Lavori ordinari e come santificarli (XVI): Medicina

Maria ha 28 anni, ha studiato medicina ed è una specializzanda al primo anno. Il motore che l’ha spinta a intraprendere questo percorso è stato “il voler aiutare gli altri ed essere un medico che oltre al corpo delle persone vede delle anime”.

"Per santificare il lavoro cerco innanzitutto di fare quello che devo e di farlo bene − racconta Maria, che oggi ha 28 anni, ha studiato medicina ed è una specializzanda al primo anno −. Quando mi risulta più difficile cerco di ritrovare nei pazienti che ho davanti qualcosa che mi ricordi le persone che amo e di trattarli come tratterei loro, o come vorrei che facessero con loro”.

Maria è la sesta di otto figli, ha 7 fratelli maschi e la sua infanzia è stata ricca di amore e di grande complicità con loro. I suoi genitori sono i suoi punti di riferimento: “Mio papà è morto tre anni fa, ma è sempre presente nella mia vita, lo porto in ogni cosa. È stato un grande esempio di professionalità lavorativa, capacità di amicizia e di gratitudine. Mentre di mia madre cerco di imitare la sua dedizione alla famiglia e la sua generosità”. A settembre si è sposata con Luca: “Ci siamo conosciuti una sera di fine estate ad una grigliata con amici e con lui mi sono sentita subito a casa. Abbiamo insieme un progetto di vita e il desiderio di costruire una famiglia”.

vorrei aiutare gli altri a non sprecare il loro dolore, aiutarli ad affrontarlo e non limitarmi a curare solo il corpo.

È sempre stata appassionata di programmi e telefilm di medicina ma non ha mai pensato di poterlo fare come mestiere. Nell’estate dopo la maturità conosce una ragazza laureata in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana al Campus Bio-Medico, decide di cominciare lo stesso percorso di studi e, grazie a materie come Fisiologia Umana e anatomia, per la prima volta pensa in maniera concreta alla possibilità di studiare medicina. “Il motore effettivo che poi mi spinse ad iniziare medicina dopo un percorso di studi di tre anni fu il voler aiutare gli altri ed essere un medico che oltre al corpo delle persone vede delle anime”.

Oggi Maria è una specializzanda e ruota tra ambulatori e reparti di diverse aree. “L’aspetto più difficile è non abituarsi alla sofferenza dell’altro e non considerare il paziente solo come la sua malattia ma vedere la persona interamente”. In questo la aiuta il fatto di essere stata “dall’altra parte del letto”: “Mio padre è morto a causa di un tumore e quando entro nella stanza di un paziente o parlo con un familiare mi ricordo cosa si prova. Sapere che dietro al dolore c’è sempre un motivo e che può portare frutto fa la differenza. Papà mi diceva di “non sprecare questo dolore”, ed è una frase che mi porto dentro fin dal primo giorno in cui me lo disse anche se lì per lì non la capivo appieno. Oggi, dall’altra parte del letto, vorrei aiutare gli altri a non sprecare il loro dolore, aiutarli ad affrontarlo e non limitarmi a curare solo il corpo”.

cerco di ritrovare nei pazienti che ho davanti qualcosa che mi ricordi le persone che amo e di trattarli come tratterei loro, o come vorrei che facessero con loro.

Nei momenti più difficili, nelle prove più dure o nelle delusioni più grandi ritorna spesso a questo passo di san Josemaría: Sappiatelo bene: c’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire (Colloqui, n. 114). “Quando la stanchezza prende il sopravvento o la motivazione viene meno − racconta Maria−, leggo queste righe e smetto di chiedermi il “perché” di una situazione e passo al “come o cosa”. Queste frasi in realtà le tengo presenti anche nei momenti più sereni e vorrei che tramite il mio lavoro possano essere “luce” anche per gli altri”.