Lettera pastorale del prelato (10 febbraio 2024)

In questa nuova lettera pastorale il prelato dell'Opus Dei riflette sull'obbedienza, alla luce del messaggio e della realtà vocazionale dell'Opera.

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Carissimi,

Gesù protegga le mie figlie e i miei figli!

1. Qualche anno fa vi scrissi una lettera dedicata alla libertà. L’avremo tutti meditata e applicata alla vita quotidiana. Vi ricordavo che siamo chiamati a fare le cose per amore e non per puro obbligo. Vogliamo seguire il Signore da vicino, compiendo la sua volontà, per corrispondere al suo amore. Oggi vi scrivo a proposito dell’obbedienza che, a prima vista, può sembrare una virtù opposta alla libertà. Invece, sappiamo benissimo che la vera obbedienza è una conseguenza della libertà e che, contrariamente a quello che ci si aspetterebbe guardando le cose in un’ottica puramente umana, l’obbedienza cristiana fa crescere sempre più la libertà.

Qualche decennio fa, un grande intellettuale che ha studiato a fondo le opere di san Josemaría segnalava come importante contributo del nostro fondatore l’aver sottolineato una certa priorità della libertà sull’obbedienza nella vita cristiana[1]. Obbediamo perché ci va di compiere la volontà di Dio, che è il desiderio più profondo della nostra anima. Infatti, un’obbedienza senza libertà non è degna della persona umana e, di conseguenza, di un figlio o una figlia di Dio.

Sappiamo bene che l’amore è molto di più di un sentimento più o meno passeggero, perché amare significa essere disposti a dare la vita per qualcuno (cfr. Gv 15, 13). Una delle sue manifestazioni più profonde è quando la nostra volontà diventa una sola con quella della persona amata: «Voglio quel che vuoi, voglio perché vuoi, voglio come vuoi, voglio quando vuoi»[2].

2. Avremo considerato spesso, con una certa attenzione, i disegni amorevoli di Dio sul mondo: la creazione e l’elevazione all’ordine soprannaturale di ogni uomo e di ogni donna, per puro amore, per condividere con tutti la beatitudine della Trinità e per dar loro una pienezza di vita che colmi ogni desiderio del cuore. Tuttavia, sin dal principio anche il peccato fece la sua comparsa nel mondo: quello dei progenitori, che fu fondamentalmente una disobbedienza.

Dobbiamo, però, considerare anche, con animo grato, che Dio non volle abbandonarci al nostro destino. Con una decisione che proveniva dalla assoluta libertà del suo amore, che non possiamo comprendere perché supera la nostra povera ragione umana, mandò il Figlio Unigenito per ristabilirci nella sua amicizia. Quando Gesù muore sulla croce per tutta l’umanità – per te e per me – dà la vita in un atto di suprema obbedienza alla volontà del Padre. Libertà e obbedienza si intrecciano nella storia della salvezza. Le deplorevoli conseguenze della disobbedienza degli uomini sono redente dall’obbedienza di Cristo. La sua grazia ci consente di vivere nella libertà dei figli di Dio.

3. In queste pagine desidero invitarvi a meditare insieme alcuni aspetti della virtù dell’obbedienza, così centrale nei misteri della nostra fede e così presente nella vita di tutti. Tra gli uomini si deve obbedire in molteplici situazioni contemplate da leggi e norme obbligatorie: dalla legge naturale alle regole di convivenza civile, dall’obbedienza dei minorenni ai genitori, a quella di chi ha assunto volontariamente gravi impegni nei confronti di persone o istituzioni. Per analogia, si considera obbedienza anche seguire la voce della coscienza. In senso ancora più ampio, si può definire obbedienza accettare determinati consigli di natura spirituale.

