Tema 3. Lo sviluppo della Rivelazione

Dio si è rivelato all’uomo progressivamente e ha concluso la sua rivelazione con l’Incarnazione. Cristo ha costituito la Chiesa, che mantiene viva la sua memoria. Lo sviluppo della Rivelazione dichiara che Gesù Cristo è vissuto in questo mondo, è risuscitato e rimane tra noi per sempre. La Chiesa compie la sua missione custodendo la Parola di Dio raccolta nelle Sacre Scritture, trasmettendo la Tradizione e, illuminata dallo Spirito Santo, insegnando come vivere cristianamente in ogni epoca (Magistero).

1. Lo sviluppo della Rivelazione: da Abramo fino a Gesù Cristo

Lo sviluppo della Rivelazione ha inizio con la creazione del mondo e dell’uomo. La Sacra Scrittura precisa che Adamo ed Eva, i nostri progenitori, vivevano in relazione con Dio e dialogavano con Lui. Avevano una certa familiarità con il Signore, come si vede nelle prime pagine del libro della Genesi. Ed è logico, se si tiene conto che erano stati creati per vivere in comunione con Dio. Questa familiarità viene frantumata dal peccato originale; a partire da allora per l’uomo è molto difficile scoprire Dio nella vita personale e nell’ambiente sociale. Nonostante la violazione della legge divina, Dio ha promesso ai nostri progenitori che un giorno il peccato sarebbe stato vinto dalla stirpe della donna[1]: ha annunciato in questo modo l’opera redentiva di Cristo, che è ben presente in tutta la storia della salvezza.

La Bibbia espone l’origine del mondo secondo un genere letterario storico e vengono trasmessi insegnamenti essenziali sull’uomo e sulla sua relazione fondazionale con Dio, espressi con immagini e racconti, che sono autentici, anche se sul valore storico è difficile emettere un giudizio definitivo. Per questo motivo non bisogna meravigliarsi se la Bibbia porge relazioni di uno stesso avvenimento che differiscono nei dettagli (per esempio, il libro della Genesi presenta due racconti diversi della creazione dell’uomo e della donna). Si possono ricavare numerosi insegnamenti dai diversi racconti biblici delle origini, senza dover pensare che tutti i fatti narrati siano accaduti esattamente in quel modo.

Il libro della Genesi riferisce anche che, dopo il primo peccato, il mondo attraversò un periodo di grandi disordini e di ingiustizie, che Dio non poteva accettare. Questa situazione diede luogo al diluvio universale, che costituisce il castigo di Dio per i numerosi peccati degli uomini. Tuttavia, dopo il diluvio Dio rinnovò l’amicizia con Noè e la sua famiglia, che si salvarono dal diluvio perché si comportarono con giustizia, e attraverso di loro la benevolenza divina viene estesa a tutta la creazione. Il Signore rinnovò con Noè la relazione che aveva voluto avere con Adamo, Eva e i suoi discendenti. Dio sapeva che, benché il cuore dell’uomo fosse incline al peccato, la creazione aveva una sua piena validità, era buona, e chiese agli uomini che crescessero e si moltiplicassero, così come lo aveva chiesto ad Adamo. Con la storia di Noè, Dio diede alla creatura umana una seconda possibilità di vivere in amicizia con Lui.

La storia della salvezza procede e alcuni secoli dopo, Dio ha stipulato un patto con Abramo. Qui ci imbattiamo già in una scelta da parte di Dio. Abramo riconobbe Dio come unico Signore, gli obbedì con grande fede, e Dio stabilì che Abramo fosse il «padre di una moltitudine di nazioni»[2]. Così Dio iniziò a riunire, attraverso il Suo popolo, l’umanità dispersa dal peccato. Due generazioni più tardi Dio fece cambiare il nome a Giacobbe: lo chiamò Israele e i suoi dodici figli furono i punti di partenza del popolo di Israele: le dodici tribù di Israele.

