Ecco le domande e le risposte organizzate per temi:
CAMMINO VERSO IL CENTENARIO DELL'OPUS DEI
L’Opus Dei sta anche avviandosi al centenario della fondazione, nel 2028: quali sono i passi previsti, e cosa ci si attende da questa lunga preparazione?
Negli anni che mancano al centenario vogliamo interrogarci sui bisogni e le sfide della Chiesa e del mondo. Vogliamo approfondire la nostra identità e studiare come l’Opera possa contribuire alla santificazione della vita ordinaria attraverso il suo carisma. In questo tempo, quindi, guarderemo all’insieme – la Chiesa e il mondo – e all’interno – l’Opera –, nella speranza che i nostri sguardi convergano in un momento di grazia.
(Intervista ad Avvenire, 30-VI-2024)
Come si prepara l'Opus Dei alla prossimità del centenario della sua nascita?
Il beato Álvaro del Portillo era solito recitare questa preghiera: "Grazie, perdono, aiutami di più". Mi sembra una buona ispirazione in vista del centenario. Ringraziare Dio per i doni ricevuti e per la vita santa di tante persone in questi cento anni; rattristarci per gli errori commessi; e chiedere il suo aiuto per il futuro, poiché senza Dio non possiamo fare nulla.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
Quali luci e quali ombre ritiene di poter riscontrare in questi cento anni di storia dell’Opus Dei?
L'Opus Dei è stato e continua ad essere un dono dello Spirito Santo per la Chiesa, come ricorda papa Francesco in Ad charisma tuendum. Vedo l'Opera come una luce che ispira molte persone a incontrare Cristo nelle attività quotidiane della vita: il lavoro, la famiglia, le relazioni sociali. Direi che queste sono le principali luci il cui protagonista è Dio, che interviene nella storia.
Tra le luci, vorrei ricordare tante persone dell'Opera che sono passate per questa terra cercando di fare il bene, con virtù e con difetti. Ogni anno muoiono circa mille persone dell'Opus Dei. La maggior parte è gente semplice, normale, anonima, che ha cercato di seminare pace e gioia intorno a sé, in contesti talvolta difficili.
Altre sono persone proposte pubblicamente come esempio per i fedeli, come Guadalupe Ortiz de Landázuri, prima tra i fedeli laici dell'Opus Dei a esser beatificata, una chimica che ha sviluppato un ampio apostolato di amicizia in Spagna, Messico e Italia. O, più di recente, il pediatra guatemalteco Ernesto Cofiño, medico e padre di famiglia che la Chiesa ha dichiarato venerabile nel dicembre 2023. Il dottor Cofiño si è dedicato, tra l’altro, ai bambini denutriti e alle famiglie povere del suo Paese, creando numerose mense sociali e centri assistenziali, e sviluppando una vasta opera di evangelizzazione tra familiari, colleghi e amici.
Tuttavia, nella storia dell'Opus Dei ci sono anche ombre ed errori, perché è formato da esseri umani fallibili. Le buone intenzioni non eliminano la possibilità dell’errore, e ciò dev’essere riconosciuto con umiltà. In particolare, fa male sapere di persone che sono state in contatto con la prelatura e sono rimaste ferite da qualche mancanza di carità o di giustizia: situazioni di mancanza di sostegno emotivo, errori nei processi di incorporazione nella prelatura, negligenze nell'accompagnamento di persone che hanno lasciato l'Opus Dei, eccetera. Bisogna imparare dagli errori e continuare a migliorare, con l'aiuto di Dio.
(Intervista a El 9 Nou, 24-IX-2024)
FEDELTÀ E CAMBIAMENTO
Cosa rimane e cosa è cambiato nell'Opera in tutto questo periodo?
Nell’Opus Dei c'è uno spirito di fondo, un messaggio significativo sulla santità in mezzo al mondo, che non è cambiato: è il nucleo immutabile che gli dà senso, perché, come avviene nelle istituzioni, se l’Opus Dei esiste è proprio per conservare e diffondere nel tempo un determinato messaggio.
Tuttavia, il fondatore san Josemaría, tenendo ferma la necessità di mantenere intatto lo spirito, diceva già ai suoi tempi che, con il passare degli anni, le forme possono e devono cambiare. In cent’anni, la società e la Chiesa si sono molto evolute, e lo stesso ha fatto l'Opus Dei, che è parte della Chiesa e della società. Le trasformazioni, che hanno implicato fenomeni come la globalizzazione, la conquista femminile dello spazio pubblico, le nuove dinamiche familiari, eccetera, hanno influito sull’Opus Dei come istituzione e sulla vita reale dei suoi membri. Saper cambiare, modellando i cambiamenti a partire dall’essenziale, è un requisito per poter continuare a essere fedeli a una missione.
Per vari motivi, nel corso di questi anni sono cambiati il quadro giuridico, alcune modalità dell’apostolato e molte altre cose, forse poco visibili ma importanti: per esempio, si è insistito sulla netta separazione tra governo e direzione spirituale, sono state adottate misure per garantire meglio e rafforzare la piena libertà e volontarietà nei processi di incorporazione, sono stati aggiornate le modalità pratiche per vivere la virtù della povertà in mezzo al mondo, ecc.
(Intervista a El 9 Nou, 24-IX-2024)
Papa Francesco ha invitato a rafforzare “il carisma essenziale” dell'Opus Dei. Come definirebbe questo carisma?
Lo descriverei come la ricerca di Dio, l'incontro con Dio, e l'aiuto da dare a molte altre persone per incontrarlo anch’esse nella vita ordinaria, nel lavoro, in famiglia, per la strada. Come dice papa Francesco, si tratta di “diffondere la chiamata alla santità nel mondo, attraverso la santificazione del lavoro e degli impegni familiari e sociali”.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
Questo carisma, che si è configurato quasi cent’anni fa, deve subire delle revisioni?
