. Ha ricordato che il Covid-19 è un problema molto reale e presente in Congo, ma "impareremo a conviverci, così come conviviamo con la malaria e con tante altre malattie: ci sono e ci saranno delle crisi. Quello che vogliamo trasmettere ai nostri studenti e a tutti gli infermieri è che non devono mai abbandonare i malati, perché il servizio che forniscono è indispensabile alla società” ed è proprio questo spirito cristiano di servizio che caratterizza l’apprendimento all’ISSI.

Ana Maria Perez Galan ha rappresentato il “Laguna”, il più grande ospedale spagnolo specializzato in cure palliative e il secondo in Europa, nato nel 2002, in occasione del centenario di San Josemaría Escrivá. Ogni anno l’Ospedale si occupa di migliaia di pazienti e di centinaia di anziani e di malati di Alzheimer. Pérez Galán ha sottolineato il ruolo importante del Laguna in tempo di Covid-19“perché molti dei nostri pazienti rappresentano “gli esclusi”, quelli che sono spesso respinti dagli ospedali perché le loro possibilità di essere curati sono remote. Qui li amiamo perché, per il fatto di esserci, ogni persona è degna delle migliori cure e di tutti i mezzi necessari".

Nel corso di questi mesi, ha continuato Pérez Galán, "ci siamo presi cura anche delle loro famiglie, in modo che nessuno morisse da solo. A tal fine, sulla base di una visione antropologica e cristiana dell'essere umano, abbiamo sviluppato soluzioni creative mettendo sempre il malato al centro”. Ciò naturalmente ha significato un grande sforzo da parte di tutta la squadra “ma ne è valsa la pena e la prova sono le testimonianze di gratitudine che abbiamo ricevuto".

La risposta cristiana al Laguna - ha aggiunto - "E’ stata, è, e sarà, amare ogni persona, vedendo in ognuno l'immagine viva di Cristo, nella pandemia, oggi e ogni giorno". E’ stata poi fondamentale la generosità di tanti volontari “Come Ines, una studentessa di medicina che aveva contratto il Covid e che, una volta superato, si è dedicata con anima e corpo alla cura dei malati, per 7 o 8 ore al giorno".

Da Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) ha partecipato anche il dottor Rene Lumu Kambala, padre di sei figli, specialista in medicina d'urgenza e attualmente direttore del Monkole Hospital. Ha spiegato che l'Ospedale ha iniziato a ricevere pazienti Covid-19 due mesi fa, su richiesta delle autorità del Paese. "Abbiamo aperto il dipartimento di cura per questa patologia con 25 posti letto e molto rapidamente l'abbiamo aumentato a 32, di cui 8 posti per la terapia intensiva; data la situazione attuale speriamo di portarlo a 45 nelle prossime settimane. Attualmente abbiamo 126 pazienti confermati". Ha sottolineato che "come cristiani ci occupiamo di questi pazienti con professionalità, forniamo loro ciò che è necessario per la loro guarigione; ma ci sforziamo anche di dare alla cura un volto umano, perché il paziente non è un caso: è una persona che vuole essere ascoltata". Questo è molto apprezzato da tutti i pazienti che si sentono considerati come fratelli.

Nel saluto finale, mons. Fernando Ocáriz ha fatto riferimento all'espressione usata da San Josemaría, al cui messaggio si ispira l'Ong Harambee, quando ha detto: "Vedo il Sangue di Cristo scorrere in te! ” Per il prelato dell'Opus Dei, questa è la radice del servizio disinteressato del cristiano: "Vedere Cristo negli altri, nei malati, nelle loro famiglie, in ogni persona con cui veniamo a contatto, anche se è lontana da Dio”.

"Mentre parlavate - ha aggiunto -mi è tornata in mente la riflessione di papa Francesco in quello straordinario momento di preghiera per la pandemia del 27 marzo, quando ci ha ricordato che eravamo tutti sulla stessa barca, fragili ma importanti e necessari, bisognosi di conforto reciproco. Tutto questo è importante perché "ogni persona è l'immagine di Cristo".