Alcuni secoli più tardi, all’epoca di Mosè, la storia di Dio con gli uomini acquistò una dimensione più visibile e impegnata. Il Dio di Abramo e dei patriarchi fece di Israele il suo popolo e lo liberò dalla schiavitù degli egiziani. Dio strinse un’alleanza con Mosè e mise il popolo sotto la sua protezione e le sue leggi, e il popolo accettò solennemente questa alleanza e si impegnò a servire il Signore e a dargli culto. Nella traversata del Mar Rosso e nella marcia attraverso il deserto del Sinai, nell’arrivo alla terra promessa e nella costituzione del regno di Davide, Israele ebbe ripetutamente la prova della protezione di Dio, perché Israele è il suo popolo, che Egli stesso ha formato fra tutti gli altri e che gli appartiene come «un regno di sacerdoti e una nazione santa»[3].

Nei secoli successivi Dio ha sostenuto questa Alleanza e, per mezzo dei Profeti, ha orientato il Suo popolo verso la speranza di una salvezza ultima e definitiva. Quando il popolo perdeva la strada e dimenticava il suo impegno con l’Alleanza, Dio suscitava alcuni suoi servi con il compito di ricondurre il popolo all’obbedienza e alla giustizia. I Profeti sostennero e confortarono il popolo nella speranza, ma lo avvertirono anche del pericolo di una falsa fiducia nella sua condizione di eletto perché questa elezione, se non era corrisposta, si poteva trasformare in sentenza, in castigo di Dio per il peccato. Due avvenimenti, in particolare, hanno il carattere di castigo: la caduta del regno del Nord (dieci delle dodici tribù di Israele) nell’anno 722 a. C. e l’esilio del Regno del Sud (le altre due tribù che si erano separate secoli prima), con la distruzione della sua capitale, Gerusalemme, nell’anno 587 a. C.. Israele perse allora la sua autonomia come popolo. Visse in esilio, in terra di altri. Il Signore, tuttavia, lo castigò ma non l’abbandonò. Il libro di Isaia ci dà notizia del ritorno del popolo dall’esilio di Babilonia nella propria terra, della rifondazione del popolo; una rifondazione che fu solo parziale, perché molti andarono dispersi.

In tutto questo itinerario il popolo imparò a conoscere Dio, seppe della sua fedeltà e mantenne la speranza che Egli avrebbe compiuto le promesse di una salvezza ultima e definitiva attraverso un re, un discendente di Davide, il quale, alla fine dei tempi avrebbe istituito una nuova Alleanza. Un'alleanza che non sarebbe stata scritta su tavole di pietra, come l’antica: Dio stesso l’avrebbe scritta nel cuore dei fedeli mediante la presenza e l’azione dello Spirito Santo. Sarebbe arrivato il giorno in cui tutti i popoli sarebbero accorsi in massa, attratti dallo splendore della nuova Gerusalemme, e avrebbero riconosciuto il Dio di Israele. Sarebbe stato il giorno della pace perpetua e del mondo unito sotto un unico Dio.

Attraverso tutto questo processo con le sue diverse tappe, Dio preparò il suo popolo per lo sviluppo della Rivelazione definitiva in Gesù Cristo. È Lui il compimento delle promesse dell’Antico Testamento e con Lui arriva il rinnovamento annunciato della fine dei tempi. Durante la sua vita sulla terra Gesù ha comunicato agli uomini dimensioni nuove e impensate di Dio. Si è sempre riferito al Dio dell’Antico Testamento, dei Patriarchi, dei profeti e dei re, e la sua predicazione ha avuto il timbro del linguaggio e delle idee che il popolo di Israele aveva condiviso per secoli. Tuttavia la sua predicazione su Dio, pur trovando dei parallelismi nei testi vetero-testamentari e nel pensiero ebraico della sua epoca, aveva un accento completamente nuovo, ed era pertanto inconfondibile e unica. Gesù ha proclamato che il Regno di Dio preparato nell’Antico Testamento era ormai molto vicino, e inoltre si faceva presente nelle sue parole, nelle sue opere e nella sua stessa Persona.


