Una delle attrazioni che in questi ultimi anni si è diffusa di più è l’interesse a vedere le stelle. Non sono poche le spedizioni che vengono organizzate per raggiungere località dove il cielo è completamente limpido – esente anche da luci artificiali – per osservare gli astri con maggiore chiarezza. Sicuramente nella zona di Ebron, nel sud della Palestina, all’epoca in cui visse Abramo (Gn 13, 18), questo spettacolo notturno sarà stato impressionante; con grande probabilità assai più che ai giorni nostri. Proprio in quella zona del Medio Oriente era ormai già scesa la sera quando – come ci racconta la Sacra Scrittura – Dio trasse Abramo dal luogo in cui riposava durante la notte e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» (Gn 15, 5).
Fianco a fianco accanto a Dio
Non è difficile rendersi conto della complessità di questo compito. Per quanto intensa possa essere la nostra concentrazione, si perde rapidamente il conto: molte stelle sfuggono alla nostra vista, altre forse non esistono più, anche se la loro luce arriva ancora ai nostri occhi. Sembra che la sfida da Dio proposta ad Abramo non sia realizzabile. Allora, perché lo mise in agitazione in piena notte con questo invito? La risposta la possiamo trovare nello stesso versetto: «Tale sarà la tua discendenza». Non c’è dubbio che il Signore gli avrebbe potuto trasmettere questo messaggio in un’altra maniera molto più semplice. Per la verità, lo aveva già fatto in due precedenti occasioni (cfr. Gn 12, 2-3; 13, 15-16); non era la prima volta che gli comunicava la sua promessa. Tuttavia, con questa terza volta, vuole trarre Abramo dal luogo in cui si riparava durante la notte, farlo stare sotto la volta del cielo e invitarlo a sognare qualcosa di incalcolabile. «Conta le stelle, se riesci a contarle». Immagina, se puoi, ciò che ho in preparazione per te.
Infatti, guardare la nostra vita «fianco a fianco» accanto al Signore è il modo migliore per ampliare al massimo gli orizzonti, vivere al di là dei nostri limiti, proprio perché in questa avventura noi non siamo gli unici protagonisti. Pensare a come sarà il nostro futuro accanto a Dio – sono tante le nuove sfide che possono presentarsi se aderiamo al suo progetto – è la programmazione più ambiziosa alla quale possiamo aspirare. Egli non ci toglierà «nulla – assolutamente nulla – di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera»[1]. Accettare questo invito di Dio per immaginare insieme a Lui il futuro può costituire uno splendido modo di percorrere le strade della preghiera.
Anche sognare è orazione
Ecco ciò che hanno fatto tutti i santi: hanno sommato le loro capacità, più o meno significative, al progetto amorevole di Dio. Josemaría Escrivá, per esempio, che a Madrid, una città per lui nuova, disponeva soltanto di un pugno di persone da poco conosciute, sognò di ricordare a tutti i battezzati del mondo di essere chiamati alla santità; lo stesso accadde con il beato Álvaro del Portillo, suo fedele successore, o con la beata Guadalupe Ortiz de Landázuri, i quali, a loro volta, fecero proprio quel sogno del fondatore dell’Opus Dei, incarnando nella loro vita la bellezza della santità nella vita ordinaria.
Certe volte gli esempi dei santi ci possono sembrare un po’ difficili da imitare; possiamo pensare che i nostri sogni non siano poi così ambiziosi, e forse neppure tanto apostolici. Ma in realtà, come il prelato dell’Opus Dei ricordava questa estate a un gruppo di giovani a Torreciudad, «non c’è nessuna persona – nessuno di voi, né io, né nessuno – che a Dio risulti indifferente »[2]; nessuno è rimasto fuori dai suoi progetti, che sono sempre grandi, per quanto a volte possiamo pensare, sbagliando, che le nostre attività siano troppo banali per essere prese in considerazione. Tutti siamo invitati a sognare la nostra vita «fianco a fianco» accanto a Dio.
Un giorno, a Roma, intorno al Natale del 1967, san Josemaría partecipava a una riunione con un gruppo di suoi figli di molti paesi. Alle porte di un nuovo anno, invitò coloro che gli stavano attorno in quel momento – un gruppo di studenti – a immaginare le tante possibili maniere di estendere il messaggio di Cristo: istituti delle più diverse discipline dotati di un grande livello accademico, sedi nelle quali si sarebbe impartita ai giovani la formazione cristiana, scuole per la formazione professionale per le mansioni tecniche... Giunti a questo punto, noi possiamo anche immaginare tutto il bene che Dio oggi vuol fare attraverso la nostra vita: essere un faro di unità e di gioia nella nostra famiglia, portare la vera libertà di Cristo nella nostra professione e nel nostro ambiente, la conversazione con un amico perché sappia di non essere solo, conoscere sempre più persone che si interessino al messaggio del Vangelo... In quel soggiorno romano, davanti a tante persone che avrebbero potuto dubitare se tutto ciò che avevano udito fosse pura fantasia, ma che in poco tempo lo videro divenire realtà, san Josemaría concluse dicendo: «Sognate, perché anche i sogni sono orazione, sono un lavoro per Dio»[3].