Ci rendiamo conto facilmente, dal momento che vi siamo totalmente immersi, che di rado la cultura del nostro tempo considera positivamente l’obbedienza. La vede, piuttosto, come un’esigenza, talvolta ineludibile, alla quale però sottrarsi ogni volta che è possibile, dal momento che sembra in contrasto con il sommo valore della libertà. A ciò si somma una crisi alquanto diffusa delle figure di autorità e la concezione negativa della dipendenza come inevitabile menomazione della capacità di discernere e decidere autonomamente. La maggior sensibilità della nostra epoca nei riguardi di qualunque genere di abuso di potere, per esempio, pur essendo di per sé molto positiva e necessaria, può far mettere ingiustamente in discussione qualsiasi autorità. D’altra parte, esiste una tendenza innata alla disobbedienza, eredità del peccato originale, quando «l’uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore (cfr. Gn 3, 1-11) e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio»[3].

Per comprendere il valore superiore dell’obbedienza e il suo nesso esistenziale con la libertà, dobbiamo situarci al di sopra delle congiunture sociali che richiedono necessariamente l’obbedienza e contemplare Cristo. Questo ulteriore aspetto della sua centralità deve diventare l’obiettivo della nostra vita: farlo regnare nei nostri cuori e permettergli di dirigere tutta la nostra esistenza.

«Impariamo da Gesù a vivere l’obbedienza. Lui stesso ha suggerito all’evangelista la meravigliosa biografia che il latino esprime in tre sole parole: erat subditus illis (Lc 2, 51). Pensate quanto è necessaria l’obbedienza per un figlio di Dio, se Dio stesso è venuto a obbedire a due creature, perfettissime ma creature: Santa Maria (più di Lei solo Dio) e San Giuseppe! E Gesù obbedì loro»[4]. Il Figlio di Dio volle essere interamente uomo e, come ogni buon figlio, obbedire a Maria e a Giuseppe, perché in tal modo obbediva al Padre. L’obbedienza segnò tutta la sua vita terrena, fino all’obbedienza della croce (cfr. Fil 2, 8).

Obbedire a Dio

4. In senso assoluto, solo Dio merita obbedienza, sempre e comunque, perché è il solo a conoscere fino in fondo il cammino che conduce ognuno di noi alla felicità. «Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore, tuo Dio, preoccupandoti di mettere in pratica tutti i suoi comandi che io ti prescrivo, il Signore, tuo Dio, ti metterà al di sopra di tutte le nazioni della terra» (Dt 28, 1), afferma Mosè, prima di elencare tutte le benedizioni che l’obbedienza avrebbe procurato al popolo.

In certo modo tutta la Rivelazione è una scuola dove imparare a obbedire nel modo più intelligente e più libero, per realizzare pienamente noi stessi quando uniamo la nostra volontà a quella di Dio in un senza riserve. In effetti, mediante i profeti e nonostante i molteplici tradimenti del suo popolo, il Signore continua a proclamare: «Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici» (Ger 7, 23). I nostri minuscoli obiettivi diventano grandi quando entrano a far parte dei suoi piani; non abbiamo mai altrettanto successo di quando percorriamo le vie di Dio.

Gesù ci si presenta come figlio obbediente. In primo luogo obbedisce a Maria e a Giuseppe, a parenti e autorità, ma, soprattutto, obbedisce a Dio Padre. Gesù si nutre dell’obbedienza al Padre: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4, 34). Persino nei momenti più difficili, il Figlio fa propria la volontà del Padre, pur avendo piena consapevolezza del dolore che lo aspetta: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42). San Paolo scrive che Gesù «svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2, 7-8).

Tuttavia, non è la morte di Cristo che di per sé ci è valsa la salvezza, quanto piuttosto la sua obbedienza al Padre, libera e frutto d’amore, in virtù della quale si è fatto uno di noi e ha dato la vita per tutti: «Per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5, 19). Un’obbedienza che non si limita a momenti o sollecitazioni particolari ma è un modus operandi permanente, una docilità «fino alla fine» (Gv 13, 1).