In cent’anni, la società e la Chiesa si sono molto evolute, come pure l'Opus Dei che ne è parte. Non siamo indifferenti a fenomeni come la globalizzazione, la conquista femminile dello spazio pubblico, le nuove dinamiche professionali e familiari ecc. Come affermava san Josemaría, cambiano i modi di fare e di dire, ma l'essenza, lo spirito, rimane. Saper cambiare, pertanto, è necessario per essere fedeli a una missione, ma ogni cambiamento deve essere modellato a partire dall'essenziale, da quel nucleo che non possiamo modificare perché, come ogni carisma, è un dono di Dio.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
FUTURO DELL'OPUS DEI
Che cosa si aspetta dall'Opus Dei nei prossimi 50 anni?
Mi piacerebbe che l'Opus Dei sapesse propagare l’amicizia, la fede manifestata con opere, la libertà di spirito e la creatività necessarie per portare a termine la missione evangelizzatrice della Chiesa e collaborare alla costruzione di una società giusta.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
Quali sono stati i momenti fondamentali dello sviluppo istituzionale dell'Opus Dei e in che direzione sta andando oggi?
Direi che gli eventi più importanti sono i meno visibili: la grazia di Dio, che opera in migliaia di persone, che rispondono affermativamente alla chiamata a seguire Cristo nel mondo. O tante storie di pentimento, di conversione, che riguardano persone dell'Opera o che partecipano alle sue attività apostoliche.
Sul piano istituzionale, vorrei ricordare la canonizzazione del fondatore, il 6 ottobre 2002. Davanti alla moltitudine radunatasi in piazza San Pietro, san Giovanni Paolo II definì Josemaría Escrivá "il santo della vita ordinaria". Questa espressione è anche una guida per l'Opus Dei del futuro: ciò che è fondamentale non sono le attività, le strutture o i numeri ma, con la grazia di Dio, aiutare moltissime persone a trovare Dio per la strada, in fabbrica, nell’ospedale, eccetera, o, come diceva il nostro fondatore, a “trasformare la prosa quotidiana in endecasillabi, in poesia eroica”.
(Intervista a El 9 Nou, 24-IX-2024)
Qual è l’attuale situazione dello sviluppo dell'Opus Dei nel mondo? Ci sono programmi specifici di espansione in vista del centenario? In quali paesi si incontrano maggiori difficoltà?
[...] Le difficoltà esterne dipendono a volte dalla secolarizzazione della società, da certi stili di vita che ostacolano la formazione di famiglie stabili o la comprensione del celibato o di vocazioni finalizzate al servizio e all’assistenza. Vi sono anche ostacoli ai quali ogni cristiano in mezzo al mondo deve far fronte, come il pericolo della mondanizzazione. Poiché non esiste un contesto di fede uguale per tutti, è necessaria una particolare finezza di cuore per essere coerenti con i propri impegni familiari o vocazionali in ciascuna realtà.
Dal punto di vista geografico, la diversità culturale e religiosa è molto ampia. Non è la stessa cosa incarnare una vocazione cristiana in città a maggioranza musulmana come Mombasa (Kenya) o Surabaya (Indonesia), che a Lisbona o a Varsavia. Come sanno bene le persone dell'Opera che vivono in quei luoghi, la semina evangelizzatrice deve fare i conti con prospettive di decenni, come in Cina o in Corea del Sud. In questi paesi, insieme alle difficoltà, si avverte anche un forte dinamismo ecclesiale che si traduce in conversioni, battesimi di giovani e adulti, eccetera.
D'altra parte, da alcuni anni l'Opera ha intrapreso una ristrutturazione delle proprie circoscrizioni regionali al fine di migliorare il governo e l'azione apostolica
(Intervista a El Debate, 22-VI-2024)
Nell'Opus Dei ci sono persone di tutte le età. Che cosa può fare, come padre e prelato, per promuovere la cooperazione intergenerazionale nell'Opera?
A casa mia, a Roma, abitano una persona di centodue anni e un'altra che è ancora trentenne. Tra tante altre cose, i più anziani apportano esperienza e i giovani entusiasmo e vitalità. Dovremmo affrontare l’esperienza intergenerazionale con affetto, sapendo che talvolta richiede sacrifici a entrambe le parti.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
LAICI NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ
In che cosa consiste il servizio che un membro dell'Opera può prestare alla Chiesa?
La vocazione specifica dei membri dell'Opus Dei, che nella stragrande maggioranza sono laici e solo per il 2% sacerdoti, chiama a un incontro personale con Cristo nella famiglia, nel lavoro, nelle relazioni sociali, nella consapevolezza che la ricerca della santità non è per superdonne o superuomini, ma per persone in carne e ossa, con successi e insuccessi. La "santità nel bel mezzo della strada" che predicava san Josemaría invita a cercare le soluzioni adeguate per i problemi di ogni luogo e di ogni tempo.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
Quale ritiene che sia il contributo dell'Opus Dei alla vita della Chiesa?
Il principale contributo dell'Opus Dei è accompagnare uno per uno i laici (il 98% dei suoi membri) perché siano protagonisti della missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo. I laici non sono meri destinatari o attori secondari ma protagonisti dell'evangelizzazione, che possono portare il calore e l'amicizia di Cristo dove ce n'è più bisogno: nelle aule, nelle comunità, nei campi di calcio, negli ospedali, negli uffici, nelle famiglie, tra i poveri e tra i ricchi... ovunque. È un’opera di accompagnamento spirituale, di vivificazione cristiana, che evita di intromettersi nelle loro legittime opzioni temporali: saranno loro, e non la Chiesa o l’Opus Dei, i responsabili del proprio agire nella società, dei successi e degli insuccessi. Attribuire all'Opus Dei le iniziative politiche, imprenditoriali o sociali dei suoi fedeli sarebbe clericalismo.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
In una recente intervista al quotidiano italiano "Avvenire", ha affermato che "C'è ancora molto da fare per riscoprire il ruolo dei laici". Qual è o dovrebbe essere il ruolo dei laici nella Chiesa?
