Lettera pastorale del prelato (16 febbraio 2023)

In queste righe monsignor Fernando Ocáriz ci invita a riflettere su alcune modalità e manifestazioni della fraternità.

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Carissimi, Gesù protegga le mie figlie e i miei figli!

1. In questa lettera desidero invitarvi a considerare insieme alcuni aspetti di quelle parole del Signore tante volte meditate: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12).

Gesù ci ha amati fino al punto di dare la vita per tutti e per ciascuno. Lo sappiamo e desideriamo crederlo con una fede più viva ed efficace che, come gli Apostoli, gli chiediamo di concederci: «Accresci in noi la fede!» (Lc 17, 5). Così potremo ripetere con assoluta convinzione, come san Giovanni: «E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4, 16).

«Dio è amore» (1 Gv 4, 8) e ci invita ad amare: «E questa è la nostra vocazione più alta, la nostra vocazione per eccellenza; e ad essa è legata anche la gioia della speranza cristiana. Chi ama ha la gioia della speranza, di arrivare a incontrare il grande amore che è il Signore»[1].

Il nostro amore di Dio, carità soprannaturale, è la risposta all’amore divino per tutti e per ciascuno di noi che il Signore stesso ci propone come modello e prospettiva del nostro amore del prossimo. L’amore di Dio e del prossimo sono talmente uniti che «molto spesso la testa e il cuore non sono in grado di discernere se un qualunque gesto di fraternità è un servizio reso a Dio o ai fratelli: perché, nel secondo caso, stiamo servendo Dio due volte»[2].

2. Nella nostra vita l’amore del prossimo è così decisivo che «sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1 Gv 3, 14). La carità si sviluppa in infinite forme e abbraccia il mondo intero. Nessuno ci può essere indifferente, perché «ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario»[3].

A partire da queste righe vorrei che riflettessimo su alcune disposizioni e manifestazioni in cui si esprime significativamente la fraternità. Si potrebbero riassumere con queste parole di san Josemaría: «Con quanta insistenza l’Apostolo san Giovanni predicava il mandatum novum! – “Amatevi gli uni gli altri!”. – Mi metterei in ginocchio, senza far scena – me lo grida il cuore – per chiedervi per amor di Dio di volervi bene, di aiutarvi, di darvi la mano, di sapervi perdonare»[4].

Dimensioni della comprensione

3. La parola comprensione potrebbe, nel contesto delle relazioni personali, richiamare uno soltanto dei suoi significati: non stupirsi dei difetti e degli errori degli altri. Se così fosse, tuttavia, non risulterebbe del tutto comprensibile quel punto di Cammino: «Più che nel “dare”, la carità consiste nel “comprendere”»[5].

La comprensione che nasce dalla carità, dall’amore, “comprende”: “vede”, anzitutto, non i difetti o le mancanze ma le virtù e le qualità degli altri. Ricordo una meditazione dettata da don Javier il 26 agosto 1999, durante un corso estivo a Olbeira (una casa di ritiri in Galizia – Spagna): ci esortava con energia e con affetto a «non vedere le persone attraverso la lente dei difetti ma quella delle virtù». L’amore ci fa riconoscere con gioia quel che c’è di positivo negli altri. Dobbiamo «godere della felicità del prossimo come dei nostri successi»[6], il che è l’esatto contrario dell’oscuro peccato dell’invidia nel suo aspetto di tristezza per il bene altrui.

D’altra parte chiunque vale sempre più di quanto riusciamo a cogliere normalmente. Spesso succede un po’ quello che leggiamo nella Scrittura, come quando la Lettera agli Ebrei ci invita a non scordarci dell’ospitalità: «alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13, 2).

4. La comprensione che nasce dall’amore permette anche di notare i difetti e le mancanze altrui: così si può comprendere la persona sia nei suoi lati negativi che in quelli positivi. E possiamo stare sicuri, poiché lo vede l’amore che è sapientissimo, che quelli positivi sono molto più numerosi di quelli negativi. Ad ogni modo, gli aspetti negativi non sono motivi di allontanamento ma di preghiera e di aiuto, eventualmente di un affetto più grande e, se serve, di correzione fraterna.