5. All’autorità nazional-religiosa che gli proibisce di predicare, san Pietro risponde: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5, 29). Tuttavia, osserva Benedetto XVI, «ciò suppone che conosciamo veramente Dio e che vogliamo veramente obbedire a Lui. Dio non è un pretesto per la propria volontà, ma è realmente Lui che ci chiama e ci invita, se fosse necessario, anche al martirio. Perciò, confrontàti con questa parola che inizia una nuova storia di libertà nel mondo, preghiamo soprattutto di conoscere Dio, di conoscere umilmente e veramente Dio e, conoscendo Dio, di imparare la vera obbedienza che è il fondamento della libertà umana»[5].

Chi conosce Dio assumerà un atteggiamento di ricerca permanente con grande speranza e fiducia: da Lui possiamo attenderci solo benedizioni, anche se dovessero sembrare oscure o incomprensibili e farci soffrire. Anche la preghiera personale assumerà perciò una dimensione obbedienziale: «Signore nostro, siamo qua, disposti ad ascoltare ciò che vuoi dirci. Parlaci; siamo attenti alla tua voce. Fa’ che la tua parola, cadendo nella nostra anima, infiammi la nostra volontà perché si lanci fervidamente a obbedirti»[6].

Volontà divina e mediazione umana

6. Spesso, ciò che Dio vuole per noi si presenta attraverso una mediazione. Anzitutto quella della Chiesa, corpo mistico di Cristo: «L’obbedienza è la scelta fondamentale di accogliere chi è posto davanti a noi come segno concreto di quel sacramento universale di salvezza che è la Chiesa»[7]. Dio può farci vedere la sua volontà anche mediante chi ci sta intorno e rivesta una qualche autorità, a seconda del ruolo e del contesto. La consapevolezza che Dio ci può parlare attraverso altre persone o eventi più o meno ordinari e la convinzione che lì davvero possiamo ascoltarlo, suscitano in noi la docilità verso i suoi piani, anche quelli nascosti nelle parole di chi ci accompagna nel cammino.

San Josemaría, consapevole della delicatezza di questa mediazione (ascoltare Dio attraverso uomini e donne normali) suggeriva di tenere un atteggiamento di umiltà, di sincerità e di silenzio interiore: «Sovente il Signore suggerisce la sua volontà sottovoce, nell’intimo della coscienza: per riconoscere tale voce e seguirla fedelmente, è necessario ascoltare con attenzione. In molte altre occasioni il Signore ci parla per mezzo di altri uomini, e può capitare che la vista dei loro difetti o il dubbio sulla loro idoneità a comprendere tutti i dati di una situazione concreta siano come un invito a non obbedire. Tutto ciò può avere un senso divino, perché Dio non impone un’obbedienza cieca, ma un’obbedienza intelligente, che ci faccia sentire la responsabilità personale di aiutare gli altri con i lumi del nostro intelletto. Cerchiamo però di essere sinceri con noi stessi: esaminiamo, caso per caso, se a muoverci è l’amore alla verità, o non piuttosto l’egoismo e l’attaccamento al nostro criterio»[8].

7. D’altra parte, va tenuto presente che chi è stato chiamato a ricoprire ruoli di autorità a diversi livelli non per questo è perfetto. Non riconosciamo l’autorità in base alle qualità che possiede: «Che peccato se colui che presiede non ti dà l’esempio! … —Ma gli obbedisci forse per le sue qualità personali? … Oppure, l’”oboedite praepositis vestris” —obbedite ai vostri superiori— di San Paolo, lo traduci, per comodità personale, con una tua interpolazione che venga a significare… purché il superiore abbia virtù di mio gusto?»[9].

Ciò non significa, però, che coloro che ci danno indicazioni e consigli non possano sbagliarsi. Ne sono ben consapevoli ed eventualmente chiederanno scusa. La possibilità di sbagliare, a seconda del tipo di errore e della sua entità, la possiamo gestire con intelligenza e sincerità, in un contesto di fede e di fiducia soprannaturali, ma anche con umiltà. Infatti, è ragionevole dubitare al meno un po’ del proprio criterio e dialogare fiduciosamente con l’autorità quando ci sembra che sia stato commesso uno sbaglio.

