“Un poema nel ventunesimo secolo può sembrare una scelta azzardata, ma per me è un modo di ringraziare Dio di tutti i doni che mi ha offerto”.
Gianfranco, oltre a insegnare all’Università, è un poeta: «In pochi anni ho perso entrambi i genitori - racconta Gianfranco -, figlio unico, rimasi orfano a ventitré anni. Già allora scrivevo abbondantemente, sono sempre stato una penna facile, e il mio sogno era studiare e fare ricerca».
Gianfranco ha conosciuto l’Opus Dei grazie a degli amici dei suoi genitori, quando aveva quattordici anni, e ricorda bene la prima volta che lesse Cammino: «Per me fu una vera e propria folgorazione. Le tracce di spiritualità lasciate da san Josemaría in tutti i suoi libri, ma specialmente Cammino, Solco e Forgia, fanno parte della mia memoria come persona”.
Dopo la laurea ha continuato la carriera accademica: «Mi recai in Germania per fare un dottorato in Filosofia del Diritto, e a Munster conobbi mia moglie, Rosali, brasiliana di San Paolo. Nel mio periodo in Germania continuai a frequentare i mezzi di formazione cristiana dell’Opera, offerti proprio dalle persone che per prime furono mandate da san Josemaría in questo paese». Tornato in Italia, Gianfranco ebbe l’occasione di andare a lavorare in Uruguay, per coordinare un progetto di cooperazione dell'Unione Europea a nord dell’Uruguay per la costituzione di una cooperativa di artigiani. Una volta in Uruguay, fu semplice andare a San Paolo per celebrare le nozze. I due hanno un figlio, Pedro.
Nel 2019 Gianfranco ha chiesto di istituire l’insegnamento di Filosofia della Pace, nell’ambito di Filosofia Politica e di Filosofia del Diritto: «I ragazzi difficilmente conoscono la pace come frutto dello Spirito Santo, ma ancora più comunemente non comprendono la differenza tra un armistizio e una tregua. Questa materia vuole essere uno stimolo per la riflessione sull’attualità, in cui purtroppo la guerra è molto presente».
Dopo aver pubblicato, nel 2020, Srebrenica. In Europa, alla foce della notte, recentemente Gianfranco ha voluto omaggiare in terzine il fondatore dell’Opus Dei con un poema dal titolo L'Opera di Dio. San Josemaría Escrivá, la filiazione divina, il focolare di casa nelle età della vita: «È un libro tra il saggio filosofico-teologico e il poema. È lungo, ma il lettore può scegliere il suo percorso: storico, geografico o tematico. Non è necessario leggerlo dalla prima all’ultima pagina. I percorsi aiutano il lettore attraverso la versificazione, per vivere i momenti peculiari della vita di san Josemaría e dell’Opus Dei, verso un cammino del cuore. Per me è anche un modo di celebrare il senso di famiglia che ho scoperto nell’Opera: quando entri in un Centro dell’Opera, entri in casa di alcune persone. Vivi subito direttamente uno spirito famigliare, non ti senti estraneo, ma accolto e raccolto».
Ecco una selezione di versi, scelti dall’autore.
