Lettera di san Josemaría "Sulla missione soprannaturale e apostolica dei membri dell’Opus Dei in mezzo al mondo": PDF, EPUB, MOBI
Contesto e storia
Il 9 gennaio 1932, data di questa Lettera, san Josemaría compiva trent’anni. In simili ricorrenze, il fondatore soleva scrivere ai membri dell’Opus Dei, per chiedere loro di unirsi a lui con la preghiera, rafforzando i legami di filiazione spirituale. Era una festa di famiglia, che veniva vissuta gioiosamente, come ancora si fa. Era quindi naturale che questa Lettera ne recasse la data.
Non conosciamo alcun particolare della sua redazione, ma sappiamo che era terminata alla fine del 1965 o agli inizi del 1966. Questa lettera, insieme ad altre tre, sono state pubblicate in italiano dalle Edizioni Ares.
Contenuto
San Josemaría affronta in questa Lettera diversi aspetti dello spirito dell’Opus Dei, ma nel complesso vuole ribadire che i membri dell’Opera sono chiamati a vivere in mezzo al mondo una missione di servizio a Dio, alla Chiesa e a tutti gli uomini.
Come in altri scritti di questa natura, procede con grande libertà, senza adottare uno schema compositivo rigido. Ripete più volte le idee che desidera rimarcare, senza volerle esporre in modo sistematico. È, come abbiamo detto, uno scritto di sapore familiare, una conversazione del fondatore con le sue figlie e i suoi figli spirituali. Possiamo comunque individuare un certo ordine espositivo che si può delineare nei seguenti punti.
Nei primi paragrafi (nn. 1-7) san Josemaría precisa il fine dell’Opus Dei: servire la Chiesa e il Papa, rispettando e difendendo la libertà dei cattolici in ciò che è opinabile, senza creare «dogmi dottrinali in àmbito temporale». Il tema sarà ripreso più volte, con precisazioni sulla laicità, la legittima autonomia delle realtà temporali e la libertà del cristiano nelle questioni opinabili; non manca la condanna degli abusi che hanno origine dal clericalismo.
Una seconda parte (nn. 8-22), accanto a una miscellanea di altri temi (unità di vita, purezza di intenzione, filiazione divina, fede ecc.), descrive la vocazione all’Opus Dei; le metafore che impiega permettono di cogliere la specificità di tale vocazione laicale: «Se mi chiedete come si nota la chiamata divina, come uno se ne rende conto, vi dirò che è una nuova visione della vita. È come se si accendesse una luce dentro di noi; è un impulso misterioso, che spinge l’uomo a dedicare le sue più nobili energie a un’attività che, con l’esercizio, diventa una funzione naturale. Questa forza vitale, che è un po’ come una valanga travolgente, è ciò che altri chiamano vocazione» (n. 9a).
Un terzo gruppo di paragrafi (nn. 23-40) fa riferimento allo spirito di servizio alla Chiesa che anima l’Opus Dei. Esemplifica qui alcune manifestazioni dell’apostolato dei suoi membri nell’impegno di portare il vangelo in tutti gli àmbiti dell’esistenza terrena, con spirito pienamente laicale.
Nella parte centrale della Lettera (nn. 41-61) san Josemaría affronta temi di interesse per tutti i cristiani, non solo per quanti appartengono all’Opus Dei: il servizio al bene comune nelle attività di rilevanza pubblica e sociale, compresa la politica. Dà una risposta a quanti si interrogano su quale debba essere l’azione pubblica dei cattolici in ambienti che hanno perso molti degli antichi valori cristiani. I criteri-guida del fondatore fanno appello al rispetto del pluralismo e alla libertà. Inoltre approfitta per chiarire con la massima energia che «l’Opera non ha alcuna opzione politica: non è il suo fine. La nostra unica finalità è spirituale, apostolica e ha un sigillo divino: l’amore alla libertà che Cristo ha conquistato per noi morendo sulla Croce» (n. 42b).
In un segmento successivo tratta anche dell’apostolato personale (nn. 62-77); ne evidenzia alcune caratteristiche: la semplicità, la comprensione del prossimo, la ricerca di unità con tutti, la capacità di adattarsi a ogni genere di persone, senza alcuna discriminazione, pregiudizi o rigidità, facendosi «tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor 9, 22), come insegna san Paolo.
Dopo aver dato alcuni brevi orientamenti su alcuni apostolati dell’Opus Dei in quanto tale (nn. 78-80), affronta di nuovo l’argomento dello spirito di servizio (nn. 81-90). Troviamo in queste pagine orientamenti validi per tutti i cristiani che lavorano in politica, in ruoli socialmente rilevanti o che comportano responsabilità di governo. Insegna a santificare tali attività, conservando l’umiltà e il desiderio di servire la società.
La Lettera termina con un epilogo (nn. 91-93) in cui san Josemaría torna a trattare della missione apostolica affidata all’Opus Dei, ricordando la chiamata universale alla santità.
Lettera di san Josemaría "Sulla missione soprannaturale e apostolica dei membri dell’Opus Dei in mezzo al mondo"
1a Tutto ciò che è o che sembra una novità, sia riguardo alla dottrina cristiana, sia al modo di esporla agli uomini e al modo di metterla in pratica, deve aprirsi vie almeno in apparenza nuove, sebbene ciò che insegna o fa corrisponda in pieno alla sapienza cristiana e alla tradizione.
1b È giusto, pertanto, che vi ripeta che l’Opera non vuole innovare alcunché e tantomeno riformare in qualcosa la Chiesa: accetta fedelmente ciò che Essa dà per certo riguardo alla fede e alla morale di Cristo. Non vogliamo scioglierci dai vincoli, che sono santi, della disciplina comune dei cristiani. Vogliamo invece, con la grazia del Signore, essere i figli migliori della Chiesa e del Papa. E che Dio mi perdoni questa apparente mancanza di umiltà.
1c Per riuscire nell’intento dobbiamo amare la libertà. Evitate di diventare complici del patente sopruso che attualmente sembra aver preso tanto piede in tutti i Paesi del mondo: forzare la legittima indipendenza delle persone, per costringere tutti a condividere un pensiero unico; creare delle specie di dogmi dottrinali in àmbito temporale, e difendere questo errore con argomenti propagandistici, di per sé scandalosi, rivolti contro coloro che hanno l’onestà di non piegarsi.
2a Instaurare omnia in Christo[1], dice san Paolo agli Efesini: rinnovate il mondo nello spirito di Cristo, ponendo Cristo al vertice e al centro di tutto. Il nostro scopo è di santificare ogni sforzo umano onesto: il lavoro ordinario, precisamente nel mondo, con stile secolare e laicale, al servizio della Santa Chiesa, del Romano Pontefice e di tutte le anime.
2b Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo difendere la libertà. La libertà delle membra, che tuttavia costituiscono un unico corpo mistico con Cristo Capo e con il suo Vicario in terra. Le realtà terrene sembravano essere state strappate via da quelle celesti, rimanendo decapitate. Dio, però, ha messo a capo di tutte le cose Cristo incarnato. Si arriverà pertanto all’unità, a una unione armonica, quando ogni cosa sarà sottomessa a un solo capo, Cristo.
2c Diremo con sant’Ireneo: dunque c’è un solo Dio, il Padre [...] e un solo Cristo Gesù, nostro Signore, che è venuto attraverso ogni economia e ha ricapitolato in sé tutte le cose. In questo «tutte le cose» è anche compreso l’uomo, creatura modellata da Dio; egli ha dunque ricapitolato anche l’uomo in sé, rendendo l’invisibile visibile, rendendo l’incomprensibile comprensibile, l’impassibile passibile, il Verbo uomo: ricapitolando in sé tutte le cose, affinché, come il Verbo di Dio ha il primato sugli esseri sopracelesti, spirituali e invisibili, abbia anche il potere sugli esseri visibili e corporali; e assumendo in sé questo primato e ponendo sé stesso come testa della Chiesa, attragga tutto a sé al momento opportuno[2].
2d Ora comprendiamo l’emozione di quel povero sacerdote, che tempo fa sentì nella propria anima questa locuzione divina: et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum[3], quando sarò innalzato da terra, attirerò ogni cosa a me. Allora vide con chiarezza quale significato il Signore intendeva dare in quel momento alle parole della Scrittura: bisogna mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane. Comprese chiaramente che era necessario riconciliare la terra con Dio mediante il lavoro ordinario in tutte le attività di questo mondo, cosicché ciò che è profano, pur restando tale, diventasse sacro, consacrato a Dio, fine ultimo di tutte le cose[4].
3a C’è una lunghissima e incomprensibile parentesi di secoli, in cui questo insegnamento suonava e suona a novità: cercare ciascuno la perfezione cristiana nella propria professione e nel proprio stato, mediante la santificazione del lavoro ordinario. Per molti secoli il lavoro era stato disprezzato; anche persone di grande levatura teologica l’avevano ritenuto un ostacolo per la santità degli uomini.
3b Ma io vi dico, figlie e figli miei, che a chiunque neghi che un lavoro umano onesto, importante o modesto che sia, possa essere santificato e santificante, potete assicurare senza incertezze che Dio non lo ha chiamato nella sua Opera.
3c Bisognerà pregare, dovremo pregare e soffrire per cancellare questo errore dalla mente delle persone buone. Tuttavia, verrà il momento in cui dal contesto del lavoro umano si leverà un coro unanime di intellettuali e lavoratori manuali cristiani di ogni categoria, che esclameranno: cantate Domino canticum novum, cantate Domino omnis terra[5]; cantate al Signore un canto nuovo, tutta la terra lodi il Signore.
4a Per far breccia nelle coscienze degli uomini, dopo tanti secoli di fraintendimento o di oblio dei doveri del cristiano, dovete essere amici del lavoro. Senza, non ci santificheremo: non è possibile, perché il lavoro è la materia da santificare e lo strumento per santificarsi.
4b Dovete essere fedeli, forti e docili, servono virtù umane, magnanimità, lealtà. Non vi sto chiedendo cose straordinarie; vi chiedo semplicemente di arrivare con la testa in Cielo: ne avete diritto poiché siete figli di Dio. Però, dovete avere i piedi ben piantati per terra, per glorificare il nostro Creatore e Signore con il mondo e con la terra e con il lavoro umano.
4c Già da ora posso vedere, nel trascorrere dei secoli, fin l’ultimo dei miei figli lavorare con la sapienza dell’artista, con la felicità del poeta, con la sicurezza di un maestro e con un pudore più persuasivo dell’eloquenza, adoperandosi per il bene di tutta l’umanità con la ricerca della perfezione cristiana nella sua professione e nella sua condizione nel mondo, perché, vi ripeto, siamo figli di Dio.
5a Dobbiamo amare qualsiasi genere di lavoro umano, perché con il lavoro si santificano le anime e si dà gloria a Dio. Se il lavoro, qualsiasi lavoro umano onesto, è lo strumento, nessuno potrà circoscrivere questo immenso mare di apostolato, l’orizzonte umano e divino che si presenta al nostro sguardo.
5b Quando sarà il momento di cristallizzare questo nostro apostolato nel diritto canonico, nelle leggi della Chiesa, diremo lo stesso, che è un mare senza sponde, anche se indicheremo qualche attività concreta, perché è normale fare così.
5c Voi e io sappiamo e crediamo che il mondo ha come unica missione dare gloria a Dio. Questa vita ha senso solo se si vive nella prospettiva del regno eterno di Dio Creatore. Infatti san Paolo scrive: qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre[6]. E nella prima lettera ai Corinzi leggiamo: sia che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio[7]. Pertanto, tutti dobbiamo lavorare, perché Dio lo comanda e a Dio si deve obbedire nella gioia: servite Domino in laetitia[8].
6a In questo modo il lavoro diventa soprannaturale perché ha per fine Dio, lo si fa pensando a Lui, come atto di obbedienza. Non possiamo abbandonare il posto in cui ci ha sorpresi la chiamata del Signore. Dobbiamo trasformare tutta la nostra vita in servizio a Dio: il lavoro e il riposo, il pianto e il sorriso. Nel lavoro dei campi e in officina, nello studio, nell’attività pubblica dobbiamo rimanere fedeli alla nostra quotidianità; trasformare tutto in strumento di santificazione e in esempio apostolico, senza mai servirci della Chiesa o dell’Opera, ognuno responsabile per sé.
6b Siamo personalmente impegnati a cercare la santità nel lavoro ordinario, in seno alla famiglia e alla società, per il semplice fatto di essere cristiani, poiché il Maestro ci ha detto con chiarezza: siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste[9].
6c Leggete ciò che scrive san Giovanni Crisostomo a proposito della perfezione cristiana: è necessario che tutti gli uomini tendano alla stessa meta. Quello che sovverte il mondo intero è proprio questo, il fatto che noi siamo persuasi che soltanto i monaci debbano occuparsi di quell’impegno, e che agli altri uomini sia concesso di fare i propri comodi. Non è dunque così, non lo è affatto[10].
7a Dobbiamo fare in modo che tutti capiscano che non si possono dividere gli uomini in due categorie: quelli che lavorano e quelli che pensano che lavorando ci si degradi. Il motivo è che oggi è ormai evidente che il lavoro è un servizio che tutti i cristiani hanno il dovere di prestare a Dio per amore e, per amore di Dio, a tutta l’umanità.
7b A chi non vuole capire mi permetto di dire: qui parce seminat, parce et metet; et, qui seminat in benedictionibus, de benedictionibus et metet[11]; chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ecco detto, con parole dell’Apostolo, che non basta lavorare molto, ma che bisogna lavorare con visione soprannaturale: altrimenti, non riceveremo benedizioni dal Cielo.
7c Figlie e figli miei, voglio confidarvi un dispiacere, un grande dispiacere: non mi capiscono. Sono già quattro anni che dico le stesse cose e non comprendono. È come se fossero impermeabilizzati. Sembra che non entri loro in testa e nel cuore la realtà di tanto eroismo cristiano che non dà spettacolo. Tuttavia, la nostra generosità, sebbene sia totale, è ben poco a paragone della generosità infinita e piena d’amore del Dio-Uomo, che si consegna al sacrificio estremo per la nostra salvezza, che sparge fino all’ultima goccia del suo sangue ed esala fino al suo ultimo alito di vita. Anche noi, perciò, siamo chiamati a darci senza riserve, tutti tesi all’amore di Dio, nonostante le difficoltà.
8a Ecco che cosa ci racconta san Matteo: Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!»[12].
8b Questo grido del Figlio di Dio, che si lamenta perché la messe è molta e gli operai sono pochi, spezza il cuore. Chiedete con me al Signore della messe di mandare operai, gente di tutte le razze, di tutte le professioni e le classi sociali, a lavorare in quest’Opera, con questo senso soprannaturale: rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarios in messem suam! Così ci saranno molte anime che ascolteranno la chiamata divina, che accende in noi il desiderio di cercare la perfezione cristiana in mezzo al mondo.
9a Se mi chiedete come si nota la chiamata divina, come uno se ne rende conto, vi dirò che è una nuova visione della vita. È come se si accendesse una luce dentro di noi; è un impulso misterioso, che spinge l’uomo a dedicare le sue più nobili energie a un’attività che, con l’esercizio, diventa una funzione naturale. Questa forza vitale, che è un po’ come una valanga travolgente, è ciò che altri chiamano vocazione.
9b La vocazione ci porta, senza rendercene conto, a prendere una posizione nella vita e a mantenerla con entusiasmo e con gioia, pieni di speranza fino al momento stesso della morte. È un fenomeno che conferisce al lavoro un senso di missione, che nobilita e valorizza la nostra esistenza. Gesù entra con un atto di autorità nell’anima, nella tua, nella mia: è la chiamata.
9c Si avverano le parole dell’Apocalisse: Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me[13]. La chiamata di Dio è una cosa preziosissima. Mi spunta sulle labbra la parabola che san Matteo ci riporta al capitolo tredicesimo del suo Vangelo: il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra[14]. Tale è la nostra chiamata se abbiamo saputo riceverla con amore, se l’abbiamo considerata dono di Dio, pietra preziosa di infinito valore.
10a Questa chiamata è un tesoro nascosto che non tutti sono in grado di trovare, ma solo coloro che è davvero Dio a scegliere: a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto[15]. Una volta sperimentata la grazia di Dio, non scordatevi della parabola del tesoro nascosto: quem qui invenit homo, abscondit, et prae gaudio illius vadit, et vendit universa quae habet, et emit agrum illum: è così umano e così soprannaturale nascondere i favori di Dio!
10b Guardate come il Signore ricerca quelli che vuole che lo seguano. Ascoltate che cosa dice a Pietro e a suo fratello Andrea, che erano pescatori, mentre calavano le reti in mare: venite post me et faciam vos fieri piscatores hominum[16]. Pietro e Andrea, continuo, subito lasciarono tutto e lo seguirono.
10c C’è uno che non è stato chiamato – ce lo riferisce san Matteo al capitolo ottavo, versetti 19 e 20 –: Magister, Maestro, dice, sequar te quocumque ieris, ti seguirò dovunque tu vada. Il Signore gli rispose: le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. Figlie e figli miei, non c’è da spaventarsi dinanzi ai pericoli, alle avversità, alla fatica da fare nel servizio di Dio.
10d «Signore – gli chiede uno dei suoi discepoli –, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti»[17]. E a chi gli disse: ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia, Gesù rispose: nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio[18].
