La perenne attualità di un messaggio

San Josemaría fu il santo del quotidiano. Il suo messaggio è semplice e piano, aperto a tutti, persino ai bambini e agli analfabeti: «Tutti sono chiamati alla santità, il Signore chiede amore a ciascuno: giovani e anziani, celibi e sposati, sani e malati, dotti e ignoranti, dovunque lavorino, dovunque si trovino»

Ciò che il mondo ha visto in Piazza san Pietro la mattina del 6 ottobre, durante la canonizzazione del Fondatore dell'Opus Dei, merita un'attenta riflessione. Chi osservato quella folla, chi ha guardato quei volti, chi ha ascoltato il silenzio che accompagnava lo svolgimento della cerimonia (era una Messa, non già una festa di popolo, non dimentichiamolo), è impossibile che non sia stato sfiorato dal pensiero che davvero non si può parlare tranquillamente, senza timore di smentite, di un preteso “deserto di Dio” nel mondo di oggi, di una società ormai definitivamente “secolarizzata”. La cultura, e non solo quella occidentale (in Piazza erano presenti fedeli di 84 diversi Paesi, fra cui non pochi extraeuropei, asiatici e africani), è ancora molto sensibile all'esempio dei santi. Il miracolo, l'idea del bisogno che abbiamo di un aiuto alla nostra debolezza, non appartengono affatto al mondo della leggenda, non si possono liquidare come fughe nell'irrazionale.

Un'iniezione di speranza, dunque, per tutti coloro che amano la Chiesa: la testimonianza del cristiano non è condannata alla sterilità. Ma, e qui si innestano le presenti considerazioni, la sua fecondità è legata alla santità personale. C'è molto da imparare dai santi, ma bisogna anzitutto evitare alcuni equivoci.

Alla figura di un santo si può guardare da diversi punti di vista, alcuni dei quali purtroppo non possono che portare fuori strada, mentre altri conducono sì sulla strada giusta, ma nella direzione sbagliata. Esempi: rientra nel primo caso l'approccio di tipo devozionale, intimistico; infatti l'accentuazione degli elementi “mistici” induce a dimenticare che il santo è sempre segno di contraddizione: mentre di fatto rimuove lo scandalo e smussa gli spigoli, neutralizza il radicalismo di ogni messaggio autenticamente evangelico.

Il secondo errore è quello in cui cade chi si pone in una prospettiva intellettualistica e dà la precedenza alla ricerca della traccia lasciata dal santo nella cultura del suo tempo, della sua incidenza sui modelli di vita imperanti. Il suo scopo è mostrare l'attualità del messaggio che viene dai santi, mentre il primo ne esalta l'inattualità. Qui il modello proposto è l'eccezione, non l'esempio; lì il profeta.

Io spero che nessuno di questi due schemi venga applicato alla figura di san Josemaría Escrivá. Malgrado l'apparente antinomia, essi hanno un punto di convergenza. Per il primo, il santo è l'uomo del mistero, colui che vive in una dimensione a sé, lontana dalle vicende terrene, interamente assorbito dal contatto col soprannaturale. Per il secondo, il santo possiede un'influenza sugli altri difficilmente calcolabile, proprio per il carattere dirompente del suo messaggio, per la sua capacità di capovolgere lo stile di vita dominante. L'equivoco comune è di spaccare l'indissolubile unità in cui consiste la cifra forse più evidente della santità.

L'errore è di adottare un metodo di osservazione unilaterale, privilegiando uno dei due poli che invece necessariamente concorrono a determinare il punto di partenza e, insieme, il traguardo della santità. Parlo di quella fusione di contemplazione e di azione che san Josemaría chiamava unità di vita. Egli era anzitutto uomo di preghiera; l'impegno primo che si proponeva ogni giorno era la ricerca del dialogo con il Signore; trasformava in orazione, in offerta a Dio, ogni gesto, ogni attività. Ma nella preghiera non cercava l'isolamento dal mondo, bensì la spinta per lanciarsi con tutte le forze nell'avventura di trasformare il mondo secondo lo spirito di Cristo. Il punto di partenza era la contemplazione del mistero del Dio incarnatosi per la nostra salvezza; da qui attingeva quell'amore inesausto per gli uomini che lo portava a consumarsi nel desiderio di condurli a Dio: ecco il traguardo finale, che a sua volta si risolveva nel bisogno di pregare ancora di più.

