1. Il settimo comandamento: Non rubare
«Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata. La vita cristiana si sforza di ordinare a Dio e alla carità fraterna i beni di questo mondo»[1].
Dio ha affidato la terra all'uomo perché la coltivasse e beneficiasse dei suoi frutti. È un dono che Dio fa a tutti gli uomini e per questo «l'appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità»[2]. Non si nega il diritto alla proprietà privata ma, come insegna il Concilio Vaticano II, si riconosce che debba essere un mezzo per aiutare i più bisognosi[3]. La Chiesa ha rifiutato sia le ideologie totalitaristiche che vogliono eliminare la proprietà privata sia il capitalismo "selvaggio" e individualista che cerca di concentrare la maggior parte dei mezzi di produzione nelle mani di pochi, lasciando molte persone in una situazione molto precaria.
2. Il settimo comandamento e l'uso dei beni: temperanza, giustizia e solidarietà
La temperanza per modera l'uso e il possesso dei beni creati, la giustizia, garantisce i diritti del prossimo. A queste due virtù va aggiunta la solidarietà[4].
La virtù della povertà, come parte della temperanza, non consiste nel non avere, ma nel distaccarsi dai beni materiali, nell'accontentarsi di ciò che è sufficiente per vivere con sobrietà e temperanza, e nell'amministrare i beni per servire gli altri. Nostro Signore ci ha dato un esempio di povertà e di distacco dal momento della sua venuta nel mondo fino alla sua morte[5]. Ci ha anche insegnato il danno che può causare l'attaccamento alle ricchezze: «difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli»[6].
La virtù morale della giustizia consiste nell'abitudine di dare a ciascuno ciò che gli è dovuto con una volontà costante e ferma. La giustizia tra le persone singole è chiamata giustizia commutativa (per esempio, l'atto di pagare un debito); la giustizia distributiva regola ciò che la comunità deve ai cittadini in base ai loro bisogni e ai loro contributi; la giustizia legale riguarda le relazioni del cittadino con la comunità e si comprende, tra gli altri doveri, il pagamento delle giuste tasse[7].
La virtù della solidarietà è «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti»[8]. La solidarietà è «condivisione dei beni spirituali ancor più che di quelli materiali»[9].
Il settimo comandamento, non rubare, proibisce di prendere o trattenere ingiustamente la proprietà altrui o di danneggiare ingiustamente il prossimo nei suoi beni materiali. Si parla di furto quando si sottraggono di nascosto beni altrui. La rapina è il sequestro violento di beni altrui. La frode è il furto che si realizza ingannando gli altri con l'inganno con documenti falsi, ecc. o trattenendo il giusto salario. L'usura consiste nel richiedere un interesse superiore a quello legale per una somma prestata (generalmente approfittando di una situazione di bisogno materiale del vicino). Sono illecite anche la corruzione e qualsiasi tipo di spreco.
Chi ha commesso un'ingiustizia deve riparare per quanto possibile al danno subito. La restituzione di ciò che è stato rubato (o almeno il desiderio e l'intenzione di farlo) è necessaria per ricevere l'assoluzione sacramentale. L'impossibilità fisica o morale esonera dall'obbligo di restituzione, finché dura. L'obbligazione può essere estinta con la remissione del debito da parte del creditore[10].
3. La Dottrina sociale della Chiesa sul settimo comandamento, “non rubare”
L'insieme degli insegnamenti sui princìpi che devono regolare la vita sociale è chiamato Dottrina sociale e fa parte della dottrina morale cattolica[11]. È importante sottolineare che «non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro concittadini»[12].
La missione della Gerarchia della Chiesa è di ordine diverso da quella dell'autorità politica. Il fine della Chiesa è soprannaturale e la sua missione è quella di condurre gli uomini alla salvezza. Pertanto, quando il Magistero si riferisce ad aspetti temporali del bene comune, lo fa nella misura in cui essi devono essere ordinati al Bene supremo, il nostro fine ultimo. La Chiesa esprime un giudizio morale, in materia economica e sociale, quando lo richiedono i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime.
