Tema 28. Primo e secondo comandamento

Il primo comandamento del Decalogo ha un importante rilievo esistenziale: è l'unico fondamento possibile per una vita umana vissuta in pienezza. La ragione suprema della dignità umana consiste nella vocazione dell'uomo alla comunione con Dio. L'amore per Dio deve includere l'amore per coloro che Dio ama. Il secondo comandamento proibisce qualsiasi uso inappropriato del nome di Dio e in particolare la bestemmia.

1. Il primo comandamento: non avrai altro Dio all’infuori di me

«Tu amerai dunque l'Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza»[1].

Queste parole del Deuteronomio invitano l'uomo a credere in Dio, a sperare in Lui e ad amarlo sopra ogni cosa[2].

Anche se di solito lo si esprime sinteticamente nell’enunciazione "amerai Dio sopra ogni cosa", in realtà «il primo dei precetti abbraccia la fede, la speranza e la carità»[3]. Infatti la carità ci consente di amare al modo di Dio. Tuttavia non è possibile per noi essere mossi all'amore che Dio merita se non lo conosciamo veramente, con la luce della fede, e se non lo riconosciamo come il bene totale a cui aspiriamo e che speriamo di raggiungere, attraverso la speranza.

Gesù stesso confermò che «il primo comandamento è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza»[4]. È essenziale per la vita di ogni persona che questo comandamento occupi realmente il suo posto: esso è il primo, non solo nell'ordine fissato nel Decalogo che abbiamo imparato, ma per la sua importanza esistenziale, perché è l'unico fondamento possibile per dare forma a una vita umana vissuta in tutta la sua pienezza.


2. Qual è il senso del primo comandamento

La nostra libertà ci consente di proporci un'ampia varietà di fini e di cercare di raggiungerli con le nostre scelte. Molti di questi fini sono ricercati come mezzi per raggiungere altri fini. Ma ce n'è sempre uno, che possiamo chiamare il fine ultimo, che non vogliamo per un altro fine, ma solo per se stesso. È quello che la persona considera come il suo bene supremo, al quale subordina la scelta e il perseguimento di tutti i fini intermedi: ciascuno sceglie e agisce in questa vita in base a quello che ritiene possa avvicinarlo o meno al suo fine, a ciò che pensa glielo renda più o meno raggiungibile e con lo stesso criterio giudica se valgano la pena gli sforzi e le fatiche richiesti dai diversi fini intermedi. Il fine ultimo che una persona si prefigge determina l'ordine dell'amore nella sua vita.

Ma se qualcuno si propone (o agisce come se si fosse proposto) un fine ultimo sbagliato, che non è in grado di realizzare la sua vita con pienezza, anche se sembra prometterlo - la fama, la ricchezza, il potere... - tutte le sue decisioni sui fini intermedi saranno condizionate da questo disordine dell'amore; e la libertà, condizionata nel suo esercizio da questo inganno, finirà per danneggiare la persona o addirittura per distruggerla[5].

Perché siamo stati fatti a misura di Dio: «L'uomo è stato creato da Dio e per Dio; Dio non smette mai di attirare l'uomo a sé e solo in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che non smette mai di cercare. La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore»[6].

Tutto il nostro bene è in Dio e non c’è un bene vero e totale fuori di Lui. Questo è, il nostro fine ultimo oggettivo. Anche se non lo sappiamo o non lo comprendiamo con chiarezza in alcuni momenti della nostra vita, solo Dio può soddisfare il nostro desiderio di felicità. E ogni amore che non ci porta a Dio, che ci allontana da Lui, è allo stesso tempo un tradimento di noi stessi, una condanna alla insoddisfazione futura.

Il nostro cuore è fatto per poter amare Dio e per essere riempito dal suo amore; non esiste un surrogato o una reale alternativa. Per tale ragione, l'unica misura adeguata per accogliere l'amore infinito che Dio ci offre è "tutto": amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Se non gli diamo un amore che sia la misura dei suoi desideri, «il cuore si vendica..., e si trasforma in un vermicaio»[7].


3. L'amore per Dio nel primo comandamento

L'amore per Dio a cui si fa riferimento nel primo comandamento implica:

  1. Scegliere Lui come fine ultimo di tutto ciò che decidiamo di fare. Cercare di fare tutto per amore di Lui e per la Sua gloria. «Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio»[8]. «“Deo omnis gloria”. - A Dio tutta la gloria»[9]. Non ci deve essere un fine da preferire a questo, perché nessun amore merita di essere al di sopra dell'amore di Dio: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me»[10]. Un amore che escludesse o subordinasse l'amore per Dio non sarebbe né vero né buono.
  2. Compiere la sua volontà con le opere: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli»[11]. Compierla anche quando richiede sacrificio: «non sia fatta la mia, ma la tua volontà»[12], convinti che ne vale la pena, perché è lì che si trova il nostro bene più grande. La volontà di Dio è che siamo santi[13], che seguiamo Cristo[14], mettendo in pratica ciò che è necessario per vivere secondo le indicazioni dei suoi comandamenti[15]. «Vuoi davvero essere santo? - Compi il piccolo dovere d'ogni momento: fa' quello che devi e sta' in quello che fai»[16].
  3. Vivere sapendo di essere in debito con Lui - il debito di un figlio verso il suo padre buono - e volendo ricambiare il suo amore. Egli ci ha amati per primo, ci ha voluti liberi e ci ha resi suoi figli[17]. Il peccato è rifiutare l'amore di Dio[18], ma Lui perdona sempre, si dona sempre a noi: la logica di Dio è la sovrabbondanza. «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati»[19]. «Mi ha amato e ha dato se stesso per me»[20]. «Per corrispondere a tanto amore ci si richiede una totale donazione»[21]. Non è un sentimento ma una determinazione della volontà che può essere accompagnata o meno da manifestazioni sensibili.

