La prima Messa del fondatore dell’Opus Dei in Italia. Relazione di una ricerca

La notte fra il 22 e il 23 giugno 1946, san Josemaría Escrivá de Balaguer sbarcò per la prima volta in Italia. L’autore indica con precisione la chiesa di Genova nella quale San Josemaría celebrò la S. Messa per la prima volta in terra italiana, nel 1946.

Altare principale della chiesa di San Sisto II Papa e Martire, dove celebrò san Josemaría

La notte fra il 22 e il 23 giugno 1946, san Josemaría Escrivá de Balaguer sbarcò per la prima volta in Italia. Il viaggio per mare, iniziato nel porto di Barcellona venerdì 21 a metà pomeriggio, a bordo di un piccolo vecchio piroscafo della Compañía Transmediterránea, il J.J. Sister, risultò particolarmente faticoso, a causa di una forte tempesta che perdurò per buona parte della traversata.

Finalmente la nave attraccò proprio a mezzanotte alle banchine del porto di Genova. Don Álvaro del Portillo e Salvador Canals, arrivati in auto da Roma per accogliere il fondatore dell’Opus Dei e proseguire con lui il viaggio, avevano prenotato alcune stanze in un albergo del centro, dove san Josemaría trascorse la notte. Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, il fondatore intraprese il viaggio in auto per Roma 1.

Da tempo la Prelatura dell’Opus Dei desiderava conoscere con precisione il luogo e le circostanze della prima Messa celebrata in terra italiana dal fondatore.

Considero un gradito dovere dare una risposta definitiva a tale legittimo desiderio, anche perché sono l’unico testimone ancora in vita tra coloro che hanno accompagnato san Josemaría in quei momenti. Inoltre, ai tempi delle prime ricerche, arrivai involontariamente a delle conclusioni errate. Tali conclusioni vennero raccolte in una Relazione, redatta nell’aprile del 1978, a motivo del mio primo viaggio a Genova, e da allora sono state ritenute vere2. Arrivare a chiarire in modo definitivo la verità attorno a quei fatti accaduti ormai mezzo secolo fa, ma che riguardano l’origine dell’Opus Dei in Italia e la biografia di san Josemaría, è il motivo principale che mi ha spinto a redigere questo nuovo scritto, con la narrazione delle indagini fatte per giungere alla conclusione che considero ormai definitiva.

Il viaggio a Genova nell’aprile del 1978

Nella primavera dell’anno 1978 partecipai alla Settimana di Studi su Gli ebrei nell’Alto Medioevo, organizzata a Spoleto dal Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo. La Settimana ebbe luogo tra il 30 marzo e il 1˚ aprile3. Tornato a Roma, il 3 aprile partii nuovamente in treno per Milano. Il giorno 4, alle 8 del mattino, proseguii il mio viaggio verso Genova in compagnia di don Elia Acerbis, sacerdote dell’Opus Dei. Lì ci incontrammo con il giudice Bruno Fasanelli e il reverendo don Sebastiano Vella. L’obiettivo era quello di cercare di identificare la chiesa nella quale san Josemaría aveva celebrato la sua prima Messa in Italia4.

Gli elementi di cui si disponeva erano molto scarsi e mancava l’unica fonte di documentazione relativamente affidabile: i libri-registri delle Messe, che, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in diverse chiese di Genova non si compilavano più con regolarità da vari anni.

Un dato certo in mio possesso era che san Josemaría aveva passato la notte all’Hotel Columbia, sito in piazza Principe, e che da lì era andato in cerca di una chiesa in cui poter celebrare la Santa Messa. Inoltre ricordavo con chiarezza che la Messa di san Josemaría, servita da Salvador Canals, era stata celebrata sull’altare principale, nello stesso momento in cui io servivo la Messa a don Álvaro del Portillo, presso un altro altare o un’altra cappella, posta alla destra dell’altare principale o maggiore5.

Un altro riferimento che ritenevo di avere – e di cui avevo chiesto conferma a mons. Álvaro del Portillo a Roma, ma senza ricevere lumi in proposito –, era che la chiesa nella quale avevano celebrato san Josemaría e lui stesso, era un tempio grande, a tre navate, che nel 1946 mostrava i segni dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, tanto che attraverso le volte distrutte della navata centrale si poteva vedere l’azzurro del cielo.