Incipit del poema
α. Non è possibile riscrivere la nostra vita per lasciarci amare,
né ci solleva svanire all’uscio del tempo, nel rintocco, spossato,
del cuore, fugando distacco e rovina. Inermi, per poter liberare
il pianto da scherno e dolore, malgrado quel secolo, infatuato
per un segno e dai suoi poteri, siamo, sotto pioggia che gronda,
verso il dono della vita, riscattata in Cristo, sciolta dal passato:
il beccheggiare di nebbia, figlio mio, a banchi, subito sfronda
contorni, e avvertiamo pure la nostra pelle impeciarsi di gelo
che ci ravvolge, ne intuiamo solco madido, lacerando l’onda
del cuore, elettrizzandolo di rinvii a contrordini, da un velo
bendato nella via e nel cammino, di una particolare identità
intriso, al di là della solitudine crepuscolare, mentre in siero […]
da La vocazione all’Opus Dei III
a. Gli sposi: la vocazione nuziale
a.1. – Prima che scenda la notte, prima che lo sguardo colga
dal cuore passioni solo, così che a noi sgomento addolori,
prima che, ancora, nella caverna delle ombre, ti travolga
inquietudine in quell’antro, tu, mia sposa, sferzata da tremori,
rifuggendomi tra lapsus, afasie, affinché non risalga né insorga
pulsione per ricordi astratti e corti, e che noti essere effusori,
tuttavia, da altre vite attratti, ancorché impossibili, da te sgorga
ormai, benché in te già presente in prossimi anni di schiamazzi,
un’interrogazione abissale: quando senza fine con Dio? Non deborda
confusione in quella cella[1], semmai si eleva da mondi di pupazzi
la rivelazione amata, imprevedibile, sguainata, forma di un gesto
epicamente infantile, spoglia nell’oblio, attesa utile per sbarazzarsi
di un esanime corpo del passato[2], volgendo all’Amato, dimesso,
il nostro sguardo, quando – rimosse parole d’enfasi perpetua, crasi
di scosso riscoprirci sorridenti nell’unione coniugale al perplesso
autunno –, tra larici, in estasi per petali e fogliami d’iperici, per fasi
spirituali e tra recessi, e fra querce, cerchiamo itinerario, nonostante
precipiti di novembre un purpureo dispiegarsi: rumoreggia la stasi […]
da San Josemaria Escrivá VI
a. Avrai tanto di santità, quanto, per Amore, avrai di mortificazione[3]
Baluardo al limite, segnato da fardelli e da pietà: è laggiù dove
attendiamo il presente, ancora, mentre si radicalizza il traffico
tra acquitrini di tutti coloro che tentano il passaggio all’altrove,
per salpare ad altro mare, nella percezione, al tramonto, del fico,
dissecato per non aver dato frutto[4], e gli sguardi si disperano,
sono quelli che brandiscono un fuoco negli occhi di ogni ricco,
che strettamente si tengono come a vela spiegata e si serrano
in un insieme che prostra la vita e la smarrisce verso l’inesistente:
c’è l’intuizione fra di noi per aver pianto alle ore che si afferrano
alla verità senza aver scuffiato in mare[5], al primo albore, semente
pervenuta a noi: è un’altra vita, di Cristo che ci invita a rimediare
tra flutti piatti, quando sale risacca lambendo ogni costa, e dolente […]
da Angele Dei, qui custos es mei 5
vii. Coro degli Arcangeli
α. Ti sovviene più tardi quel traguardo,
che spesso abbiamo prescelto, a un guado
percorso, al fine di riconoscere che gioia
rinviene in noi dall’avversità dei mondi,
che, per emissione di untumi, un baluardo
contro via e sacrifici istigano a scappatoia,
rivelandosi subito cieca, intrappolando
rinascita, e ostilità a obiettivo interpolando,
ma è l’attimo in cui ci sentiamo avvolti
dalla presenza di una potestà…, incolti
percorsi si ravvivano di obbedienza,
incolumi dal desiderio di ira e di vendetta,
sollevati dall’intento di derubare folti,
cadaverici miseri, in onestà e purezza,
per quell’unica verità che ci contenta
e ci regge in castità che non stenta. […]
L’Opera di Dio. San Josemaría Escrivá, la filiazione divina, il focolare di casa nelle età della vita, è disponibile in versione digitale grazie alle Edizioni Santa Croce.
[1] Ct 2, 4. I paragrafi contenuti ne La vocazione all’Opus Dei III sono stati meditati e scritti, tenendo conto anche di molti materiali provenienti dai PROP (Professionalità in Progress nel quotidiano: lavoro, famiglia, impegno sociale, svago, fede) raccolti e curati da Franca e Salvatore Troisi, Bari 1999-2016. Qui in particolare, dei venti volumi a cura dei coniugi Troisi, si è fatto riferimento nell’ambito del Volume I, alla Parte Seconda, dal titolo: Raccolta dei documenti utilizzati negli incontri; e per quanto concerne il Volume II, si è fatto riferimento anche al Supplemento, e in particolar modo agli Spunti di una linea culturale, Parte Terza: Prospettiva antropologica.
[2] Rm 6, 6; Col 3, 9.
[3] San Josemaría Escrivá, Forgia 1025.
[4] Mc 11, 12-24.
[5] Si usa questo termine per indicare uno sbandamento violento al termine del quale la barca ha l’albero in acqua; tipico delle derive senza bulbo zavorrato, per cui il raddrizzamento non può che essere fatto direttamente dall’equipaggio utilizzando il proprio peso.