Alcuni insegnamenti fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa sono: 1) la dignità trascendente della persona umana e l'inviolabilità dei suoi diritti; 2) il riconoscimento della famiglia come cellula fondamentale della società, fondata sul vero matrimonio indissolubile, e la necessità di proteggerla e favorirla mediante leggi sul matrimonio, sull'educazione e sulla morale pubblica; 3) gli insegnamenti sul bene comune e sul ruolo dello Stato. Negli ultimi anni, il Magistero ha insistito sulla rilevanza dell'ecologia e della cura della casa comune come parte importante della Dottrina sociale[13].
«Il lavoro umano procede direttamente dalle persone create a immagine di Dio e chiamate a prolungare, insieme e con reciproco vantaggio, l'opera della creazione dominando la terra (cfr. Gen 1,28; Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 34; Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 31). Il lavoro è quindi un dovere: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi” (2 Ts 3,10; cfr. 1 Ts 4,11). Il lavoro esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti. Può anche essere redentivo»[14]. Svolgendo il lavoro in unione con Cristo, l'uomo diventa collaboratore del Figlio di Dio nella sua opera di redenzione[15]. Il lavoro è un mezzo per santificare le persone e le realtà terrene, informandole con lo Spirito di Cristo.
«Essendo stato assunto da Cristo, diventa attività redenta e redentrice: non solo è l'ambito nel quale l'uomo vive, ma mezzo e strada di santità, realtà santificabile e santificatrice»[16].
Giustizia sociale è un’espressione entrata in uso nel XX secolo per riferirsi alla dimensione universale che le questioni di giustizia hanno assunto. «La società assicura la giustizia sociale allorché realizza le condizioni che consentono alle associazioni e agli individui di conseguire ciò a cui hanno diritto secondo la loro natura e la loro vocazione»[17]. Sono molti gli elementi che entrano in gioco quando si parla di giustizia sociale: la responsabilità dello Stato, il ruolo dei datori di lavoro, la possibilità di accedere al lavoro e così via.
In Evangelii gaudium si dice che «nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso “si fece povero” (2 Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri»[18]. Non si tratta solo di realizzare azioni o programmi di promozione sociale ma di un atteggiamento di attenzione verso gli altri, verso chi ha bisogno.
In questo contesto rivestono una particolare importanza la giustizia e la solidarietà tra le nazioni.
«Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate»[19].
4. L’ottavo comandamento del Decalogo: Non dire falsa testimonianza
«L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo santo ad essere testimone del suo Dio il quale è e vuole la verità. Le offese alla verità esprimono, con parole o azioni, un rifiuto ad impegnarsi nella rettitudine morale»[20].
L'uomo è stato creato con un’inclinazione a conoscere la verità e a esprimerla con le parole e nelle azioni. Il peccato ha distorto quest’inclinazione stravolgendo l’intelligenza con l'ignoranza e la volontà con la malizia. Con il peccato si è affievolito l'amore per la verità e adesso gli uomini si ingannano a vicenda, spesso per egoismo e interesse personale. Con la grazia di Cristo il cristiano può fare in modo che la sua vita sia guidata dalla verità.
La virtù che spinge a dire sempre la verità si chiama veridicità, sincerità o franchezza[21]. Tre aspetti fondamentali di questa virtù sono:
- La sincerità con sé stessi: vuol dire riconoscere la verità della propria condotta, esteriore e interiore (riguarda le intenzioni, i pensieri, gli affetti, ecc.) senza paura di esaurire la verità, senza chiudere gli occhi sulla realtà[22];
- La sincerità con gli altri: la convivenza umana sarebbe impossibile se le persone non si fidassero l'una dell'altra, cioè se non si dicessero la verità o se non agissero, per fare un esempio, nel rispetto dei contratti o più in generale dei patti e delle promesse[23];
- La sincerità con Dio: Dio vede tutto, ma poiché siamo suoi figli, vuole che glielo mostriamo. “Un figlio di Dio tratta il Signore come Padre. Non con ossequio servile né con riverenza formale, ma con sincerità e fiducia. Dio non si scandalizza degli uomini, non si stanca delle nostre infedeltà. Il Padre del Cielo perdona qualsiasi offesa, quando il figlio torna a Lui, quando si pente e chiede perdono. Anzi, il Signore è a tal punto Padre da prevenire il nostro desiderio di perdono: è Lui a farsi avanti aprendoci le braccia con la sua grazia”[24].