Come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, la vocazione specifica dei laici consiste nella vivificazione cristiana delle realtà temporali: il lavoro, la famiglia, il commercio, la cultura, eccetera. Hanno il compito di contribuire alla santificazione del mondo, manifestando per quanto possono l'amore di Cristo in ogni luogo e circostanza; per riuscirci c'è ancora molta strada da percorrere. Penso, per esempio, alla formazione dei laici nei campi della bioetica o della giustizia sociale, alla loro consapevolezza di essere protagonisti dell'evangelizzazione. La missione del laico non si esaurisce nell'"occupare posizioni" nelle strutture ecclesiali.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
La maggior parte dei membri dell'Opus Dei sono donne, che per lo più sono coniugate. Come dare più risalto a chi dedica la propria vita a Dio da sposato?
Il matrimonio è un cammino di santità: nell'Opus Dei, sposati o meno, tutti condividono la medesima vocazione, missione e responsabilità. Gli sposi vivono con la consapevolezza che il loro amore per Dio passa attraverso la famiglia, le amicizie e il lavoro che svolgono nel mondo. Ciò ha un enorme potenziale trasformativo di servizio. Per quanto riguarda le donne che, come lei osserva, sono maggioranza, san Josemaría riteneva l’Opera incompleta senza di esse. Non si capirebbe l'Opus Dei senza il loro apporto insostituibile, come non hanno senso la famiglia, il mondo del lavoro o la vita sociale senza le donne.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
VOCAZIONI
Il calo delle vocazioni che sperimenta la Chiesa Cattolica riguarda anche l'Opus Dei?
Nei paesi più secolarizzati condividiamo le stesse difficoltà col resto della Chiesa. Dove essa cresce – penso alla Nigeria, al Brasile, agli Stati Uniti –, cresce anche l'Opus Dei. In particolare, aumenta il numero di laici e laiche che, ispirati da san Josemaría, desiderano cercare la santità e sono aperti a formare una famiglia. Diminuiscono, invece, le persone che accolgono il celibato, un dono di Dio che forse oggi è meno compreso, pur essendo una grande ricchezza per la Chiesa. Da qualche tempo, muoiono più di mille membri dell'Opus Dei all'anno; tuttavia, grazie a Dio, c'è una piccola crescita in numeri totali, anche se per una realtà ecclesiale ciò che conta è l'unione con Dio e non le cifre o le strutture.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
Papa Francesco ha definito la crisi delle vocazioni una “emorragia per la Chiesa”. Lei ha dedicato la sua vita a Dio fin da giovane e poi è diventato sacerdote. Perché oggi è più difficile che le persone prendano in considerazione la vocazione al celibato apostolico?
Il mondo attuale affronta la sfida di tornare a credere nell’impegno duraturo, in un amore per tutta la vita che riempie di gioia e di libertà. A tanti l'impegno sembra un limite, quando invece Dio spalanca sempre orizzonti luminosi. Direi che è fondamentale recuperare la virtù della speranza.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
Ci sono persone che si sorprendono della precocità di alcune vocazioni all'Opus Dei. Ragazzi sedicenni, per esempio, sono liberi di decidere la loro vocazione?
La libertà è un requisito imprescindibile per qualsiasi vocazione. L'incorporazione all'Opus Dei si può fare solo a 18 anni, una volta maggiorenni. Se qualcuno pensa di avere vocazione, può iniziare prima un processo di discernimento, sapendo però di non far parte ancora dell'Opus Dei, e sempre con il permesso esplicito dei genitori. Dal momento in cui si chiede l'ammissione all'Opera fino alla incorporazione definitiva, ci sono una serie di tappe formative che durano almeno sei o sette anni. Nel frattempo, si deve esprimere ogni anno il proprio desiderio di proseguire: non è un processo automatico, e interpella il discernimento e la libertà della persona in modo molto profondo.
Le attività di formazione spirituale promosse dall'Opus Dei tra i giovani, con il coinvolgimento dei genitori, sono un seme per aiutarli a conoscere e a testimoniare la fede, ad amare la propria famiglia, a prepararsi per essere buoni professionisti e buoni cittadini. La maggioranza scopre che la propria vocazione è nel matrimonio, altri nel celibato laicale; altri ancora possono scegliere il sacerdozio o la vita religiosa… Come dice il Papa ai giovani, bisogna “scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere”.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
Il prossimo anno si terrà il Giubileo dei Giovani a Roma. Qual è, secondo lei, la sfida maggiore che i giovani affrontano oggi per avvicinarsi a Dio come a un ideale attraente?
Solo Cristo è la risposta a tutti gli interrogativi odierni che si agitano nel cuore dei giovani, le cui ferite e fragilità soltanto l’amore del Padre è in grado di risanare, quando essi si aprono a Lui. Forse, siamo piuttosto noi adulti a doverci chiedere se siamo capaci di comprendere i giovani. Ovviamente, per mostrare l'attrattiva della vita in Cristo, è essenziale anche la testimonianza di una condotta coerente.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
“Nella Chiesa c'è spazio per tutti”, ha detto papa Francesco alla Giornata Mondiale della Gioventù 2023 di Lisbona. Che cosa significa esattamente questa apertura e come può l'Opus Dei trasmettere questo messaggio?