Questa chiesa non era il frutto della mia fantasia: si trattava della basilica dell’Annunziata, nella quale avevo assistito alla Messa tutte e due le volte in cui, venendo da Roma per tornare in Spagna, ero passato per Genova nell’anno 1946, nei giorni 19 e 7 luglio6.

L’impressione in me provocata dal tempio genovese con le volte danneggiate, diede luogo con il passare degli anni – più di trenta – a una sovrapposizione di ricordi, fino al punto di arrivare a pensare che fosse quella la chiesa in cui il fondatore dell’Opus Dei aveva celebrato la sua prima Messa in Italia.

Proseguiamo nella ricostruzione dei fatti. La nostra ricerca iniziò nell’aprile del 1978 con una visita alla Curia Arcivescovile di Genova, dove ottenemmo le prime informazioni da mons. Canevari, responsabile dei servizi amministrativi.

Mons. Canevari ci informò che la chiesa dell’Annunziata, dei padri francescani – una delle principali della città – era stata danneggiata gravemente durante la guerra e che le opere di restauro si erano protratte per diversi anni.

Nel frattempo il culto aveva luogo nella sacrestia cui si accedeva dalla strada, attraverso una porta nella zona in cui si trova il vicino convento francescano. Le dichiarazioni di mons. Canevari contribuirono a incrementare la mia confusione, poiché avevo la certezza che la Messa di san Josemaría non era stata celebrata in una sacrestia. Ad ogni modo mons. Canevari aggiunse che chi avrebbe potuto fornirci ulteriori informazioni, era p. Valentino Tacchino, O.F.M., che nel 1946 era il parroco dell’Annunziata e lo era stato fino a pochi anni prima, quando aveva lasciato l’incarico per motivi di età e di salute, e si era ritirato a vivere in un convento situato nella piccola località di Recco7.

Il colloquio con p. Valentino Tacchino, O.F.M.

Approfittammo comunque del resto della mattina per visitare alcune chiese situate delle immediate vicinanze dell’Hotel Columbia. Quella di San Giovanni di Pré era chiusa, ma ad una nostra chiamata uscì un sacerdote che la aprì; apparve subito chiaro che non era quella che cercavamo. ndammo alla chiesa della Visitazione, che si trovava quasi di fronte all’hotel, in cima ad una ripida salita, e la scartammo senza neanche entrarvi. L’Annunziata era chiusa e la chiesa di San Carlo, in via Balbi, non presentava le caratteristiche impresse nei miei ricordi. Nelle prime ore del pomeriggio arrivammo a Recco. Lì, in un piccolo convento molto vicino alla riva del mare, viveva p. Valentino Tacchino, il vecchio parroco dell’Annunziata. L’incontro con lui ci parve molto interessante, ma le conseguenze furono negative, dato che contribuì a riconfermarci nell’impostazione errata da cui eravamo partiti all’inizio.

P. Valentino era un uomo anziano ma perfettamente lucido, pur con i logici limiti della sua età. La questione che venivamo a sottoporgli ci pareva molto semplice: era verosimile che il fondatore dell’Opus Dei, di passaggio a Genova, avesse celebrato la Messa all’Annunziata il giorno 23 giugno del 1946?

Il vecchio francescano rispose senza sitazioni che era perfettamente possibile e proseguì esponendoci le ragioni su cui fondava la propria affermazione.

Nell’estate del 1945, a guerra appena conclusa, si era fatto carico della chiesa, e aveva riabilitato il culto nella sacrestia, cui si poteva accedere direttamente dalla strada. Frattanto si diede inizio all’opera di ristrutturazione del tempio, la quale, giunta ad un sufficiente stadio di avanzamento in prossimità della Settimana Santa, consentí a p. Tacchino di disporre l’allestimento dei Sepolcri del Giovedì Santo nella cappella in fondo alla navata sinistra. Furono molti i fedeli che visitarono la chiesa, una delle più importanti e più rappresentative di Genova, per la prima volta dopo i bombardamenti. Incoraggiato dalla risposta dei cittadini, p. Valentino pensò alla possibilità di trasferire il culto dalla sacrestia alla chiesa, ovvero in una parte di essa opportunamente abilitata. Si rivolse a tale scopo ad un amico costruttore, chiedendogli di realizzare una staccionata per delimitare uno spazio all’interno della chiesa. Il costruttore fece fabbricare una palizzata di legno di buona qualità che portò ad un risultato finale molto decoroso. Questo lavoro fu realizzato nei mesi di aprile e maggio del 1946, pertanto all’inizio di giugno il culto riprese in piena normalità in tre appelle contigue della navata sinistra8.