2. La costituzione della Chiesa

«Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui, e per mandarli a predicare il regno di Dio»[4]. Gesù decise che, una volta terminata la sua missione nel mondo, i discepoli avrebbero potuto estendere il messaggio di salvezza, evangelizzando tutte le nazioni. Per questo istituì il gruppo degli apostoli e mise Pietro come loro capo. Nell’Ultima Cena li introdusse nei misteri del suo corpo e del suo sangue donati in sacrificio e chiese loro di attualizzarli in futuro. Li costituì testimoni della sua Risurrezione e inviò loro lo Spirito Santo perché li fortificasse nella missione. Gesù ha costituito la sua Chiesa, luogo in cui gli uomini e le donne di ogni epoca possono trovare Cristo e seguirlo per la via che porta alla vita eterna.

La Chiesa mantiene sempre viva la memoria di Cristo e lo presenta non come un essere del passato, ma come colui che, essendo vissuto in questo mondo in una determinata epoca, è risuscitato e rimane tra noi per sempre.


3. La Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero

a) La Sacra Scrittura

Il popolo di Israele, per ispirazione divina, ha messo per iscritto nel corso dei secoli la testimonianza dello sviluppo della Rivelazione di Dio fatta ai Patriarchi, ai profeti e a persone giuste e rette. La Chiesa accoglie e venera queste Scritture, che costituirono la preparazione operata da Dio in vista della grande Rivelazione di Gesù Cristo. Inoltre, anche gli apostoli e i primi discepoli di Gesù misero per iscritto la testimonianza della vita e dell’opera di Cristo, del cui cammino terreno erano stati testimoni, e in modo particolare del mistero pasquale della sua Morte e Risurrezione. Diedero così origine ai libri del Nuovo Testamento, che completano e portano alla pienezza quelli dell’Antico. Quello che nell’Antico Testamento era preparato e proclamato in simboli e figure, il Nuovo lo testimonia mostrando la verità contenuta nelle vicende della storia di Gesù.

I libri sacri non si fondano soltanto sul ricordo o sulla testimonianza umana di ciò che Dio ha fatto in Israele, e su ciò che ha fatto per mezzo di Cristo; ma hanno un fondamento più profondo perché la sua ultima origine sta nell’azione dello Spirito Santo, che ha illuminato gli scrittori umani e li ha sostenuti con la sua ispirazione e le sue luci. Per questo motivo la Chiesa ritiene che la Sacra Scrittura non sia semplicemente una parola umana di grande valore, ma che sia vera Parola di Dio e venera le Scritture come sante e sacre. Questo non significa, comunque, che Dio abbia “dettato” il testo agli autori dei libri: l’azione rivelante del Signore ha sostenuto determinati uomini che, facendo uso delle proprie facoltà e dei propri mezzi, lasciarono che Dio operasse in loro e per mezzo di loro e così «scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva»[5].

Logicamente, nei libri sacri sono presenti anche le limitazioni culturali, filosofiche e teologiche degli autori, che scrissero in momenti e culture diversi. Ma questo non è realmente un problema per aver fede nella verità che trasmettono perché questa verità è di ordine religioso, vale a dire, non si riferisce a una concezione scientifica del mondo né a una cronaca esatta e precisa della storia umana o a una sapienza enigmatica. Si riferisce, invece, al senso ultimo della vita degli uomini, chiamati alla comunione con Dio come suoi figli in Gesù Cristo. La verità rivelata viene trasmessa in molti modi: per mezzo di diversi generi letterari, di metafore e simboli, di racconti per istruire nella virtù e di storie realmente accadute. La presenza dello Spirito Santo nella redazione dei libri sacri ci garantisce che «insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata»[6] in essi.

b) La Tradizione Apostolica e la “Tradizione”

Prima di mettere per iscritto le testimonianze della vita e dell’opera di Cristo, gli apostoli e i primi discepoli di Gesù predicarono quello che avevano visto e ascoltato da Lui. Ne hanno ripercorso tutte le azioni conosciute, trasmettendo oralmente alle comunità che andavano fondando quello che avevano vissuto accanto a Cristo, predicavano il messaggio cristiano di salvezza e lo realizzavano con la liturgia e i sacramenti; tutte queste cose poi le resero note negli scritti del Nuovo Testamento. Esiste, dunque, una trasmissione orale della vita e della dottrina di Gesù che precede la trasmissione scritta, e che, successivamente, è stata elaborata mediante il Nuovo Testamento. Questa trasmissione orale comprende molti aspetti che gli apostoli impararono da Gesù e che riceve il nome di “Tradizione Apostolica”. Secondo quanto afferma il Compendio del Catechismo, «La Tradizione Apostolica è la trasmissione del messaggio di Cristo compiuta, agli inizi del cristianesimo, dalla predicazione, dalla testimonianza, dalle istituzioni, dal culto e dagli scritti ispirati»[7].