11a Prima di proseguire, voglio dire a voi che avete quella luce nell’anima e vi sentite spinti interiormente a cercare la perfezione cristiana nel mondo, che chi ha un vincolo o un impegno di natura spirituale che nasce dalla chiamata, se non vuole ingannarsi deve rinunciare a qualunque consigliere e a qualsiasi progetto estranei a quel legame. Diversamente, nascerebbero tanti gruppi quante sono le singole persone e il vincolo soprannaturale e civile riuscirebbe inefficace e potrebbe persino risultare dannoso, perché verrebbe distrutta l’obbedienza.
11b Figli miei, quanto spesso si impegnano a giudicare le anime degli altri, a dare consigli, persone che non hanno mai provato il turbamento destato da quel grido divino: venite post me![19]. Siate profondamente grati della chiamata ricevuta e considerate che la verità della vostra chiamata ha un unico tracciato, che si può percorrere lentamente o di fretta, di corsa, a scatti: nell’Opera non sottomettiamo le anime a schemi rigidi, non mettiamo le persone in stampi di acciaio, con gesti, atteggiamenti e parole fuori della realtà di questo mondo: perché noi viviamo nel mondo per Dio.
12a A chi afferma che questa è un’utopia, rispondo sulla base della mia esperienza con parecchie anime e con queste parole del Crisostomo: dove sono adesso quelli che dicono che nessuno può essere virtuoso se dimora in una città, ma è necessario che si ritiri sui monti in qualche luogo appartato; e che chi governa una casa, ha moglie e si prende cura dei figli e dei servitori non può possedere la virtù?[20].
12b In qualunque stato di vita, qualsiasi attività onesta si svolga, non c’è bisogno di fuggire dal mondo per conseguire la santità, a meno che non si abbia la vocazione religiosa. Stiamo bene nel posto che occupiamo nel mondo. Sono certo che la chiamata, quella specifica di cui tratto in questa lettera, è per molti: perché nell’Opera non c’è classismo, perché interessano tutte le anime e, pertanto, c’è bisogno di ogni genere di strumenti. Iterum simile est regnum caelorum sagenae missae in mare, et ex omni genere piscium congreganti[21]; ancora il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci.
13a Quando il Signore, per bocca di Geremia, predice la liberazione futura dall’esilio del popolo ebreo e fa notare che, se un tempo li aveva fatti uscire dall’Egitto, adesso farà uscire i suoi servi de terra aquilonis et de cunctis terris[22], penso che ci saranno molti tipi di chiamata all’Opera di Dio, senza discriminazioni. Il Signore farà arrivare persone di ogni classe sociale, dotate di ogni genere di talenti, gente di condizione elevata e persone modeste e, come dice ancora Geremia, gente che dimora nelle viscere della terra.
13b Ascoltate il profeta: ecco, io invierò numerosi pescatori a pescarli – oracolo del Signore –, quindi invierò numerosi cacciatori a catturarli, su ogni monte, su ogni colle e nelle fessure delle rocce; poiché i miei occhi scrutano le loro vie[23].
13c Siamo strumenti nelle mani di Dio, qui omnes homines vult salvos fieri[24], il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati. I miei figli, grazie alla formazione autenticamente contemplativa del nostro spirito, devono sentire nella propria anima la necessità di cercare Dio, di trovarlo e di avere un continuo rapporto con Lui, ammirandolo con amore mentre faticano nel loro lavoro ordinario, fatto di impegni terreni, purificati però ed elevati all’ordine soprannaturale. Nel contempo devono sentire il bisogno di trasformare la loro vita intera in apostolato, che sgorga dall’anima per tradursi in azione: caritas mea cum omnibus vobis in Christo Iesu[25], il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù.
14a Da ciò si deduce che per i figli di Dio che Egli ha chiamato nella sua Opera è necessaria l’unità di vita. Un’unità di vita che ha sempre due facce: quella interiore, che ci rende contemplativi, e quella apostolica, che passa dal nostro lavoro professionale ed è visibile ed esterna.
14b Ve lo ripeto: la nostra vita è lavorare e pregare e, viceversa, pregare e lavorare. Arriva infatti il momento in cui non si riesce più a distinguere questi due concetti, i due vocaboli, contemplazione e azione, che finiscono per avere lo stesso significato nella ragione e nella coscienza.
14c Considerate ciò che dice san Tommaso: quando di due cose una è la ragione dell’altra, l’attenzione dell’anima verso l’una non impedisce né riduce la sua attenzione per l’altra... E poiché Dio viene contemplato dai santi come la ragione di quanto essi compiono e conoscono, il loro interessamento per le cose sensibili o per le altre cose da considerare o da compiere, in nessun modo impedisce loro la contemplazione di Dio, né viceversa[26].
15a Per non perdere questa unità di vita, consideriamo il Signore come fine di tutte le nostre attività, che dobbiamo svolgere non quasi hominibus placentes, sed Deo, qui probat corda nostra[27]; non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Inoltre, dobbiamo cercare la presenza di Dio: quaerite Dominum et confirmamini, quaerite faciem eius semper[28]; cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto.
15b Innalzate il cuore a Dio quando la giornata si fa dura, quando la tristezza vuole invadere la nostra anima, quando sentiamo il peso della vita, dicendo miserere mei, Domine, quoniam ad te clamavi tota die. Laetifica animam servi tui, quoniam ad te Domine animam meam levavi[29]; pietà di me, Signore, a te grido tutto il giorno. Rallegra la vita del tuo servo, perché a te, Signore, rivolgo l’anima mia.
16a Siamo servitori di Dio e figli di Dio. Come servi possiamo rallegrarci ascoltando le parole degli Atti degli Apostoli: e anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno[30]. Come figli di Dio possiamo considerare con gioia ciò che san Paolo scrive ai Galati: dico ancora: per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, benché sia padrone di tutto, ma dipende da tutori e amministratori fino al termine prestabilito dal padre.
16b Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: «Abbà! Padre!». Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio[31].
17a Nel Vangelo ci sono due figure che, in mezzo all’infedeltà generale, sono piene di coraggio: Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, e un uomo ricco, Nicodemo. In mezzo a quel terrore generale, in cui Gesù era stato abbandonato, attorniato solo da donne – sua Madre e quelle sante donne – e da Giovanni, un adolescente, essi, che in vita del Maestro si nascondevano, ricompaiono, come ci raccontano gli Evangelisti: Giuseppe per chiedere a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù e Nicodemo per portare una mistura di mirra e aloe di circa trenta chili, che sarà costata un bel po’ di denaro.
17b Tuttavia, sebbene frequentassero e amassero Gesù, ricordatevi di quel brano di san Giovanni, capitolo III, versetti da uno a dieci, in cui il Signore dice a Nicodemo: nisi quis renatus fuerit denuo, non potest videre regnum Dei; se uno non nasce di nuovo non può vedere il regno di Dio o farne parte. Nicodemo risponde: quomodo potest homo nasci, cum sit senex, come può nascere un uomo quando è vecchio? Non vi ripeto adesso tutto il passo. Nicodemo non era un ignorante. Gesù gli domanda: tu es magister in Israel et haec ignoras? Nisi quis renatus fuerit – aveva insegnato il Maestro – ex aqua et Spiritu Sancto non potest introire in regnum Dei; tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? Se uno non rinasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. E altrove: sic est omnis qui natus est ex spiritu, è proprio quello che succede a chi nasce dallo spirito.
18a La filiazione divina è chiara. Essi non comprendevano. Rendete grazie perché sapete di essere realmente figli di Dio e anche perché sapete che chi vive nella giustizia, praticando le virtù, è figlio legittimo di Dio[32].
18b E vi farò presente con san Giovanni: vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio[33]. San Paolo ce lo conferma quando scrive: conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi; e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccoci, io e i figli che Dio mi ha dato[34].
19a Se però non ci impegniamo a vivere come figli di Dio, perderemo la fiducia in Lui, che vuol dire perdere una buona parte dell’Amore, e la vita sarà dura e amara. Non dimenticatevi che non siamo solamente figli di Dio, ma anche fratelli di Cristo: primogenitus in multis fratribus[35]. Che chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio. In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello[36].
19b Siate, pertanto, pieni di fiducia, Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui[37].
20a Poiché siamo figli di Dio, il nostro amore più grande, la nostra più ampia stima, la nostra venerazione più profonda, la nostra obbedienza più docile, il nostro affetto più vivo devono andare anche al Vice-Dio in terra, il Papa. Pensate sempre che dopo Dio e dopo nostra Madre, la Santissima Vergine Maria, nella gerarchia dell’amore e dell’autorità viene il Papa. È per questo che ripeto spesso: grazie, mio Dio, per l’amore al Papa che hai messo nel mio cuore[38].
20b Abbiamo quindi piena e assoluta fiducia nella Chiesa e in Pietro. Io continuo da sempre ad averla, sebbene alcune persone si siano provate o, per meglio dire, il demonio si sia provato a seminare sospetti e dubbi attraverso certi uomini per cercare di far venir meno, senza riuscirci, la mia fiducia e il mio amore.
20c Figli miei, vi racconterò una cosetta e mi farebbe tanto piacere se qualcuno di voi, quando può, facesse altrettanto. Da anni ho recitato e recito ogni giorno, per strada, una parte del Rosario per l’Augusta Persona e per le intenzioni del Romano Pontefice. Non sapevo e non so com’è la cappella del Papa, ma con l’immaginazione mi metto accanto al Santo Padre mentre celebra la Messa e, alla fine del mio Rosario, faccio una comunione spirituale con il desiderio di ricevere Gesù Sacramentato dalle sue mani.
20d Non vi stupisca che io provi una santa invidia per coloro che possono stare materialmente accanto al Santo Padre, perché gli si possono rivolgere a cuore aperto, possono dimostrargli stima e affetto.
21a L’unione con il Romano Pontefice fa sì che siamo e saremo molto uniti in ogni diocesi all’Ordinario del luogo. Sono solito dire, ed è proprio vero, che tiriamo e tireremo sempre il carro nella stessa direzione del Vescovo. Se capitasse che uno di loro non la vedesse così e pensasse di trovare incompatibilità che non hanno ragion d’essere, mi spiacerebbe molto. Tuttavia, se non fosse una questione essenziale, sarei disposto a cedere e altrettanto dovreste fare voi senza alcuna difficoltà. Infatti, siamo spinti a metterci in gioco soltanto dal desiderio di dare tutta la gloria a Dio, servendo la Chiesa e tutte le anime, senza pretendere gloria per l’Opera o qualche beneficio per noi.
21b Avendo previsto questo genere di difficoltà, anche se paiono inverosimili, sapete che, sin dall’inizio dell’Opera, preghiamo ogni giorno pro unitate apostolatus, per ottenere dal Signore l’unità interna ed esterna con l’Ordinario diocesano e con tutte le anime che svolgono qualsiasi genere di attività apostolica. È un’unità che è assicurata solo dal Papa per tutta la Chiesa e dal Vescovo, in comunione con la Santa Sede, per la diocesi.
22a Figli miei, sogno gli oratori e i tabernacoli che dissemineremo in tutto il mondo per far arrivare lo spirito di Dio, dell’Opera di Dio, a tutte le anime. Vi chiedo di rispettare lo stile, il modo di edificare dei luoghi in cui abitate per quel che riguarda gli aspetti costruttivi. Tuttavia mi dispiace molto vedere quelle chiese simili ad autorimesse, quelle immagini caricaturali, irriverenti: non mettetele mai nei nostri oratori.
22b L’arte sacra deve condurre a Dio, rispettare le cose sante; ha come obiettivi la pietà, la devozione. Per molti secoli l’arte più nobile è stata quella religiosa, perché obbediva a tali regole, perché rispettava in tutto la natura corrispondente al suo scopo. Le immagini moderniste, caricaturali, sono altrettanto inappropriate delle immagini rileccate, di paccottiglia: quello che è brutto e irrispettoso sta male quanto ciò che è untuoso e di cattivo gusto.
22c Nessuno dei due estremi è utile alla pietà. L’architetto, lo scultore, il pittore che vogliono contribuire con la loro arte al culto divino, devono attenersi a regole precise. Non sto dicendo che bisogna dipingere il cielo stando in ginocchio, come il Beato Angelico, ma che lo si dipingerà con rispetto, con raccoglimento, con devozione.
23a In quest’epoca di laicismo si distinguono due tipi di persone: quelli che attaccano la Chiesa dal di fuori e quelli che la attaccano dall’interno, servendosi della Chiesa stessa. Quelli che attaccano dall’esterno si definiscono laicisti; quelli che attaccano dal di dentro non so come chiamarli: diciamo pietisti. Lo spirito dell’Opera è non servirci della Chiesa: servire la Chiesa.
23b A tale scopo evitiamo di coinvolgere la Chiesa in faccende mondane. Dato che siamo figli della Chiesa e abbiamo ricevuto la chiamata specifica di Dio, portiamo a Dio tutte le realtà terrene, senza però definire cattoliche le nostre attività: chiunque vede che lo sono.
23c Non mettiamo nomi di santi alle nostre iniziative apostoliche, perché non serve e non è opportuno. Se lo fosse, ci sono già altri che lo fanno: ci lascino servire la Santa Chiesa a nostro rischio e pericolo, senza coinvolgerla. Fare altrimenti, nascondersi dietro la Chiesa nella vita professionale, sociale e politica, mi sembra un falso amore per la Sposa di Cristo e, dal punto di vista umano, un atteggiamento poco pulito, una brutta cosa.
24a Tuttavia, ci sono persone che non ci capiscono, alcune persino in buona fede: credono che ne andrebbe del prestigio della Chiesa se le nostre future opere, le nostre attività, le nostre iniziative non dovessero avere l’etichetta di cattoliche. Questa opinione si smonta da sola, non ha nessuna consistenza, perché chiunque potrà vedere che a lavorare saranno dei cittadini cattolici e, pertanto, il loro impegno ridonderà in onore della Chiesa. Altri pensano che in questa maniera saremo meno soggetti all’autorità ecclesiastica: invece, lo saremo quant’altri mai. Desideriamo e cerchiamo di attenerci sempre alle disposizioni vigenti per qualunque cristiano.
24b Vorrei che queste persone che non ci capiscono quasi dai primi tempi del nostro lavoro aprissero la Sacra Scrittura al capitolo 32 di Genesi e facessero attenzione alle decisioni che prese Giacobbe quando temette che Esaù distruggesse la sua famiglia e le sue ricchezze. La Scrittura narra che divise in due accampamenti la sua gente e le sue greggi, distanziandoli tra loro. Pensò giustamente: se Esaù ne attacca uno, l’altro si salverà.
24c Anche se il Signore non ha suscitato l’Opera per questo motivo, ma per ricordare a tutti che devono santificarsi con il loro lavoro ordinario in mezzo al mondo, nella loro professione e nel loro stato, nessuno potrà negare che la situazione odierna, come in tutti i secoli passati e senza poterci aspettare che il futuro sia diverso, ci fa ritenere assai prudente la decisione di Giacobbe.
25a Vorrei anche che coloro che non riescono a capirci dessero un’occhiata in giro, e non in un solo Paese, ma in tutti quelli che sono o sono stati cristiani, e fissassero l’attenzione su tante imprese private, commerciali, industriali, alberghiere..., che portano il nome di qualche santo.
25b Rispetto le esperienze diverse, ma io non posso non soffrire quando vedo che tanto spesso gli aggettivi santo, cattolico o cristiano servono a nascondere illeciti e irregolarità. Non ho difficoltà a scrivere ciò che dico di frequente, perché è proprio quello che succede: quando leggo sull’insegna di un negozio di alimentari che è il panificio o la macelleria o la drogheria di un qualche santo, penso subito, senza troppo timore di sbagliarmi, che lì il chilo pesa novecento grammi.
26a Figli miei, non sto diffamando, non carico le tinte, ma racconto parte di ciò che ho visto, perché mi sembra necessario, per evitare lo scandalo di chi non si scandalizza di coloro che sbandierano il cristianesimo o il cattolicesimo a vantaggio delle loro attività e ambizioni.
26b Ma lasciamo stare e riflettiamo bene sull’essenza del nostro lavoro professionale. Vi dirò che consiste in una sola intenzione: servire. Infatti, nel mondo odierno è chiara la missione sociale di qualsiasi professione: perfino la carità è diventata sociale, persino l’insegnamento.
26c Tutto ciò che significhi servire il prossimo è diventato una tecnica che lo Stato cerca di gestire. Pertanto, ognuno dei figli di Dio nella sua Opera deve soprannaturalizzare lo svolgimento del suo lavoro, del suo compito, servendo con autentico senso soprannaturale il prossimo, la Patria, Dio. Quando servite direttamente la Chiesa (non gli ecclesiastici), fatelo gratuitamente. Purtroppo ci sono molti laici che non lavorano per la Chiesa se non sono pagati. Ecco la consegna che vi lascio, quella che abbiamo ricevuto da Dio: non fatevi pagare quando servite la Chiesa; siate voi a pagare, pagare e pagare persino con la vita.