È san Paolo ad affermare che Dio vuole che tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Il Papa ha messo questo universalismo alla base e al centro del suo magistero. San Josemaría raccomandava ai suoi figli spirituali di tenere le braccia aperte a tutti. In un’epoca di polarizzazione, divisioni e muri, chi segue Cristo ha un cammino chiarissimo da percorrere.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
CRITICHE E ERRORI
Di alcune persone dell'Opus Dei sono riconosciuti i contributi alla società, come scuole, università e opere sociali. Tuttavia, sono anche oggetto di narrazioni ostili. Quale crede che ne sia l’origine e come contrastarle?
A volte penso che le narrazioni di cui parla ci aiutino a purificare la tentazione di pensare che non dobbiamo correggere alcunché o, peggio, di sentirci soddisfatti. Abbiamo bisogno, come tutti, di riflettere sul bene che vogliamo fare e su quello che riusciamo a fare davvero. Il nostro fondatore, in effetti, ci faceva presente che l'Opera deve vivere “senza gloria umana”.
D'altra parte, è naturale che ci siano visioni diverse, perché ci sono molti modi di fare e di concepire le cose. Le opinioni contrarie possono essere un aiuto quando sono sincere; ci permettono di chiedere perdono e correggerci. Mi piacerebbe che chiunque si avvicini a quelle iniziative potesse vedere che servono a seminare pace e gioia.
Personalmente, mi rallegra constatare che quasi ogni giorno riceviamo una richiesta di ammissione all'Opus Dei da parte di persone che un tempo ne avevano fatto parte e che, per un qualsiasi motivo, se ne erano allontanate. Notizie come queste sono carezze del Signore che, in un certo senso, superano certe narrazioni troppo polarizzate.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
Perché una parte della gerarchia ecclesiastica ha visto l’Opus Dei come un’antagonista o una chiesa parallela quando i fedeli dell’Opera lo sono anche delle diocesi territoriali?
In generale, rilevo stima da parte della gerarchia e delle altre istituzioni della Chiesa. Noi dell'Opera siamo consapevoli di trovarci nella stessa barca della Chiesa, nella quale convivono spiritualità e sensibilità diverse [...] In effetti, mi vengono in mente molti esempi di iniziative dell'Opus Dei (a Roma e nel mondo) dalle quali, per grazia di Dio, sono sorte vocazioni per tante istituzioni della Chiesa. E viceversa. Di questi tempi, per esempio, la diocesi di Florianópolis (Brasile) ha avviato il processo di beatificazione di un giovane dell'Opera che ha svolto un ampio lavoro di evangelizzazione in diocesi e che si è avvicinato alla fede cattolica grazie ai ritiri di un'altra realtà ecclesiale, Emmaus.
Come lei rileva, dal punto di vista del diritto i laici dell'Opus Dei sono fedeli delle loro diocesi come qualsiasi altro fedele. Effettivamente, ve ne sono moltissimi che collaborano attivamente alla catechesi o ai corsi prematrimoniali nelle loro parrocchie, in iniziative di servizio come la Caritas, per le attività con i giovani, eccetera. Analogamente, ricevo numerose richieste di vescovi diocesani che desiderano che alcuni sacerdoti collaborino presso una parrocchia, in un ospedale, in un servizio della diocesi. Ogni volta che è possibile, si collabora volentieri.
Se ci sono state prevenzioni da parte di qualche istituzione della Chiesa, probabilmente sarà dipeso da difficoltà di rapporti umani che dovremmo tentare di risolvere giorno per giorno, con normalità. A volte, i malintesi sono dovuti anche alla comprensibile difficoltà storica di accogliere realtà portatrici di una novità che, in un primo tempo, può apparire sorprendente. Mi piace pensare che sono cose che appartengono al passato.
(Intervista a El Debate, 22-VI-2024)
Anche se in misura minore rispetto ad altre istituzioni, sono stati denunciati abusi da parte di membri dell'Opus Dei, anche in Cile. Lei ha chiesto perdono per le “mancanze e i peccati dei membri dell'Opus Dei”. Di quali mancanze e peccati si tratta?
Le mancanze e i peccati personali attengono alla coscienza individuale. Allo stesso tempo, non si può ignorare che ci sono persone che hanno fatto parte dell'Opus Dei o che sono state in contatto con l'Opera che si sono sentite ferite da certi comportamenti o hanno visto incrinarsi la loro fiducia nei confronti dei dirigenti o dell'istituzione. Considerando che nell'Opus Dei ci si propone di percorrere un cammino di santità e di andare incontro a Cristo, pensare che ci sono persone che in questo cammino non hanno trovato la felicità personalmente mi addolora e rappresenta un invito a esaminarne onestamente le cause, vedere come poter riparare caso per caso, studiare che cosa si può migliorare ecc. I motivi di queste ferite possono essere i più vari. Ciò che mi dispiace maggiormente è che non sempre abbiamo saputo seguire bene le persone nel discernimento della vocazione, nell'accompagnamento spirituale o in situazioni familiari o personali difficili.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
L’Opus Dei è solitamente definito conservatore, potente ed esclusivo. Perché? Come le piacerebbe che fossero qualificati l'Opus Dei e le sue attività?
