«Quel giorno il Signore fondò la sua Opera, suscitò l’Opus Dei». Non ha mai raccontato molto di quella mattina a Madrid, san Josemaría Escrivá. Anzi, per la precisione ha sempre riferito solo l’essenziale: e cioè che il 2 ottobre 1928 – novant’anni oggi – a Madrid non “fondò” ma “vide” l’Opus Dei. Due verbi profondamente diversi, a sottolineare – con energia e riserbo allo stesso tempo, come cosa sulla quale non c’è granché da aggiungere – che l’azione non fu affatto sua ma di Dio. Quel giovane sacerdote aragonese infatti non aveva mai avuto l’intenzione di fondare un bel niente. Semplicemente, si trovò davanti agli occhi «un panorama immenso – come ha scritto ieri in un messaggio monsignorFernando Ocáriz, terzo successore di Escrivá alla guida di quella che dal 1982 è una Prelatura personale – : cooperare alla riconciliazione del mondo intero con Dio attraverso il lavoro professionale e tutte le circostanze della vita ordinaria».
Vicario di Ocáriz per l’Italia è da pochi giorni don Normann Insam, 63 anni, laureato in Chimica alla Sapienza, prima insegnante di liceo, poi sacerdote (dal 1994), infine parroco di San Giovanni Battista in Collatino al Tiburtino, popolosa parrocchia romana affidata all’Opus Dei. Insam è romano ma di origini gardenesi: «Sia mio padre che i nonni sono nati a Santa Cristina di Val Gardena – racconta –. Prima dell’ultima Guerra mondiale la mia famiglia paterna si trasferì in Austria, dove sono sepolti i miei nonni. Dopo la fine del conflitto mio padre tornò per lavoro in Italia con alcuni fratelli, e si stabilì a Roma». Nella sede di lavoro del vicario – Milano – ricorda il compleanno dell’Opera con la sua prima intervista.
L’Opus Dei nasce novant’anni fa a Madrid: altro Paese, altra realtà sociale, altro contesto. Oggi pare cambiato tutto rispetto ad allora. Anche per l’Opera?
L’Opus Dei è una realtà giovane della Chiesa ma è nata in un momento di grandi mutamenti mondiali e sociali
L’Opus Dei è una realtà giovane della Chiesa ma è nata in un momento di grandi mutamenti mondiali e sociali. Questo fatto di nascere in un contesto e di trovarsi catapultati in un altro universo dopo qualche tempo è una condizione che accomuna un po’ tutte le parti della Chiesa: basti pensare a realtà che esistono ininterrottamente da otto o dieci secoli e che sono nate quando il mondo era decisamente diverso da oggi. Certo, la società non è la stessa né di otto secoli fa né di novant’anni fa, ma l’Opus Dei aiuta le persone a cercare le risposte ad alcune domande che sono proprie dell’essere umano, rimaste immutate nel corso dei millenni: perché esisto, qual è lo scopo della vita, come posso essere felice, cos’è la verità...
Esiste una specificità “italiana” della presenza e dell’azione dell’Opera?
Gli italiani hanno sempre risposto con grande generosità impegnandosi in iniziative il cui scopo è l’attenzione agli ultimi o ai sofferenti
La storia dell’Opus Dei in Italia ha una sua particolarità, rispetto ad altre nazioni del mondo, perché è qui che san Josemaría volle stabilirsi nel 1946. Gli italiani hanno sempre risposto con grande generosità impegnandosi in iniziative il cui scopo è l’attenzione agli ultimi o ai sofferenti o la formazione delle generazioni future: penso per esempio a iniziative promosse da fedeli dell’Opera come il Centro Elis a Roma o le varie scuole in giro per l’Italia nate grazie all’impulso di genitori che volevano mettere in pratica alcune intuizioni educative di san Josemaría.
A quali attese ed esigenze della società italiana cerca di rispondere oggi con più impegno la Prelatura?
neanche un anno fa papa Francesco ci ha chiesto espressamente di portare il Vangelo alla classe media e a intellettuali e artisti
Le esigenze sono riassumibili in tre macro-aree che ha indicato il prelato monsignor Fernando Ocàriz il giorno dopo la sua elezione, il 23 gennaio 2017: giovani, famiglia e lotta alla povertà (non solo materiale). Inoltre neanche un anno fa papa Francesco ci ha chiesto espressamente di portare il Vangelo alla classe media e a intellettuali e artisti.
Quale relazione c’è tra i centri dell’Opus Dei presenti in varie città, i fedeli della Prelatura (laici sposati e non, ma anche sacerdoti) e l’azione pastorale delle diocesi italiane?
La prima relazione che mi viene in mente è che le attività dell’Opus Dei in qualunque diocesi iniziano solo se hanno il benestare del vescovo. Alcuni fedeli dell’Opera sono impegnati in prima persona nelle loro parrocchie e comunità perché vivono la loro vita di cristiani normali proprio all’interno di quelle realtà. La stessa cosa vale per molti sacerdoti dell’Opera a cui magari è affidata dal vescovo una parrocchia o la formazione dei giovani al matrimonio, o altro. Si immagini la ricaduta positiva dello zelo apostolico di molti fedeli dell’Opera: al mercato, con i vicini di casa, con i colleghi di lavoro, con i genitori dei compagni di classe dei figli... Una visita al Santissimo Sacramento fatta assieme, anche rapidamente, una confessione ben fatta dopo molti anni di lontananza dalla vita cristiana, lo sforzo di ogni singolo fedele dell’Opera di rivolgere il proprio lavoro professionale e le proprie relazioni a Dio, l’impegno di santificare le realtà quotidiane che ognuno vive... Tutto questo – difficilmente misurabile – è azione pastorale che ricade nella diocesi. Buona parte di questa azione apostolica scaturisce dall’iniziativa di ciascuno: ed è questa è la cosa davvero decisiva.
Domani inizia il Sinodo sui giovani, e per una realtà che tra i giovani è nata e cresciuta può suonare come un incrocio provvidenziale del calendario. Cosa può trovare un giovane oggi nella proposta cristiana dell’Opus Dei?
I giovani hanno grandi sogni nel cuore, grandi ideali, grandi passioni. L’Opus Dei, con la sua proposta, crede di poterli avvicinare a ciò che veramente dà senso alle nostre vite e di poterli accompagnare un passo più vicini a Gesù.
Lei è appena subentrato a don Matteo Fabbri come vicario dell’Opus Dei per l’Italia. Qual è lo “stato di salute” della Prelatura nel nostro Paese? E lei su quali aspetti intende lavorare?
In Italia ci sono circa 4.500 membri dell’Opus Dei sparpagliati in diverse città italiane. San Josemaría diceva che «vogliamo servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita». Mi piacerebbe che nei prossimi anni, in linea con quanto ci sta indicando papa Francesco, aumentassero i giovani che rispondono positivamente alla chiamata di Dio all’interno dell’Opera, che si moltiplicassero le iniziative rivolte alle coppie (in particolare a quelle giovani) perché vivendo un cammino di santità matrimoniale possano trovare la loro felicità, e che dalla fantasia delle persone italiane dell’Opera nascessero molte altre iniziative rivolte a disagiati, poveri, emarginati. Sempre riprendendo quanto ci diceva il Papa – «portare il Vangelo alla classe media, agli intellettuali e agli artisti» – mi piacerebbe che queste iniziative rivolte a coloro che hanno bisogno venissero portate avanti da gente della classe media, affinché attraverso il loro coinvolgimento in attività di solidarietà possano scoprire in pienezza la Buona Novella.
Fonte: Avvenire