27a Abbiamo parlato di servire: il miglior servizio che possiamo prestare alla Chiesa e agli uomini è dare dottrina. Gran parte dei mali che affliggono il mondo è dovuta al deficit di dottrina cristiana, persino presso coloro che desiderano o sembra che desiderino seguire da vicino Gesù. C’è chi, infatti, anziché dispensare buona dottrina, si serve dell’ignoranza altrui per seminare confusione. Si finisce, addirittura, per negare l’esistenza della legge naturale impressa da Dio in ogni anima. Il mondo si riempie di indolenza religiosa che altro non è se non ignoranza o presunzione; non è il non serviam di Satana, ma piuttosto l’assoluta mancanza di luce.
27b Ci sono persone che si fanno passare per sapienti e affermano che la religione e la scienza sono antitetiche, che si è spalancato un abisso che sembra incolmabile: è il dominio del materialismo in tutte le sue forme. Ma è un abisso che sa colmare chiunque abbia vita di preghiera. Noi, figli di Dio nella sua Opera, dobbiamo fare in modo che venga meno tale opposizione, con la grazia del Signore e con lo studio, facendo l’apologia della Fede con la scienza profana insieme alla cultura teologica e all’esempio della nostra vita.
28a Tutto il nostro lavoro, pertanto, è una catechesi nella sostanza e nel metodo. Dobbiamo diffondere dottrina ovunque e, a tale scopo, adattarci alla mentalità dei nostri ascoltatori: dono delle lingue. Le nostre parole devono avere un contenuto concreto: e ora, fratelli – scrive san Paolo –, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue. In che cosa potrei esservi utile, se non vi comunicassi una rivelazione o una conoscenza o una profezia o un insegnamento?[39]. Bisogna dunque formarsi bene dal punto di vista dottrinale ed essere preparati per farci capire dagli altri, e questi sappiano poi esprimersi a loro volta.
28b San Paolo prosegue: se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlereste al vento! Il dono delle lingue richiede che comprendiamo gli altri. L’Apostolo aggiunge: chissà quante varietà di lingue vi sono nel mondo e nulla è senza un proprio linguaggio. Ma se non ne conosco il senso, per colui che mi parla sono uno straniero, e chi mi parla è uno straniero per me[40].
28c Non è sufficiente un insegnamento astratto, distante: vi dicevo poc’anzi che bisogna fare un’apologia della Fede piena di fervore, con l’insegnamento e con l’esempio di una vita coerente. Dobbiamo imitare nostro Signore, che faceva e insegnava, coepit facere et docere[41]: l’apostolato della dottrina è monco e incompleto se l’esempio non lo accompagna. C’è un proverbio con cui la sapienza popolare chiarisce molto bene quello che vi sto dicendo: frate esempio è il miglior predicatore.
29a Non ho mai creduto nella virtù dei cosiddetti santi laici. Si dice di loro che hanno una vita integerrima mentre si professano atei. Lo Spirito Santo, però, per bocca di san Paolo dice che le sue [di Dio] perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute[42]. Nel migliore dei casi, avranno adempiuto alcuni precetti della legge naturale – nemmeno tutti, dato che la legge naturale impone di riconoscere l’esistenza di Dio –, ma la loro vita non risplende, perché sono rimasti lontani dalla luce di Cristo, lux vera, quae illuminat omnem hominem, la luce vera, quella che illumina ogni uomo[43].
29b Dobbiamo quindi imitare Cristo – vi dicevo – per farlo conoscere con la nostra vita. Sappiamo che Egli si è fatto uomo per introdurre tutti gli uomini nella vita divina, affinché, uniti a Lui, vivessimo individualmente e collettivamente la vita di Dio. Sentite san Giovanni: non enim misit Deus Filium suum in mundum ut iudicet mundum, sed ut salvetur mundus per ipsum[44]; Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
30a L’esempio che dobbiamo dare per corredimere con Cristo, seguendo la chiamata ricevuta da Dio, richiede a voi e a me un impegno laicale e secolare. Per fare un lavoro di carattere specificamente ecclesiastico ci sono già i sacerdoti e i religiosi. Il nostro impegno deve svolgersi non nelle chiese, ma nel cuore della vita civile, nel mezzo della strada. Dobbiamo perciò renderci presenti, con l’esempio, con la dottrina e con le braccia aperte a tutti, in ogni attività degli uomini.
30b Mi rallegra che ci siano dei laici che mettono la loro vita al servizio della Chiesa, affiancando i sacerdoti nelle diverse associazioni di fedeli. Tuttavia, a noi il Signore chiede un apostolato capillare, che si propaghi in tutti gli ambienti. Non possiamo condurre una vita piatta, mediocre, di compromessi. Con questo non voglio dire che i fedeli che svolgono attività ecclesiastiche assieme ai sacerdoti abbiano una vita piatta, perché in modo diverso fanno anch’essi un gran bel lavoro.
31a Il nostro si svolge, ogni giorno, tra le centinaia di persone con le quali veniamo in contatto da quando ci svegliamo la mattina a quando termina la giornata: parenti, personale di servizio, colleghi, clienti, amici. In ciascuno dobbiamo riconoscere Cristo, vedere Gesù nostro fratello. Sarà facile, allora, prodigarci in servizi, cure e affetto, offrire pace e gioia.
31b Il nostro ideale, concretizzato in opere, avvicinerà molte anime alla Chiesa e molti giovani, molte persone mature e anziane verranno anch’esse, generosamente e coraggiosamente, a unirsi a noi gomito a gomito per servire Dio nella sua Opera.
32a Bisogna rompere il pregiudizio che i normali fedeli non possano far altro che limitarsi ad aiutare il clero negli apostolati ecclesiastici. Non c’è motivo per cui l’apostolato dei laici debba consistere sempre in una semplice partecipazione all’apostolato gerarchico. Come membri del popolo di Dio, compete loro, e in particolare ai figli di Dio nella sua Opera, destinatari di una chiamata divina, di fare apostolato. Non in virtù di una missione canonica, ma perché fanno parte della Chiesa. Tale missione – vi ripeto – la svolgono mediante la professione, l’occupazione abituale, la famiglia, i colleghi, gli amici[45].
32b Tuttavia, la maggior parte della gente non riesce a cogliere l’efficacia apostolica dei laici come comuni fedeli, quando si dedicano semplicemente al loro lavoro ordinario e così offrono un esempio di vita, approfittando di ogni occasione per diffondere l’insegnamento cristiano. Chi la pensa così ha una visione difettosa della realtà, tanto più nel nostro caso – aggiungo – perché riusciremo ad avere tutta l’efficacia che essi intravedono appena, per mezzo dell’abnegazione, della fedeltà alla chiamata divina ricevuta dal Signore: ecce ego, quia vocasti me[46].
33a Chi non percepisce l’importanza apostolica e soprannaturale dell’amicizia, si è dimenticato di Cristo: non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici[47]. E della sua amicizia con gli apostoli, con i discepoli, con la famiglia di Betania: Marta, Maria e Lazzaro. E della scena che precede la risurrezione di Lazzaro che ci narra san Giovanni, il lacrimatus est Iesus[48]; dimentica le parole piene di fiducia delle due sorelle quando vogliono avvisare Gesù della malattia di Lazzaro e gli mandano un messaggio: Signore, ecco, colui che tu ami è malato[49].
33b Nella Scrittura, figlie e figli della mia anima, ci sono moltissimi testi in cui si parla dell’amicizia, ma voglio segnalarvene uno solo della prima lettera di san Pietro. Al capitolo V, versetto 13, quando si riferisce a Marco, lo chiama Marcus filius meus.
33c Con l’amicizia leale e disinteressata l’apostolato dell’esempio diventa più efficace, quell’esempio che comunque bisogna dare sempre non solo agli amici, ma anche a quelli che non ci conoscono o addirittura ci sono ostili. Con l’esempio ognuno di voi diventa un altro Cristo, qui pertransiit benefaciendo et sanando omnes[50], il quale passò beneficando e risanando tutti.
34a L’esempio non si dà solo a base di buone parole, ma con i fatti. Chi volesse fare diversamente, merita di ascoltare e deve meditare questo passo della Scrittura: allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito»[51].
34b Parole e opere, fede e comportamento, in unità di vita, abbiamo già detto altrove. Il comportarsi altrimenti, fare le cose per vanità, per farsi vedere, dando spettacolo, ha meritato le seguenti parole di Gesù: omnia vero opera sua faciunt, ut videantur ab hominibus[52], tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente.
34c A che serve, fratelli miei – domanda Giacomo nella sua lettera – se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? E aggiunge: come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta[53].
34d È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro e ha detto e ha fatto e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù può avvertire anche il suo silenzio per essere perfetto, per compiere le cose di cui parla o di essere conosciuto per le cose che tace[54].
35a Figli miei, è vostro compito dare esempio in tutto, anche come cittadini. Dovete impegnarvi a compiere i vostri doveri ed esercitare i vostri diritti. In effetti, da cittadini cattolici sviluppiamo l’attività apostolica osservando le leggi civili con il massimo rispetto e la massima sottomissione e ci sforziamo di operare sempre nel loro contesto.
35b Grazie alla chiamata divina e alla formazione specifica possiamo essere sale della terra e luce del mondo[55], perché dobbiamo dare esempio con santa faccia tosta: vir quidem non debet velare caput suum quoniam imago et gloria Dei est[56]. Siamo immagine di Dio e pertanto risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli[57]. Tuttavia dobbiamo evitare l’ostentazione, e non fare come i venditori di dolciumi che mettono in mostra tutta la loro mercanzia per allettare, ma agire con naturalezza: se vedono, guardino pure.
36a Ricordatevi della domanda che san Pietro rivolse a Gesù dopo la spiegazione della parabola del padre di famiglia che vigila la propria casa. San Pietro chiese: Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti? Il Signore gli rispose: chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?[58].
36b Noi tutti che facciamo parte dell’Opera siamo dunque tenuti a distribuire a quelli che ci circondano il cibo della parola di Dio, della divina dottrina. Di conseguenza il premio promesso dal Maestro toccherà propriamente anche a noi: beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così[59]. Dobbiamo dispensare con criterio questo insegnamento, per mezzo dell’esempio, della parola e degli scritti, dell’amicizia ecc., in modo tale che chi tarda a comprendere non si allontani da Gesù.
36c Tenete presente quel che narra di Lui san Matteo: et sine parabolis non loquebatur eis[60], si adatta alla mentalità della gente. Ho detto che dobbiamo adattarci all’ambiente, ma non al clima mondano: il pericolo è di adattarsi per viltà, per comodità oppure, il che è triste, per soddisfare le proprie cattive tendenze, e così unirsi al gruppo della gente meschina. No! Non è questa la strada. Non si dica di noi: essi sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo[61], ma ciò che disse Gesù al Padre: come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo[62].
37a C’è un altro motivo che ci impone di dare buon esempio: non diffamare i nostri fratelli dell’Opera. Quel detto del tutto illogico, ab uno disce omnes[63], purtroppo diventa spesso il criterio comune di giudizio. Il nostro esempio dev’essere costante: tutto può essere occasione di apostolato e mezzo per dare dottrina, anche se abbiamo dei difetti.
37b Senza paura. E per non aver paura bisogna essere senza colpa. Se c’è qualche fragilità, vi raccomando di pronunciare le parole di Pietro a Gesù, che io ripeto sempre dopo ognuno dei miei errori: Domine tu omnia nosti: tu scis quia amo te[64]; Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene.
37c La consapevolezza dei nostri errori ci rende umili, ci fa avvicinare di più al Signore. Inoltre, dobbiamo tener presente che, fino a quando la provvidenza del Signore ci lascerà su questa terra, continueremo a sbagliare, a commettere errori. San Giacomo scrive che Elia era un peccatore come noi, e tuttavia pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto[65].
37d Il nostro operato, figli miei, è personale e responsabile. Dobbiamo impegnarci a dare buon esempio di fronte ai singoli e alla società, perché un cristiano non può essere individualista, non può disinteressarsi degli altri, vivere da egoista, voltare le spalle al mondo: è essenzialmente sociale, membro responsabile del Corpo Mistico di Cristo.
38a Con la dedizione al fine primario di dare dottrina, di cui vi ho parlato e che comprende tutti gli altri fini particolari, il nostro apostolato contribuirà alla pace, alla mutua collaborazione degli uomini, alla giustizia, a evitare le guerre, l’isolamento, l’egoismo nazionale e gli egoismi personali, perché tutti si renderanno conto di far parte della grande famiglia degli uomini, che per volere di Dio ha come meta la perfezione.
38b Contribuiremo così a eliminare l’angoscia, il timore di un futuro di rancori fratricidi e a consolidare nelle persone e nella società la pace e la concordia: la tolleranza, la comprensione, la relazione, l’amore.
39a Vi dirò con l’apostolo Giacomo: la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali?[66].
39b Ciò non vuol dire che non dobbiamo occuparci dei potenti: dobbiamo cercare di avere a che fare anche con le anime che influiscono di più sulle masse, sul popolo, a qualunque classe sociale appartengano: anche in questo non facciamo discriminazioni.
39c L’apostolato dell’esempio rispetta la libertà di tutti, ma fa sì che la gloria di Dio si manifesti e trasformi gli uomini, perché il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore[67].
40a Vi sto parlando, figlie e figli miei, della premura che ci sprona – caritas Christi urget nos[68] – ad aiutare Cristo nostro Signore nella sua missione divina di Redentore di tutte le anime, che è culminata con la morte di Gesù nella vergogna e nella gloria della Croce – iudaeis quidem scandalum, gentibus autem stultitiam[69]; scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani – e che proseguirà per volere di Dio fino alla venuta dell’ora del Signore.
40b È un dovere per tutti i cristiani e, a titolo specialissimo – la missione che abbiamo ricevuto –, è onus et honor, responsabilità e privilegio dei figli di Dio nella sua Opera. Il Signore ci chiede di portarlo a tutti gli uomini in cui ci imbattiamo nel nostro cammino con il nostro comportamento esemplare e con un perseverante apostolato dottrinale che dovete fare nel e dal vostro lavoro professionale, nella vostra condizione abituale.
40c Nell’apostolato dobbiamo evitare qualunque discriminazione, non possiamo escludere alcuna attività umana, perché ogni lavoro onesto, ogni occupazione decorosa sarà per noi motivo di santificazione e mezzo per un apostolato efficacissimo che ci consentirà di attrarre altre anime alla ricerca sincera e generosa della santità in mezzo al mondo.
40d È per questo che ho affermato e vi ripeto che dovete dare esempio, per essere testimoni di Cristo in tutti i campi dell’agire umano, dove porterete il buon seme che avete ricevuto e sarete seminatori di Dio, sale che darà sapore alle anime che non hanno ancora gustato o hanno dimenticato il gusto del messaggio evangelico, luce che illumini coloro che giacciono nelle tenebre dell’errore o dell’ignoranza.
40e Dovete essere presenti anche voi – ripeto – in tutti gli àmbiti del lavoro umano, con il meraviglioso spirito di servizio dei seguaci di Cristo che non è venuto per farsi servire, ma per servire[70], senza abbandonare imprudentemente, il che sarebbe un errore gravissimo, la vita pubblica delle nazioni, in cui opererete per quel che siete, normali cittadini dotati di libertà e di responsabilità personale.
41a La presenza leale e disinteressata nella vita pubblica offre immense possibilità di fare il bene, di servire: i cattolici non possono, voi non potete, figli miei, disertare, abbandonando il campo dell’impegno politico nelle mani di coloro che non conoscono o non rispettano la legge di Dio, o di chi mostra inimicizia per la sua Santa Chiesa.
41b La vita umana, delle persone e della società, entra inevitabilmente in contatto con la legge e con lo spirito di nostro Signore Gesù Cristo. Di conseguenza, i cristiani scoprono facilmente la correlazione tra l’apostolato e l’ordinamento della vita civile, cioè l’azione politica. Bisogna rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, ha detto Gesù[71].
41c Purtroppo capita spesso che non si segua questa indicazione così chiara e ci si confonda, cadendo in due estremi che sono ugualmente irragionevoli: il laicismo, che ignora i diritti legittimi della Chiesa; il clericalismo, che subordina i diritti, altrettanto legittimi, dello Stato. Figli miei, a contrastare questi due abusi devono esserci laici che si sentano e siano figli di Dio e cittadini delle due Città.
42a Politica, nel senso più nobile della parola, non è altro che mettersi al servizio del bene comune della Città terrena. Questo bene, tuttavia, ha un’enorme estensione e, di conseguenza, è nell’àmbito della politica che si dibattono e si emanano leggi importantissime, come quelle che riguardano il matrimonio, la famiglia, la scuola, il minimo necessario di proprietà privata, la dignità – diritti e doveri – della persona. Queste e altre sono tutte questioni di primario interesse per la religione e non possono lasciare indifferente, apatico, un apostolo.
42b L’Opera non ha alcuna opzione politica: non è il suo fine. La nostra unica finalità è spirituale, apostolica, e ha un sigillo divino: l’amore alla libertà che Cristo ha conquistato per noi morendo sulla Croce[72]. L’Opera di Dio non ha mai preso parte né mai parteciperà alla lotta politica dei partiti: non è soltanto apprezzabile bensì uno stretto dovere per la nostra Famiglia soprannaturale stare al di sopra delle contese effimere che avvelenano la vita politica, per la semplice ragione che l’Opera – torno ad affermare – non ha fini politici, ma apostolici.