Ognuno può avere le proprie opinioni e i propri motivi per valutare la realtà. Se alcune persone lo percepiscono così, forse c'è qualcosa di oggettivo e/o soggettivo a causare tale impressione. Far conoscere meglio la realtà dell'Opera è anche compito di ogni membro: vivere in modo autentico la propria vocazione. È una cosa grande e meravigliosa, anche se penso che sia necessaria una prospettiva di fede per comprenderla a fondo. Ad ogni modo, mi sembra che chi guarda l’Opus Dei da vicino, nella sua espressione umana, possa distinguere persone normali, con virtù e difetti. Mi piacerebbe che fossimo conosciuti come gente allegra, semplice e serena, pacifica, con cui è facile fare amicizia, persone con una mentalità aperta e comprensiva. Vorrei anche che fosse riconosciuta la varietà dei fedeli dell'Opus Dei e non ci si soffermasse soltanto su pochi personaggi pubblici. Si vedrebbe così che ognuno si impegna a vivere fino in fondo la fede, convivendo con i propri difetti e cercando di mettere al servizio della famiglia, degli amici e della società i talenti ricevuti.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
ASSEMBLEE REGIONALI
L’Opus Dei è impegnata in un autentico “viaggio”, invitata dal Papa, per riscoprire la freschezza e la forza delle sue sorgenti. In questo percorso cosa sta scoprendo?
In tutte le nazioni in cui è presente l’Opus Dei si stanno svolgendo le cosiddette “assemblee regionali”, previste ogni 10 anni. Sono momenti importanti e belli di confronto e riflessione. Si scopre ogni giorno il desiderio di centrarsi sulle cose essenziali, sul carisma, trovando modi per viverlo e comunicarlo meglio nelle circostanze attuali. Per esempio, da queste assemblee emerge il desiderio di fondare sempre di più il lavoro apostolico dell’Opera sull’amicizia sincera e sulla trasformazione del cuore, più che su strutture, opere o attività.
(Intervista ad Avvenire, 30-VI-2024)
Il metodo che lei ha indicato per questo “cantiere” è una vasta consultazione che sta coinvolgendo tutti i membri dell’Opus Dei e anche altre persone che non fanno parte della Prelatura. Ci spiega questa scelta, in stile sinodale?
Come l’insieme della Chiesa, anche l’Opus Dei è famiglia e, quando una famiglia deve prendere una decisione importante (sfide o priorità) si ascoltano tutti. Ci siamo consultati con la Segreteria del Sinodo, che ci ha incoraggiato a vivere le assemblee regionali della Prelatura come speciale momento di ascolto. Ogni assemblea ha avuto momenti di incontro a livello locale, con gruppi di discussione, questionari, scambi intergenerazionali. Questo processo è stato contemporaneo alla partecipazione di tanti membri dell’Opus Dei alle fasi diocesane del Sinodo sulla sinodalità nelle rispettive diocesi.
(Intervista ad Avvenire, 30-VI-2024)
STATUTI E QUADRO GIURIDICO
Il documento [Motu Proprio] sembra dissolvere la specificità dell'Opera all'interno della Chiesa cattolica, è così?
Mi permetta di dissentire educatamente. La specificità dell'Opus Dei risiede nel suo carisma o spirito, piuttosto che nella sua veste giuridica. Alla base c'è la chiamata universale alla santità attraverso il lavoro e le realtà ordinarie della vita. Il Papa, nella lettera Ad charisma tuendum, si riferisce a questo messaggio come a un "dono dello Spirito ricevuto da san Josemaría", cioè come a un carisma. Ripeto: questa è la specificità veramente rilevante. Di fatto, con questo Motu Proprio Papa Francesco conferma la bolla Ut sit, con cui Giovanni Paolo II erigeva l'Opus Dei a prelatura: modifica due aspetti accidentali e conferma il carisma essenziale.
Caratteristico dell'Opus Dei è un tratto tanto ordinario quanto il lavoro: in particolare, la rilevanza del lavoro come luogo di incontro con Dio, sia nella Silicon Valley che nei sobborghi di Kinshasa, che si lavori come macchinista nella metropolitana di Madrid o come insegnante in una scuola alla periferia di qualsiasi metropoli.
D’altra parte, l'Opus Dei non vuole essere un'eccezione. Le proposte giuridiche hanno cercato la formula che meglio si adatta alla realtà dei laici che, attraverso una chiamata vocazionale e con la cura pastorale dei sacerdoti, vogliono seguire Cristo nelle realtà della famiglia, del lavoro, della società, ecc, nell'ambito delle rispettive chiese particolari. Il fatto che finora l’Opera sia stata l'unica prelatura personale potrebbe essere stato percepito come 'eccezione', ma non è così: penso, invece, che sarebbe molto bello se ci fossero altre prelature personali per contribuire all'evangelizzazione di tanti ambiti particolarmente bisognosi di ispirazione cristiana.
(Intervista a El País, 26-VI-2023)
Come sta procedendo la revisione degli Statuti?
Come diceva il Papa, si tratta di fare in modo che gli aggiustamenti preservino il carisma e la natura dell’Opus Dei, senza costringerlo o soffocarlo: ad esempio, sottolineando il suo carattere secolare, e il fatto che più del 98% dei membri sono laici, uomini e donne che vivono la loro vocazione in strada, in famiglia, nel lavoro. A tale scopo, è in corso una serie di riunioni tra alcuni rappresentanti del Dicastero del Clero e quattro canonisti dell’Opus Dei, tre professori e una professoressa. Poiché siamo ancora nel pieno di questo processo non posso fornire ulteriori particolari. Ma posso assicurare che il lavoro viene svolto in un clima di dialogo e di fiducia.
(Intervista ad Avvenire, 30-VI-2024)
La decisione del Papa Francesco sulla struttura dell'Opus Dei è stata una sorpresa?