San Tommaso spiega che l’obbedienza è la virtù che induce a ottemperare al comando legittimo del superiore in quanto manifestazione della volontà di Dio[10]. Naturalmente, non ogni comando legittimo è necessariamente il migliore possibile. Ciò nonostante, obbedire è sempre fecondo, perché il Signore può riconoscere più valore soprannaturale all’umiltà e all’unità che al fatto di avere più o meno ragione. Pertanto, è importante avere «visione soprannaturale», non fermarsi alla valutazione puramente umana delle indicazioni ricevute.

Ad ogni modo, chi esercita l’autorità deve fare molta attenzione a non imporre arbitrariamente il proprio criterio e a evitare di dare indicazioni e consigli come se fossero di per sé espressione della volontà di Dio. Come vi scrivevo nella lettera del 9-I-2018, «Comandare rispettando le anime vuol dire, in primo luogo, rispettare delicatamente l’interiorità delle coscienze, senza confondere il governo con l’accompagnamento spirituale. Il rispetto, poi, porta a distinguere i precetti da quelli che sono soltanto utili esortazioni, consigli o suggerimenti. In terzo luogo – ma non per questo meno importante – significa governare con tale fiducia negli altri che si tiene sempre presente, nella misura del possibile, il parere degli interessati» (n. 13).

Contempliamo, soprattutto, l’esempio di Cristo: «Gesù obbedisce, e obbedisce a Giuseppe e a Maria. Dio è venuto sulla terra per obbedire, e obbedire a delle creature»[11]. È assai significativo che dopo aver riferito la sua risposta ai genitori nel tempio – «io devo occuparmi delle cose del Padre mio» – san Luca aggiunga che Gesù «erat subditus illis, stava loro sottomesso» (cfr. Lc 2, 49-51). Compiere sempre e in tutto la volontà di Dio, come dobbiamo fare, consiste spesso nel seguire fiduciosamente qualcuno.

Obbedienza e libertà

8. Nella storia dell’umanità non c’è stato un atto tanto profondamente libero quanto il sacrificio del Signore sulla croce (cfr. Gv 10, 17-18). «Il culmine della sua libertà il Signore l’ha vissuto sulla croce, come vertice dell’amore. Quando sul Calvario gli gridavano: “Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!”, egli dimostrò la sua libertà di Figlio proprio rimanendo su quel patibolo per compiere fino in fondo la volontà misericordiosa del Padre»[12].

La croce, scriveva san Josemaría, «non è la pena, né il dispiacere, né l’amarezza… È il legno santo su cui Gesù Cristo trionfa… e su cui trionfiamo noi quando riceviamo con gioia e con generosità ciò che Egli ci manda»[13]. La croce ci rende evidente, come scrivevo all’inizio di questa lettera, che libertà e obbedienza non si oppongono: infatti, si può obbedire per amore e si può amare solo se si è liberi. Per dirla più chiaramente, l’obbedienza cristiana non solo non è in contrasto con la libertà ma ne è l’esercizio. Nostro Padre scriveva anche: «Sono un grande amico della libertà, e proprio per questo amo tanto la virtù cristiana dell’obbedienza»[14].

Si può sempre fare quello che si deve «perché mi va»: per amore. Quando poi si tratta dell’amore di Dio, il «perché mi va» è «la ragione più soprannaturale», come pure assicurava san Josemaría. Pertanto, niente è «più falso che opporre la libertà al dono di sé, perché tale dono è conseguenza della libertà»[15].

