Un libro-intervista al prelato dell’Opus Dei: “Radici antiche, germogli nuovi”

È disponibile la versione in italiano di “Cristianos en la sociedad del siglo XXI”, volume in cui mons. Fernando Ocáriz risponde alle domande della filosofa e teologa Paula Hermida su alcune sfide dei nostri giorni, la missione della Chiesa e lo sviluppo dell’Opus Dei.

Il libro, edito dalle Edizioni Ares, è disponibile in libreria e nei principali store digitali. I temi affrontati dal prelato dell’Opus Dei in questa intervista sono compresi nei quattro capitoli: “Cambiamenti sociali e nuove tecnologie”, “La famiglia nel XXI secolo”, “La Chiesa nel nostro tempo” e “Pregare oggi”.

Di seguito è possibile leggere due estratti di “Radici antiche, germogli nuovi”.


Vediamo attorno a noi sempre più persone che hanno problemi di ansia. La professione, i rapporti sociali e famigliari subordinano alla competitività la perfezione e il successo, generando ferite interiori che spesso non osiamo condividere. Quando «finiamo a pezzi» in una situazione del genere, a volte non ci facciamo aiutare, non ci lasciamo voler bene, non chiediamo aiuto ... Sembra una contraddizione. Che cosa ne pensa Lei, che ha a che fare con tante anime?

Lei descrive un panorama molto reale, riscontrabile un po’ dappertutto. Ogni epoca propone le proprie sfide e noi cristiani dobbiamo saper dare risposte e stimoli agli uomini della nostra, non perché siamo esenti da qualunque ferita, ma proprio perché esse colpiscono anche noi e cerchiamo di guarirle con l’aiuto di Dio. San Josemaría ricordava che «tocca a noi cristiani del nostro tempo annunciare oggi, a questo mondo al quale apparteniamo e nel quale viviamo, il messaggio antico e nuovo del Vangelo» (È Gesù che passa, n. 132). Come cristiani, non possiamo dimenticare che alla nostra vulnerabilità e a quella di coloro che ci stanno attorno Gesù dà consolazione e risposte. La mia esperienza è che le aspettative delle persone, nel contesto della rivalità aggressiva di cui Lei parlava, di solito cambiano quando scoprono di essere figli amati di Dio. Certe volte ci giudichiamo in base a parametri che non sono i più salutari, consideriamo troppo importanti cose che forse non lo sono tanto. Aprirsi a Dio e agli altri e riconoscere la propria indigenza può essere una grande sfida; ma se cominciamo a scoprirvi Cristo, sapremo anche condividere con gli altri la consolazione che troviamo in quell’aiuto sincero.

Diceva un sacerdote ceco, ordinato in tempi di clandestinità, che gli atei hanno molto da insegnare a noi credenti, perché la lontananza da Dio che essi vivono è molto simile alla «notte oscura» dei santi. Come valorizzare questa idea? Il dialogo con i non credenti è stato raccomandato con grande forza dal Vaticano II, eppure continua a costarci molto portarlo avanti. Lei crede che la Chiesa dovrebbe riconsiderare il presunto trinceramento dogmatico che le rinfacciano atei, agnostici e anche alcuni credenti che ritengono che la Chiesa dovrebbe rinnovarsi in molti suoi princìpi? Come parlare di Dio in un mondo che non crede e che, soprattutto, sembra non aver bisogno di Lui?

Lei pone una domanda che tocca questioni molto diverse. In primo luogo, la Chiesa può dialogare e dialoga; e può rivedere quello che è rivedibile, ma certamente non il nucleo del contenuto della fede, per la semplice ragione che la Chiesa non è la fonte della dottrina, ma l’ha ricevuta. Per esempio, deve parlare di Dio, perché è il compito che ha ricevuto da Cristo. Questo, tuttavia, non vuol dire che non si possa continuare sempre ad approfondire per intendere meglio la fede, adeguare il linguaggio e spiegare con maggiore efficacia alcuni aspetti dottrinali. In ogni caso, sarebbe poco sensato abbandonare per motivi di popolarità una solida convinzione. Non sarebbe giusto nei confronti delle persone alle quali Cristo vuole arrivare con il suo messaggio di amicizia e di consolazione. Per ciò che riguarda le persone che si dichiarano atee o agnostiche, spesso noi credenti possiamo trarre insegnamento, tra l’altro, dalle loro qualità umane e, sempre, dobbiamo considerarle persone per le quali, come per noi, Cristo ha dato la vita sulla croce, anche se loro non ci credono o nemmeno lo sanno. Si può anche ricordare che siamo tutti Chiesa e che il dialogo della Chiesa con coloro che non conoscono Dio è anche – e forse prima di tutto – il dialogo quotidiano, da amico ad amico, di ognuno di noi con le persone che troviamo sulla nostra strada, per motivi di parentela, di amicizia, di lavoro... L’apertura a un’amicizia sincera nella quale, per autentico interesse e affetto reciproco, si parla di tutto, il rapporto con un cristiano che viva pienamente la sua fede può essere un primo passo perché nelle anime lontane da Dio si accenda il desiderio di conoscerlo e di dialogare con Lui. Nella vita di molti santi risplende l’amicizia calda e feconda coltivata con persone molto distanti per convinzioni e credenze.


Il libro, edito dalle Edizioni Ares, è disponibile in libreria e nei principali store digitali.