Il Santo Padre ci ha avvertiti con un certo anticipo del “motu proprio” Ad charisma tuendum. I principali cambiamenti introdotti dal documento riguardano aspetti strutturali e organizzativi, compreso il fatto che il prelato non debba essere vescovo, ma non toccano la missione o la sostanza dell'Opus Dei. La modifica degli statuti è una risposta alla richiesta del Papa. Vi si sta lavorando proprio in questo momento con il Dicastero del Clero, in un clima di dialogo e di fiducia.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
Fino a che punto le nuove disposizioni papali influenzano l’Opus Dei? Si ripercuotono sulla vita quotidiana dell’istituzione?
Il diritto e la vita sono ambiti collegati ma, al tempo stesso, ammettono distinzioni. Per ciò che riguarda la quotidianità dei laici, che sono immersi nelle faccende di questo mondo, le nuove disposizioni non modificano il modo di vivere la loro vocazione all’Opera. Per ciò che si riferisce all’Opus Dei in quanto istituzione, stiamo lavorando con il Dicastero del Clero per realizzare gli adeguamenti agli statuti, così come ha chiesto il Santo Padre nel motu proprio Ad charisma tuendum. Dato che siamo ancora nella fase di studio, non sono in grado di anticiparle il risultato. Le posso invece assicurare che, durante i lavori, si è stabilito un clima di dialogo e di fiducia come dev’essere nella Chiesa, che è famiglia di Dio.
(Intervista a El Debate, 22-VI-2024)
Come hanno interpretato il cambiamento del legame con la Santa Sede che il Papa stabilisce con il Motu Proprio Ad charisma tuendum? Il Papa assicura che vuole che l'autorità sia "basata più sul carisma che sull'autorità gerarchica".
Carisma e gerarchia si completano a vicenda nella Chiesa, non sono due termini alternativi ma complementari. I carismi hanno la loro ragion d'essere nel servizio che rendono alla Chiesa nel suo insieme. Quindi, per diffonderli nella Chiesa e nel mondo, vengono solitamente tradotti in realtà istituzionali.
Il discernimento dei carismi corrisponde all'autorità della Chiesa e l'Opus Dei ha fatto affidamento sull'autorità della Chiesa in ogni suo passo istituzionale. Con la riforma della curia, papa Francesco ha promosso cambiamenti in numerose istituzioni e organismi per favorire un'evangelizzazione più dinamica. Questo è lo scopo del Motu Proprio che lei cita. Pertanto, stiamo lavorando per rispondere fedelmente a questa richiesta del Papa, sapendo, ad esempio, che l'essenziale non è che il prelato porti o meno la croce pettorale, ma che i fedeli dell'Opus Dei e altre persone possano vivere pienamente questo carisma all'interno della Chiesa.
(Intervista a El País, 26-VI-2023)
Non verrà clericalizzata un’istituzione della Chiesa la cui ragion d’essere sono i laici? Fino a che punto tali misure possono pregiudicare l’obiettivo dei laici di diventare santi in mezzo al mondo?
Il messaggio dell’Opus Dei si rivolge principalmente a uomini e donne laici che vivono nel mondo e sono, fin dall’inizio, l’immensa maggioranza all’interno dell’Opera, e la sua ragion d’essere.
Così come non si dovrebbero assolutizzare i carismi, neppure lo si dovrebbe fare con il diritto. Perciò l’Opus Dei è passato attraverso diverse soluzioni istituzionali per trovare la formula più adatta che includa la custodia del carisma e una figura giuridica che gli assicuri un posto nella Chiesa e rispecchi la sua natura senza opprimerla o soffocarla.
(Intervista a El Debate, 22-VI-2024)
L’Opus Dei ha vescovi e arcivescovi in tutto il mondo. Non sarebbe opportuno che anche il prelato fosse vescovo?
Se mi permette un chiarimento, bisogna tenere presente che i pochi vescovi e arcivescovi che provengono dall’Opus Dei nel mondo, lo sono delle proprie chiese particolari e, pertanto, rispondono solo al Papa, non hanno alcun altro superiore.
Penso che il fatto che il beato Álvaro e mons. Javier Echevarría siano stati consacrati vescovi sia stato molto utile per rafforzare la comunione ecclesiale negli anni tra il 1991 e il 2016. In questo momento si tratta di seguire fedelmente le disposizioni del Santo Padre, più che di soffermarsi su quel che sarebbe più o meno appropriato.
(Intervista a El Debate, 22-VI-2024)
Alcuni vedono l'eliminazione di un privilegio, un certo declino e un gesto di una Chiesa più progressista verso un mondo più conservatore, riferendosi anche a un vecchio conflitto tra gesuiti e Opus Dei.
Quando gli fu posta una domanda analoga, il Papa affermò che si trattava di un'interpretazione mondana, estranea alla dimensione religiosa. Credo che troppo spesso si tenda a leggere la realtà in termini di potere e polarizzazione, di gruppi che si contrappongono senza cercare di capirsi. Tuttavia, la logica che deve prevalere nella Chiesa è quella del servizio e della collaborazione. Remiamo tutti sulla stessa barca, disposti a essere aiutati a migliorare.
Riguardo al vecchio conflitto che menziona, personalmente posso dirle che sono un ex studente della scuola della Compagnia di Gesù di Madrid e che sono molto grato della formazione e dell'esempio che ho ricevuto dai gesuiti.
(Intervista a El País, 26-VI-2023)
Nel 1946, quando san Josemaría chiese l'approvazione giuridica dell'Opus Dei, gli dissero che era arrivato con un secolo di anticipo. Tenendo conto dell’avvicinarsi del primo centenario, crede che la riforma degli statuti, richiesta dalla Santa Sede, abbia qualche relazione con quella risposta data al fondatore?