9. «Ama e fa’ ciò che vuoi»[16]: la celebre affermazione di sant’Agostino significa, come scrisse egli stesso, che chi opera il bene spinto dalla carità non lo fa soltanto per necessità o per obbligo, poiché «c’è la libertà della carità» (libertas est caritatis)[17]. Si comprende allora perché la legge di Cristo è «la legge perfetta […] della libertà» (Gc 1, 25): si riassume tutta, si «ricapitola» nell’amore (cfr. Rm 13, 8-9).

Possiamo sempre operare liberamente, come Cristo, facendo nostro, per amore, ciò che ci dicono. «Per obbedire bisogna ascoltare, perché non siamo strumenti inerti e passivi, senza responsabilità e privi di ragione. Poi, con originalità, iniziativa e spontaneità, mettere in gioco tutte le risorse dell’intelligenza e della volontà per realizzare tutto e soltanto ciò che ci è stato chiesto di fare. Altrimenti si cade nell’anarchia. Nell’Opera, l’obbedienza favorisce lo sviluppo di tutte le qualità di ognuno di voi e vi fa vivere, crescere e diventare sempre più maturi, rimanendo la stessa persona a due anni e a ottantadue»[18]. L’iniziativa, logicamente, non esiste solo per le occasioni in cui si deve obbedire e, in qualsiasi momento, possiamo suggerire, proporre e dare un apporto creativo lì dove siamo, senza bisogno di ricevere indicazioni, sempre uniti a chi detiene l’autorità.

San Basilio Magno spiegava che è proprio dei figli obbedire per amore: «O evitiamo il male per timore della pena, comportandoci da servi; o perseguiamo il nostro utile e obbediamo per ottenere un compenso, come i mercenari; o, infine, obbediamo come figli, perché vogliamo fare ciò che è bene, per amore del nostro legislatore»[19]. Obbedire per amore non è una forma di volontarismo che esclude la ragione. Obbedire per amore vuol dire mettere in gioco tutte le facoltà spirituali, il meglio dell’intelligenza per identificare il bene e le migliori energie della volontà per realizzarlo.

Senza l’intelligenza e senza la libertà, soprattutto quella interiore, infatti, non si dà un’obbedienza pienamente umana, e tantomeno come quella di Gesù. Nostro Padre affermava: «Non concepisco l’obbedienza veramente cristiana se non come obbedienza volontaria e responsabile. I figli di Dio non sono né pietre né cadaveri: sono esseri intelligenti e liberi, elevati tutti al medesimo ordine soprannaturale»[20].

10. Tuttavia, possiamo domandarci: è possibile obbedire senza comprendere o anche pensandola diversamente? Evidentemente sì e, anche allora, lo si può fare (forse ancora di più) per amore e, quindi, liberamente. In questo caso, spesso, con la carità entra in gioco anche la fede: obbedisco senza comprendere o senza vederla allo stesso modo, riconoscendo che l’indicazione proviene da persone prudenti, che possono giudicare meglio di me; o quando ammetto che, dopo opportuna ponderazione, bisogna prendere una decisione e tocca farlo a qualcuno. Quando riconosciamo la grazia dello Spirito Santo in quel giudizio e nella nostra accettazione, l’obbedienza diventa atto di fede.

Come afferma san Tommaso seguendo Aristotele, la volontà è la facoltà che propriamente guida la persona[21], pur essendo necessario che l’intelletto le presenti le opzioni tra cui scegliere. Tutto il bene e tutto il male provengono dal cuore (cfr. Lc 6, 45): si può decidere di non voler capire o di non voler dialogare per capire meglio qualcosa. L’esperienza dimostra che la volontà può dominare a tal punto l’intelligenza da forzarla a negare l’evidenza. La libera volontà, però, può spingerla a intraprendere nuove vie, pur senza aver compreso già tutto.