Tutto questo, in perfetta e continua aderenza con la normale cadenza della giornata. Egli ha insegnato a cercare di trasformare in pienezza d'amore le occupazione più banali, i gesti più comuni, le attività che dobbiamo comunque svolgere e che siamo in grado di compiere anche a occhi chiusi. Il grigiore della vita quotidiana, l'ovvietà delle piccole cose, la banalità del qui e ora: ecco l'ambito e la materia della santità per san Josemaría. È qui che Dio ci aspetta. Ebbene, i due errori di cui stiamo parlando comportano l'evasione dal quotidiano. Chi intende la preghiera come esperienza eccezionale di contatto con Dio, limitata ai momenti alti in cui l'anima tocca i vertici dell'unione, necessariamente la separa dal contesto spesso vorticoso degli impegni di tutti i giorni. Ma lo fa anche chi concepisce il santo come l'oracolo la cui parola copre i secoli, l'uomo teso a compiere gesti simbolici dal significato troppo profondo per poter essere decodificato senza rimandi ad un'ulteriorità inesprimibile.

San Josemaría, il santo del quotidiano

San Josemaría fu il santo del quotidiano. Il suo messaggio è semplice e piano, aperto a tutti, persino ai bambini e agli analfabeti: «Tutti sono chiamati alla santità, il Signore chiede amore a ciascuno: giovani e anziani, celibi e sposati, sani e malati, dotti e ignoranti, dovunque lavorino, dovunque si trovino» (Amici di Dio, n. 294). E, per essere santi, non c'è bisogno di aspirare a grandi gesta: «Pensando a quelli di voi che, mentre gli anni passano, ancora sognano — sogni vani, puerili, come quelli di Tartarino di Tarascona — di dar la caccia ai leoni nei corridoi di casa, dove al massimo si può trovare un topolino o poco altro; pensando a costoro, ripeto, vi ricordo che la grandezza consiste nel sostenere in modo divino il compimento fedele dei doveri abituali di ogni giorno, le lotte quotidiane che riempiono di gioia il Signore e che soltanto Lui e ciascuno di noi conosciamo» (ibid., n. 8). Più in breve: «Vuoi davvero essere santo? — Compi il piccolo dovere d'ogni momento: fa' quello che devi e sta' in quello che fai» (Cammino, n. 815).

Davvero un messaggio per tutti, semplice, piano, come abbiamo appena detto. Tutto qui? Sì, sostanzialmente non c'è altro da aggiungere. Qualcuno potrebbe domandarsi se esso ha ancora un ruolo da svolgere oggi, se la sua attualità dura ancora dopo il Concilio Vaticano II. Infatti, come scrisse Paolo VI, la proclamazione universale alla santità può essere ritenuto «l'elemento più caratteristico dell'intero Magistero conciliare e, per così dire, il suo fine ultimo» (Motu proprio Sanctitas clarior, 19.3.1969). Questa dottrina — si potrebbe pensare — è stata ormai ampiamente assimilata dalla teologia, dalla pastorale e, ciò che più conta, dalla coscienza dei fedeli. Voltiamo pagina. San Josemaría Escrivá ha esaurito la propria missione. Non ha più nulla di specifico, di originale, da dire. Il suo messaggio si è sciolto ed è scomparso, come il sale, nel patrimonio dottrinale della Chiesa. È giusto riconoscergli una funzione storica all'interno di quella realtà carismatica, maturata in Europa agli inizi del secolo XX, che con il suo dinamismo ha preparato il Concilio sul piano spirituale e teologico. Ma questa è una parabola ormai conclusa. Ora i nuovi fenomeni sociali e culturali hanno suscitato altri bisogni, il mondo attende dal Vangelo nuove risposte.