42c Voi, però, figli miei, ognuno in modo indipendente dagli altri, non solo commettereste un errore, come vi ho appena detto, ma tradireste la causa di nostro Signore se lasciaste il campo libero per dirigere gli affari di Stato agli indegni, agli incapaci o ai nemici di Cristo e della sua Chiesa.
43a Non voglio dire con questo che tutti i non cristiani siano indegni o incapaci e neppure che dobbiate entrare tutti in politica. È sufficiente che molti di voi, la maggior parte, posseggano un criterio sicuro sulle questioni che riguardano la Chiesa, sappiano diffondere i sani princìpi, che non sono politici ma religiosi, tra amici e colleghi e, infine, assolvano lealmente i propri doveri civici quando il governo nazionale lo richieda.
43b Altri, invece, si sentiranno portati alla politica: non saranno politicanti da strapazzo, che vivono di soli espedienti e compromessi per assicurarsi un posto di cui campare nella vita pubblica nazionale, capaci di vendere la primogenitura per un piatto di lenticchie[73], bensì uomini che nutrono l’aspirazione di servire – non di dominare – i loro concittadini, nella vita politica o nelle organizzazioni sindacali, con la propria attività professionale.
43c A voi dico: se ne avete la vocazione, sentitevi liberi di fare politica, senza abdicare ai vostri diritti di cittadini, e cercate di santificarvi in tale attività servendo la Chiesa e la patria, promuovendo il bene comune come ritenete più opportuno, visto che non ci sono dogmi in materia temporale.
43d Agli altri: adempite sempre fedelmente i vostri doveri e pretendete il rispetto dei vostri diritti. E tutti quanti agite con libertà, perché il nocciolo della nostra peculiare chiamata divina consiste nel santificarci negli impegni ordinari seguendo i dettami della coscienza, sentendoci personalmente responsabili delle libere decisioni che mettiamo in atto nel rispetto della fede e della morale di Cristo.
44a Con libertà: perché siamo uniti soltanto da un legame spirituale. Siamo collegati gli uni agli altri e ciascuno con tutta l’Opera solo per ciò che riguarda la ricerca della santificazione nell’impegno, anch’esso spirituale, di portare la luce di Cristo ai vostri amici, alle vostre famiglie, a coloro che avete accanto.
44b Siete quindi cittadini che adempiono i propri obblighi ed esercitano i propri diritti, e che fanno parte dell’Opera solo per ricevere un aiuto spirituale per cercare la santità e svolgere il proprio apostolato con mezzi ascetici e modalità apostoliche specifiche. Il fine spirituale dell’Opera non fa distinzioni di razze o di origini etniche: vede solo anime e, con ciò, prescinde da ogni ideologia partitica o interesse politico.
44c In tutto quanto non ha a che vedere con lo spirito e l’apostolato dell’Opera vi uniscono soltanto gli obblighi relativi alla fede, alla morale, alla dottrina sociale che sono patrimonio spirituale della Chiesa Cattolica e, pertanto, di tutti i fedeli.
45a Le esigenze della dottrina e della vita cristiana che ci propone la Chiesa Cattolica e che vi spingono, figli miei, a servire al tempo stesso Dio e la patria, si concretizzano in alcune verità certe e indubitabili. Sono princìpi indiscutibili che costituiscono il denominatore comune – vinculum fidei – non vostro, esclusivo dei miei figli, ma di tutti i cattolici, di tutti i figli fedeli della Santa Madre Chiesa.
45b A tale proposito vi dirò che desidererei grandemente che nel catechismo della dottrina cristiana per i bambini fosse insegnato chiaramente quali sono questi punti fermi, su cui non si può cedere comunque si intervenga nella vita pubblica, e che nel contempo fosse sottolineato il dovere di intervenire, di non astenersi, di collaborare a servire lealmente e liberamente il bene comune. È un mio grande desiderio, perché ritengo che così i cattolici apprenderebbero queste verità sin da bambini e sarebbero poi in grado di metterle in pratica da adulti.
46a Ricorre spesso, infatti, anche tra cattolici che sembrano responsabili e osservanti, l’errore di pensare di dover adempiere soltanto i propri doveri famigliari e religiosi, senza preoccuparsi troppo dei doveri civici. Non è egoismo, ma solo mancanza di formazione, perché nessuno ha mai detto loro chiaramente che la virtù della pietà, parte potenziale della virtù cardinale della giustizia, e il senso di solidarietà cristiana si concretizzano anche nell’essere attenti a identificare e contribuire a risolvere i problemi che interessano l’intera comunità.
46b Non sarebbe certo ragionevole pretendere che ogni cittadino diventasse un professionista della politica, il che, d’altra parte, oggigiorno è materialmente impossibile anche nelle società più ristrette a causa della grande specializzazione e della totale dedizione che richiedono tutte le attività professionali, compresa la politica stessa.
46c Tuttavia, si può e si deve pretendere un minimo di conoscenza di come si concretizza il bene comune nella società in cui ciascuno vive in una certa epoca storica, e si può anche esigere un minimo di comprensione della tecnica, con tutti i suoi limiti, della pubblica amministrazione e del governo civile, perché senza tale comprensione non possono esserci una critica serena e costruttiva e opzioni sensate.
46d Pertanto, è opportuno che ci siano molteplici occasioni per acquisire un profondo senso sociale e uno spirito di cooperazione, in vista del bene comune. Vi ho parlato in concreto del catechismo, ma anche nel campo della pedagogia scolastica, della formazione umana, sarebbe bene che i maestri, senza imporre il proprio punto di vista in cose opinabili, insegnassero come si deve intervenire liberamente e responsabilmente nella vita pubblica.
47a Torniamo invece a parlare dell’Opera e di voi, figli miei. Sapete bene che anche a me, come a nostro Signore, piace ricorrere alle parabole, utilizzando quelle immagini relative alla pesca – barche e reti – che hanno un profondo sapore evangelico. Noi siamo come pesci presi in una rete. Il Signore ci ha pescato con la rete del suo amore tra le onde di questo nostro mondo turbolento, non però per tirarci fuori dal mondo, dal nostro ambiente e dal nostro lavoro ordinario, ma perché siamo al medesimo tempo del mondo e totalmente suoi. Non rogo ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo[74]; non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno.
47b Inoltre, questa rete, che ci unisce a Cristo e ci mantiene uniti tra di noi, è amplissima, ci lascia liberi e non ci sottrae la nostra responsabilità personale. La rete è il nostro piccolissimo denominatore comune di cristiani che vogliono servire Dio nella sua Opera; è la formazione cattolica che ci fa sottostare con assoluta fedeltà al Magistero della Chiesa.
47c Dal momento che siamo liberi come pesci nell’acqua e siamo presi nella rete di Cristo, non confondiamo la Chiesa con gli errori personali di alcuno e non tolleriamo che qualcuno confonda i nostri errori con la Chiesa. Non è giusto immischiare la Chiesa nella politica, nell’azione politica più o meno indovinata e sempre opinabile di chiunque: è molto comodo e molto ingiusto. Non è giusto nemmeno coinvolgere l’Opera negli errori o nei successi di uno qualunque di voi.
48a Se errori ci sono, sarà dovuto in parte al fatto che è quasi impossibile non commetterne, muovendosi in una realtà tanto complessa, dove nessuno può controllare tutte le possibili varianti. Ma anche quando si trattasse di errori dovuti a negligenza, a mancanza di prudenza ecc., che si sarebbero potuti evitare, nemmeno allora se ne dovrà attribuire la responsabilità alla Chiesa o all’Opera.
48b Quel che è sicuro è che se si fanno sbagli del genere, sarà sempre nonostante la Chiesa, nonostante l’Opera, che sollecitano tutti i loro figli a compiere con la maggior perfezione umana possibile, senza la quale non possono aspirare alla perfezione soprannaturale, tutti i propri doveri.
48c Per concludere, dovete essere attivamente, liberamente e responsabilmente presenti nella vita pubblica. Stiamo parlando del dovere di lavorare in questo àmbito come ciascuno meglio crede, a seconda delle circostanze e delle necessità di un Paese... Se ve ne parlo è perché ho il compito di segnalarvi un principio e lo faccio come sacerdote di Cristo e in quanto per voi sono Padre, consapevole di dover stare al di sopra delle parti e degli interessi particolari.
48d Non vi ho mai domandato e non vi domanderò mai, e lo stesso vale per i Direttori dell’Opera in tutto il mondo, che cosa pensa ciascuno di voi su questi temi, perché difendo la vostra legittima libertà. So che tra voi, figlie e figli miei, c’è una grande varietà di opinioni e non ho nulla in contrario. Le rispetto tutte e rispetterò sempre qualunque opzione temporale di ognuno dei miei figli, purché si tenga entro i limiti della Legge di Cristo.
49a Il mio pensiero riguardo a temi politici concreti non lo conoscete, perché non ne parlo e, quando nell’Opera ci saranno sacerdoti, seguiranno lo stesso criterio poiché la loro missione, come la mia, sarà esclusivamente spirituale.
49b D’altra parte, se anche foste a conoscenza delle mie opinioni, non avreste nessun obbligo di seguirle. Le mie e le vostre opinioni non sono dogmi, perché i dogmi li stabilisce il Magistero della Chiesa su ciò che attiene al deposito della fede. Saremmo incoerenti se non rispettassimo le opinioni diverse dalle nostre e lo sarebbero i miei figli se non esercitassero il diritto di manifestare i loro orientamenti politici su questioni di libera discussione.
49c Il perché ve l’ho già detto: se i cattolici responsabili, tutti d’accordo sul proprio denominatore comune e ciascuno con il proprio punto di vista sulle questioni opinabili, non intervenissero nelle faccende temporali, questo àmbito cadrebbe facilmente in mano a persone alle quali non interessano i princìpi del diritto naturale, il vero bene comune della società e i diritti della Chiesa e che non sono abituate a rispettare l’opinione contraria. Insomma, senza il rispetto dei princìpi intangibili e della legittima libertà di scegliere tra diverse opzioni possibili, alimentato dallo spirito cristiano, non possono esserci né pace, né libertà, né giustizia nella società.
50a Non parlo mai di questioni politiche contingenti e vi ho spiegato che mi comporto così perché ho una missione esclusivamente spirituale. C’è però anche un altro motivo: i Direttori dell’Opera non possono imporre ai propri fratelli criteri politici o professionali, ossia temporali.
50b Nella Chiesa, soltanto la Gerarchia ecclesiastica ordinaria ha il diritto e il dovere di dare orientamenti politici ai cattolici, di mostrare loro la necessità di adottare una determinata posizione sui problemi della vita pubblica, ammesso che lo ritenga davvero necessario.
50c Quando la Gerarchia fa questo genere di interventi non è mai questione di clericalismo. Ogni cattolico ben formato deve sapere che è parte della missione pastorale dell’episcopato dare orientamenti sulla vita pubblica quando lo richieda il bene della Chiesa. Sa anche che, per diritto divino, intervenire compete unicamente ai vescovi, perché solo a loro, in comunione con il Romano Pontefice, spetta la potestà di governo nella Chiesa. Spiritus Sanctus posuit episcopos regere Ecclesiam Dei[75], lo Spirito Santo ha costituito i vescovi come pastori della Chiesa di Dio.
51a Vedete, figli della mia anima, che enorme bisogno c’è di formare i cattolici per condurli all’unità nelle cose essenziali, lasciando, al tempo stesso, che usino della loro legittima libertà nelle faccende temporali, con carità e comprensione verso tutti. Libertà: basta dogmi in merito a questioni opinabili.
51b Non si accorda con la dignità e la stessa psicologia umana stabilire arbitrariamente delle verità assolute dove invece non c’è altra possibilità che valutare le cose dal proprio punto di vista, a seconda dei propri interessi e in base alla propria esperienza. Peraltro, un partito unico, conseguenza necessaria dell’opzione unica, non serve per guidare a lungo la vita pubblica di un Paese, perché finisce per deteriorarsi, perdere la simpatia e la fiducia della gente, anche quando in complesso abbia gestito bene le cose e non ci sia stata corruzione. Penso francamente che le cose stiano così, ma posso sbagliarmi: non sarebbe la prima volta.
52a Un’altra osservazione, figli, anche se forse è superflua perché, se avete il mio spirito, difficilmente vorrete comportarvi così nella vita pubblica. È la seguente: non vogliate essere cattolici ufficiali, cattolici che fanno della religione un trampolino, non per sollevarsi verso Dio, ma per scalare le posizioni che ambiscono e trarne vantaggi materiali: onori, ricchezze, potere. Di essi diceva spiritosamente una persona seria, forse esagerando, che hanno gli occhi rivolti al cielo e le mani in pasta[76].
52b Questi tali, che del titolo di cattolici fanno una professione, con il diritto di ammettervi alcuni e di escluderne altri, intendono negare il principio della responsabilità personale su cui si basa tutta la morale cristiana. Perché chi non può valersi della propria legittima libertà non ha diritto alla remunerazione delle sue buone azioni e non può essere punito per il male che compie o le sue omissioni.
52c Respingono il principio della responsabilità personale, vi dicevo, e pretendono che tutti i cattolici di un Paese facciano blocco, rinuncino a qualsiasi autonomia di pensiero in àmbito temporale, per appoggiare in massa un solo partito, un unico gruppo politico dominato da loro che, pertanto, è anch’esso ufficialmente cattolico.
53a Ma come riescono a ottenere che gli altri cittadini cattolici abdichino permanentemente ai loro diritti per sottomettersi a un monopolio ingiustificato? Ci riescono, spesso, mediante quello che chiamerei un inganno, anche se non voglio giudicare della loro buona fede. Imbrogliano i cattolici chiedendo loro questa inutile e assurda unità nelle cose opinabili, in nome della necessaria e logica unità su ciò che concerne la fede e la morale della Chiesa.
53b Riescono a sconcertare l’opinione pubblica, mediante campagne politiche ben organizzate, facendo credere che soltanto loro possono salvaguardare, tutelare la Chiesa nel momento concreto che sta attraversando il Paese. Talvolta arrivano a creare e poi a prolungare il massimo possibile una situazione artificiosa di pericolo, affinché i cittadini cattolici si convincano della necessità di sacrificare la loro libertà in materia temporale e sostengano il partito che ha assunto ufficialmente le difese della Chiesa.
53c Non stupitevi se a volte la frode è così sottile che nemmeno le stesse autorità ecclesiastiche se ne rendono conto e finiscono per dare un qualche appoggio al partito confessionale, rafforzandone così la caratteristica e la pretesa di imporsi alle coscienze dei fedeli.
54a Non intendo dire che tutti i partiti ufficialmente cattolici debbano basarsi su questo inganno: ce ne sono che svolgono una funzione di servizio autentico e di difesa degli interessi della Chiesa, assicurando unitarietà e forza ai cittadini cattolici. Mi sembra però quasi impossibile che un partito ufficialmente cattolico, pur nascendo per servire la Chiesa, non finisca per servirsi della Chiesa.
54b Infatti, la situazione eccezionale che ha reso necessaria una singolare unità politica dei cattolici, presto o tardi tende a normalizzarsi e, di conseguenza, viene meno la necessità e l’obbligatorietà del partito unico cattolico.
54c A questo punto, di solito, capita una cosa molto umana, ma altrettanto sgradevole: i cattolici ufficiali che dirigono il partito non sono disposti a perdere la loro condizione di privilegio e fanno di tutto per conservarla. Non è raro, a tale scopo, che arrivino a fare un ricatto morale: o rimangono al potere, con l’appoggio della Gerarchia, o crolla tutto, perché i nemici della Chiesa troveranno via libera.
54d Non hanno torto: con la loro politica esclusivista, tirannica, sono riusciti a paralizzare e a mettere fuori gioco tutti gli altri organismi e gruppi formati da cattolici e soltanto loro sono in grado di muoversi con una certa energia. Arriva il momento in cui la Chiesa si trova coinvolta, legata a filo doppio al destino del partito cattolico ufficiale.
55a Non stupitevi che una cosa del genere possa succedere. Pensate, figli miei, che il potere temporale finisce per deformare, col tempo, chi lo detiene e lo esercita. Non è affatto strano, pertanto, che un cattolico con poca formazione dottrinale e poca vita interiore provi la tentazione di fare qualunque cosa per conservare la posizione raggiunta nella vita pubblica e finisca per fare l’impossibile pur di restare al potere, anche scendendo a compromessi con la propria coscienza, deformandola.
55b Comprendiamo perfettamente che possa succedere quel che ho detto, ma non possiamo tollerare che succeda, perché così la Chiesa finisce prigioniera: la Gerarchia, legata al carro del partito ufficiale; i fedeli, impossibilitati a esercitare la loro legittima libertà.
55c Di fronte a ciò dobbiamo concludere, figli miei, che abbiamo il dovere di amare la libertà di tutti e di servire la Chiesa, evitando tutto ciò che possa significare servirsi della Chiesa per fini politici di parte. Possiamo servirci della Chiesa solo per trovare le fonti della grazia e della salvezza; il che comporta rinunciare ai propri interessi, sacrificarsi volentieri perché Cristo regni sulla terra, coltivare la purezza delle intenzioni. È con tale atteggiamento che i miei figli che si sentono portati per la politica dovrebbero affrontare questo nobile impegno: servire la patria, difendere le libertà degli uomini ed estendere il regno di Cristo.