Nostro Padre ci ha raccomandato tanto questa dimostrazione di carità, talvolta eroica: «Praticate la correzione fraterna, ne sit populus Domini sicut oves absque pastore (Nm 27, 17), perché questa Famiglia soprannaturale dell’Opera di Dio non finisca per diventare un branco di pecore senza pastore. Vi ho sempre insegnato, figlie e figli miei, che nell’Opera dobbiamo essere ognuno pastore e pecora»[7].

5. Siamo tutti deboli e non possiamo stupirci di provare sentimenti di avversione o di incomprensione nei confronti di altre persone. Tuttavia, non possiamo ammetterli e giustificarcene; dovremo, piuttosto, cogliere l’occasione per chiedere al Signore di perdonarci, di renderci più capaci di amare e di aumentare in noi quel frutto dell’amore che è la comprensione. Senza scoraggiarci per la nostra fragilità, chiederemo aiuto a Dio per poter arrivare a dirgli, colmi di gratitudine: «Hai allargato il mio cuore» (Sal 119, 32).

Per esempio, è importante che lottiamo per dominare e mitigare la spontanea insofferenza dei difetti reali o immaginari degli altri (talvolta il difetto risiede piuttosto nel nostro sguardo). Questo genere di impazienza può portarci a mancare di comprensione e, pertanto, di carità. San Cipriano di Cartagine disse assai chiaramente: «La carità, che è vincolo di fraternità e fondamento della pace e che consolida l’unità, è superiore alla speranza e alla fede, precede le opere e la testimonianza dei martiri e rimarrà eternamente con noi nei regni celesti. Ma se le togli la pazienza si svuota e si estingue»[8].

6. La comprensione, frutto dell’amore fraterno, aiuta anche a non fare discriminazioni in base alla diversità che si può rilevare nelle persone con cui si convive. In realtà, molto spesso la diversità è ricchezza di caratteri, sensibilità, interessi… Spiega nostro Padre: «Dovete vivere una fraternità senza fluttuazioni, che passi sopra simpatie o antipatie naturali, amandovi come autentici fratelli e trattandovi con la comprensione che caratterizza una famiglia davvero unita»[9].

Oltre a sforzarci di voler bene agli altri e di comprenderli, è importante che ci lasciamo voler bene. Vi ricordo ciò che vi ho scritto in un’altra occasione: «È importante crescere in affabilità, gioia, pazienza, ottimismo, delicatezza e in tutte le virtù che rendono amabile la convivenza, perché così le persone possano sentirsi bene accolte ed essere felici»[10]. Creiamo in tal modo un clima fraterno nel quale ognuno avvalora l’affetto dell’altro e, insieme, godiamo del cento per uno promessoci dal Signore e ci incamminiamo verso la vita eterna (cfr. Mt 19, 29).

Il tesoro del perdono

7. La comprensione è, inoltre, in stretta relazione con quella realtà di straordinaria importanza che è il perdono; chiedere perdono e perdonare. Nell’aprile del 1974 nostro Padre ci diceva che «quel che c’è di più divino nella nostra esistenza cristiana, di figli di Dio nell’Opus Dei, è perdonare chi ci ha fatto del male». Con grande semplicità aggiungeva: «Io non ho dovuto imparare a perdonare, perché il Signore mi ha insegnato ad amare». Forse, fra le tante conseguenze e manifestazioni della filiazione divina, non avremmo, come prima cosa, considerato spontaneamente il perdono. Tuttavia, capiamo che essere figli di Dio vuol dire che siamo Cristo, immedesimati in lui. Che Cristo è entrato nel mondo, il Figlio eterno si è fatto Uomo, proprio per perdonare. E che quindi «niente ci rende tanto simili a Dio come l’essere indulgenti e perdonare»[11].

Quanto spesso recitiamo e meditiamo il padrenostro! Perdonare gli altri è così importante che è condizione necessaria per essere perdonati da Dio. Com’è bello pregare il Signore di insegnarci a perdonare, realmente e in ogni occasione. Anzi, possiamo osare di chiedergli con santa audacia di finire per amare tanto gli altri da non aver bisogno, come nostro Padre, di imparare a perdonare[12]. Sarebbe meraviglioso che desiderassimo di arrivare ad amare tanto da non sentirci mai offesi.

8. Imparare a chiedere perdono in seguito ai piccoli contrasti quotidiani è altrettanto importante che comprendere e perdonare. Una richiesta sincera di perdono è spesso l’unico modo di ricostruire la buona armonia di un rapporto, anche quando si ritiene, con più o meno ragione, di aver subito il torto maggiore. Il Figlio di Dio non fu spinto a chiedere perdono al Padre, a nome nostro, da motivazioni teoriche basate sulla stretta giustizia, ma dall’amore gratuito che pensa soltanto a che cosa può fare per gli altri.