La sincerità nel sacramento della confessione e nella direzione spirituale sono mezzi straordinariamente efficaci per crescere nella vita interiore: nella semplicità, nell'umiltà e nelle altre virtù. La sincerità è essenziale per perseverare nella sequela di Cristo, perché Cristo è la Verità[25].
La Sacra Scrittura insegna che la verità deve essere detta nella carità[26]. La sincerità, come tutte le virtù, va vissuta per amore e con amore (per Dio e per gli uomini): con dolcezza e comprensione. Una bella espressione di questo amore è la correzione fraterna, una pratica evangelica[27] che consiste nell'avvertire l'altro di una colpa commessa o di un difetto, affinché si corregga. È una grande dimostrazione di amore per la verità e di carità. A volte può essere un dovere grave.
5. L’ottavo comandamento ci invita a dare testimonianza della verità
«La testimonianza è un atto di giustizia che comprova o fa conoscere la verità»[28]. È dovere dei cristiani testimoniare la Verità che è Cristo e riconoscerlo davanti agli uomini.
«Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede, il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità»[29]. Sebbene la maggior parte dei cristiani non sia chiamata a questa espressione estrema di amore per Dio, tutti devono manifestare la verità di Dio e di ciò che Dio ha rivelato anche a costo di perdere il proprio prestigio o la propria posizione sociale. A volte la sincerità esige il compimento di atti eroici in difesa della verità con l'aiuto della fortezza soprannaturale.
Nella Evangelii Gaudium alcuni peccati contro la verità sono indicati come esempi paradigmatici di atteggiamenti che impediscono un'evangelizzazione convincente e attraente[30].
«“La menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare”[31]. Il Signore denuncia nella menzogna un'opera diabolica: “La menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare”. Nella menzogna il Signore denuncia un'opera diabolica: “Voi... avete per padre il diavolo... non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44)»[32]. La gravità si misura in base alla verità negata, all'intenzione di chi parla e alle conseguenze della menzogna. Può trattarsi di peccato mortale quando lede gravemente le virtù della giustizia e della carità.
«Falsa testimonianza e spergiuro. Un'affermazione contraria alla verità, quando è fatta pubblicamente, riveste una gravità particolare. Fatta davanti ad un tribunale, diventa una falsa testimonianza. Quando la si fa sotto giuramento, è uno spergiuro»[33].
Il diritto all'onore e alla buona reputazione propria e altrui è un bene più prezioso della ricchezza e di grande importanza per la vita personale, familiare e sociale. I peccati contro la buona reputazione degli altri sono:
- Giudizio infondato: si verifica quando senza una motivazione sufficiente si ammette come vera una presunta colpa morale dell'altra persona (ad esempio, giudicando che qualcuno ha agito con cattive intenzioni, senza averne la prova). «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati»[34];
-Diffamazione: è qualsiasi attacco ingiusto alla reputazione di un'altra persona. Può essere di due tipi: la detrazione o maldicenza ("parlare male"), che consiste nel rivelare peccati o difetti realmente esistenti nel prossimo, senza un motivo proporzionalmente serio (si chiama maldicenza quando viene fatta alle spalle dell'accusato); e la calunnia, che consiste nell'attribuire al prossimo peccati o difetti falsi. La calunnia comporta una doppia malizia: contro la veridicità e contro la giustizia (è tanto più grave quanto maggiore è la calunnia e quanto più si diffonde).
È consigliabile evitare la loquacità, cioè la leggerezza nel parlare[35], perché essa porta facilmente alla menzogna (valutazioni inesatte o ingiuste, esagerazioni, a volte calunnie). Questi reati contro la verità o la buona reputazione sono frequenti al giorno d’oggi nei media. Per questo motivo è necessario esercitare un sano spirito critico anche quando si ricevono notizie da giornali, riviste, TV, ecc. e dai social network. Un atteggiamento ingenuo o credulone porta alla formazione di giudizi errati o alla diffusione indiscriminata di contenuti non verificati.