Se, davanti a difficoltà e sofferenze, ci ritroviamo sconcertati, incapaci di comprendere, ci sarà di aiuto guardare Gesù, che ha voluto anch’egli condividerle nella sua natura umana: ripetendo «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46) dà compimento alle parole profetiche del salmo 22. La sua risposta, palpitante di libertà pur nel dolore, si nutre anch’essa dei salmi: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46, cfr. Sal 31, 6). L’obbedienza di Gesù ripara la disobbedienza di Adamo (cfr. Rm 5, 19); tutta la sua vita e poi la sua morte sono atto di obbedienza a Dio Padre e causa della nostra salvezza (cfr. Fil 2, 6-11).

Obbedienza e fiducia

11. Anche l’obbedienza e la fiducia si richiamano tra di loro, al punto che, se sono genuine, si passa con naturalezza dall’una all’altra. Dove c’è fiducia, chiedere il parere di un altro ed eventualmente farlo proprio dimostra che si intende scegliere il meglio. Quando, invece, la fiducia viene meno, l’obbedienza corre il rischio di trasformarsi in un atteggiamento puramente esteriore, formale e distante. Per favorire la sana obbedienza è indispensabile un clima di affetto e di benevolenza. Bisogna che le persone si sentano accolte e non controllate, che le si ascolti effettivamente, che vedano le loro opinioni prese in considerazione: tutto ciò potenzia la libertà e, al tempo stesso, l’obbedienza.

San Josemaría spiegava che la fiducia è la chiave dell’amicizia tra genitori e figli: «Se non sono lasciati liberi, se vedono che non si ha fiducia in loro, [i figli] si sentiranno spinti ad andare avanti a forza di sotterfugi»[22]. Quando non c’è fiducia si prendono subito le distanze ed è facile che venga meno la trasparenza, perché l’intimità è un ambito delicato che si schiude solo in condizioni di sicurezza. Cercare di ottenere un’obbedienza solo esterna, senza comunione di volontà, è come costruire una casa sulla sabbia (cfr. Mt 7, 26).

Sono maggiormente responsabili della creazione di un clima di fiducia le persone che hanno un ruolo di autorità in famiglia o in un gruppo. Il loro primo atto di servizio potrebbe essere stabilire attivamente un rapporto di fiducia con tutti, mentre procedono nella ricerca della volontà di Dio su sé stessi e circa la propria missione. Grazie al sostegno reciproco, la cercheranno e la troveranno anche tutti gli altri. Pur con la necessaria organizzazione, che sarà solo quella indispensabile, dato che l’Opera è una «organizzazione disorganizzata»[23], tutti sapranno di essere e si sentiranno «liberi come uccelli»[24], che è pure un’espressione di nostro Padre.

È proprio la necessità di un contesto di fiducia e di calore di famiglia che porta san Josemaría a indicare che nell’Opera il comando più perentorio sia «per favore». Non è una semplice questione terminologica, ma l’indicazione di un modo naturale di comportarsi in famiglia tra persone adulte, intelligenti e libere. Il fatto, poi, che l’Opera sia una famiglia soprannaturale richiede che la fede e la carità si affianchino alla fiducia per essere fondamento autentico, sia dell’esercizio dell’autorità, sia della pratica dell’obbedienza.

Obbedienza e fecondità apostolica

12. Il Signore «imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5, 8-9). La salvezza, frutto dell’obbedienza di Cristo fino alla morte di croce, illumina anche il rapporto tra l’obbedienza e la fecondità apostolica nella nostra vita.

Avremo meditato spesso l’episodio in cui Pietro obbedisce al Signore anche se dargli retta era poco ragionevole dal punto di vista umano: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca» (Lc 5, 4). Riflettiamoci con calma: quanto bene è venuto dall’obbedienza di Pietro al duc in altum! «Potere dell’obbedienza! —Il lago di Genesaret negava i suoi pesci alle reti di Pietro. Tutta una notte invano. —Ma ora le reti sono gettate per obbedienza: e pescano “piscium multitudinem copiosam” —una grande quantità di pesci. —Credimi: il miracolo si ripete ogni giorno»[25].