Figlie e figli miei, non pensiamo che sia una bella cosa al di sopra delle nostre povere possibilità. È di certo una meta molto elevata. Purtuttavia, con la grazia di Dio vi ci possiamo approssimare a poco a poco, se non tralasciamo di corrispondere all’amore di Dio con uno sforzo spirituale quotidianamente rinnovato.

Spirito di servizio

9. «La più grande ambizione dei figli di Dio nel suo Opus Dei (…) dev’essere sempre quella di servire»[13]. Comprendiamo bene questa insistenza di san Josemaría se leggiamo e meditiamo le parole del Signore: «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10, 45); «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27).

Lo spirito di servizio è espressione dell’amore, dell’affetto con cui facciamo totalmente nostre le necessità degli altri. Con che forza ce lo spiegava nostro Padre: «Non ho difficoltà a ripeterlo continuamente. Tutti hanno bisogno di affetto e ne abbiamo bisogno anche nell’Opera. Impegnatevi a far crescere sempre più l’affetto per i vostri fratelli senza sentimentalismi esagerati. Tutto ciò che riguarda un mio figlio dev’essere per davvero molto nostro: il giorno in cui dovessimo vivere come estranei o nell’indifferenza per gli altri, avremmo ucciso l’Opus Dei»[14].

Pur senza volerlo, potremmo vivere da estranei o indifferenti verso gli altri per un eccessivo attivismo che ci impedisca di conoscerci, stringere rapporti personali, interessarci attivamente agli altri. Figlie e figli miei, mi risuonano nella mente e nel cuore le parole che san Josemaría ci diceva con tutta la forza del suo spirito: «Vogliatevi bene!»

10. Desideriamo servire gli altri per servire Gesù: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). È giusto, allora, che ognuno di noi pensi: «Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama»[15].

Tutti abbiamo fatto esperienza dello sforzo che spesso comporta servire gli altri. «Non dovete pensare che sia facile fare della propria vita un servizio. Bisogna concretizzare questa bella aspirazione – il regno di Dio infatti non consiste in parole, ma in potenza (1 Cor 4, 20) – e impegnarsi con continuità ad aiutare gli altri non è possibile senza sacrificio»[16]. Tuttavia, sforzarsi per amore comporta sempre una gioia che l’egoismo, invece, non può procurare.

Da ultimo, lo spirito di servizio è espressione di amore fraterno e «l’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia»[17].

Seminatori di pace e di gioia

11. Una delle manifestazioni dello spirito di servizio, che praticamente le riassume tutte, è seminare pace e gioia. Siccome possiamo dare la pace e la gioia solo se le possediamo ed entrambe sono un dono di Dio, il modo migliore di accrescerle in noi è attendere con premura e diligenza ai nostri momenti di intimità con Dio: i sacramenti e l’orazione.

Nella vita di chiunque non mancano, più o meno spesso, con maggiore o minore intensità, dispiaceri e sofferenze che danno origine a sentimenti vari di turbamento e di tristezza. Dobbiamo passar sopra a questi stati d’animo, quando si affacciano al nostro spirito, recuperando la gioia mediante la fede nell’amore che Dio nutre, oggi e adesso, per ciascuna e per ciascuno di noi (cfr. 1 Gv 4, 16).

Dobbiamo trovare il fondamento della nostra gioia non in noi ma nel Signore, cosicché, nonostante tutto, possiamo disporre della forza d’animo per dimenticarci di noi stessi e per trasmettere agli altri la gioia che viene da Dio. Consideriamo rivolte anche a noi le parole che leggiamo nel libro di Neemia: «Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Ne 8, 10).

12. Nelle vostre lettere, abbastanza spesso mi date notizia delle situazioni difficili in cui vi trovate. Vorrei esservi accanto per prendermi cura con ognuna e ognuno di voi di quel figlio malato, della madre che patisce grandi limitazioni per la sua età avanzata, o per condividere la pena che vi affligge. Cerco di avere a cuore ogni vostra cosa e di portarla nella mia Messa di ogni giorno.