Nel 1946 l'Opus Dei era presente in quattro paesi e oggi in 70. In quel momento risultava sorprendente il messaggio, rivolto specificamente ai laici, della ricerca della santità in mezzo al mondo e sembrava in anticipo sui tempi, nonostante le sue profonde radici evangeliche. Posso assicurarle che l'attuale modifica degli statuti, richiesta dal Santo Padre, si sta realizzando proprio con il criterio fondamentale di adeguarsi al carisma, che oggi è più compreso e condiviso. Il diritto, tanto necessario, tiene dietro alla vita, al messaggio incarnato, per dare sostegno e continuità alla vita.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
Adesso il Vaticano chiede una relazione sullo stato dell'Opus Dei annuale, e non quinquennale come era stabilito in precedenza. Ha a che fare con la necessità di maggiore trasparenza e di controllo?
Questa diversa periodicità è una conseguenza del cambio di Dicastero. Ora, l'interlocutore immediato dell'Opus Dei è il Dicastero per il Clero, dove le relazioni si presentano annualmente e non ogni cinque anni come nel Dicastero dei Vescovi. Indipendentemente da ciò, non c’è dubbio che la Chiesa, e l'Opera che ne è una parte, stiano cercando di presentare in modo sempre più chiaro e comprensibile i dati più rilevanti della loro attività e le loro motivazioni.
La trasparenza, ben intesa e ben applicata, favorisce la fiducia che, come lei ha sottolineato, è stata molto messa in discussione dai casi di abusi. In effetti, dal 2013 l’Opus Dei ha un protocollo per la protezione dei minori e delle persone vulnerabili che formalizza misure di prudenza che si applicavano già da decenni, e include la normativa più recente della Chiesa. Inoltre, si sta lavorando alla creazione di specifici canali deputati a risanare e dare soluzioni e ad accogliere le persone che vogliono essere ascoltate.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
CHIESA
Escrivá ricordava spesso ai suoi figli spirituali il dovere di «servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita»: oggi come legge questa sua celebre frase?
Direi che il suo senso non è cambiato dal giorno in cui è stata pronunciata: l’amore alla Chiesa e al Papa è nel dna del messaggio di san Josemaría. Da un punto di vista pratico, questo si traduce nell’aiutare il più efficacemente possibile nelle diocesi in cui i membri dell’Opus Dei vivono e a cui appartengono. Ad esempio, sono molti i laici che collaborano attivamente alla catechesi o ai corsi prematrimoniali nelle loro parrocchie, alle iniziative di servizio come la Caritas, alle attività con i giovani, e così via. Allo stesso modo, ricevo numerose richieste da parte di vescovi diocesani che chiedono a questo o a quel sacerdote di collaborare in una parrocchia, in un ospedale, in un servizio della diocesi. Ogni qualvolta è possibile, siamo felici di collaborare.
(Intervista ad Avvenire, 30-VI-2024)
Ultimamente è cambiata la percezione sociale degli abusi commessi in seno alla Chiesa. Come vede questa gravissima questione la prelatura dell’Opus Dei?
È una cosa molto triste. Oltre a deplorare questi abusi delittuosi (uno solo provoca già enorme dolore!), vorrei anche rimarcare il lavoro svolto negli ultimi anni dal Papa e dalla Santa Sede mediante disposizioni chiare e precise: oggi, grazie a Dio, la Chiesa universale e la maggioranza delle istituzioni della Chiesa si possono avvalere di protocolli e direttive per sradicare e combattere efficacemente questi abusi, che lasciano ferite profonde e a volte irrimediabili.
I protocolli della Prelatura, per esempio, sono del 2013 e io stesso li ho aggiornati nel 2020. Sono uno strumento per generare la consapevolezza dei diritti e delle necessità dei minori e delle persone vulnerabili, ed evitare così qualsiasi rischio di sfruttamento, abuso sessuale o maltrattamento in tutte le attività che si svolgono nei centri della Prelatura, e che desideriamo che ispirino anche tutte le attività che si svolgono nelle istituzioni che ricevono qualche tipo di supporto pastorale da parte dell’Opus Dei.
Per i misteri della natura umana, questo genere di strumenti (nella Chiesa e nella società) non possono garantire che non succederà mai più nulla di male, ma, indubbiamente, contribuiscono a creare una nuova cultura e offrono un riferimento chiaro: chi commette un crimine del genere ora sa a che cosa va incontro.
Anche per motivi comprensibili, agli abusi nella Chiesa è stata data grande risonanza nell’opinione pubblica, sebbene questa triste e deplorevole realtà sia ben più diffusa in ampi settori della società. I casi che riguardano sacerdoti sono molti, ma, se paragonati alle migliaia e migliaia e alle centinaia di migliaia di sacerdoti che hanno speso la vita lavorando, in proporzione sono pochi. Certamente, però, bisogna combattere il fenomeno con ogni mezzo possibile.
(Intervista a El País, 26-VI-2023)
SOCIETÀ
Nel 50° anniversario della catechesi di san Josemaría in America, lei torna a visitare la regione. Crede che la realtà dell'Opus Dei in questi paesi si avvicini al sogno di Escrivá?
Quando san Josemaría venne in America, invitò a sognare grandi avventure di servizio cristiano. Senza ignorare le difficoltà e gli errori umani, ringrazio Dio per lo sviluppo dell'Opus Dei in Colombia e nel resto del continente. Allo stesso tempo, la logica di Dio permette di considerare nell’ottica migliore i risultati umani, i numeri e i successi o fallimenti esterni, poiché l'essenziale è aiutare molte persone a incontrare Gesù nel proprio cuore, e questo lo può vedere solo Dio.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
Lei è venuto in Colombia in diverse circostanze: come visiting professor, con il precedente prelato e ora come prelato. Quali cambiamenti ha notato nella realtà colombiana e quali aspetti della società richiedono un miglioramento?