La visita alla chiesa dell’Annunziata

Esponemmo ancora a p. Valentino Tacchino un dubbio che ci venne in mente in quei frangenti: se la navata più danneggiata era quella sinistra perché la si era preferita a quella destra per ripristinare il culto? Il vecchio parroco ci rispose che anche quella destra risultava molto deteriorata; inoltre i danni della navata sinistra, anche se di maggiore entità, si riscontravano soprattutto nella parte posteriore, mentre le volte delle tre cappelle anteriori non erano crollate.

Oltre a ciò vi era una motivazione decisiva: questa zona era contigua al convento e vi si poteva accedere direttamente dalla sacrestia; la navata di destra, invece,

era completamente separata dagli alloggi della comunità9.

Di ritorno a Genova ci recammo alla chiesa dell’Annunziata, presso la quale, accompagnati da un altro francescano – p. Gianfranco –, ci accingemmo a fare un’ispezione in situ che confermò in ogni articolare la relazione di p. Valentino. Chiedemmo al religioso i libri-registri delle celebrazioni delle Messe e ci fu risposto nuovamente che non esistevano, dato che si cominciò a compilarli a partire dal 1950. Constatammo che mentre i muri e le volte ricostruiti non erano stati ridipinti, si conservavano invece gli affreschi corrispondenti alle tre cappelle nelle quali, nel 1946, era stato ristabilito il culto, prova tangibile che le bombe non le avevano danneggiate.

Poiché i due sacerdoti – san Josemaría e don Álvaro del Portillo – avevano celebrato la Messa contemporaneamente e l’altare su cui aveva officiato quest’ultimo, secondo i miei ricordi, si trovava a sinistra rispetto a quello su cui celebrava san Josemaría, la conclusione più probabile sembrava essere che il fondatore dell’Opus Dei avesse celebrato nella cappella della Madonna, e don Álvaro del Portillo in quella contigua di sinistra10.

Dopo il mio rientro a Milano, dedicai il giorno seguente, 5 aprile, a scrivere l’estesa relazione più volte citata. La conclusione alla quale arrivai, sulla base delle ragioni esposte, era che si poteva avere una certezza morale che la chiesa dell’Annunziata fosse quella in cui Josemaría Escrivá aveva celebrato la sua prima Messa a Genova, e pertanto in Italia. Così la questione parve risolta e tale versione fu universalmente accettata. Soltanto diversi anni dopo, quando comparvero alcuni brevi documenti scritti che erano passati inosservati, furono ribaltati i risultati della ricerca fino ad allora considerati certi11.

Le prove di un errore

Ciò che rimise in discussione le conclusioni cui ero giunto, fu la scoperta di alcuni testi nell’Archivio Generale della Prelatura dell’Opus Dei: scritti che, peraltro, erano stati redatti proprio da me.

Di fatto nel mese di giugno del 1946, giunto a Roma di ritorno da Genova, mi ero fatto carico della stesura di un diario, di cui don Álvaro del Portillo si era occupato nelle settimane precedenti nella casa di Città Leonina12. Il giorno 24 riportai in quelle pagine le notizie della vigilia, domenica 23, e lì trovai scritto che eravamo usciti dall’albergo verso le sette del mattino per accompagnare san Josemaría e del Portillo a celebrare la Messa. Il testo proseguiva: «Ci rechiamo inanzitutto in una chiesa di Agostiniani [sic] in via Balbi; poiché la cosa non si presenta facile, andiamo in cerca di un’altra chiesa; alla fine ne troviamo una dove alle 7.30 il Padre celebra sull’altare maggiore, aiutato da Salvador, e don Álvaro su quello dedicato al Sacro Cuore. In seguito, dopo avere preso i bagagli e fatto colazione in un locale, ci siamo messi in viaggio alle 9 per Roma»13. Nella chiesa dell’Annunziata, tuttavia, non c’era, né c’era mai stato, un altare del Sacro Cuore: questo particolare faceva crollare la versione dei fatti così laboriosamente ricostruita e ritenuta da tutti – da me stesso per primo – certa.