In queste e in tante altre circostanze, ricordiamoci che il Signore benedice con la croce e che, come assicurava nostro Padre sulla base di un’ampia esperienza, «l’amore autentico porta con sé la gioia: una gioia che ha le radici a forma di Croce»[18]. E poi, se viviamo bene la fraternità, non siamo mai soli: portiamo tutti assieme – cor unum et anima una – il dolce peso della croce del Signore, con la certezza interiore che, alla fine, il suo giogo è dolce e il suo peso leggero (cfr. Mt 11, 30). Con questi sentimenti e con il desiderio di farne vita nostra, avremo letto e meditato spesso quelle parole di san Josemaría: «Dedicarsi a servire le anime, dimenticandosi di se stesso, è talmente efficace che Dio lo premia con una umiltà piena di gioia»[19].

Vita in famiglia

13. La maggior parte di voi non abita in un centro dell’Opera. Tuttavia, come scrive nostro Padre, «tutti coloro che fanno parte dell’Opus Dei, figli miei, costituiscono un’unica famiglia. Questa realtà non dipende dal fatto di abitare sotto lo stesso tetto. Come i primi cristiani siamo cor unum et anima una (At 4, 32) e nessuno potrà mai sperimentare nell’Opera l’amarezza dell’indifferenza»[20].

Perché la parte preponderante dei membri dell’Opera che non abita nei centri, cioè i soprannumerari e gli aggregati, riceva il calore familiare dell’Opus Dei e possa contribuirvi, è necessario che alcuni, i numerari e le numerarie, facciano materialmente famiglia nelle sedi dei centri, cui tutti gli altri fanno riferimento a seconda delle circostanze in cui vivono. Evidentemente le sedi sono molto utili per tenervi riunioni formative, per accogliervi attività apostoliche ecc., ma sapete bene che si può fare tutto anche senza una sede, in modo particolare dove il lavoro apostolico è appena agli inizi.

Naturalmente ci sono anche situazioni di lavoro, di salute, di impegni familiari e d’altro genere che consigliano o persino impongono che alcune numerarie e alcuni numerari non abitino nella sede di un centro, senza che ciò debba ridurre la loro responsabilità e la loro dedizione, diversa ma non meno reale, alla costruzione della nostra casa.

14. È normale che in molte famiglie convivano persone appartenenti a varie generazioni (nonni, genitori, figli) e con caratteristiche diverse. Ci sono anche parecchie famiglie con malati cronici, più o meno gravi. Se è vero che, talvolta, queste situazioni possono portare a un deteriorarsi dell’unità familiare, è anche vero che, molto spesso, tali difficoltà e altre ancora possono unire di più la famiglia, quando c’è vero amore.

Figlie e figli miei, l’Opera è una famiglia molto numerosa, in cui ci sono persone di differenti età e con personalità diverse e ci sono anche i malati. Grazie a Dio, la cura e l’affetto con cui in Casa ci dedichiamo ai malati è una stupenda realtà.

15. In alcuni centri possono presentarsi situazioni più difficili. Se la vita in famiglia dovesse stancarvi, cercatene sinceramente i motivi per mettervi rimedio: considerate se dipende soltanto dalla penuria di risorse materiali, o dalla ovvia fatica che comporta dedicarsi a curare gli altri, o se invece si deve anche al raffreddamento dell’affetto. Se anche fosse questo il caso, non c’è motivo di sorprendersi o di scoraggiarsi: vi suggerisco di chiedere a Dio, con semplicità e con audacia, di darvi un cuore più grande, di aiutarvi a vedere Lui negli altri e che ciò vi riempia di gioia, come accadde ai discepoli quando videro Gesù risorto: «E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20, 20).

D’altra parte, dietro a un determinato carattere, ci sono talvolta delle sofferenze che possono spiegare un certo modo di essere o di comportarsi. Dio conosce ciascuno fino in fondo, anche con i suoi punti dolenti, e ci guarda tutti con tenerezza. Impariamo dal Signore a guardare con i suoi occhi, a comprendere tutti – lo ripeto intenzionalmente –, a metterci nei panni degli altri. «Quanti timori e quanti pericoli può dissipare il vero amore tra i fratelli, che non si nomina – perché allora sembrerebbe di profanarlo –, ma che risplende in ogni particolare!»[21].