E invece il decreto pontificio sull'eroicità delle virtù dell'allora servo di Dio Josemaría Escrivá parlava di attulità perenne del suo messaggio: «Questo messaggio di santificazione nelle e delle realtà terrene appare provvidenzialmente attuale nella situazione spirituale della nostra epoca, così solerte nell'esaltare i valori umani, ma anche così proclive a cedere ad una visione immanentista del mondo separato da Dio. D'altra parte, nell'invitare il cristiano alla ricerca dell'unione con Dio attraverso il lavoro, compito e dignità perenne dell'uomo sulla terra, quest'attualità è destinata a perdurare al di là dei mutamenti dei tempi e delle situazioni storiche, come fonte inesauribile di luce spirituale».

Per capire tutto questo bisogna partire da concetti di base non parziali, unilaterali. Il messaggio del santo non sta in quello che dice, ma in quello che fa. Qui si trova non solo il principale criterio ermeneutico di ciò che dice, ma anche il segreto della sua incidenza storica. Dal punto di vista spirituale — e direi anche teologico, se si ammette che la vita dei santi è teologia viva — non ha senso limitare la funzione del santo all'eredità culturale da lui lasciata, farne a tutti i costi l'esponente di una scuola di pensiero. Con il suo magistero quotidiano di santità, il fondatore dell'Opus Dei ha aperto una strada che ogni cristiano deve percorrere. In certo modo si può affermare che l'opera della redenzione ricomincia tutti i giorni, ogni volta che un cristiano nasce — col battesimo — alla vita dello Spirito. È soprattutto per questo che egli sarà sempre attuale.

Nel lavoro, scoprire il volto di Cristo

Egli ha insegnato a cercare Dio «nel bel mezzo della strada», come amava a dire. La sua specificità consiste nell'aver messo a fuoco quello che a buon diritto più considerarsi come il problema chiave per coloro che sono chiamati a vivere la fede nel frastuono del mondo. Dove, cioè, è molto difficile trovare spazi di quiete, di raccoglimento; dove tutto è fonte di dispersione, dove la pressione degli impegni e delle scadenze tende a fare di noi degli automi. Dove la coerenza con la legge morale diviene spesso eroica. È qui che egli ci illumina, qui l'eloquenza del suo esempio ci convince che anche noi possiamo farcela. Nel suo messaggio troviamo le armi che ci consentiranno di affrontare la fatica della santità.

La sua attualità sta nella profondità della sua unione con Cristo. Gesù sarà sempre contemporaneo di ogni creatura. Raggiungerlo in un contesto in cui tutto sembra allontanarti da Lui ora non è più illusione. Ora abbiamo la prova del fatto che è possibile colmare d'amore di Dio le piccole occupazioni che si succedono nel corso delle nostre giornate; è possibile, cioè, non perdere un colpo, non concedersi mai un calo di tensione, non permettersi omissioni. Occorre andare al di là delle proprie forze, ma è possibile; basta ricordare che la grazia ce ne dà la capacità e che e la grazia viene dai sacramenti (con quanta forza egli predicò sulla necessità di accostarsi con frequenza alla confessione e che irresistibile fascino proviene dalle pagine che scrisse sull'eucaristia!) e dalla preghiera. È qui che si costruisce il santo: «Un santo senza orazione?... — Non credo a questa santità (Cammino, n. 107). Il sentiero che conduce alla santità è un sentiero di orazione; e l'orazione deve attecchire nell'anima a poco a poco, come il piccolo seme che col tempo diverrà albero frondoso» (Amici di Dio, n. 295). Ritorniamo così all'inizio: san Josemaría ha insegnato una preghiera che non ha nulla del devozionalismo sterile, una preghiera che si interseca, fino a fondersi con esso, con il lavoro di ogni giorno. Una preghiera che, nel lavoro, ci fa scoprire il volto di Cristo.

Studi Cattolici, n. 501. Novembre 2002