Nel corso dei tempi la Chiesa proclama la Tradizione Apostolica in due maniere: oralmente, quando predica e compie quanto ha imparato da Cristo e che hanno insegnato gli Apostoli, e per iscritto, quando trasmette la Sacra Scrittura alle nuove generazioni cristiane[8]. La prima modalità (la tradizione orale) viene chiamata semplicemente “Tradizione”.

La Tradizione proviene dalle testimonianze degli Apostoli sulla vita e gli insegnamenti di Gesù; pertanto la fonte è identica a quella degli scritti del Nuovo Testamento. Però le due (Tradizione e Scrittura) hanno funzioni un po’ diverse: la prima, essendo orale e pratica, è più ricca e flessibile della seconda, e inoltre garantisce con sicurezza l’autenticità dei sacri testi. La Scrittura è depositata in pagine scritte: raccoglie in forma precisa e immutabile quello che Gesù predicò e visse, lo formula e lo determina, e impedisce che gli insegnamenti con il tempo siano travisati e vadano sottoposti all’arbitrio dei cambiamenti di cultura e di mentalità. «Verba volant, scripta manent», disse, a ragione, l’imperatore romano Tito parlando al senato romano.

La Scrittura e la Tradizione si illuminano a vicenda: per esempio, la Chiesa riconosce mediante la Tradizione i libri che sono ispirati e che, per questo motivo, fanno parte del canone dei libri divinamente ispirati. I libri che compongono la Bibbia cristiana sono ben determinati: quelli che la Tradizione ha indicato come scritti con la cooperazione della divina Ispirazione. Si conoscono altri libri, contemporanei ai Vangeli, che parlano di Gesù in modo approssimativo e fantasioso e che non sono stati mai considerati ispirati (gli scritti apocrifi). Dal canto suo, la Scrittura aiuta a distinguere e rinforza quello che appartiene alla Tradizione. Serva da esempio il fatto che, nel Nuovo Testamento, si registra che Gesù digiunò quaranta giorni nel deserto. Così l’aspetto concreto della Tradizione di digiunare nel tempo di Quaresima trova sostegno e conferma nella Scrittura.

c) Il Magistero della Chiesa

La successione dei tempi porta con sé progresso materiale e cambiamenti culturali e di mentalità. Si aprono nuove prospettive e si pongono nuove questioni che si ripercuotono sul modo di vivere del cristiano. La moralità di temi come lo sviluppo ecologico sostenibile o il diritto ad avere un posto di lavoro non fu mai oggetto di discussione nell’antichità: non si prospettavano questioni del genere, che pure si ripercuotono sul modo di vivere la vita cristiana. Ecco perché il Signore, nello stabilire nella sua Chiesa la distinzione tra pastori e fedeli, diede ai primi una grazia (un carisma) di discernimento di ciò che è adatto alla vita cristiana delle persone e delle comunità e di ciò che, invece, danneggia e distrugge. Il compito di insegnare, sostenuto da questo carisma, riceve il nome di “Magistero”. La funzione del Magistero è una funzione di servizio. Non è al di sopra della Sacra Scrittura o della Tradizione, ma serve a entrambe, interpretandole correttamente ed esponendo con fedeltà i loro contenuti.