13. Possiamo e dobbiamo avere abbondante iniziativa personale, frutto dell’amore di Dio e del prossimo, nello svolgimento della nostra missione apostolica e, al tempo stesso, portare avanti, facendoci guidare da chi le dirige, tante attività organizzate nei centri dell’Opera, fedeli ai mezzi che ci ha tramandato nostro Padre. Faremo tutto ciò senza dimenticare che il mezzo principale sarà sempre la preghiera: «La preghiera, la preghiera è la nostra forza: non abbiamo mai avuto altre armi»[26].

Rispetto alla direzione dell’Opera e all’organizzazione delle sue attività di apostolato, il modo di obbedire rispecchia quello di una famiglia, di una comunione di persone. Comunione di persone equivale a comunione di libertà, comunione di iniziative personali che rientrano anch’esse nel «fare l’Opus Dei», comunione di generazioni. La convinzione che Dio agisce nel cuore di tutti e che tutti siamo in ascolto della volontà divina dà origine all’obbedienza tipica di una famiglia, ogni membro della quale si sforza di collaborare attivamente al progetto comune. Intesa e vissuta così, l’obbedienza è espressione di un’unità che è il presupposto della fecondità apostolica: ut omnes unum sint… ut mundus credat (Gv 17, 21).

Rispettando sempre una stretta separazione tra accompagnamento spirituale e governo delle persone, dobbiamo vivere e lavorare sempre colmi di gratitudine per la vocazione cristiana nell’Opera e far sì che le qualità dei singoli confluiscano nell’impegno comune familiare.

Coltivare l’autentica virtù dell’obbedienza ci evita di diventare incapaci di ascoltare e ci risparmia il servilismo di chi si limita a eseguire, senza la mediazione di tutta la ricchezza interiore che Dio ha dato a ognuno. San Josemaría ci metteva in guardia contro questi due rischi. Da un lato, osservava che «la maggior parte delle disobbedienze deriva dal non saper “ascoltare” il comando, il che in fondo è mancanza di umiltà o di interesse nel servire»[27]. Dall’altro, proprio come conseguenza del desiderio di ascoltare con animo di servire, spiegava che «nell’Opus Dei, figli miei, obbediamo con la testa e con la volontà, non come cadaveri. Con cadaveri non vado da nessuna parte; do loro pietosa sepoltura»[28]. Obbedire, pertanto, non è eseguire la volontà altrui e basta, ma invece collaborare con gli altri in unità di volontà e di mente, di pensiero.

L’obbedienza intelligente di san Giuseppe

14. Nella sua lettera su san Giuseppe, papa Francesco faceva osservare che «in ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani»[29]. Quando doveva parlare dell’obbedienza, san Josemaría faceva spesso riferimento a san Giuseppe, proprio perché vedeva nel santo Patriarca un cuore sempre in ascolto, attento a Dio e alle circostanze, alle persone che aveva attorno. Nell’episodio del ritorno dall’Egitto, per esempio, ci fa osservare che «la fede di Giuseppe non vacilla, la sua obbedienza è sempre precisa e immediata. Per comprendere meglio la lezione del santo Patriarca, è opportuno considerare che la sua fede è attiva e che la sua docilità non ha nulla dell’obbedienza di chi si lascia trascinare dagli eventi»[30].

Ciò che il nostro fondatore apprezzava era proprio il fatto che, essendo come era uomo di preghiera, san Giuseppe inquadrasse con la ragione la realtà che doveva affrontare: «Nelle diverse circostanze della sua vita, il Patriarca non rinuncia a pensare, né a far uso della sua responsabilità. Anzi, colloca al servizio della fede tutta la sua esperienza umana […].Tale fu la fede di Giuseppe: piena, fiduciosa, integra; una fede che si manifesta con la dedizione efficace alla volontà di Dio, con l’obbedienza intelligente»[31].

È comprensibile che, proprio per noi, chiamati a diventare santi nelle diverse situazioni di questo mondo, così mutevoli e piene di sfide, san Josemaría sottolinei la necessità di assimilare un’obbedienza intelligente, che sia un tutto organico con la nostra libertà.