Dio fondò la sua Opera
Sicuramente la prima cosa da fare sarà scoprire ciò che Dio sogna per noi e per il nostro mondo. Di che si tratta esattamente? In quali attività concrete possiamo collaborare con Lui? Ci può aiutare, ancora una volta, il libro della Genesi. Nella primavera del 1981 il cardinale Ratzinger, commentando nella cattedrale di Monaco di Baviera i passi che si riferiscono alla Creazione, osservava: «Dio ha creato l’universo per avviare con gli uomini una storia d’amore. Lo ha creato perché vi sia amore»[4]. Sappiamo bene che la nostra vita non è il risultato di un caso cieco, e quindi in nessun modo siamo assenti nel cuore di chi ci ha assegnato nell’esistenza uno spazio ben preciso. Dio vuole avvalersi di noi perché ci prendiamo cura di tutte le cose buone che sono uscite dalle sue mani: «Prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2, 15). Dio ci ha voluto affidare questo mondo come chi, per amore verso i nuovo custodi, lascia in eredità la sua opera maestra. Ci ha affidato, oltre a tutta la natura, la cura di ognuno dei suoi figli e delle sue figlie e l’organizzazione della convivenza tra noi. Perciò sogna che ogni giorno possiamo fare di questo mondo un luogo più amabile per tutti.
In questo impegno la creatività di Dio s’incanala sempre attraverso nuove strade, che sono progetti pensati per la società e per la Chiesa. Una di queste iniziative del Signore ebbe inizio il giorno in cui san Josemaría, un giovane sacerdote di ventisei anni, stava mettendo in ordine gli appunti che aveva steso durante i giorni di un ritiro spirituale. Improvvisamente, senza che lo avesse immaginato in precedenza, vide che Dio gli chiedeva di iniziare una nuova avventura; «in quel giorno il Signore fondò l’Opera»[5]. Alcuni anni dopo scriverà anche: «Dio nostro Signore, il giorno 2 ottobre 1928, festa dei santi Angeli Custodi, suscitò l’Opus Dei»[6]. Dieci anni più tardi confessa nuovamente: «Mai mi era passato per la testa, prima di quel momento, che avrei dovuto compiere una missione tra gli uomini»[7]. Quel giorno san Josemaría, come è detto nel versetto citato all’inizio, sperimentò personalmente l’invito: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle».
Anche l’Opus Dei, come tante altre istituzioni che lo Spirito Santo promuove in seno alla Chiesa, è un sogno di Dio. Un sogno grazie al quale vuol dotare molti cristiani dell’entusiasmo necessario a trasmettere, lì dove si trovano, la vita di Cristo. L’impresa non era semplice, ma san Josemaría sapeva che Dio stesso s’impegnava a portarla a compimento; la sua vita fu una continua testimonianza delle parole di san Paolo: «So di chi mi sono fidato» (2 Tm 1, 12). Quando il suo confessore, in quei primi anni, si riferì a questo sogno indicandolo come «quest’Opera di Dio»[8], il fondatore si rese conto di aver trovato un nome preciso da dare all’iniziativa. Dopo pochi anni di lavoro a questa prospettiva che il Signore gli aveva mostrata, san Josemaría scriveva: «La convinzione soprannaturale della divinità dell’impresa finirà con il darvi un entusiasmo e un amore così intenso per l’Opera da farvi sentire felicissimi di sacrificarvi perché si realizzi»[9]. Ancora una volta: lavorare fianco a fianco accanto a Dio non ci toglie mai nulla di ciò che di bello e buono ha la vita; può soltanto riuscire ad accrescerlo.
Conferire al mondo la modernità
Sabato 15 aprile 1967 si trovava a Roma il corrispondente di una nota rivista, per una intervista a san Josemaría[10]. L’argomento di cui avrebbero parlato era proprio lo sviluppo dell’iniziativa voluta da Dio alcuni decenni prima. L’incontro avvenne nella seconda metà del XX secolo, epoca in cui tante cose erano cambiate rispetto alla prima metà. E proprio su questo si fonda la domanda del giornalista: sul rapporto fra l’Opus Dei e il mondo in cui si sviluppa. L’intervistato risponde immediatamente: per coloro che intendono vivere lo spirito dell’Opera «comprendere il mondo moderno è qualcosa di naturale e di istintivo, perché sono loro stessi – con gli altri cittadini uguali a loro – che fanno nascere questo mondo e gli conferiscono modernità»[11].