Non rimaneva altro da fare che ricominciare da capo le ricerche. Potei giovarmi dell’aiuto di diversi fedeli italiani dell’Opus Dei che si occuparono del lavoro previo indispensabile: verificare quali erano le chiese esistenti nel centro storico di Genova, che si sarebbero potute raggiungere a piedi e senza articolari difficoltà dall’Hotel Columbia, e nelle quali esisteva, o sarebbe potuto esistere nel 1946, un altare dedicato al Sacro Cuore. Compiute le opportune indagini con grande minuziosità, ci accorgemmo che solo due chiese riunivano tali condizioni: la chiesa del Carmine e la parrocchia di San Sisto II Papa e Maria Bambina.

Frattanto nell’archivio fu rinvenuto un nuovo documento che veniva a completare le informazioni contenute nel diario di Città Leonina del 23 giugno.

Si trattava di una lunga lettera da me scritta il 26 di quello stesso mese, in cui riferivo del viaggio di san Josemaría, dalla partenza da Barcellona fino al luogo definitivo di destinazione, Roma. Dopo aver riferito dello sbarco a Genova e del pernottamento all’hotel, la lettera proseguiva: «Il giorno seguente era domenica. Il Padre e don Álvaro celebrarono la messa alle 7.30 in una chiesetta vicina»14.

Questo breve paragrafo conteneva, dunque, un dato di considerevole interesse: il tempio era definito «chiesetta», quindi era di proporzioni modeste, caratteristica, questa, che escludeva le chiese grandi; un altro particolare di rilievo era che a «chiesetta» si trovava vicina al punto di partenza, cioè all’Hotel Columbia, presso il quale avevamo pernottato.

Un secondo viaggio a Genova: la chiesa di San Sisto II Papa e Martire e Maria Bambina

Intrapresi un ulteriore viaggio da Roma a Genova il 10 novembre del 1984 allo scopo di arrivare a una conclusione definitiva. Il giorno 11, alle prime ore del mattino, giunse da Milano anche don Elia Acerbis. Per ricominciare le ricerche partimmo all’ingresso dell’Hotel Columbia e da lì ci avviammo verso la chiesa di San Carlo, in via Balbi, che era senza alcun dubbio quella che avevamo raggiunto dall’hotel la mattina del 23 giugno 1946, e presso la quale sicuramente san Josemaría e don Álvaro del Portillo non avevano celebrato la Messa.

Proseguimmo il nostro percorso verso la chiesa del Carmine, una delle due chiese in cui esistevano una cappella o un altare del Sacro Cuore; dopo averla visitata accuratamente, la scartammo senza alcuna incertezza, tra l’altro, per le seguenti ragioni: 1) non era una «chiesetta», ma una chiesa di grandi dimensioni; 2) era relativamente lontana dall’hotel, la strada per raggiungerla era piuttosto complicata, e inoltre si passava davanti alla basilica dell’Annunziata, che allora era già aperta al pubblico; 3) la cappella del Sacro Cuore era situata a destra dell’altare maggiore e non alla sinistra, mentre io avevo sempre affermato che era quella la posizione dell’altare su cui don Álvaro del Portillo aveva celebrato; 4) infine un altro particolare significativo era che né nel diario, né nella lettera del 26 giugno 1946 figurava il nome della chiesa in cui san Josemaría aveva celebrato la Messa: se si fosse trattato della chiesa del Carmine sarebbe stato logico citarne il nome in questi scritti15.