Ogni volta che si diffama qualcuno (che si tratti di diffamazione o di calunnia) vi è l'obbligo di utilizzare tutti i mezzi possibili per restituire ad altri il buon nome che è stato ingiustamente danneggiato.
Si deve evitare di cooperare in questi peccati. Coopera, in diverso grado, chi ascolta con piacere il calunniatore e ci si compiace di quello che dice; il superiore che non impedisce le maldicenze sul suo sottoposto; chi, pur disprezzando il peccato di detrazione, non corregge o si oppone al calunniatore o al diffamatore per paura, negligenza o vergogna; e chi diffonde con leggerezza insinuazioni altrui che ledono la reputazione di un terzo[36].
6. Il rispetto dell’intimità
«Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla»[37].
«Il segreto del sacramento della Riconciliazione è sacro, e non può essere violato per nessun motivo. “Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa”»[38].
Si devono mantenere i segreti professionali e, in generale, tutti i segreti naturali. Rivelare tali segreti è una mancanza di rispetto dell’intimità degli individui e può costituire un peccato contro la giustizia.
I social media hanno un'influenza decisiva sull'opinione pubblica. Con l’introduzione di Internet, la diffusione dei social network e della messaggistica istantanea, tutti diventano responsabili dei contenuti che creano e/o diffondono. Sono un campo di apostolato molto importante per la difesa della verità e la cristianizzazione della società.
Pau Agulles-Pablo Requena
Bibliografia di base
- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2401-2499.
- Francesco, Evangelii gaudium, nn. 186-216.
Letture raccomandate
- San Josemaría, Omelia Vivere al cospetto di Dio e al cospetto degli uomini, in Amici di Dio, nn. 154-174.
- San Josemaría, Omelia Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà, in È Gesù che passa, nn. 67-72.
[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2401.
[2] Ivi, n. 2402.
[3] Cfr. Gaudium et spes, n. 69.
[4] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2407.
[5] Cfr. 2 Cor 8,9.
[6] Mt 19,23.
[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2411.
[8] Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 38.
[9] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1948.
[10] “Coloro che, direttamente o indirettamente si sono appropriati di un bene altrui, sono tenuti a restituirlo, o, se la cosa non c'è più, a rendere l'equivalente in natura o in denaro, come anche a corrispondere i frutti e i profitti che sarebbero stati legittimamente ricavati dal proprietario. Allo stesso modo hanno l'obbligo della restituzione, in proporzione alla loro responsabilità o al vantaggio avutone, tutti coloro che in qualche modo hanno preso parte al furto, oppure ne hanno approfittato con cognizione di causa; per esempio, coloro che l'avessero ordinato, o appoggiato, o avessero ricettato la refurtiva” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2412).
[11] Cfr. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, n. 41.
[12] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2442.
[13] Cfr. Francesco, Laudato sì, n. 63.
[14] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2427.
[15] Cfr. Francesco, Laudato sì, n. 98.
[16] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 47.
[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1928.
[18] N. 197.
[19] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2439
[20] Ivi, n. 2464.
[21] Cfr. ivi, n. 2468.
[22] Cfr. san Josemaría, Cammino, nn. 33 e 34; Solco, n. 148: «sincerità selvaggia» nell’esame di conoscenza.
[23] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2469.
[24] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 64.
[25] Cfr. Gv 14,6.
[26] Ef 4,15.
[27] Cfr. Mt 18,15.
[28] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2472.
[29] Ivi, n. 2473
[30] Cfr. n. 100.
[31] Sant'Agostino, De mendacio, n. 4.
[32] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2482.
[33] Ivi, n. 2476.
[34] Lc 6, 37. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2477.
[35] Cfr. Mt 12,36.
[36] La mormorazione in particolare è un nemico dannoso dell'unità nell'apostolato: "È una sporcizia che contamina e ostacola l'apostolato. -È contro la carità, toglie forza, toglie pace e fa perdere l'unione con Dio" (San Josemaría, Cammino, n. 445. Cfr. Ivi, n. 453).
[37] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2489.
[38] Ivi, n. 2490.