L’impegno di considerare comunque il futuro come una propria eredità è stato sempre unito alla storia della salvezza. La sapienza del popolo d’Israele, contenuta nella Sacra Scrittura, alcune volte è presentata in maniera simbolica come una buona madre di famiglia. In uno dei suoi proverbi la caratterizza come una donna che è « rivestita di fortezza e di decoro, e nei suoi ultimi giorni essa vive nella gioia » (Pro 31, 25). Infatti, che cosa significa in verità essere moderno? La modernità del mondo sicuramente non consiste semplicemente nell’individuare tutto ciò che sta marcando una tendenza, spesso cose superficiali e mode passeggere, per ripeterle poi nella nostra vita. E non consiste, probabilmente, neppure nell’imitazione delle opinioni e delle forme di coloro che apparentemente hanno il maggior numero di seguaci. Tutto questo, indubbiamente, può avere una validità, ma sarà superato in un batter d’occhio.
Il cristiano « vive nella gioia » perché sa che la modernità del nostro mondo consiste in tutte le cose nuove che Dio vuole apportare in maniera particolare e speciale in ogni epoca. Sorridere al futuro, per aprirsi all’amore di Cristo, vuol dire impegnarsi nello scoprire questi desideri, che si nascondono in mezzo agli interessi e ai problemi delle persone che ci stanno accanto, assai spesso senza avere neppure le parole adatte per interpretarli; vuol dire saper entrare in sintonia con la sensibilità del nostro tempo per portare fin lì il balsamo dell’amicizia con Gesù. La vera modernità consiste in «un approfondimento della fede cristiana che, se radicale e autentica, è in grado di cogliere e far proprio quanto vi è di positivo nel moderno processo storico»[12].
Nell’ultimo libro della Sacra Scrittura il Signore ci assicura: «Io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5). Dio promette di essere sempre disposto a portare l’autentica novità. A questo sono chiamati tutti coloro che cercano di vivere lo spirito dell’Opus Dei: a percorrere vie di preghiera in modo da conferire al mondo la sua modernità; a volerlo cambiare – a farne un luogo sempre più accogliente – accanto a Cristo. Per questo Dio, come ha fatto con Abramo, ci invita ad alzare lo sguardo e ci ripete: immagina, se puoi, ciò che ho preparato per te.
Quando sognare diventa difficile
In tal senso è importante stare in guardia da certi atteggiamenti che ci possono indurre a rimandare questa missione. Benché forse appaia strano, non è sempre facile sognare. Un primo freno che possiamo azionare è la comodità di cedere alla routine. Questo non ha nulla a che vedere con la buona abitudine di creare certi abiti o ritmi che ci facilitano le cose. La cattiva routine, invece, è la caricatura della vera esperienza; consiste nell’essere convinti che ormai conosciamo troppo bene la strada, i suoi vasti panorami e le sue oscure viuzze, sicché a questo punto della vita nessuno – neppure Dio – ci potrà sorprendere. Ma gli orizzonti di Dio li può abbracciare soltanto chi ha uno sguardo disposto alle sue sorprese, che possiamo trovare nella Sacra Scrittura, nell’orazione o tutte le volte che si fanno presenti attraverso le persone e gli eventi che ci riguardano. È vero che nella nostra vita potremmo aver provato alcune delusioni o alcuni progetti, pur essendoci sforzati di viverli accanto al Signore, non sono andati a buon fine come pensavamo. Sono momenti nei quali, come Gesù sulla Croce, conviene cercare consolazione in Dio nostro Padre, trasformando le nostre perplessità in un dialogo con Lui (cfr. Mt 27, 46). Soltanto così potremo, con la sua protezione, guardare nuovamente al futuro senza paura né lamenti.
Un altro freno alla nostra capacità di stare all’unisono con i progetti del Signore, è l’eccessiva ricerca di sicurezze. Nessun santo ha costruito attorno a sé una fortezza impermeabile; al contrario, tutti, in un modo o in un altro, sono andati incontro alle necessità spirituali e materiali che avevano davanti, confidando sempre nell’aiuto di Dio. Un esempio emblematico, utilizzato qualche volta da Papa Francesco, lo troviamo nel re Davide quando, per l’eccesso di sicurezza con cui Saul voleva proteggerlo nella lotta con il suo nemico – un elmetto di bronzo, una pesante corazza, la sua spada personale –, il giovane ebreo non riusciva neppure a camminare. Davide, alla fine, si recò allo scontro con ciò che sapeva adoperare bene: la sua fionda, cinque pietre, e soprattutto le proprie forze poste al servizio dei progetti divini (1 Sam 17, 40-45). Nello stesso modo, visto il campo di battaglia che dobbiamo percorrere per curare le ferite del nostro tempo, non possiamo cedere ad alcuna tentazione. Non esistono sogni senza avventure, vertigini, stanchezze e pericoli. Proprio Gesù, in una delle sue parabole, ci esorta ad «andare ai crocicchi delle strade» (cfr. Mt 22, 9) per scoprire l’attività che ha preparato per noi.
