A metà strada tra Bologna e San Marino, nel cuore della Romagna, sorge una cittadina di origini medievali chiamata Faenza. Giuseppe, sposato con Stefania e papà di Martina, Giulia e Lorenzo, vive qui e ha lavorato per molti anni come agente commerciale di una grande azienda della vicina Imola, cosa che lo ha portato a viaggiare per i cinque continenti.
“Qualche anno fa andai per un viaggio di lavoro in India con un mio collega - racconta Giuseppe, fedele dell’Opus Dei da quasi 40 anni - che era molto lontano dai sacramenti. Ma era domenica, e mi ero fatto dare il numero di telefono di una casa dove si facevano attività di formazione cristiana dell’Opus Dei. Il mio collega venne con me alla Messa prefestiva. Non è semplice descrivere quei luoghi se non ci si è stati, ma gli rimase bene impresso che a Messa c’era gente molto povera, che si era sforzata di vestirsi dignitosamente per l’evento. Cercare di fare le cose normali, anche in circostanze complicate, mi è sempre sembrato un bel modo di essere Opus Dei”.
Quando studiava Ingegneria a Bologna Giuseppe si accorse che un suo collega aveva sempre un impegno fisso una volta a settimana: si trattava del circolo, un incontro di formazione cristiana che si fa abitualmente in centri dell’Opus Dei. “Mi autoinvitai - ricorda divertito Giuseppe - a quell’incontro settimanale e pochi mesi dopo chiesi l’ammissione come soprannumerario”. Ma, finiti gli studi, Giuseppe fu chiamato a fare il servizio militare a Firenze: “Non era semplice rispettare il piano di vita interiore che mi ero proposto. La cosa che più mi faceva soffrire era non sapere quando poter andare a Messa. Un giorno mi chiamarono per dirmi che avevo una visita, credevo fosse una mia zia. E invece era un numerario che era lì per iniziare il lavoro apostolico dell’Opera, al quale avevano detto che mi trovavo a Firenze a fare il servizio militare. Voleva solo salutarmi, sapere come stavo: mi resi conto che l’Opera era sul serio una famiglia”.
L’inizio dell’Opus Dei in Romagna
All’inizio del 1986 Giuseppe era l’unico fedele dell’Opus Dei in Romagna (approssimativamente, la zona dell’Emilia Romagna a est del fiume Sillaro), e iniziò a tenere un corso di formazione cristiana di base coinvolgendo alcuni amici. “Poteva capitare che dopo trenta telefonate venisse una sola persona. Oggi uno di quegli amici è l’altro soprannumerario di Faenza, e alcuni altri sono diventati cooperatori, mentre ci sono altri fedeli dell’Opus Dei sparsi per la Romagna”.
Il centro dell’Opus Dei più vicino a Faenza è a Bologna, a un’ora di macchina. “All’inizio degli anni ‘90 - prosegue Giuseppe - con le persone dell’Opera di Bologna iniziammo a pensare di organizzare un ritiro spirituale per le persone della Romagna. Ma rispetto all’area dove io e i miei amici vivevamo (e quindi anche i nostri amici), Bologna era troppo fuori mano: l’idea di fare un’ora di macchina per un ritiro spirituale può essere sfidante soprattutto per chi magari non lo ha mai fatto”. Giuseppe prese allora in carico la logistica del ritiro: “Mi armai di Santa Faccia Tosta e andai dal rettore del seminario di Faenza per chiedergli uno spazio. Alla fine il primo ritiro della Romagna si fece proprio nella bellissima cornice del seminario di Faenza”.
Quella del primo ritiro fu una cornice straordinaria: nelle successive edizioni di quell’appuntamento ci si è poi spostati a Forlì, in una parrocchia vicina all’autostrada che permette di essere raggiunta da chi viene dalle cittadine intorno. “Nonostante questo posizionamento strategico - sottolinea Giuseppe - ci sono persone che percorrono duecentocinquanta chilometri tra andata e ritorno per partecipare al ritiro mensile a Forlì. Mi sembra bello, come faceva san Josemaría con i suoi figli e amici, per esempio durante la guerra civile spagnola: se c’è un amico dall’altra parte del paese, lo raggiungo”.
“Cerchiamo di mantenere questo spirito - prosegue Giuseppe - anche con le altre persone dell’Opera della Romagna: una volta al mese, dopo il ritiro o un’attività di formazione che facciamo o a Faenza o a Cattolica, passiamo dalla mistica alla mastica, condividendo una cena tra fratelli”.
Risvegliare lo spirito
“Da ingegnere mi sono fatto tante domande - conclude Giuseppe -, e nella Chiesa ho trovato tante risposte: essere un marito e un papà che sa amare concretamente, fare bene il mio lavoro, cercare di essere un buon amico dei miei amici e colleghi sono le mie chiamate di tutti i giorni. Inoltre mi sembra che il Signore abbia contato su di me per cercare di risvegliare lo spirito di chi mi sta intorno quando arriva la tristezza: come diceva san Josemaría, non conosco santi tristi perché sarebbero dei tristi santi!”