55d Eviteranno quindi di essere cattolici ufficiali e si sforzeranno di lottare lealmente con le stesse armi degli altri, presentandosi per quel che sono: normali cittadini uguali agli altri, cattolici responsabili che custodiscono l’unità nell’essenziale con gli altri cattolici, ma non vogliono creare dogmi su cose accidentali, su materie opinabili dell’àmbito temporale.
56a Questo è il motivo chiaro ed evidente per cui tra i miei figli ci saranno sempre svariati modi di concepire quali siano gli strumenti più idonei, a seconda delle circostanze, per operare il bene comune della società in cui vivono, il che è logico e giusto.
56b Remeranno tutti nella stessa direzione, verso Dio, bene comune di tutti gli uomini, ma con diverse sensibilità e opinioni molto diverse o anche opposte in materia temporale. Così non comprometteranno né la Chiesa, né l’Opera.
56c Ciò nonostante, parecchie persone con cui ho parlato sembrano non voler comprendere queste idee così chiare. Portiamo pazienza, lasciamo passare il tempo, chiediamo a Dio che le illumini, e finiranno per capire.
57a Mi sono dilungato tanto sul tema della politica perché tocca ai miei figli, a voi, stabilire il regno di Cristo in tutti i campi dell’attività umana, in tutte le attività temporali. E anche perché quelli di voi che intervengono liberamente nella vita pubblica devono tener presenti i pericoli della politica[77].
57b Ho già accennato a tali rischi: vi ho parlato del pericolo che l’esercizio del potere finisca per deformare la coscienza, del rischio di non rispettare la giusta libertà altrui e di quello di compromettere la Chiesa o l’Opera. Ma ce ne sono tanti altri: l’ambizione, passioni come il nazionalismo o il partitismo, il pericolo di perdere la visione soprannaturale e dimenticarsi dell’azione divina nel mondo e nei cuori.
57c Qui vengono a proposito le parole della Sacra Scrittura: Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine[78]; senza, cioè, che l’uomo possa comprendere la meravigliosa sapienza che brilla e brillerà nelle opere del Creatore dal principio fino alla fine del mondo. Con le discussioni e le rivalità politiche l’uomo si dimentica facilmente che è il Signore che fa, che porta avanti tutto ciò che è buono, ed è lui che ci ha creati liberi.
58a Per evitare quel veleno, quei pericoli che, peraltro, non devono allontanare dall’impegno politico, che è sempre un lavoro professionale, chi di voi vi si sente chiamato, l’antidoto consiste nei mezzi ascetici di cui dispongono tutti i figli di Dio nella sua Opera per santificarsi in mezzo al mondo, per la strada: lo spirito di povertà, autentico distacco dai beni temporali, e lo spirito di umiltà, distacco dalla gloria umana, dal potere, che sono i frutti gustosi dell’anima contemplativa nell’agire professionale.
58b Voglio insistere, in particolare, sullo spirito di umiltà perché sapete – ve lo ripeto di continuo – che l’amor proprio e l’orgoglio sono molto più insidiosi e nocivi per l’anima della concupiscenza della carne e della concupiscenza degli occhi[79], che sono pericoli più facili da scoprire e da combattere. Per questo motivo chiedo ai miei figli di fare attenzione e di non lasciarsi sedurre dalla vanagloria, dai fumi della superbia, di cui è carica l’atmosfera della vita pubblica. Considerate ciò che ci dice san Paolo: nemo se seducat: si quis videtur inter vos sapiens esse in hoc saeculo, stultus fiat ut sit sapiens[80]. Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto davanti al mondo per diventare sapiente davanti a Dio.
59a Capiamoci: la vostra umiltà non dev’essere la stessa dei religiosi, chiamati dal Signore a fuggire dal mondo, a vivere il contemptus saeculi, il disprezzo delle realtà temporali, quantunque le realtà terrene di per sé stesse non dispiacciano a Dio. La vostra umiltà, figlie e figli della mia anima, sarà quella dei cristiani che devono amare il mondo, avere in grande stima le realtà temporali che Dio ha messo a disposizione dell’uomo per servirlo. La vostra umiltà dev’essere quella di anime chiamate a essere del mondo senza essere mondane, senza consentire che le cose della terra, strumenti di lavoro al servizio di Dio, occupino il cuore e impediscano il progresso spirituale che ha per fine la perfetta carità.
59b Il potere, il comando, l’autorità, con gli onori che accompagnano e sostengono tali funzioni sociali, in sé non sono un male, tantomeno per i laici che si devono santificare in questo ordine di cose. Sono realtà buone e positive, ordinate di per sé al bene dell’uomo e alla gloria di Dio. Non sono un male necessario o un male minore e, a parità di condizioni, non si può dire che sia più perfetto astenersene che utilizzarle.
60a L’insegnamento di san Paolo è chiarissimo: ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio... Essa è al servizio di Dio per il tuo bene... Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto[81]. Lo aveva già insegnato Gesù dicendo a Pilato: Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto[82].
60b Il potere, tuttavia, pur essendo necessario e buono, non per questo non è per l’uomo decaduto, pronus ad peccatum, incline al peccato, una ennesima occasione di attaccamento, di vanità, di presunzione, di oblio di Dio, come tante altre cose buone, che possono diventare cattive per la malizia degli uomini.
60c Pertanto, voi figlie e figli miei, se avete scelto liberamente quell’attività professionale, che fa parte della vostra vocazione divina, dovete essere vigilanti e purificare continuamente le vostre intenzioni, come tutti i comuni cristiani che devono santificarsi nella vita pubblica.
61a A questo punto, è molto opportuno che vi faccia presente una singolare manifestazione eroica della purezza nelle intenzioni, dell’autentica umiltà nel servizio di Dio, che si deve vivere sempre in Casa: mi riferisco alla disponibilità di tutti i miei figli a lasciare l’attività professionale più florida – può anche essere quella politica – per dedicarsi ad altre occupazioni professionali, esternamente meno brillanti, se lo richiede il bene dell’apostolato o se lo decide chi ha autorità nell’Opera[83].
61b Questa decisione stabile è una dimostrazione evidentissima di distacco, perché non ci importa lavorare in un posto o in un altro quando sappiamo che il nostro lavoro è un servizio a Dio e a tutte le anime: con questo spirito, i miei figli imparano a compiacere il Signore in tutto ciò che fanno e a evitare il contagio dell’ambizione smisurata di potere e di qualunque altra ambizione personale.
61c Dal momento che sanno cedere, rispettare le opinioni legittime altrui, comportarsi, in tutto e concretamente nella vita pubblica, con lo stile dei figli di Dio nell’Opera, non dimenticheranno che la loro missione è servire senza attendersi gratitudine o riconoscimenti dagli uomini, con l’unico desiderio di far cosa gradita a Gesù, cui servire regnare est[84]. In tal modo saranno certamente più efficaci e, soprattutto, si santificheranno in tutte le loro attività che, con la grazia di Dio, avranno trasformato in strumento di santificazione e di apostolato, con un vastissimo raggio d’azione.
62a Quando vi parlo di apostolato dell’esempio, di iniziativa libera e responsabile, di non essere mai cattolici ufficiali, qualcuno potrebbe pensare che per rendere più efficace la penetrazione apostolica in tutti gli ambienti, e per dare più facilmente l’esempio come cristiani, convenga mantenere il segreto sulla propria appartenenza all’Opera.
62b Credetemi, non è così. Sono assolutamente contrario alla segretezza, che spesso serve solo a compiere il male o ad annacquare la responsabilità. Approvo unicamente il segreto della confessione, e lo dico sempre a tutti coloro che talvolta si rivolgono a me con la pretesa di raccontarmi qualcosa in segreto.
62c Senz’altro, ora che siamo all’inizio di questo lavoro divino, della nostra Opera di Dio, è del tutto necessario non mettere in piazza imprudentemente il nostro cammino, perché non tutti sono in grado di comprendere questa novità. Ma questo atteggiamento temporaneo è la cosa più naturale: è il segreto della gestazione[85].
62d Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di essere protetti per un certo tempo, più o meno lungo, prima di venire alla luce; il loro primo sviluppo e la loro maturazione avvengono a determinate condizioni. Succede in natura per piante, animali e uomini. Pertanto è perfettamente naturale che facciamo altrettanto con l’Opera, organismo vivente che sta iniziando la sua attività. D’altra parte, più o meno tutte le istituzioni apostoliche sono cominciate così, senza dare spettacolo, senza far rumore. Purtroppo o per fortuna si capisce già che ci penseranno altri a far rumore sull’Opera di Dio.
63a Dobbiamo essere santamente impazienti di appiccare il fuoco divino che il Signore ha acceso nei nostri cuori a tutte le altre anime intorno a noi, giungendo fino a quelle più lontane. Tuttavia, finché non arriverà l’approvazione della Santa Chiesa, dovremo agire con prudenza, d’accordo con il Vescovo diocesano, come abbiamo sempre fatto, per informare positivamente la gente della realtà dell’Opera. Abbiate ben chiaro, tuttavia, che questo modo di procedere non significa affatto agire con segretezza: siamo sotto gli occhi di tutti e bisogna proprio essere ciechi e sordi per ignorare la nostra Opera.
63b Mi sembra di capire che alcuni, spinti dalla loro incapacità di comprendere – vedete bene che non giudico con severità –, vorrebbero che i miei figli, che si sono messi con ammirevole generosità al servizio di Dio, portassero sulla schiena un cartellone che più o meno dicesse: sappiate che sono un bravo ragazzo. Non si rendono conto che noi, che non siamo e non saremo mai dei religiosi, dal punto di vista giuridico, del diritto canonico, lavoriamo con senso soprannaturale al pari dei membri di un’associazione di fedeli.
63c A nessuno, per esempio, salta in testa di costringere un medico che sia terziario a mettere sul biglietto da visita: «Tizio o Caio, terziario francescano, dottore in Medicina». Il nostro modo di fare non può dunque essere definito segreto, perché non vogliamo dissimulare. Invece è solo naturalezza: non voler fingere quel che non siamo, perché siamo comuni cristiani, uguali a tutti i nostri concittadini.
64a Per essere efficaci, pertanto, dovete lavorare con naturalezza, senza dare spettacolo, senza voler richiamare l’attenzione, passando inavvertiti come un buon padre che educa cristianamente i suoi figli, un buon amico che dà un consiglio pieno di senso cristiano a un suo amico, un industriale o un commerciante che si preoccupa del bene spirituale e materiale dei suoi operai.
64b Dovete lavorare senza far rumore, ma senza misteri o confabulazioni, che abbiamo sempre evitato ed eviteremo, perché non ce n’è bisogno per servire Dio e d’altra parte ripugnano alla linearità della coscienza e della condotta. Silenziosamente: con un’umiltà personale così radicata che vi porterà necessariamente a vivere l’umiltà collettiva, a ricusare la stima e la considerazione che meritano l’Opera di Dio e la vita santa dei vostri fratelli.
64c Questa umiltà collettiva, eroica e che molta gente non capirà, farà passare inosservati i membri dell’Opera tra i loro pari, senza applausi per il buon seme che spargono, perché gli altri quasi non se ne accorgeranno e non riusciranno a capire del tutto di dove venga il bonus odor Christi[86] che deve sprigionarsi dalla vita dei miei figli.
65a Nella nostra vita di anime dedite a servire il Signore, devono trovare un posto importante queste sue parole: state attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli[87].
65b La virtù teologale della speranza ci fa talmente apprezzare il premio che ci ha promesso nostro Padre Dio, da non essere disposti a correre il rischio di perderlo per mancanza di umiltà collettiva; non vogliamo che, per aver cercato il plauso degli uomini, valgano per noi queste altre parole di Gesù: amen, dico vobis, quia receperunt mercedem suam[88]: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Che pessimo affare!
65c Non vogliamo essere lodati o celebrati: desideriamo lavorare in silenzio, umilmente, con gioia interiore – servite Domino in laetitia[89] –, con l’entusiasmo apostolico che non si debilita proprio perché non deborda nell’ostentazione, in espressioni esagerate. Vogliamo che in ogni professione, in ogni attività umana, ci siano gruppi scelti di uomini e di donne che, senza sventolare di bandiere e senza vistose etichette, vivano santamente e influiscano sui colleghi di lavoro e sulla società a vantaggio delle anime: è l’unica ambizione dell’Opera.
66a Vi dico sempre che ci sono alcuni che lavorano per tre e fanno il rumore di tremila: noi vogliamo lavorare per tremila e fare il rumore di tre. Non sto criticando nessuno; rispetto le opinioni contrarie riguardo alla nostra semplicità nel modo di fare apostolato. Sono però convinto che l’unità spirituale dei cristiani non ha continuamente bisogno di manifestazioni di massa e di azioni collettive rumorose. Non si crea l’unità con i congressi e con gli schiamazzi, ma con la carità e la verità.
66b Capirete allora che la discrezione e la riservatezza che vi raccomando, e che non hanno niente a che vedere con la segretezza, non sono altro che l’antidoto all’esibizionismo, la difesa di un’umiltà che Dio vuole che non sia solo individuale, ma anche collettiva, di tutta l’Opera. Inoltre, rendono più efficace l’apostolato del buon esempio che ognuno dà nel proprio ambiente famigliare, professionale e sociale.
66c Infatti, non possiamo dimenticare che Dio ci ha chiamati a fare di tutta la nostra vita apostolato. Ne consegue, come ne state facendo esperienza e sperimenteranno i vostri fratelli che verranno poi, il desiderio costante di entrare in relazione con tutti, di superare qualunque barriera nella carità di Cristo.
66d Da ciò nasce in noi la cristiana preoccupazione di far sparire ogni genere di intolleranza, di costrizione e di violenza nei rapporti tra gli uomini. Vogliamo che anche e soprattutto nell’azione apostolica non possa fare la sua comparsa la minima traccia di violenza. Dio vuol essere servito liberamente e dunque non sarebbe onesto un apostolato che non rispettasse la libertà delle coscienze[90].
67a Comprensione, quindi, anche se capita che alcuni non vogliano capire: l’amore per tutte le anime vi deve far voler bene a tutti gli uomini, scusare, perdonare. Deve essere un amore che copra tutte le imperfezioni dell’umana miseria. Dev’essere una carità sublime: veritatem facientes in caritate[91], agendo secondo verità nella carità.
67b Considerate che più che nel dare, la carità consiste nel comprendere[92]. Non vi nascondo che sto facendo esperienza diretta di quel che costa non essere compresi. Mi sono sempre sforzato di farmi capire, ma c’è gente che fa di tutto per non capirmi. Anche per questo io desidero comprendere tutti; anche voi dovete sforzarvi sempre di capire gli altri.
67c Tuttavia, non è una suggestione dettata dalle circostanze che ci spinge ad avere cuore grande, universale, cattolico. Questa maniera di comportarsi appartiene all’essenza dell’Opera, perché il Signore vuole che percorriamo tutte le strade del mondo seminando comprensione, indulgenza, perdono, carità, pace. Non ci sentiremo mai nemici di nessuno. L’Opera non farà mai discriminazioni, non vorrà mai escludere qualcuno dal suo apostolato, altrimenti tradirebbe il proprio fine, la ragione per cui Dio l’ha voluta sulla terra.
68a Non riesco a capire come si possa vivere secondo il cuore di Cristo e non sentirsi inviati, come Lui, peccatores salvos facere[93], per salvare tutti i peccatori. L’atteggiamento del cristiano, pertanto, non può divergere da ciò che raccomanda san Paolo: raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini... Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità[94].
68b Ancora san Paolo ci offre il suo esempio personale su come mettere in pratica questo insegnamento: mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno[95]. Figli miei, questo è lo spirito che vi ho insegnato a vivere, una dimostrazione molto concreta di diversità pratica, di spirito aperto, di disponibilità illimitata.
68c Questo insegnamento me l’ha dato Dio perché lo trasmetta a voi, e dovete metterlo in pratica sempre nel vostro lavoro e in tante attività che si svilupperanno con il tempo in tutto il mondo, per contribuire a promuovere la vera unità, i rapporti autentici tra gli uomini tutti.
69a A volte il panorama potrà sembrarvi scoraggiante, rendendovi conto dei limiti umani del vostro sforzo, davanti a un mondo che ignora la comprensione. Avete ragione: vi hanno detto che il mondo finisce sempre per dividersi in due e che una metà si dedica a parlar male dell’altra. Ma è proprio perché non mancano divisioni e incomprensioni che Dio ci vuole su tutti i cammini degli uomini per vivere noi la comprensione di Cristo e per insegnare a viverla.
69b Non pretendiamo di cambiare tutto in pochi giorni. Vi dirò, anzi, una cosa triste: forse noi cristiani non riusciremo mai a consolidare pienamente questo clima di unità sulla terra, il che non ci impedisce di puntare a questa meta: se saremo fedeli, docili alla grazia di Dio, arriveremo fin dove Dio vorrà, di certo molto più lontano di quanto possiamo mai sognare.
69c Se mi chiedete dei mezzi con cui conseguire questo fine di carità, vi risponderò che consistono nelle specifiche articolazioni del nostro apostolato, manifestazione naturale dello spirito soprannaturale dell’Opera. Anzitutto, come sapete, l’amicizia e la confidenza con giovani di tutte le classi sociali, che sono la speranza in fieri della realtà di domani.