Nelle pagine del Vangelo troviamo anche un altro personaggio che si trovò davanti a una difficoltà quando si trovava al centro del sogno di Dio. Stiamo parlando del giovane che corse verso Gesù, si mise in ginocchio e fece subito la domanda fondamentale: come posso essere veramente felice? Sappiamo che era un ragazzo che cercava di osservare i comandamenti, che era sincero e giusto verso i genitori e benevolo verso le altre persone. Però sentiva che gli mancava qualcosa; aveva un forte desiderio di lavorare nei progetti divini. L’evangelista ci dice che Gesù, «fissatolo, lo amò» (Mc 10, 21). Fu questo il momento preciso del sogno di Dio. Cristo vide tutte le cose buone che sarebbero potute venire dalle mani e dal cuore del giovane – tante quante le stelle nel deserto di Ebron –, sicché volle indicargli la via verso la sua massima realizzazione: «Vieni e seguimi». Tuttavia, sempre dal Vangelo, sappiamo che «se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni» (Mc 10, 22). Così il Signore ci vuol mettere in guardia da un’altra difficoltà che ci impedisce di guardare il futuro vicino a Dio: quando, magari inavvertitamente, ci entusiasmiamo per qualcosa che non è Lui; quando, confusi, pensiamo che Gesù entri nella nostra vita per toglierci cose e non per darci, in abbondanza (cfr. Gv 10, 10), la felicità che quel giovane chiedeva.
* * *
L’11 agosto dell’anno scorso, al calar della sera e attenuatosi un poco il caldo estivo, PApa Francesco ha avuto un incontro con i giovani venuti da tutti gli angoli dell’Italia. L’incontro era fissato al Circo Massimo, non lontano dal fiume Tevere, tra due colline romane. Le prime parole del Santo Padre invitavano proprio a riflettere sui grandi progetti della nostra vita accanto a Dio. Nel caso di coloro che si ispirano agli insegnamenti di san Josemaría, questo progetto comporta l’invito a conferire al mondo la propria modernità, quella novità che può venire soltanto da un rapporto personale con Cristo: «I sogni sono importanti. Tengono il nostro sguardo largo, ci aiutano ad abbracciare l’orizzonte, a coltivare la speranza in ogni azione quotidiana. [...] I sogni ti svegliano, di portano in là, sono le stelle più luminose, quelle che indicano un cammino diverso per l’umanità. Ecco, voi avete nel cuore queste stelle brillanti che sono i vostri sogni: sono la vostra responsabilità e il vostro tesoro. Fate che siano anche il vostro futuro!»[13].
Andrés Cárdenas
[1] Benedetto XVI, Omelia nella Messa di inizio pontificato, 24-IV-2005.
[2] F. Ocáriz, Incontro con i giovani a Torreciudad, 30-VIII-2019.
[3] San Josemaría, Appunti di una riunione familiare, 24-XII-1967, in Crónica 1968, p. 38 (AGP, Biblioteca, P01).
[4] Cardinale Joseph Ratzinger, Creazione e peccato, San Paolo, 1987.
[5] San Josemaría, Apuntes íntimos, n. 306. Citato in Vázquez de Prada, Il fondatore dell’Opus Dei, vol. I, Leonardo International, Milano 1999, p. 317.
[6] San Josemaría, Lettera 14-II-1950, n. 3.
[7] San Josemaría, Appunti di una meditazione, 2-II-1962. Citato in Vázquez de Prada, Il fondatore dell’Opus Dei, vol. I, Leonardo International, Milano 1999, p. 313.
[8] San Josemaría, Apuntes íntimos, n. 1868. Citato in Vázquez de Prada, Il fondatore dell’Opus Dei, vol. I, Leonardo International, Milano 1999, p. 362.
[9] San Josemaría, Istruzione 19-III-1934, n. 49. Citato in Vázquez de Prada, Il fondatore dell’Opus Dei, vol. I, Leonardo International, Milano 1999, p. 608.
[10] San Josemaría, Conversaciones con Monseñor Escrivá de Balaguer, edición crítico-histórica, Rialp, Madrid 2012, p. 35.
[11]Ibidem, p. 215
[12] A. de Fuenmayor, V. Gómez-Iglesia, J.L. Illanes, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei, Giuffrè, Milano 1991, pp. 53-54.
[13] Papa Francesco, Incontro con i giovani italiani, 11-VIII-2018.