L’obbedienza di Maria

15. In questi ultimi anni si è diffusa nel mondo la devozione a Maria che scioglie i nodi, che ha origini antichissime. Infatti, già all’inizio del III secolo, sant’Ireneo di Lione scriveva: «Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la vergine Maria lo ha sciolto con la sua fede» (Adversus Haereses III, 22, 4)[32]. Quanti nodi, che sembrano impossibili da sciogliere, si disferanno nel mondo e nelle nostre vite, se vivremo, come la Madonna, per i progetti di Dio!

Nostro Padre ha scritto: «Seguendo il suo esempio nell’obbedire al Signore, cerchiamo ora di capire l’insegnamento che ci viene dalla delicata combinazione di sottomissione e autorità che osserviamo in Maria. In Lei non c’è ombra del contegno delle vergini stolte, che obbediscono, ma senza criterio. La Madonna ascolta con attenzione quello che il Signore le chiede, riflette su quanto non comprende, domanda quello che non sa. Poi, si dà totalmente al compimento della volontà divina: Ecco la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1, 38). Non è meraviglioso? Maria Santissima, maestra di tutto il nostro agire, ci insegna così che l’obbedienza a Dio non è servilismo, non soggioga la coscienza: ci muove nel nostro intimo a scoprire la libertà dei figli di Dio (cfr Rm 8, 21)»[33].

Se in qualche caso l’obbedienza dovesse sembrarci in conflitto con la libertà, ricorriamo a Maria. Ella ci otterrà la grazia di scoprire nell’obbedienza sincera la libertà dei figli di Dio e, con la libertà, la gioia.

Vi benedice con grandissimo affetto

vostro Padre 

Roma, 10 febbraio 2024


[1] Cfr. C. Fabro, «Un maestro di libertà cristiana» in L’Osservatore Romano, 2-VII-1977.

[2] San Josemaría, Preghiera allo Spirito Santo, aprile 1934.

[3] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 397.

[4] San Josemaría, Lettera 38, n. 41. Le citazioni successive prive di indicazione dell’autore sono di san Josemaría.

[5] Benedetto XVI, Omelia, 15-IV-2010.

[6] Il Santo Rosario, 4° mistero luminoso.

[7] Francesco, Discorso ai partecipanti al simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, 17-II-2022.

[8] È Gesù che passa, n. 17.

[9] Cammino, n. 621.

[10] Cfr. S. Th., II-II, q. 104 a. 1.

[11] È Gesù che passa, n. 17.

[12] Benedetto XVI, Angelus, 1-VII-2007.

[13] Forgia, n. 788,

[14] È Gesù che passa, n. 17.

[15] Amici di Dio, n. 30.

[16] S. Agostino, Commento alla lettera di san Giovanni, VII, 8 (in www.augustinis.it)

[17] S. Agostino, La natura e la grazia, 65. 78 (in www.augustinus.it)

[18] Lettera 11, n. 39.

[19] San Basilio Magno, Proemium in regulas fusius tractatas (PG 31, 895).

[20] Colloqui con mons. Escrivá, n. 2.

[21] S. Tommaso d’Acquino, Quaest. Disp. De Malo, q. VI: Intelligo enim quia volo; et similiter utor omnibus potentiis et habitibus quia volo.

[22] Colloqui con mons. Escrivá, n. 100.

[23] Ibidem, n. 63.

[24] Lettera 18, n. 38.

[25] Cammino, n. 629.

[26] Lettera, 17-VI-1973, n. 35.

[27] Solco, n. 379.

[28] In Andrés Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei (III), nota 50, pag. 437.

[29] Francesco, Lettera apostolica Patris corde, 8-XII-2020, n. 3.

[30] È Gesù che passa, n. 42.

[31] Ibidem.

[32] Cit. in Francesco, Discorsi, 12-X-2013.

[33] È Gesù che passa, n. 173.