Ci restava da visitare la chiesa parrocchiale di San Sisto II Papa e Maria Bambina, sita in via Pré. La sua ubicazione rendeva verosimile che si trattasse della chiesa che cercavamo. Inoltre sembrava abbastanza logico che, non potendo celebrare nella chiesa di San Carlo, i sacerdoti di là ci avessero indirizzato dicendoci orientativamente di attraversare via Balbi, di prendere la prima strada a destra e di percorrerla fino a via Pré dove avremmo trovato subito la chiesa parrocchiale di San Sisto, in cui sarebbe stato possibile celebrare la Messa.

Il tutto poteva svolgersi nel margine di tempo necessario perché le Messe iniziassero attorno alle 7.30, uscendo dall’hotel alle 7.00. Fin dal primo momento in cui entrammo nel tempio, ebbi l’impressione che fosse la chiesa che stavamo cercando, impressione che si consolidò considerando tutti i particolari. Era piccola – «chiesetta» avevo scritto nella lettera del 26 giugno 1946 – e si trovava vicino all’hotel. La cappella del Sacro Cuore era a sinistra dell’altare maggiore.

Inoltre, vi era un ulteriore elemento: se il titolo della chiesa non figurava in alcun documento – né nel diario né nella lettera – era perché non lo sapevo: “San Sisto II Papa e Martire e Maria Bambina” era un titolo piuttosto complicato sia da ricordare sia da conoscere; tutto il contrario di quello che sarebbe accaduto se si fosse trattato della chiesa del Carmine16.

Lo stesso giorno 11 novembre 1984, a mezzogiorno, intrapresi il viaggio di ritorno per Roma, fermamente persuaso di aver trovato la chiesa di Genova nella quale il 23 giugno 1946, Josemaría Escrivá aveva celebrato la sua prima Messa in Italia.

Don Elia Acerbis afferma di avere la stessa opinione. Egli mi aveva scritto il 25 giugno da Milano e la sua lettera fu decisiva per il mio nuovo viaggio a Genova, realizzato nel novembre di quell’anno. Nel 1988, Acerbis scrisse una relazione che completa quanto ho detto. Pertanto riteniamo opportuno riprodurla, non senza segnalare che essa si conclude con un’affermazione categorica scritta di suo pugno: «È ormai sicuro che la chiesa è quella di S. Sisto».

La relazione di don Elia Acerbis17

Chiesa in cui nostro Padre celebrò la Santa Messa la mattina del 23 giugno

Le ricerche condotte nel 1978 erano approdate alla conclusione che questa chiesa fosse l’Annunziata. Successivamente si è potuto chiarire che su tale interpretazione incideva un ricordo di don José Orlandis, relativo ai danneggiamenti che la chiesa in questione avrebbe subito per i bombardamenti.

In effetti l’Annunziata era gravemente danneggiata, ma i ricordi di don José riguardavano, come poi si è chiarito, i suoi frequenti passaggi da Genova in quegli anni e la consuetudine di andare ad assistere alla Messa appunto all’Annunziata.

Le fonti di documentazione per l’individuazione della chiesa sono solo due: il diario, redatto da don José e alcune righe di una lettera che lui stesso scrisse il 26 giugno. La lunga relazione scritta e fotografica n. 1306 (cfr.) 18 tiene conto solo della prima fonte e arriva alla conclusione che la chiesa sia l’Annunziata.

I testi in questione dicono quanto segue:

a) Il diario del 23 giugno: «Sarebbero le sette del mattino [...] cuando salíamos del hotel Columbia de Génova para acompañar al Padre y Álvaro a celebrar. Vamos antes todo [sic] a una iglesia de Agustinos en via Balbi; como la cosa no se presenta fácil, marchamos en busca de otra iglesia; por fin, vemos con una [sic], donde, a las 7:30 el Padre celebra en el altar mayor, ayudado por Salvador, y Álvaro en el del Sagrado Corazón».

b) La lettera del 26 giugno: «El siguiente día era domingo. El Padre y Álvaro celebraron a las 7:30 en una iglesita cercana ...».

Da un esame di questi testi si ricava:

1. La chiesa era di piccole dimensioni. Per quanto ridotta a causa dei lavori di restauro, l’Annunziata, che è una della più grandi della città, non si può definire tale.