Non cessiamo di ringraziare il Signore della famiglia che ci ha dato, con la sua abbondanza di caratteri diversi, di situazioni sociali e di culture differenti. Al tempo stesso, sentiamoci responsabili di salvaguardare un tono, un clima caratterizzato anche da «rapporti di straordinaria finezza»[22].

Nella Chiesa e nel mondo

16. Prendersi cura della fraternità manifesta che l’Opera, come parte della Chiesa, è famiglia di Dio. Se ci vogliamo bene, ci comprendiamo, ci perdoniamo, ci serviamo gli uni gli altri, daremo anche, in virtù della comunione dei santi, un contributo direttissimo all’unità di tutti i credenti e dell’intera umanità. San Josemaría diceva che «l’apostolato principale che noi cristiani dobbiamo svolgere nel mondo, la migliore testimonianza di fede, è contribuire a far sì che all’interno della Chiesa si respiri il clima della carità autentica. Se non ci amiamo davvero, se ci sono conflitti, calunnie, discordie, chi si sentirà attratto da coloro che affermano di predicare la Buona Novella del Vangelo?»[23]. Chiedo al Signore che in casa nostra, nell’Opera, nella Chiesa e nella società tutta siamo sempre strumenti di unità.

La cura della fraternità porterà anche luce e calore nel nostro mondo, che giace così spesso nelle tenebre o soffre il freddo dell’indifferenza. Le nostre case, quelle degli aggregati e dei soprannumerari e i centri dell’Opera, devono essere «focolari luminosi e lieti». Ambienti aperti, che possano accogliere molta gente, anche chi magari è privo del calore di una famiglia. La testimonianza di una famiglia cristiana che si sforza di rimanere unita, in cui, pur con i propri limiti, ognuno è disposto a perdonare, a voler bene, a servire, sarà un punto di riferimento per molti. Come, al di sopra di ogni altra, fu, è e sarà sempre la casa di Nazareth. Non dimentichiamo le parole di san Josemaría: «Noi facciamo parte di quella famiglia».

La fraternità ben vissuta è un apostolato direttissimo: tante persone vedranno l’affetto che ci portiamo e potranno esclamare, come dissero dei primi cristiani, «vedi come si amano»[24], si sentiranno attratte da quell’amore cristiano che è «una partecipazione dell’infinita carità che è lo Spirito Santo»[25].

* * *

17. Voglio finire rileggendo con voi queste altre parole di nostro Padre: Cuore, figli miei, servitevi mettendoci il cuore. Quando l’affetto passa attraverso il Sacratissimo Cuore di Gesù e il Dolcissimo Cuore di Maria, l’esercizio della carità fraterna si esprime in tutta la sua forza umana e divina. Aiuta a sostenere l’onere alleviandone il peso, rende grata la lotta. Non è un fronzolo: irrobustisce le ali dell’anima per salire più in alto; la carità fraterna, che non cerca il proprio interesse (cfr. 1 Cor 13, 5), permette di spiccare il volo per dare lode al Signore con lieto spirito di sacrificio[26].

Con grande affetto vi benedice

Vostro Padre

Fernando Ocáriz

Roma, 16 febbraio 2023


[1] Francesco, Udienza, 15-III-2017.

[2] Istruzione, maggio 1935 – settembre 1950, n. 75.

[3] Benedetto XVI, Omelia, 24-IV-2005.

[4] Forgia, n. 454.

[5] Cammino, n. 463.

[6] San Gregorio Magno, Homiliae in Evangelia, 5, 3: PL 76, 1094 B.

[7] Lettera 15, n. 169.

[8] San Cipriano, De bono patientiae, n. 15: PL 4 631 C.

[9] Lettera 30, n. 28.

[10] Lettera pastorale, 1-XI-2019, n. 9.

[11] San Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, XIX, 7.

[12] Cfr. Solco, n. 804.

[13] Lettera 15, n. 38.

[14] AGP, biblioteca, P01.

[15] Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, n. 18.

[16] Lettera 8, n. 4.

[17] Francesco, Enc. Laudato si’, n. 228.

[18] Forgia, n. 28.

[19] Lettera 2, n. 15.

[20] Lettera 11, n. 23.

[21] Solco, n. 767.

[22] Istruzione, 1-IV-1934, n. 63.

[23] Amici di Dio, n. 226.

[24] Tertulliano, Apologeticum, 39: PL 1, 471.

[25] San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 24, a.7 c.

[26] Lettera 14-II-1974, n. 23.


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