69d Poi, la pratica ininterrotta delle virtù proprie di chi sa convivere offrendo a Dio, con gioia, senza farlo notare, le inevitabili frizioni con caratteri, mentalità, gusti diversi: cum omni humilitate et mansuetudine, cum patientia supportantes invicem in caritate[96]; con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore.
70a Non esagerate le difficoltà. Un’anima contemplativa è capace di vedere Gesù nelle persone che la circondano e non le è di peso sopportare tutti i fastidi della convivenza con gli uomini suoi fratelli. Anzi, sopportare le pare poco: ciò che desidera è edificare, imitare Cristo nella sua carità senza limiti, nella capacità di cedere e concedere in tutte le proprie cose se non comporta di offendere Dio.
70b Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi – vi dirò con san Paolo –. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo[97].
70c Vi ho anche insegnato, figlie e figli miei, una regola pratica, essenziale per poter convivere, per edificare gli altri nella carità: non discutere, non pretendere di convincere gli altri con la dialettica, poiché molti non riescono a cedere senza sentirsi umiliati se devono dare ragione all’avversario in una discussione.
70d Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni[98]. Si espone la verità serenamente, in modo positivo, senza far polemica, senza umiliare, lasciando sempre all’altro una scappatoia onorevole, perché non gli venga difficile riconoscere che si era sbagliato, che gli mancavano formazione o informazione. Talvolta, sarà un gesto di finissima carità lasciare all’altro la convinzione di essere arrivato per conto proprio a scoprire qualche verità nuova. Non discutete: piuttosto, fate studiare serenamente i problemi, offrendo del materiale scritto.
71a In cambio di questo atteggiamento generoso, non dubitate che il Signore concederà ai cristiani quel che chiedeva san Paolo: il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo[99].
71b Questa abnegazione, questa comprensione, questa carità, dimenticarci dei nostri diritti, ci fa cedere, fare concessioni su tutto ciò che ci appartiene, che è personale, arrivando fino al punto a cui giunse Cristo. Il Signore ci ha detto di imparare da lui: discite a me quia mitis sum et humilis corde[100]. Per essere mansueti, umili, santamente transigenti su tutto ciò che è nostro, ci basta contemplare Gesù che semetipsum exinanivit formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus; et habitu inventus ut homo[101]; che svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo.
71c L’annientamento di nostro Signore non ebbe limiti. La sua santa transigenza arrivò fino alla più ignominiosa delle morti: humiliavit semetipsum factus obœdiens usque ad mortem, mortem autem crucis[102]; umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte, e a una morte di croce. Lo fece per amore degli uomini, che chiama amici, anche quando non vogliono esserlo. Vos autem dixi amicos[103] dice ai discepoli che stanno per lasciarlo solo al momento della prova. Amice, ad quid venisti?[104], amico, per questo sei qui, dice addirittura a Giuda che è venuto a consegnarlo.
71d Per amore di tutti, degli amici che vogliono essere fedeli nonostante siano pieni di miserie e di coloro che non vogliono essere suoi amici, Gesù si lascia maltrattare, insultare, crocifiggere. Maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis[105]; nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
72a Tuttavia, Cristo non ci ha dato solo un esempio di santa transigenza, ma anche quello nettissimo di santa intransigenza nelle cose di Dio. Gesù, infatti, non transige con l’errore – i suoi durissimi rimproveri ai farisei! – e non tollera che si offenda impunemente il Creatore davanti a lui. Osservate la sua santa indignazione per gli abusi dei mercanti nel Tempio: entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri»[106].
72b Nemmeno noi possiamo accettare che Dio sia offeso lì dove stiamo, se possiamo evitarlo. Se necessario, dovremo anche servirci di una santa coazione, da esercitare con tutta la dolcezza possibile, rispettando poi sempre la legittima libertà delle coscienze. Ci muoveremo, cioè, in modo da lasciar chiaro che non agiamo per salvaguardare interessi personali, ma solo per amore di Dio – zelus domus tuae comedit me[107], lo zelo per la tua casa mi divorerà – e per amore degli uomini che vogliamo distogliere dall’errore per impedire che condannino stoltamente la propria anima.
73a A volte, figlie e figli miei, non potremo far altro che passare noi un brutto momento e farlo passare agli altri, per aiutarli a essere migliori. Non saremmo apostoli se non fossimo disposti ad accettare che interpretino male il nostro comportamento e reagiscano in modo sgradevole.
73b Dobbiamo convincerci che i santi – noi non ci crediamo santi, ma vogliamo esserlo – risultano per forza scomodi: uomini e donne – la mia santa Caterina da Siena! – che con il loro esempio e la loro parola costituiscono un motivo di sconcerto per le coscienze che sono scese a compromessi con il peccato.
73c Per chi non desidera avere una vita limpida, la delicatezza con cui custodiamo il cuore sarà necessariamente un rimprovero, uno sprone che non consente alle anime di lasciarsi andare o di addormentarsi. È bene che sia così: se un mio figlio non volesse che la gente intorno a lui abbia questo tipo di reazioni, se desiderasse fare il simpaticone in ogni occasione, non potrà evitare lui stesso di offendere Dio, perché diventerà complice dei disordini altrui. Vivete in modo da poter dire: inflammatum est cor meum, et renes mei commutati sunt: zelus domus tuae comedit me[108]; era amareggiato il mio cuore e i miei reni trafitti dal dolore, perché mi divora lo zelo per la tua casa.
74a Vi dicevo che il santo è scomodo. Non significa che debba essere insopportabile. Il suo non può essere mai uno zelo amaro, non deve ferire quando fa una correzione, il suo esempio non può essere uno schiaffo morale appioppato ai suoi amici. La carità di Cristo, la santa transigenza nei confronti delle persone, di cui vi parlavo, deve ingentilire tutto, cosicché non si possa mai dire di un mio figlio ciò che si può dire (e purtroppo è vero) di certe persone buone: per sopportare un santo ce ne vogliono due.
74b Dobbiamo fare tutto il contrario, perché non vogliamo che qualcuno si allontani da noi per non averlo saputo comprendere o trattare affettuosamente. Seguiamo il consiglio di san Paolo: se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti[109].
74c Ci sforziamo di vivere in pace anche quando gli altri non vogliono: benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite... Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini[110]. Non trattiamo mai qualcuno da nemico, perché non possiamo sentirci nemici di nessuno.
75a Meglio ancora, puntiamo proprio a diventare amici, a farci degli amici per renderli amici di Cristo. Il Signore vuole servirsi di noi, delle nostre relazioni con gli uomini, della capacità che ci ha dato di voler bene e di farci voler bene, per continuare a farsi degli amici sulla terra. Allo stesso modo si servì di Giovanni il Battista per trovare quell’altro Giovanni, che sarebbe diventato l’amico prediletto, colui che vediamo reclinato sul petto di Gesù nell’atmosfera di intimità della sera dell’Ultima Cena: erat ergo recumbens unus ex discipulis eius in sinu Iesu, quem diligebat Iesus[111].
75b Facciamoci degli amici tra tutti i nostri colleghi di lavoro, quelli del nostro ambiente, anche se sono lontani da Dio. Anzi, vi dirò che dobbiamo cercare di stare più vicini a questi ultimi, perché hanno più bisogno di noi. Siamo necessari anzitutto ai cristiani tiepidi, che non vivono d’accordo con la fede che professano. Andiamo loro incontro con tutta la nostra carità e la nostra comprensione, offrendo un’amicizia sincera, autentica, umana e soprannaturale.
75c Non tiratevi indietro per il pericolo del contagio. Grazie alla vita contemplativa, alla fedeltà al nostro spirito, alle Norme e alle consuetudini, siamo resi immuni dai loro errori e dai loro esempi, se non sono cristiani. Poiché li amiamo nel cuore di Cristo, c’è Gesù tra noi e loro e finiremo per annegare il male nell’abbondanza di bene.
76a Avete però bisogno di molta pazienza; dovete fare il fermo proposito di non scoraggiarvi, perché l’impresa non è facile. È un miracolo più grande, infatti, la conversione di un cattivo cristiano, cattolico o meno che sia, di quella di un pagano: i primi tendono a capire male, deformandolo, tutto ciò che diciamo loro di Gesù e dei suoi insegnamenti, perché non hanno davanti agli occhi Cristo, ma una sua caricatura.
76b Per affrontare questa difficoltà dobbiamo mettere costanza nella preghiera: per gli altri uomini «pregate senza interruzione». In loro vi è speranza di conversione perché trovino Dio. Lasciate che imparino dalle vostre opere... Alle loro bestemmie opponete le vostre preghiere; davanti al loro errore «siate saldi nella fede»; davanti alla loro ferocia siate pacifici... Nella bontà troviamoci loro fratelli, cercando di essere imitatori del Signore[112].
76c Vedete, figlie e figli della mia anima, qual è il motivo ultimo del nostro spirito aperto, del nostro desiderio di comprendere tutti: il desiderio di essere apostoli. Se evitassimo chi non conosce o non pratica la fede di Cristo, non gli daremmo la possibilità di osservare il nostro esempio, non gli potremmo offrire l’autentica immagine di Cristo riflessa nella nostra vita, pur tra tante miserie personali.
77a Dobbiamo arrivare con tutti, se serve, fino alle porte stesse dell’inferno: più in là no, perché non vi si può amare Cristo. Li attrarremo con l’amicizia leale, riceveremo in casa anche i più lontani. Fa parte del nostro apostolato ad fidem che a suo tempo, ne sono certo, riceverà l’approvazione ufficiale, consentire ai nostri amici acattolici di assistere agli atti di culto nei nostri oratori, senza agevolarli troppo, facendoglielo desiderare, in modo da enfatizzare la libertà di ciascuno, caratteristica importantissima delle nostre iniziative apostoliche.
77b Per facilitare questo lavoro, è più conforme al nostro spirito non mettere ai nostri Centri o alle nostre case nomi che risultino un po’ aggressivi o militareschi, che parlino di vittoria o di gloria: Deo omnis gloria! A Dio tutta la gloria! Anche se accetto di buon grado che altri pensino e facciano diversamente, tenete sempre presente che i figli di Dio, nella sua Opera, non hanno bisogno di violenze: ci sentiamo al riparo della Provvidenza divina e possiamo dire, dopo averne fatta tanta esperienza: in umbra manus suae protexit me[113], il Signore mi ha nascosto all’ombra della sua mano.
78a Finora, figlie e figli amatissimi, vi ho fatto riflettere su alcuni aspetti dell’apostolato che ognuno di voi, personalmente, è chiamato a fare nel proprio ambiente, nel compimento del lavoro ordinario che comportano la sua professione o i suoi incarichi. Ci sono, tuttavia, altri tipi di apostolato che i miei figli svilupperanno in tutto il mondo, come comuni cittadini che si associano con altri, nel rispetto delle leggi del Paese in cui operano.
78b Si assoceranno con altri cittadini, che non devono per forza essere cattolici, per svolgere insieme un’iniziativa professionale con una finalità eminentemente apostolica, cioè che serva a dare dottrina, come è nella natura del nostro apostolato, pur senza avere un carattere esclusivamente spirituale.
78c Potranno essere, per esempio, attività culturali, di beneficenza, iniziative editoriali, produzioni cinematografiche... Non devono essere iniziative ufficialmente cattoliche, con qualche eccezione, se parrà il caso. In generale, tuttavia, devono avere la stessa caratteristica dell’apostolato personale dei miei figli, come vi ho detto poc’anzi: si tratterà di lavoro professionale, secolare e laicale svolto da cittadini tra gente come loro. La questione non è chiamarsi cattolici, ma esserlo, sia che si agisca a titolo personale sia che si operi assieme ad altri.
79a Infine, dovrà esserci un altro genere di attività apostoliche di cui l’Opera assumerà ufficialmente la responsabilità. Dovranno essere sempre iniziative professionali dei miei figli, di carattere esclusivamente apostolico. E poiché le persone dell’Opus Dei le svolgeranno come membri di un corpo morale, le chiameremo opere corporative[114].
79b Potranno essere di tipi assai diversi, a seconda delle circostanze e delle necessità delle persone di ogni luogo e di ogni epoca: centri di formazione per ogni categoria sociale; case per ritiri spirituali e corsi di insegnamento religioso; residenze per studenti universitari; centri professionali e assistenziali per operai, contadini...
79c Le mie figlie e i miei figli che si occuperanno di queste iniziative apostoliche, dovranno dedicarvisi professionalmente, perché per tutti i membri dell’Opera senza eccezioni il lavoro professionale è l’unico mezzo per la santificazione propria e altrui. Il loro lavoro nelle opere corporative sarà la loro normale attività professionale, pur avendo una finalità immediatamente e totalmente apostolica. D’altra parte, sarà un lavoro uguale a quello che svolgono molti altri cittadini: maestri, medici, amministratori, direttori di residenze per studenti...
79d Se qualcuno dei miei figli deve lasciare il lavoro abituale per dedicarsi a ruoli di governo, di formazione o di collaborazione in qualche opera corporativa, nemmeno in questo caso smetterà di vivere la vita ordinaria dell’uomo della strada, e la nuova attività sarà sempre lavoro professionale. Infatti, è normale che ovunque molte persone cambino più o meno spesso di attività, per motivi familiari, economici, sociali... Ci sono professioni, come la politica, a cui si dedica normalmente chi ha già e continua ad avere un’altra attività.
80a Le case e i Centri che sono la sede materiale, il domicilio, delle opere corporative, di solito non ci apparterranno. Ci sono molti motivi che lo sconsigliano e poi non è possibile, perché siamo poveri: l’Opera è povera adesso, agli inizi, e lo sarà sempre, perché il Signore non cesserà mai di chiederci ulteriori attività apostoliche, altre iniziative, maggiori impieghi di denaro e di persone al suo servizio. Lavoreremo in edifici affittati, o di proprietà dello Stato, o di qualche società costituita da alcuni miei figli e da altri cittadini che desiderano aiutarci.
80b Dal momento che siamo poveri, le mie figlie e i miei figli dirigeranno queste iniziative con grandissimo senso di responsabilità, al cospetto di Dio. In qualunque circostanza non espressamente prevista dalle regole che sto fissando, li guiderà la formula, il criterio sicuro che mi avete sentito ripetere tanto spesso: fare ciò che farebbe, nella medesima situazione, il padre o la madre di una famiglia numerosa e povera.
80c Vi dicevo che le opere corporative escludono qualunque altro fine che non sia quello puramente spirituale e apostolico. Per questo motivo è possibile che l’Opera, il cui fine è esclusivamente soprannaturale, si faccia garante dell’insegnamento cattolico che vi si impartisce. Non diffonderanno una dottrina o delle opinioni corporative in materia temporale, perché tale dottrina, come vi ho detto mille volte, non esiste e non può esistere. Istituzionalmente non abbiamo alcuna opinione – ognuno individualmente avrà le proprie – ma solo convinzioni: l’insegnamento della Chiesa, che accettiamo senza riserve e che è la sola cosa che ci unisce.
81a In effetti, ci uniscono soltanto gli insegnamenti della Santa Chiesa di Dio, la chiamata divina e il desiderio di servirla come figli fedeli e grati. È questa la nostra ambizione soprannaturale, quanto più all’opposto possibile di qualsiasi ambizione umana, di qualunque pretesa di vantaggi personali. Non lavoriamo per arrivare alle vette del successo, ma per scomparire e, con il nostro sacrificio, mettere Cristo in cima a tutte le attività degli uomini.
81b Il nostro motto è quello stesso del Battista: illum oportet crescere, me autem minui[115], Lui deve crescere; io, invece, diminuire. La nostra più grande ambizione, la vera gloria dell’Opera, è vivere senza gloria umana, perché tutta la gloria sia per Dio, soli Deo honor et gloria[116].
81c Abbiamo già considerato l’esempio di Gesù. Torniamo a esaminarlo riprendendo un testo meraviglioso di san Paolo che vi ho già citato in un’altra occasione: abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi... Cristo infatti non cercò di piacere a sé stesso, ma come sta scritto: Gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me[117].
82a Non ci dedichiamo all’apostolato per ricevere applausi, ma per rischiare la faccia per la Chiesa quando essere cattolici è difficile; e per passare inavvertiti quando è di moda dichiararsi cattolici. Infatti, in molti ambienti essere seriamente cattolici, anche senza dirsi tali, è motivo sufficiente per ricevere ingiurie e attacchi di ogni tipo. È per questo motivo che a volte vi ho detto che ci ripugna vivere della nostra condizione di cattolici e vivremo, se sarà necessario, nonostante l’esser cattolici. Senza dimenticarci, aggiungo sempre, che ci ripugnerebbe ancor di più vivere del nome di cattolici.
82b Ambizione di servire: questa ambizione ha alcune manifestazioni pratiche molto chiare, che potremmo anche chiamare le nostre passioni dominanti, le nostre manie. La prima è voler essere l’ultimo in tutto e il primo nell’amore. Diciamo al Signore nella nostra meditazione: Gesù, che ti ami più di tutti! So bene di essere l’ultimo dei tuoi servitori, pieno di miserie: mi hai dovuto perdonare tante offese, tante negligenze! Però hai anche detto che colui al quale si perdona poco, ama poco[118].
