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Michele Dolz, professore di Storia dell’Arte Cristiana all’Università Pontificia della Santa Croce (Roma) e autore di numerosi libri su arte e spiritualità, ha pubblicato Josef presso Edizioni Ares.
Il libro racconta la storia di Josef Schmidt, Guardia svizzera che trascorse quindici anni al servizio del Papa, partecipando ad alcuni momenti epocali della storia della Chiesa del XX secolo, come il Concilio Vaticano II e il Conclave del 1958.
All’inizio del 1960 Josef conobbe l’Opus Dei e qualche mese dopo vi chiese l’ammissione come aggregato.
Nel 1965 si congedò dalla Guardia svizzera per lavorare nel Centro Elis, la grande opera sociale promossa da san Josemaría Escrivá nella periferia di Roma.
Estratto di Josef :
“Il 25 gennaio 1959 il Santo Padre celebrò, alla chiusura della settimana per l’unità dei cristiani, una messa a San Paolo fuori le mura. Fui presente anch’io quel giorno, che divenne in seguito di grande importanza storica per tutta la Chiesa Cattolica e tutta la Cristianità. Terminata la solenne concelebrazione, il Santo padre si recò all’adiacente monastero dei benedettini, assieme a tutti i cardinali presenti. Circa mezz’ora dopo tornarono, chi vistosamente turbato o addirittura spaventato, altri tutti gioiosi e sorridenti, il Santo Padre compreso. Che cosa è successo, che cosa si saranno detti? Solo dopo essere rientrati nel quartiere della Guardia svizzera fummo informati dell’annuncio della celebrazione del Concilio Vaticano II.
Josef ebbe modo di fare conoscenza con papa Giovanni XXIII a partire dall’8 novembre 1958 nella sala Clementina del Palazzo Apostolico. Era di servizio come capoposto, quando il Papa, da poco eletto, facendo una visita alla sala con il suo segretario privato, mons. Loris Capovilla, gli fece un cenno con la mano perché si avvicinasse; sulle prime Josef pensò di avere visto male, ma il cenno si ripeté in modo più esplicito. Josef si avvicinò e gli offrì il saluto militare, già fatto al suo ingresso nella sala; poi si inginocchiò. Il Papa, sorridendo, gli disse: «Su, su giovanotto. Come stai e come ti chiami?» Con commozione rispose: «Mi chiamo Giuseppe». «Ah, ti chiami Giuseppe; anch’io fino a otto giorni fa mi chiamavo Giuseppe Angelo, soltanto che mi hanno fatto cambiare il nome, quindi adesso mi chiamo Giovanni».
Rimase sorpreso «di queste paterne e anche spiritose parole del nuovo Papa», scomparvero improvvisamente tutti i suoi complessi, e rispose con naturalezza alle successive domande del Papa.
Al termine della visita alla sala, il pontefice gli fece ancora cenno di avvicinarsi e gli disse: «Caro Giuseppe, la prossima volta che scrivi una lettera ai tuoi genitori, comunica loro che hai avuto l’occasione di parlare con il nuovo Papa; che il Papa li ringrazia, vuole loro molto bene, prega per loro e invia a tutti la sua paterna e apostolica benedizione».
La benevolenza del Santo Padre aveva superato per Josef ogni limite e gli aveva provocato una tale commozione che cominciò a piangere. Anche il Santo Padre si era commosso e gli aveva detto: «Però adesso devo andare a cena». E si ritirò assieme al segretario.
Per qualche minuto mi sforzo di capire se ho sognato, o se quello che ho vissuto durante l’ultima mezz’ora è stato realtà. Avendo promesso al Papa di trasmettere i suoi saluti ai miei in Svizzera, mi decido a farlo subito, quella sera stessa. Grande è la mia felicità, e grande in seguito la contentezza dei miei genitori e familiari in Svizzera, quando hanno appreso da me queste bellissime notizie”.
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