2. Il particolare dell’altare dedicato al Sacro Cuore. Si è cercato in ogni modo di capire come potesse cogliersi questo particolare nella chiesa dell’Annunziata – dove non c’è mai stato un altare del genere –, collegandolo con il fatto che in quei giorni si celebrava il Corpus Domini (il giovedì precedente), e forse si era allestito un altare provvisorio. Ma dalle testimonianze di alcuni sacerdoti anziani intervistati non emerge questo dato.

3. Nella zona, due sole chiese hanno un altare laterale dedicato al Sacro Cuore: il Carmine e San Sisto. Il Carmine non si può propriamente definire una chiesa piccola, ma un elemento contro è il fatto che per arrivarvi avrebbero dovuto passare necessariamente davanti l’Annunziata e quindi provare lì. Nel Carmine, l’altare del S. Cuore è a destra.

4. Il riferimento agli Agostiniani è una svista. La chiesa dove provarono subito è certamente San Carlo, che è appunto in via Balbi. In quell’epoca era retta dai Carmelitani, successivamente fu affidata alla Pia Unione della Fraternità della B.V. Maria. Gli Agostiniani a Genova non hanno mai avuto una chiesa in quella zona.

5. Per esclusione si arriva all’individuazione della chiesa di San Sisto e Santa Maria Bambina, che si trova in via Pré, che è in effetti di piccole dimensioni e dove l’altare del Sacro Cuore è a sinistra (come altrove ricorda don José).

Per accertare questo dato, l’11 novembre 1984 è stata effettuata una ricognizione in loco con lo stesso don José, che già, sulla base dei dati acquisiti aveva fornito per lettera altri dati: ad esempio, è abbastanza sicuro che uscirono dall’albergo a piedi; per questa ragione, non vollero allontanarsi troppo; sicché, sfumata l’occasione di San Carlo, non proseguirono per via Balbi verso l’Annunziata (che, essendo appartata, non è visibile da lì, pur essendo vicina), ma imboccarono il primo vicolo sulla destra – vico Sant’Antonio – al termine del quale è via Pré e quasi di fronte si trovarono con la facciata di San Sisto.

Don José è dell’avviso che San Sisto sia la chiesa che cerchiamo.

Sin dall’epoca in cui vi celebrò nostro Padre è rimasto parroco della chiesa don Federico Podestà. Si sta cercando dal 1984 di cercare i registri delle Messe dell’epoca: una firma sarebbe la prova decisiva. Ma a tutt’oggi (1987) non vi è stato alcun risultato.

La statua del Sacro Cuore davanti alla quale celebrò don Álvaro fu rimossa nel 1947 e sostituita con un’altra statua analoga proveniente dalla Val Gardena. La vecchia statua sta in un cortiletto vicino alla chiesa.

6. Ulteriore esclusione di altre chiese circostanti. Nel 1987 è stata effettuata un’altra ricognizione nel quartiere, per vedere se alcune chiesette della zona avessero delle caratteristiche rispondenti a ciò che scriveva don José Orlandis. Il risultato è il seguente:

a) S. Giovanni di Pré (già presa in considerazione nel ’77) ha un quadro del Sacro Cuore (cappella absidale destra), ma non è pala d’altare. Inoltre c’è il registro delle Messe celebrate fra il 40 e il 50: fra il 22 e il 24 giugno non compare il nome di nostro Padre, mentre ve ne sono altri. In più il luogo non si presta alla celebrazione contemporanea delle due Messe.

b) Per quanto riguarda l’Oratorio delle Cinque Piaghe, l’Oratorio di S. Antonio e Santa Sabina Nuova, è accertato che non avessero mai avuto immagini del Sacro Cuore. Inoltre è probabile che Le Cinque Piaghe fosse stato già abbandonato in quell’epoca.

c) La Visitazione è troppo defilata rispetto al percorso segnalato, perché troppo distante dall’albergo. Non vi è mai stata un’immagine del Sacro Cuore.

È ormai sicuro che la chiesa è quella di S. Sisto. Elia 1988.

Poiché la mia opinione concorda pienamente con quella di don Elia Acerbis, considero il caso completamente chiuso. Ho pensato che la pubblicazione del primo numero della rivista dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá fosse l’occasione opportuna per dare notizia della complessa indagine condotta fino al chiarimento di un dato indubbiamente significativo per la storia dell’Opus Dei in Italia19.