82c Premura per le anime: abbiamo il desiderio veemente di essere corredentori con Cristo, di salvare con Lui tutte le anime, perché siamo, vogliamo essere ipse Christus, ed Egli dedit redemptionem semetipsum pro omnibus[119], ha dato sé stesso in riscatto per tutti. In unione con Cristo e con la sua Madre benedetta, che è anche nostra Madre, Refugium peccatorum; fedelmente uniti al Vicario di Cristo in terra, al dolce Cristo in terra[120], al Papa, nutriamo l’ambizione di far arrivare a tutti gli uomini i mezzi di salvezza della Chiesa, traducendo in realtà la giaculatoria che sto ripetendo dal giorno dei Santi Angeli Custodi 1928: omnes cum Petro ad Iesum per Mariam!
83a Non possiamo però aspirare a essere corredentori con Cristo, se non siamo disposti a riparare per i peccati, come ha fatto Lui. Guardate come san Paolo riferisce a Gesù le parole del Salmo XXXIX: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà»[121].
83b Vogliamo offrire la nostra vita, la nostra dedizione completa e generosa, in espiazione dei nostri peccati; dei peccati di tutti gli uomini, nostri fratelli; dei peccati commessi in ogni tempo e di quelli che saranno commessi fino alla fine dei secoli: anzitutto dai cattolici, gli eletti di Dio che non sanno essere all’altezza, che tradiscono la predilezione amorosa che il Signore ha avuto per loro.
83c Amare come chi più ama: guadagnare a Cristo tutte le anime; riparare abbondantemente alle offese al Sacratissimo Cuore di Gesù: queste le nostre ambizioni. Con una divinissima pazzia, con uno zelo che ci divora – zelus domus tuae comedit me[122] –, quale ambizione umana potrà contaminarci sul cammino della nostra vita? Nessuno di noi, se non smarrisce lo spirito dell’Opera, può pretendere di distinguersi, di ascendere nella scala sociale, di conseguire posizioni, onori, riconoscimenti se non suo malgrado e per servire Dio.
83d Se a muoverci fossero l’ambizione umana, il desiderio di soddisfare l’amor proprio – ci sarà senz’altro chi dirà falsamente che è quello che facciamo –, allora dovremmo rinunciare all’aspirazione di servire Dio: nemo potest duobus dominis servire[123], nessuno può servire due padroni: Cristo e la propria vanagloria.
83e Ricordo che, non appena ordinato, mi diedero questo bel consiglio: se vuole fare carriera, eviti accuratamente tutto ciò che significhi lavorare seriamente e, soprattutto, eviti di scrivere cose chiare. In quel momento, forse, non capii troppo bene, ma adesso mi rendo conto che dal punto di vista umano avevano ragione. Tuttavia, ringrazio il Signore mio Dio perché già allora mi fece comprendere che non dovevo dare loro retta: non mi è mai interessato far carriera, nonostante le mie mancanze e le mie miserie.
84a Mi fa un tale orrore tutto ciò che significa ambizione umana, anche quando non meriti alcun biasimo, che se Dio nella sua misericordia si è voluto servire per la fondazione dell’Opera di me, che sono solo un peccatore, è stato mio malgrado. Sapete che ho sempre avuto avversione per l’impegno profuso da alcuni nel fare nuove fondazioni, se non è basato su motivi soprannaturali che deve giudicare la Chiesa. Mi sembrava che di fondazioni e di fondatori ce ne fossero d’avanzo e continuo a pensare lo stesso: vedevo il pericolo di una sorta di psicosi da fondazione, che spingeva a creare cose inutili per motivi che mi parevano ridicoli. Pensavo, mancando forse alla carità, che in qualche occasione il motivo non aveva la minima importanza: l’essenziale era creare qualcosa di nuovo e avere il titolo di fondatore[124].
84b Così si moltiplicavano istituzioni che atomizzavano l’apostolato e mutavano spesso i loro scopi, con nomi e finalità che apparentemente nascevano dal desiderio di non essere secondi a Roma[125]. Considerando tali finalità concrete, irrisorie, a cui corrispondeva un abbigliamento stravagante e famiglie religiose uguali a molte altre già esistenti, che si differenziavano soltanto per il colore dell’abito, o del cordone o cintura, mi divertivo parecchio, confesso, e chiedo perdono a Dio nel caso l’avessi offeso, a dire tra me e me: Fondazione del Padre Tale, delle figlie di una qualche santa Emerenziana, per le nipoti con i capelli biondi di vedove strabiche. Non stupitevi se vi racconto che conosco istituzioni nate per redimere ragazze traviate, tanto per fare un esempio, che qualche anno dopo abbandonano l’attività per cui sono state fondate, non perché ci siano meno donne sbandate di prima, ma per comodità, per dedicarsi alle scuole a pagamento o ad attività simili.
84c In seguito, figli miei, pur non piacendomi fare commedie, ho avuto spesso la tentazione, il desiderio, di mettermi in ginocchio per chiedervi perdono, perché con la mia ripugnanza per le fondazioni feci tutta la resistenza possibile, nonostante avessi abbondanti motivi di certezza per fondare l’Opera. Mi valga come scusa davanti a Dio Nostro Signore il fatto reale che dal 2 ottobre 1928, pur travagliato interiormente, mi sono dato da fare per compiere la Santa Volontà di Dio, dando inizio al lavoro apostolico dell’Opera. Sono passati tre anni e adesso capisco che, probabilmente, il Signore ha voluto che soffrissi allora e che continui a provare oggi quell’assoluta ripugnanza, per avere sempre un’ulteriore prova esterna del fatto che tutto è suo e non c’è nulla di mio.
85a Questo è il mio spirito, figlie e figli miei, e dev’essere anche il vostro. Non siete venuti nell’Opera per cercare di ottenere qualcosa: siete venuti a darvi, a rinunciare per amore di Dio a qualsiasi ambizione personale. Tutti devono lasciare qualcosa se vogliono essere efficaci in Casa e lavorare come ci chiede Dio, come un asinello fedele, ut iumentum! L’unica ambizione dell’asinello fedele è servire, essere utile; l’unico premio che si aspetta è quello che gli ha promesso Dio: quia tu reddes unicuique iuxta opera sua[126], perché il Signore ripaga ogni uomo secondo le sue opere.
85b Figli della mia anima, siete qui, nell’Opera, perché il Signore vi ha messo in cuore il desiderio puro e generoso di servire; uno zelo autentico che vi fa essere disposti a qualunque sacrificio, lavorando silenziosamente per la Chiesa senza cercare alcuna ricompensa umana. Riempitevi di tali nobili ambizioni; rafforzate nel vostro cuore questa santa disposizione, perché il compito è immenso.
85c Dobbiamo chiedere a Dio, nostro Signore, di accrescere il nostro ardente desiderio di servire, perché messis quidem multa, operarii autem pauci[127], perché la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai: quello del lavoro apostolico è un mare senza sponde e nel mondo ci sono così poche anime disposte a servire! Pensate a quel che succederebbe se, pur essendo decisi a servire, non ci dessimo del tutto.
85d Figli miei, la nostra vita è breve, abbiamo poco tempo da vivere sulla terra ed è l’unico in cui possiamo prestare questo servizio a Dio. Dice il poeta: nasciamo al fulgore di un baleno, che ancora dura quando noi moriamo, tanto breve è la vita![128]. Meglio scrive il salmista: homo, sicut foenum dies eius, tamquam flos agri, sic efflorebit[129]; come l’erba sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo egli fiorisce al mattino e alla sera è appassito. San Paolo ci dice: tempus breve est[130], non ci avanza quasi più tempo!
86a Servire, pertanto, perché l’apostolato non è altro che questo. Da soli, non siamo in grado di far nulla di àmbito soprannaturale ma, come strumenti di Dio, possiamo tutto – omnia possum in eo, qui me confortat[131]: tutto posso in colui che mi dà la forza – perché Egli ha voluto, nella sua bontà, utilizzare questi strumenti inadeguati. L’apostolo, dunque, non ha altro scopo che lasciare agire il Signore, rendersi disponibile. affinché Dio compia, mediante le sue creature, per mezzo dell’anima che ha scelto, la sua opera di salvezza.
86b L’apostolo è il cristiano che si sente innestato in Cristo, immedesimato con Cristo mediante il Battesimo; abilitato a lottare per Cristo dalla Confermazione; chiamato a servire Dio con la sua azione nel mondo in forza della partecipazione alla funzione regale, profetica e sacerdotale di Cristo, che lo rende idoneo a guidare gli uomini a Dio, insegnare loro la verità del Vangelo e corredimerli con la sua preghiera e la sua espiazione.
86c Il cristiano disposto a servire è guida, maestro e sacerdote degli uomini suoi fratelli: dev’essere per loro un altro Cristo, alter Christus; o meglio ancora, come sono solito dirvi, ipse Christus. Vi ripeto però che il punto è di non lavorare per sé stessi, avere ambizioni personali, ma di mettersi al servizio di Cristo, affinché sia lui a operare, e anche di servire gli uomini, perché Cristo non è venuto per farsi servire, ma per servire: non venit ministrari, sed ministrare[132].
87a Servire tutti gli uomini: il nostro apostolato è rivolto a tutte le creature, di tutte le razze e di tutte le condizioni sociali. Proprio per arrivare a tutti, ci dedichiamo anzitutto, in ogni ambiente, agli intellettuali, perché se si desidera espandersi nella società è comunque necessario passare attraverso di loro. Infatti, sono gli intellettuali ad avere visione d’insieme, ad animare ogni movimento che voglia avere consistenza, a dare forma e organicità allo sviluppo culturale, tecnico e artistico della società umana.
87b Figlie e figli miei, vi ho ripetuto con insistenza che dobbiamo liberarci da ogni ambizione terrena e avere l’unica preoccupazione di servire, che vuol dire lavorare senza tregua. Siamo convinti che nulla abbia valore e consistenza, niente valga la pena a paragone della missione sublime di servire Cristo nostro Signore. Proprio perché abbiamo imparato a disprezzare il plauso degli uomini e ogni vanitoso proposito di metterci in mostra, dobbiamo aspirare con forza a salvaguardare il tesoro dell’umiltà in modo sempre più attento e delicato.
87c Infatti, siamo esposti a un pericolo molto sottile, a un’insidia quasi impercettibile del nemico che, quanto più ci vede efficaci, tanto più moltiplica i suoi sforzi per trarci in inganno. Figli miei, il sottile pericolo che normalmente incombe sulle anime che si dedicano a lavorare per il Signore è una specie di superbia occulta che nasce quando ci si rende conto di essere strumenti di realtà meravigliose, divine; un segreto compiacimento di sé stessi nel vedere i miracoli compiuti mediante il proprio apostolato: intelletti ciechi che recuperano la vista; volontà paralitiche che si rimettono in moto; cuori di pietra che diventano di carne, capaci di carità soprannaturale e di amore umano; coscienze piagate dalla lebbra, macchiate dal peccato, che vengono purificate; anime completamente morte, putrefatte – iam foetet, quatriduanus est enim[133] – che tornano alla vita soprannaturale.
88a E tanti ostacoli umani superati; tante incomprensioni cancellate; tanti ambienti conquistati: un’attività sempre più ampia e diversificata, sempre più efficace... Tutto ciò, figli miei, può diventare occasione di una potenziale ingiustificata soddisfazione di noi stessi. Dobbiamo fare attenzione che non succeda, dobbiamo avere molta finezza di coscienza e reagire immediatamente.
88b Non possiamo accogliere neppure per un istante alcun pensiero di superbia per qualsiasi servizio reso a Dio, perché in quello stesso istante cesseremmo di essere soprannaturalmente efficaci. Dio non vuole servitori vanagloriosi che si compiacciono di sé stessi; li vuole invece convinti della propria indegnità e santamente impegnati a non ostacolare l’opera della grazia: servite Domino in timore, et exsultate ei cum tremore; apprehendite disciplinam, nequando irascatur Dominus, et pereatis de via iusta[134] ; servite il Signore con timore – un timore che è l’amore del figlio che non vuole dispiacere a suo Padre – e rallegratevi in Lui con tremore – con amorosa commozione, traduco io –: perché non si adiri il Signore e perdiate la via, e perdiate il cammino.
88c Guardate come sant’Agostino commenta le parole della Scrittura: E non dice infatti: Non veniate alla giusta via, ma: e perché voi non vi perdiate dalla giusta via, volendo dimostrare solo questo: coloro che già camminano nella giusta via sono ammoniti a servire Dio nel timore, cioè a non inorgoglire, ma ad avere timore. Il che significa: non insuperbiscano, ma siano umili, per cui anche altrove dice: Non presumendo grandezze, ma piegandovi alle cose umili (Rm 12, 16). Esultino in Dio ma con tremore, senza gloriarsi in nulla, dato che nulla è nostro, cosicché chi si gloria si glori nel Signore (2 Cor 10, 17); e tutto perché non si perdano dalla giusta via nella quale già hanno cominciato a camminare, con l’attribuire a sé stessi appunto il fatto di trovarsi in essa[135].
89a Lo spettacolo dei miracoli che Dio fa attraverso di noi dev’essere un’occasione per umiliarci, per dare lode a Dio e riconoscere che tutto viene da Lui e noi non abbiamo fatto altro che disturbare o, al massimo, essere poveri strumenti nelle mani del Signore.
89b Dobbiamo pensare che ci sono molte altre anime che hanno lavorato meglio di chiunque di noi, che si sono sacrificate di più e che hanno pregato con maggiore perseveranza; ma che il Signore si è voluto servire più di voi e di me che di queste altre persone, perché si veda che è Lui a fare le cose, perché si noti che gli strumenti o non contano o contano molto poco.
89c Infatti, quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio[136].
90a Pertanto, figlie e figli miei, quando vi sembra di aver fatto molto al servizio del Signore, ripetete le parole che ci ha insegnato Lui: servi inutiles sumus; quod debuimus facere, fecimus[137]; siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.
90b La sintesi di ogni mia fine giornata, quando faccio l’esame di coscienza, è pauper servus et humilis. Questo quando non sono costretto a dire: Josemaría, Signore, non è contento di Josemaría. Tuttavia, giacché l’umiltà è verità, penso spesso, come capita anche a voi: Signore, ma se ho pensato solo a Te e, per Te, mi sono dedicato solo a lavorare per gli altri! Allora la nostra anima contemplativa esclama con l’Apostolo: vivo autem iam non ego: vivit vero in me Christus[138]; non vivo più io, ma Cristo vive in me.
90c Senza umiltà non potremo mai servire efficacemente, perché non sentiremo il bisogno di abbandonarci fiduciosamente all’azione della grazia, non sentiremo l’impulso continuo di ricorrere a Dio come nostra unica forza. Non otterremo dal Signore i favori che ci vuole riservare per la santificazione nostra e dei nostri compagni: quoniam excelsus Dominus, et humilia respicit[139].
90d Figli della mia anima, so che lotterete per essere umili e così sarete meravigliosamente efficaci, perché sarete docili strumenti nelle mani di Dio. Porterete in tutto il mondo il sale e la luce di Cristo, anzitutto con l’esempio della vostra vita: iniziamo, dunque, una vita nuova. Facciamo della terra cielo e così mostreremo a coloro che non credono di quali grandi beni essi sono privi. Quando infatti vedranno la nostra vita e la nostra comunità bella e armoniosa, essi avranno la visione stessa del regno dei cieli[140].
91a Termino questa lunga conversazione con voi. Le considerazioni che abbiamo fatto alla presenza di Dio ci sono servite per comprendere un po’ meglio la profondità, la bellezza e la vecchia novità della chiamata all’Opera. Dopo tanti secoli, il Signore vuole servirsi di noi perché tutti i cristiani scoprano, finalmente, il valore santificante della vita ordinaria, del lavoro professionale, e l’efficacia dell’apostolato della dottrina con l’esempio, l’amicizia e la confidenza.
91b Gesù, nostro Signore, vuole che oggi proclamiamo in tutto il mondo tale messaggio, vecchio e nuovo come il Vangelo, in mille lingue, e con il dono delle lingue, affinché tutti possano accoglierlo nella propria vita. Ci rallegra l’anima trovare tracce del medesimo messaggio nella predicazione dei Padri della Chiesa, perché è ulteriore prova, anche se non ne abbiamo bisogno, delle radici evangeliche del nostro cammino.
91c Vi ho citato ripetutamente il Crisostomo; ora ascoltatelo di nuovo: non vi proibisco di sposarvi, non vi ordino di abbandonare la città e di lasciare gli impegni politici e civili. No, rimanendo dove ora vivete e nelle funzioni attualmente esercitate, mettete in atto la virtù. A dire il vero io preferirei che per la perfezione della loro vita brillassero coloro che vivono nella città, piuttosto che quelli che si sono ritirati a vivere sulle montagne. Per quale motivo? Perché da questo fatto potrebbe derivare un grande vantaggio. «Nessuno», infatti, «accende una lampada per metterla sotto il moggio».
91d Per questo – continua –, io voglio che tutte le lampade siano sopra il candelabro, in modo che si diffonda una grande luce. Accendiamo, dunque, questo fuoco, e facciamo che quanti si trovano seduti nelle tenebre siano liberati dall’errore. E tu non venire a dirmi: Ho impegni, moglie e figli; devo occuparmi della casa, e non posso fare ciò che tu dici. Io ti assicuro che se tu fossi libero da tutti questi impegni, ma rimanessi nella stessa apatia in cui ora giaci, tutto ugualmente svanirebbe. Se al contrario, pur con tutti questi impegni, tu fossi pieno di fervore, riusciresti a praticare la virtù.