Senza entrare nei dettagli o proporre soluzioni concrete, poiché non conosco a sufficienza la situazione del Paese, vedo l’America del Sud come una regione piena di contrasti e di grandi sfide. La Chiesa e il Papa incoraggiano a superare le divisioni, a dare priorità ai più bisognosi e ad accompagnare la vita di fede delle famiglie con rinnovata speranza. Penso che siano tre obiettivi che possono ricevere un grande contributo da parte di tutti noi cattolici. Pertanto, incoraggerei i laici a intervenire nella sfera pubblica per promuovere questi tre ambiti, perseguendo il bene comune insieme ad altre persone che magari non hanno fede ma condividono l'impegno a favore della dignità umana.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
L'ultima visita di un prelato dell'Opus Dei in Colombia fu quella del suo predecessore, Javier Echevarría, nel 2015. Il viaggio avvenne in un momento del nostro Paese in cui eravamo sul punto di firmare un accordo di pace. Oggi, in un panorama turbolento, continuiamo a cercare la conclusione della guerra. Perché è così difficile raggiungere la pace sociale?
La pace richiede l’impegno degli uomini ma è soprattutto un dono di Dio, mentre la violenza distrugge quel dono e impedisce di camminare insieme verso il futuro, verso il bene comune. Senza pace è difficile lo sviluppo integrale delle persone e le società rimangono stagnanti, soprattutto nei settori più vulnerabili. La violenza che ostacola maggiormente la pace è anteporre il fine personale al bene comune. La pace è un dono di Dio che dobbiamo chiedere uniti. Ognuno di noi può contribuire a edificare la pace nei cuori e nelle relazioni, normalmente con piccoli apporti di pacificazione nella propria casa, nel quartiere, sul posto di lavoro.
(Intervista a Semana, 17-VIII-2024)
Il nostro Paese (Cile) sta attraversando una crisi religiosa. Il sondaggio “Bicentenario della UC” mostra un calo significativo dell'adesione dei giovani alla religione cattolica. Dobbiamo concludere che i cattolici stanno diventando minoranza?
Non vivo in Cile, e di conseguenza non conosco bene la situazione. Tuttavia, mi sentirei di dire che sarebbe sbagliato arroccarsi, una reazione naturale di chi è in minoranza. Come discepoli di Cristo, piuttosto, dovremmo far nostre le aspirazioni, le necessità e le sofferenze di tutti e lavorare gomito a gomito con tutti.
Dopo l'uragano scatenato dalla crisi degli abusi, per esempio, molti cattolici hanno intrapreso la via dell'accompagnamento delle persone ferite, e la Chiesa in Cile ha messo in atto misure di prevenzione e promosso spazi di fiducia e di libertà indispensabili per riprendere quota nella società e risolutivi per evitare che questi delitti si ripetano. Una Chiesa ferita nei suoi membri può trasmettere Cristo e ha un grande apporto da dare: aiutare, collaborare, sanare, senza cercare l’interesse personale o istituzionale, o soluzioni affrettate. Questo mi sembra il cammino intrapreso dalla Chiesa in Cile, la strada per recuperare credibilità e, soprattutto, per portare la vicinanza di Cristo a tantissime persone.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
BIOGRAFIA
Lei è nato a Parigi nel 1944. Oggi si ricordano i momenti drammatici che l'Europa sperimentò in quegli anni e che la sua famiglia visse nell’esilio in Francia. Questa esperienza l’ha segnata in qualche modo?
Durante la guerra civile spagnola mio padre servì nell'esercito repubblicano e ciò comportò che, alla fine del conflitto, dovette recarsi in esilio a Parigi. Era un veterinario militare e il primo lavoro che trovò fu tra gli animali di un circo. Successivamente fu assunto da un laboratorio e poté portare la famiglia con sé. Grazie a Dio, le rappresaglie che mio padre subì qualche anno dopo, al ritorno in Spagna, furono lievi e poté dedicarsi alla ricerca nel campo della biologia animale. Peraltro, ero un bambino e vissi quelle circostanze senza esserne molto consapevole. Tuttavia, è possibile che la riflessione su quell'esperienza mi abbia vaccinato contro la seduzione di qualsiasi tipo di violenza e contro la tentazione di identificare la religione con determinate opzioni politiche.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
Ha studiato fisica e poi teologia, una combinazione singolare. Quali aspetti della fisica hanno illuminato il suo cammino religioso?
Sia la fisica sia la teologia sono, ciascuna a suo modo, conoscenza della realtà: non solo non si oppongono, ma sono complementari. Non posso dire che lo studio della fisica mi abbia aperto gli occhi alla realtà di Dio, poiché ero già credente per tradizione familiare e per convinzione personale. Tuttavia, lo studio scientifico della realtà fisica mi ha aiutato a vedere da un'altra prospettiva il mondo come creato da Dio.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)
In gioventù ha convissuto con san Josemaría Escrivá, fondatore dell'Opus Dei. Quale sua caratteristica l’ha colpita nel contesto quotidiano?
Arrivai a Roma nel 1967 e abitai nella sua stessa casa fino alla sua morte nel 1975, ma eravamo circa duecento persone. Nonostante fossimo in tanti, ci sentivamo molto amati, circondati dalla sua allegria e dal suo affetto. Una volta, mi fece una domanda davanti a molte persone, e si accorse immediatamente che mi metteva in difficoltà; senza darmi il tempo di aprir bocca, aggiunse una frase che rendeva superflua la risposta. Questi piccoli gesti di affetto erano quotidiani. Mi colpì soprattutto la sua unione con Dio, che si palesava nella predicazione o negli incontri familiari. Sul piano umano, sottolineerei il suo amore per la libertà e il suo buon umore.
(Intervista a El Mercurio del Cile, 28-VII-2024)