Proviamo a convincere senza voler sconfiggere

“San Josemaría Escrivá ricordava che è ogni professionista, coinvolto nel proprio lavoro, che deve trovare le proposte e le soluzioni adeguate. Questo principio si applica alle attività di comunicazione”. Offriamo un articolo del Professore J. M. Mora, pubblicato nell’Osservatore Romano.

Comunicare la fede è un problema antico, presente nel corso dei duemila anni di vita della comunità cristiana, che si è sempre considerata messaggera di una novella che le è stata rivelata e che è degna di essere comunicata. È un problema antico, ma è anche un tema di scottante attualità. Da Paolo VI fino a Benedetto XVI, i Papi non hanno smesso di sottolineare la necessità di migliorare il modo di comunicare la fede.

Spesso, questo problema si trova in relazione con la «nuova evangelizzazione». In questo contesto, Giovanni Paolo II affermò che la comunicazione della fede deve essere nuova «nel suo ardore, nei metodi e nuova nelle espressioni». Qui facciamo riferimento in particolare alla novità dei metodi.

Ci sono fattori esterni che ostacolano la diffusione del messaggio cristiano, sui quali è difficile incidere. Però è possibile fare progressi con altri fattori che sono alla nostra portata. In questo senso, chi vuole comunicare l’esperienza cristiana deve conoscere la fede che desidera trasmettere e deve conoscere anche le regole del gioco della comunicazione pubblica.

Partendo, da un lato, dai documenti ecclesiali più rilevanti e, dall’altro, dalla bibliografia essenziale nell’ambito della comunicazione istituzionale, articolerò le mie riflessioni in una serie di principi. I primi si riferiscono al messaggio che si vuole diffondere; i successivi, alla persona che comunica; e gli ultimi, al modo di trasmettere questo messaggio tra l’opinione pubblica.

Prima di tutto, il messaggio deve essere positivo. Il pubblico presta attenzione a informazioni di ogni genere e prende nota delle proteste e delle critiche. Ma asseconda soprattutto progetti, proposte e cause positive.

Giovanni Paolo II afferma, nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, che la morale è un cammino verso la felicità e non una serie di proibizioni. Quest’idea è stata ripetuta spesso da Benedetto XVI, in modi diversi: Dio ci dà tutto e non ci toglie nulla; l’insegnamento della Chiesa non è un codice di limitazioni, ma una luce che si riceve in libertà.

Il messaggio cristiano deve essere trasmesso per quello che è: un sì immenso all’uomo, alla donna, alla vita, alla libertà, alla pace, allo sviluppo, alle virtù. Per trasmetterlo in modo adeguato agli altri, bisogna prima capire e sperimentare la fede in questo modo positivo.Acquistano particolare valore in questo contesto alcune parole del cardinale Ratzinger: «La forza con cui la verità si impone deve essere la gioia, che è la sua espressione più chiara. Sulla gioia dovrebbero puntare i cristiani e nella gioia dovrebbero conoscere il mondo». La comunicazione attraverso l’irradiazione della gioia è il più positivo dei progetti.

In secondo luogo, il messaggio deve essere rilevante. Significativo per chi ascolta, non soltanto per chi parla. Tommaso d’Aquino afferma che ci sono due tipi di comunicazione: la locutio, un fluire di parole che non interessano in assoluto a coloro che ascoltano; e l’illuminatio, che consiste nel dire qualcosa che apre la mente e il cuore degli interlocutori su un aspetto che veramente li riguarda. Comunicare la fede non è discutere per avere la meglio, ma dialogare per convincere. Il desiderio di convincere senza sconfiggere influenza profondamente l’atteggiamento di chi comunica. L’ascolto si trasforma in qualcosa di fondamentale: permette di sapere che cosa interessa, che cosa preoccupa l’interlocutore. Di conoscere le sue domande prima di proporre le risposte. Il contrario della rilevanza è l’autoreferenzialità: limitarsi a parlare di sé non è una buona base per il dialogo.

In terzo luogo, il messaggio deve essere chiaro. La comunicazione non è prima di tutto ciò che spiega colui che parla, ma ciò che il destinatario comprende. Accade in tutti i campi del sapere (scienza, tecnologia, economia): per comunicare è necessario evitare la complessità argomentativa e l’oscurità del linguaggio. Anche in materia religiosa conviene cercare argomenti chiari e parole semplici. In questo senso, bisognerebbe rivendicare il valore della retorica, della letteratura, delle metafore, del cinema, della pubblicità, delle immagini, dei simboli, per trasmettere il messaggio cristiano.

A volte, quando la comunicazione non funziona, si attribuisce la responsabilità al ricevente: si considerano gli altri incapaci di capire. Bisognerebbe, invece, fare l’opposto: sforzarsi di essere ogni volta più chiari, fino ad arrivare all’obiettivo che si desidera. Passiamo adesso ai principi relativi alla persona che comunica.

Perché un destinatario accetti un messaggio, la persona o l’organizzazione che lo propone deve meritare credibilità. Dato che la credibilità si fonda sulla veridicità e sull’integrità morale, la menzogna e il sospetto annullano alla base il processo di comunicazione. La perdita di credibilità è una delle conseguenze più serie di alcune crisi che si sono verificate in questi anni.

Il secondo principio è l’empatia. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra le persone, non un meccanismo anonimo di diffusione di idee. Il Vangelo si rivolge a persone: politici ed elettori, giornalisti e lettori. Persone con il loro punto di vista, i propri sentimenti ed emozioni. Quando si parla con freddezza, si fa più grande la distanza che separa dall’interlocutore. Una scrittrice africana ha affermato che la maturità di una persona sta nella sua capacità di scoprire che può «ferire» gli altri, e operare di conseguenza. La nostra società è piena di cuori spezzati e di intelligenze rose dal dubbio. Bisogna avvicinarsi con delicatezza al dolore fisico e al dolore morale. L’empatia non implica rinunciare alle proprie convinzioni, ma mettersi al posto dell’altro. Nella società attuale, le risposte che convincono sono quelle piene di coscienza e di umanità.