91e Una sola cosa è richiesta: la disposizione di un’anima generosa. Allora, né l’età, né la miseria, né la ricchezza, né la mole degli affari e delle preoccupazioni, né qualunque altra cosa vi impedirà di essere virtuosi. E in verità si sono visti vecchi e giovani, coniugati e padri di famiglia, operai, artigiani, professionisti e soldati che hanno messo in pratica i comandi di Dio.
91f Daniele, infatti, era giovane, Giuseppe era schiavo, Aquila esercitava un lavoro manuale, Lidia, venditrice di porpora, dirigeva un laboratorio, uno era carceriere, un altro era centurione, come Cornelio; uno era quasi sempre ammalato, come Timoteo, e un altro ancora era uno schiavo fuggiasco, come Onesimo. E tuttavia queste diverse condizioni non furono di ostacolo a nessuno di essi; anzi, tutti rifulsero per la santità della loro vita: uomini e donne, giovani e vecchi, schiavi e liberi, soldati e privati cittadini[141].
91g Com’era chiara, per chi sapeva interpretare il Vangelo, la chiamata generale alla santità nella vita ordinaria, nella professione, senza abbandonare il proprio ambiente! Tuttavia, per secoli la maggior parte dei cristiani non l’ha capita: non trovò spazio il fenomeno ascetico di una ricerca generalizzata della santità, senza dover lasciare il proprio posto nel mondo, santificando la professione e santificandosi nella professione. Ben presto, a forza di non viverlo, questo insegnamento fu dimenticato e la riflessione teologica fu assorbita dallo studio di altri fenomeni ascetici, che riflettono altri aspetti del Vangelo.
92a Suscitando in questi anni la sua Opera, il Signore ha voluto che non sia mai più ignorata o dimenticata la verità che tutti devono diventare santi e che alla maggior parte dei cristiani tocca diventarlo nel mondo, nel lavoro quotidiano. Pertanto, l’Opera esisterà finché ci saranno uomini sulla terra. Avverrà sempre che persone di ogni àmbito lavorativo ricerchino la santità nel proprio stato, professione o mestiere, e siano anime contemplative nel bel mezzo della strada.
92b Da ciò discende, figlie e figli miei, che l’Opera non avrà mai la necessità di adeguarsi al mondo, non ci si dovrà mai porre il problema di aggiornarsi. Dio ha aggiornato la sua Opera una volta per tutte, attribuendole le caratteristiche secolari, laicali, di cui vi ho parlato in questa lettera. Non ci sarà mai bisogno di adattarsi al mondo perché siamo del mondo. Non dovremo rincorrere il progresso umano, perché siamo noi, figli miei, siete voi assieme agli altri uomini che vivono nel mondo a forgiare il progresso con il vostro lavoro ordinario.
93a Siate fedeli, aiutatemi a esserlo e a saper attendere senza fretta, perché il Signore, che ha voluto la sua Opera, a suo tempo concretizzerà la modalità giuridica, che al momento non si riesce a individuare, con cui la Santa Chiesa possa riconoscere il nostro stile divino di servire nel mondo – nel bel mezzo della strada – limpido e cristallino, senza privilegi, salvaguardando l’essenza della nostra vocazione: senza bisogno di essere religiosi, dato che il Signore non vuole che lo siamo.
93b Pregate, pregate molto: non dimenticate che la preghiera è onnipotente. Ricordate che Gesù ha detto: quodcumque petieritis Patrem in nomine meo, hoc faciam[142]; qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò. E anche: qui coepit in vobis opus bonum, perficiet...[143]; colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento. Vi ho esposto motivi molto soprannaturali che mi spingono a pregare con fede e ad attendere, piuttosto che cercare adesso un’approvazione ufficiale della Chiesa che nasconderebbe, con grandissima probabilità, il pericolo di cominciare a snaturare la nostra vocazione divina, confondendola con la vocazione religiosa. Non può essere, perché devo risponderne al mio Signore Gesù ed è altrettanto sicuro che voi disertereste in massa, e fareste bene, rifiutando la violenza inferta alla vostra coscienza di figli di Dio nell’Opera di Dio.
93c Abbiate pertanto la certezza assoluta che l’Opera adempirà sempre con divina efficacia la sua missione, risponderà sempre al fine per il quale il Signore l’ha voluta in questo mondo; con la grazia divina, sarà in ogni tempo un meraviglioso strumento al servizio della gloria di Dio: sit gloria Domini in saeculum![144].
93d Vi benedice con grandissimo affetto vostro Padre.
93e Madrid, 9 gennaio 1932
[1] Ef 1, 10. La Neovulgata, che segue più da vicino l’originale greco, dice recapitulare omnia in Cristo, ovvero «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose».
[2] Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 16, 6 (SC 211, pp. 313-314).
[3] Gv 12, 32 (Vg).
[4] Si riferisce, usando la terza persona, a un evento della propria vita risalente al 7 agosto 1931. Fu una nuova illuminazione, ricevuta in quanto fondatore, sulla santificazione di tutte le realtà oneste, tra le quali spicca il lavoro. Cfr Andrés Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei (I), Leonardo International, Milano 2005, pp. 401-405.
[5] Sal 96, 1.
[6] Col 3, 17.
[7] 1 Cor 10, 31.
[8] Sal 100, 2.
[9] Mt 5, 48.
[10] San Giovanni Crisostomo, Adversus oppugnatores eorum qui ad monasticam vitam inducunt, 1, III, 14 (PG 47, col. 374).
[11] 2 Cor 9, 6.
[12] Mt 9, 35-38.
[13] Ap 3, 20.
[14] Mt 13, 44-46.
[15] Lc 12, 48.
[16] Mt 4, 19-20.
[17] Mt 8, 21-22.
[18] Lc 9, 61-62.
[19] Mt 4, 19.
[20] San Giovanni Crisostomo, In Genesim Homilia, 43, 1 (PG 54, col. 396).
[21] Mt 13, 47.
[22] Ger 23, 8: dalla terra del settentrione e da tutte le regioni dove li aveva dispersi.
[23] Ger 16, 16-17.
[24] 1 Tm 2, 4.
[25] 1 Cor 16, 24.
[26] S. Th., Suppl., q. 82, a. 3 ad 4.
[27] 1 Ts 2, 4.
[28] Sal 105, 4.
[29] Sal 86, 3-4.
[30] At 2, 18.
[31] Gal 4, 1-7.
[32] Cfr 1 Gv 2, 29.
[33] 1 Gv 3, 1-2.
[34] Eb 2, 10-13.
[35] Rm 8, 29: il primogenito tra molti fratelli.
[36] 1 Gv 3, 9-10.
[37] Gv 3, 16-17.
[38] È una citazione letterale del punto 573 di Cammino, che a sua volta riproduce una annotazione degli Appunti intimi del 31 ottobre 1933.
[39] 1 Cor 14, 6.
[40] 1 Cor 14, 9-11.
[41] At 1, 1.
[42] Rm 1, 20.
[43] Gv 1, 9.
[44] Gv 3, 17.
[45] Sin dalle origini dell’Opus Dei, l’Autore predicò che il cristiano comune è chiamato all’apostolato per vocazione, per «un mandato imperativo di Cristo» (cfr Cammino, n. 942; Istruzione, 19 marzo 1934, n. 27). Il magistero pontificio (specialmente quello di Pio XI e di Pio XII) trattando dell’Azione Cattolica aveva invitato i laici a partecipare all’apostolato gerarchico, in funzione di un mandato o missione canonica. Tale impostazione, nonostante i suoi limiti, significò, all’epoca, un grande progresso nel ruolo ecclesiale dei laici. San Josemaría, tuttavia, invita qui a superarla, perché i laici sono «membri del popolo di Dio», «parte della Chiesa». È l’insegnamento del Concilio Vaticano II, quando spiega che i laici svolgono il loro apostolato in quanto fanno parte della Chiesa, in virtù della vocazione battesimale. Su questo tema si veda Colloqui con Monsignor Escrivá, Ares, Milano 19875, n. 21, pp. 42-43.
[46] 1 Sam 3, 6: Mi hai chiamato, eccomi!
[47] Cfr Gv 15, 15.
[48] Gv 11, 35: Gesù scoppiò in pianto.
[49] Gv 11, 3.
[50] At 10, 38.
[51] Mt 23, 1-4.
[52] Mt 23, 5.
[53] Gc 2, 14.26.
[54] Sant’ Ignazio di Antiochia, Epistola ad Ephesios, XV, 1-2.
[55] Cfr Mt 5, 13-14.
[56] 1 Cor 11, 7: L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio.
[57] Mt 5, 16.
[58] Lc 12, 41-42.
[59] Lc 12, 43.
[60] Mt 13, 34: e non parlava a esse se non con parabole.
[61] 1 Gv 4, 5.
[62] Gv 17, 18.
[63] Da uno conoscili tutti. Frase di Virgilio (in Eneide, II, 65-66), divenuta proverbiale, che dallo spergiuro di Sinone trae motivo di riprovazione per tutti i Greci. Nella logica formale si denomina così il sofisma consistente nel dedurre, da alcuni particolari dell’esperienza, proposizioni universali.
[64] Gv 21, 17.
[65] Gc 5, 18.
[66] Gc 2, 1-6.
[67] 2 Cor 3, 17-18.
[68] Cfr 2 Cor 5, 14.
[69] 1 Cor 1, 23.
[70] Mt 20, 28.
[71] Cfr Mt 22, 21.
[72] Cfr Gal 5, 1 (Vg: 4, 31).
[73] Cfr Gn 25, 29-34.
[74] Gv 17, 15.
[75] At 20, 28.
[76] San Josemaría usa un’espressione colloquiale: «las manos donde caigan». Intende descrivere ironicamente un comportamento superficiale dal punto di vista etico.
[77] Per san Josemaría stabilire tale regno comporta che l’azione dei cattolici si svolga in una società che rispetta le libertà di tutti. Per molti anni, dalla metà del XIX secolo ai giorni nostri, furono sostenute interpretazioni molto diverse sul significato del regno di Cristo nell’ordine temporale, imperniate sull’appartenenza alla fede religiosa e sull’edificazione di un ordine cattolico impregnato di clericalismo, senza molto margine per la legittima autonomia delle realtà temporali. San Josemaría invita a superare tali posizioni.
[78] Qo 3, 11.
[79] 1 Gv 2, 16.
[80] 1 Cor 3, 18.
[81] Rm 13, 1-7.
[82] Gv 19, 11.
[83] Nell’Opus Dei i membri numerari sono disposti a cambiare luogo di residenza o di lavoro per poter seguire meglio le iniziative formative e apostoliche dove sia necessario. Come sappiamo, il testo prende origine da idee maturate negli anni Trenta, quando gli unici membri dell’Opus Dei erano un piccolo gruppo di numerari. Quando rivide questo testo, negli anni Sessanta, c’erano già migliaia di aggregati e di soprannumerari, uomini e donne, che possono assicurare meno facilmente o non hanno tale disponibilità, per motivi famigliari o d’altra natura. San Josemaría volle comunque scrivere «tutti», sebbene la realizzazione o meno di tale possibilità dipenda da circostanze oggettive e dalla libertà di ognuno, perché l’unica medesima vocazione si adatta alle più varie situazioni personali (cfr Codex Iuris Particularis Operis Dei, n. 7-11; versione italiana in www.opusdei.org).
[84] «Servire il quale è regnare». L’espressione latina compariva nel Postcommunio della Messa votiva per la pace del Messale Tridentino e nella Collecta della memoria di san Casimiro, rimasta tale nell’attuale Missale Romanum. Le traduzioni italiane differiscono da quella letterale pur mantenendone il senso.
[85] Per spiegare questa espressione riproduciamo una nota di san Josemaría del 29 maggio 1934, redatta nei suoi Appunti intimi (n. 1192), dopo aver appreso che lo si accusava di nascondere un’associazione clandestina: «Siamo clandestini? Assolutamente no. Che cosa direbbero di una donna incinta che volesse registrare all’anagrafe comunale o parrocchiale il figlio che deve ancora nascere..., o se tentasse di immatricolarlo in una Università? Signora – le direbbero –, aspetti che venga alla luce, che cresca e si sviluppi... Ebbene, nel seno della Chiesa Cattolica c’è un essere non ancora venuto alla luce, ma vitale e con una propria attività, come un bimbo nel seno della madre... Calma: arriverà il momento di registrarlo, di chiedere le opportune approvazioni».
[86] Cfr 2 Cor 2, 15: il profumo di Cristo.
[87] Mt 6, 1.
[88] Mt 6, 16.
[89] Sal 100, 2: servite il Signore nella gioia.
[90] San Josemaría ripropone la distinzione utilizzata da Pio XI nel 1931 (Lett. enc. Non abbiamo bisogno, 29 giugno 1931, III) tra libertà delle coscienze, «che sta a significare che a nessuno è lecito impedire che la creatura renda il culto a Dio», e libertà di coscienza, cioè la completa autonomia dalla legge divina, «nel senso di considerare moralmente valido che l’uomo respinga Dio» (Amici di Dio, n. 32).
[91] Cfr Ef 4, 15.
[92] La frase è, identica, in Cammino, n. 463. L’Autore aveva praticato eroicamente la carità del «dare» dedicandosi ai poveri, ai malati e ai bambini delle periferie di Madrid. Tuttavia, quell’esperienza sembra avergli fatto scoprire l’eccellenza di un altro genere di carità che consiste nella comprensione, nel perdono, nella ricerca della pace e della tolleranza, fino ad affermare, nel punto successivo, che «questa maniera di comportarsi appartiene all’essenza dell’Opera».
[93] 1 Tm 1, 15.
[94] 1 Tm 2, 1-4.
[95] 1 Cor 9, 22.
[96] Ef 4, 2.
[97] Rm 15, 1-2.
[98] Rm 14, 1.
[99] Rm 15, 5-6.
[100] Mt 11, 29.
[101] Fil 2, 7.
[102] Fil 2, 8.
[103] Gv 15, 15: ma vi ho chiamato amici.
[104] Mt 26, 50.
[105] Gv 15, 13.
[106] Lc 19, 45-46.
[107] Gv 2, 17.
[108] Sal 73, 21; 69, 10.
[109] Rm 12, 18.
[110] Rm 12, 14-17.
[111] Gv 13, 23: Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. La Neovulgata ha lo stesso testo latino, che descrive Giovanni chino sul petto di Gesù, ma la versione Cei 2008 semplifica giustamente, dato che l’apostolo si china sul petto di Gesù al versetto 25.
[112] Sant’Ignazio di Antiochia, Epistola ad Ephesios, X, 1-3 (SC 10, p. 67).
[113] Is 49, 2.
[114] Nella traduzione si è impiegata l’espressione italiana corpo morale, ormai desueta, per fare un calco più o meno coerente dello spagnolo. L’espressione opere corporative richiede una spiegazione per evitare malintesi dovuti alla connotazione negativa che in italiano hanno assunto i termini corporazione, corporativo e, soprattutto, corporativismo, anche per i noti motivi di carattere storico-politico.
[115] Gv 3, 30.
[116] 1 Tm 1, 17.
[117] Rm 15, 1-3.
[118] Lc 7, 47.
[119] 1 Tm 2, 6.
[120] San Josemaría mutua questa espressione da santa Caterina da Siena.
[121] Eb 10, 5-7. Cfr Sal 40 [39], 7-9.
[122] Gv 2, 17.
[123] Mt 6, 24.
[124] Il proliferare di fondazioni in uno stesso ambito geografico e in tempi molto ravvicinati fu un fenomeno caratteristico dell’epoca. Indubbiamente era segno di una rinascita della vita religiosa e una risposta a precise necessità del mondo moderno, secondo i carismi che lo Spirito Santo suscitava. È però anche vero che essere «fondatore» sembrava a volte un titolo di cui fare sfoggio nel proprio curriculum ecclesiastico. San Josemaría, che tanto amava la vita religiosa, non voleva essere quel genere di «fondatore» e perciò parla di «ripugnanza per le fondazioni» (84c) e tratta con ironia il moltiplicarsi senza necessità di alcune di esse.
[125] L’autore scrive cabeza de ratón, dal detto popolare más vale ser cabeza de ratón que cola de león. In italiano usiamo invece il detto attribuito da Plutarco a Giulio Cesare: Preferisco essere primo qui [in un villaggio della Gallia] che secondo a Roma.
[126] Sal 62, 13.
[127] Mt 9, 37.
[128] Gustavo Adolfo Bécquer, Rimas, n. 69 (nostra traduzione).
[129] Sal 103, 15.
[130] 1 Cor 7, 29.
[131] Fil 4, 13.
[132] Mt 20, 28.
[133] Gv 11, 39: manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni.
[134] Sal 2, 11-12.
[135] Sant’Agostino, De correptione et gratia liber unus, c. 9, 24.
[136] 1 Cor 1, 27-29.
[137] Lc 17, 10.
[138] Gal 2, 20.
[139] Sal 138, 6: perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile.
[140] San Giovanni Crisostomo, In Matthaeum Homilia, 43, 5 (PG 57, col. 463).
[141] S. Giovanni Crisostomo, In Matthaeum Homilia, 43, 5 (PG 57, col. 464).
[142] Gv 14, 13.
[143] Fil 1, 6.
[144] Sal 104, 31: Sia per sempre la gloria del Signore.