José Orlandis.Cattedratico in pensione di Storia del Diritto (1942) e sacerdote (1949), professore emerito delle Università di Saragozza e Navarra. È uno dei più rinomati specialisti della storia del regno visigoto di Spagna. Ha pubblicato tre libri di memorie con i suoi ricordi sulla vita dell’Opus Dei e sui suoi rapporti con il fondatore negli anni ’30 e ’40. È inoltre autore di più di duecento pubblicazioni di storia medievale e di storia della Chiesa.

jorlandis@unav.es

Note

1. Cfr. José Orlandis, Mis recuerdos. Primeros tiempos del Opus Dei en Roma, Madrid, Rialp, 1995, pp. 123-132.

2. Cfr. Relación sobre el viaje a Génova el 4-IV-1978, AGP, Sec. A, Leg. 16, Carp. 3, Exp. 13. D’ora innanzi ci riferiremo ad essa come Relación.

3. La mia comunicazione fu letta il 30 marzo 1978 e discussa il giorno seguente, giorno 31. Venne pubblicata con il titolo Hacia una mejor comprensión del problema judío en el Reino visigodocatolico de España, nel volume I de Gli ebrei nell’Alto Medioevo, Spoleto, 1980, pp. 149-196.

4. Diario personale dell’autore, giorni 3-5 aprile 1978.

5. Relación, nn. 1 e 2.

6. Cfr. José Orlandis, op. cit., pp. 103-105 e 149.

7. Relación, nn. 3 e 4.

8. Ibid., nn. 7 e 8.

9. Ibid., n. 9.

10. Ibid., nn. 10 e 11.

11. Ibid., n. 12.

12. In un appartamento di piazza della Città Leonina, n. 9 presero alloggio alcune persone dell’Opus Dei e anche san Josemaría negli anni 1946 e 1947. Cfr. Andrés Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei, vol. III, Milano, Leonardo International, 2004, p. 30.

13. «Vamos ante todo a una iglesia de Agustinos en via Balbi; como la cosa no se presenta fácil, marchamos en busca de otra iglesia; por fin damos con una donde, a las 7:30 el Padre celebra en el altar mayor, ayudado por Salvador, y Álvaro en el del Sagrado Corazón. Recogemos los equipajes, desayunamos en un restaurant y a las 9, camino de Roma». Una fotocopia delle pagine del diario della casa di Città Leonina della giornata di domenica 23 giugno 1946, è conservata in AGP, Sec. A, Leg. 16, Carp. 3, Exp. 13. C’è una discordanza – senza importanza rispetto al tema principale – sui religiosi cui era affidata la chiesa di San Carlo in Via Balbi. Nel 1946 scrissi sul diario di Città Leonina che si trattava di una chiesa di Agostiniani. Nella Relación – sicuramente con maggiori informazioni rispetto al 1946 – si parla di chiesa di Carmelitani, sostituiti in seguito da sacerdoti francesi: Relación, n. 6.

14. «El siguiente día era domingo. El Padre y don Álvaro celebraron a las 7:30 en una iglesita cercana». Lettera di José Orlandis del 26 giugno 1946 (indirizzata presumibilmente alle persone dell’Opus Dei che abitavano a Madrid, e introdotta dalla formula: «Carissimi tutti»), AGP, Sec. A, Leg. 16, Carp. 3, Exp. 13.

15. Cfr. Diario di Città Leonina, 23 giugno 1946 e Relación, n. 6.

16. Cfr. Diario personale dell’autore, giorni 10 e 11 novembre 1984.

17. AGP, Sec. A, Leg. 16, Carp. 3, Exp. 13. Si tratta di un foglio scritto in italiano su ambedue i lati, dattiloscritto, fatta eccezione per l’ultima frase («È ormai […] S. Sisto»), la firma e l’anno.

18. Si riferisce alla prima indagine da me realizzata nel 1978 di cui ho parlato nel primo paragrafo.

19. Cfr. José Orlandis, op. cit., p. 133.

* Traduzione dallo spagnolo di Paola Cristina Viti.