Il terzo principio relativo alla persona che comunica è la cortesia. L’esperienza dimostra che nei dibattiti pubblici è abitudine insultarsi e squalificarsi a vicenda. In questo ambito, se non si cura la forma, si corre il rischio che la proposta cristiana sia vista come uno fra i tanti atteggiamenti radicali. A rischio di sembrare ingenuo, penso che convenga prendere le distanze da questa impostazione. La chiarezza non è incompatibile con la gentilezza.

Con la gentilezza si può dialogare, senza gentilezza, il fallimento è assicurato in anticipo: chi era fazioso prima della discussione, continuerà a esserlo poi; e chi era contrario raramente cambierà atteggiamento.

Ricordo un cartello collocato all’entrata di un pub vicino al castello di Windsor, nel Regno Unito. Diceva, più o meno: «In questo locale sono benvenuti i gentiluomini. E un gentiluomo è tale prima di bere la birra e anche dopo». Potremmo aggiungere: un gentiluomo è tale quando gli danno ragione e quando non gliela danno.

Vediamo infine alcuni principi che si riferiscono al modo di comunicare. Il primo è la professionalità. La Gaudium et spes ricorda che ogni attività umana ha la sua propria natura che bisogna scoprire, applicare e rispettare. Ogni campo del sapere ha la sua metodologia; ogni attività, le sue norme; e ogni professione, la sua logica.L’evangelizzazione non si produrrà fuori dalle realtà umane, ma dentro: i politici, gli imprenditori, i giornalisti, i professori, gli sceneggiatori, i sindacalisti, sono coloro che possono introdurre pratiche migliori nei rispettivi ambiti. San Josemaría Escrivá ricordava che è ogni professionista, coinvolto nel proprio lavoro, che deve trovare le proposte e le soluzioni adeguate. Se si tratta di un dibattito parlamentare, con argomenti politici; se è un dibattito medico, con argomenti scientifici; e così via. Questo principio si applica alle attività di comunicazione, che stanno conoscendo uno sviluppo straordinario negli ultimi anni, sia per la crescente qualità delle forme narrative, sia per i tipi di pubblico di volta in volta più ampio e per la partecipazione cittadina ogni giorno più attiva.

Il secondo principio potrebbe definirsi della trasversalità. La professionalità è imprescindibile quando in un dibattito pesano le convinzioni religiose. La trasversalità, quando pesano le convinzioni politiche.

A questo punto, vale la pena menzionare la situazione italiana. Nel fare la dichiarazione dei redditi, più dell’ottanta per cento degli italiani mette una croce nel riquadro corrispondente alla Chiesa, perché desidera appoggiare economicamente le sue attività. Ciò vuol dire che la Chiesa merita la fiducia di una grande maggioranza dei cittadini, non soltanto di coloro che si riconoscono in una tendenza politica.

Il terzo principio relativo al modo di comunicare è la gradualità. Le tendenze sociali hanno una vita complessa: nascono, crescono, si sviluppano, cambiano e muoiono. Di conseguenza, la comunicazione di idee ha molto a che vedere con la «coltivazione»: seminare, irrigare, potare, tagliare, attendere, prima di raccogliere.

Il fenomeno della secolarizzazione si è andato consolidando negli ultimi secoli. Processi di così lunga gestazione non si risolvono in anni, mesi o settimane. Il cardinale Ratzinger spiegava che la nostra visione del mondo suole seguire un paradigma «maschile», in cui l’importante è l’azione, l’efficacia, la programmazione e la rapidità. E concludeva che conviene dare più spazio a un paradigma «femminile», perché la donna sa che tutto ciò che ha a che vedere con la vita richiede attesa, ha bisogno di pazienza.

Il contrario di questo principio sono la fretta e l’agire a breve termine che portano all’impazienza e molte volte anche allo scoraggiamento, perché è impossibile raggiungere obiettivi di una certa entità a breve termine.

A questi nove principi bisognerebbe aggiungerne un altro che tocca tutti gli aspetti citati: il messaggio, la persona che comunica e il modo di comunicare. Il principio della carità.

Alcuni autori hanno sottolineato come, nei primi secoli, la Chiesa si diffondesse in modo molto rapido perché era una comunità accogliente, in cui era possibile vivere un’esperienza di amore e di libertà. I cattolici trattavano il prossimo con carità, curavano i bambini, i poveri, gli anziani, gli infermi. Tutto questo rappresentò un’irresistibile calamita.

La carità è il contenuto, il metodo e lo stile della comunicazione della fede; la carità fa diventare il messaggio cristiano positivo, rilevante e attraente; conferisce credibilità, empatia e gentilezza alle persone che comunicano; ed è la forza che permette di agire in modo paziente, coinvolgente e aperto. Perché anche il mondo in cui viviamo è sempre più spesso un mondo duro e freddo, nel quale molte persone si sentono escluse e maltrattate e sperano di avere un po’ di luce e di calore. In questo mondo, il grande argomento dei cattolici è la carità. Grazie alla carità, l’evangelizzazione è, sempre e veramente, nuova.

* Juan Manuel Mora, Vicerettore di Comunicazione dell’Università di Navarra

Articolo pubblicado nell’Osservatore Romano

Le immagini appartengono all’archivio fotografico dell’Università di Navarra