L’interpretazione autentica dello sviluppo della Rivelazione «compete soltanto al Magistero vivo della Chiesa, ovvero al Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, e ai vescovi in comunione con lui»[9]. Essi possono esercitare questa funzione perché con l’ordinazione episcopale ricevono un aiuto speciale dello Spirito Santo (carisma di verità), che facilita la comprensione da parte loro del contenuto dello sviluppo della Rivelazione nell’esercizio del loro ministero. Anche se i Vescovi presi individualmente possono sbagliarsi, la Chiesa nel suo insieme (l’unità del Romano Pontefice, dei Vescovi in unione con lui e dei fedeli cristiani) non cade mai in errore nelle questioni che fanno parte dello sviluppo della Rivelazione. Il Romano Pontefice è nella piena verità quando insegna pubblicamente e solennemente (ex cathedra) che una determinata dottrina deve essere ritenuta definitiva perché fa parte dello sviluppo della Rivelazione divina. Lo stesso vale per i concili ecumenici: non sbagliano i pastori riuniti in concilio e in unione con il Santo Padre quando indicano che una precisa verità deve essere accettata perché fa parte della fede della Chiesa. In questi e in altri casi la Chiesa non sbaglia, perché lo Spirito Santo la assiste affinché insegni in modo autentico la dottrina di Cristo.


4. Come interpretare la Bibbia

La Bibbia contiene in sé la vita e la storia del mondo e degli uomini. L’insieme dei suoi libri ha una grande ampiezza e, come la vita stessa, contiene molteplici aspetti. A volte può sembrare che la Bibbia si contraddica o che propugni atteggiamenti che non possono essere veri perché non sono giusti. Fra i temi controversi ci sono quelli della violenza, quello della schiavitù, il ruolo della donna, la vendetta, ecc. Per questo è importante imparare a comprendere ciò che la Scrittura vuole insegnare in ogni tema e in ogni unità di testo.

Il Concilio Vaticano II ha dedicato un documento allo sviluppo della divina Rivelazione: la Costituzione Dogmatica Dei Verbum. Il capitolo III segnala i principi e i criteri di cui tener conto per interpretare la Bibbia in modo corretto. In sintesi sono questi:

a) In primo luogo il Concilio ricorda che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura; ma in essa parla all’uomo attraverso uomini e alla maniera umana. Perciò, per una retta interpretazione della Sacra Scrittura, occorre cercare attentamente che cosa hanno voluto affermare veramente gli autori umani e che cosa ha voluto manifestare Dio a partire dalle parole umane.

b) In secondo luogo, dato che si tratta di un libro ispirato da Dio, la Scrittura si deve interpretare «con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta»[10]. L’interprete coglie il senso delle pagine bibliche, quando ha senso soprannaturale e invoca il sostegno della grazia divina per poter comprendere la Scrittura correttamente. Diversamente, nell’interpretazione, prevalgano pregiudizi o idee e interessi personali.

c) In terzo luogo, è necessario prestare una grande attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura: solo intesa nella sua unità è Scrittura. Questo principio è importante anche perché non tutto ciò che indica la Scrittura ha lo stesso valore o la stessa forza; non in tutto si esprime ugualmente la parola di Dio. All’interno della Scrittura, esiste una diversità di verità e di concetti. Conoscerla aiuta a interpretare nella loro autentica dimensione e portata i passi che possono sorprendere il lettore. Occorre sempre ricordare che Cristo è il centro e il cuore della Scrittura.

d) In quarto luogo, la Scrittura va interpretata nel contesto della Tradizione viva della Chiesa, perché è l’espressione scritta di quello stesso sviluppo della Rivelazione della quale la Tradizione è espressione orale. E insieme con la Tradizione è necessario prestare attenzione alla fede della Chiesa, che si esprime nel suo Magistero, nell’armonia delle sue verità, nell’unità della sua dottrina. In concreto, quando l’interpretazione di una pagina biblica, apparentemente, è in contrasto con una verità di fede definita, certamente tale interpretazione è falsa.

Antonio Ducay


Bibliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 74-141.

- Concilio Vaticano II, cost. dogm. Dei Verbum.

- Benedetto XVI, es. ap. Verbum Domini, 30-IX-2010 (Parte I: Verbum Dei).

- J. Burgraff, Teologia fondamentale. Manuale di introduzione, Edizioni Ares, Milano 2004, capp. IV e V.


[1] Cfr. Gen 3, 15.

[2] Ivi 17, 5.

[3] Es 19, 6.

[4] Lumen Gentium, 19.

[5] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 106.

[6] Cfr. Dei verbum, 11.

[7] n. 12.

[8] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 76

[9] Compendio, 16.

[10] Dei verbum, 12.