Il desiderio di ricambiare per amore porta all'impegno di coltivare in vari modi[22] la relazione con Dio, il contatto personale con Lui che, a sua volta, suscita e alimenta l'amore. Ecco perché il primo comandamento include diverse manifestazioni della religione:

«L'adorazione è la disposizione fondamentale dell'uomo che si riconosce creatura davanti al suo Creatore»[23]. È l'atteggiamento più fondamentale della religione[24]. «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto»[25]. «La tua orazione sia sempre un sincero e reale atto di adorazione di Dio»[26]. L'adorazione di Dio libera dalle varie forme di idolatria che anche oggi ci asservono.

L’azione di grazia[27], perché tutto ciò che siamo e abbiamo lo abbiamo ricevuto da Lui: «che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se tu non l'avessi ricevuto?»[28].

La petizione: del perdono per quelle decisioni e condotte che ci separano da Dio (il peccato); e perché aiuti noi e gli altri, la Chiesa e l’umanità intera. Gesù include nel Padre Nostro questi due tipi di richiesta. La preghiera di supplica del cristiano è piena di sicurezza, perché è una richiesta filiale, per mezzo di Cristo: «qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà»[29].

  • L'amore si manifesta anche nel sacrificio, che è l'offerta a Dio di un bene come espressione dell'abbandono interiore della propria volontà, cioè di obbedienza. Cristo ci ha redenti con il sacrificio della croce, che manifesta la sua perfetta obbedienza al Padre fino alla morte[30] .
  • La preghiera e il sacrificio sono inseparabili: «l'orazione si avvalora col sacrificio»[31]. Entrambi, nelle loro varie forme, fanno parte del culto di Dio, che si chiama culto di latria o adorazione. L'atto di culto per eccellenza è la Santa Messa, in cui Cristo stesso offre al Padre in modo perfetto, per mezzo dello Spirito Santo, l’adorazione, il ringraziamento, la richiesta di perdono dei peccati e la richiesta della sua grazia. I cristiani, che il Battesimo ha resi membra di Cristo, hanno ricevuto la capacità di offrire se stessi in Lui, soprattutto nella celebrazione dell'Eucaristia, offrendo a Gesù i propri sacrifici perché li assuma e li per presenti al Padre in unione con il suo sacrificio per mezzo dello Spirito Santo[32].
  • L'amore per Dio deve manifestarsi nella dignità del culto: nell'osservanza delle prescrizioni della Chiesa («la vita di pietà ha una sua correttezza»[33]) nella cura e nella pulizia degli oggetti destinati al culto divino. «Quella donna che in casa di Simone il lebbroso, a Betania, unge il capo del Maestro con un ricco profumo, ci ricorda il dovere d'essere splendidi nel culto di Dio. - Tutto il lusso, la maestà e la bellezza mi sembrano ben poco»[34].

4. La fede e la speranza in Dio nel primo e nel secondo comandamento

Fede, speranza e carità sono le tre virtù "teologali" (virtù che hanno Dio per oggetto). La più grande è la carità[35], che dà "forma" e "vita" soprannaturale alla fede e alla speranza (come l'anima dà vita al corpo). Ma la carità presuppone la fede, perché solo chi conosce Dio può amarlo come frutto della propria libertà; e presuppone la speranza, perché può amare Dio solo chi ripone il proprio desiderio di felicità nell'unione con Lui. Viceversa amerà ciò in cui ripone i propri desideri, a proprio danno.

La fede è un dono di Dio, una luce nell'intelligenza che ci permette di conoscere la verità che Dio ha rivelato e di assecondarla, di farla nostra. Ciò significa credere a ciò che Dio ha rivelato, ma anche credere a Dio stesso che lo ha rivelato (confidare in Lui).

Non c'è e non può esserci opposizione tra fede e ragione. La ragione, guidata dalla luce della fede, è indispensabile per assimilare la fede e approfondirla, facendo per così dire sempre più nostro lo sguardo di Dio sulla realtà.

La formazione dottrinale è importante per ottenere una fede salda e quindi per alimentare l'amore di Dio e degli altri per Dio: per la santità e l'apostolato. La vita di fede è una vita che si basa sulla fede ed è coerente con essa.

Anche la speranza è un dono di Dio che ci porta a desiderare l'unione con Lui in cui consiste la nostra felicità, senza scoraggiarci quando ci sembra irraggiungibile, perché confidiamo che Egli ci darà la capacità e i mezzi per raggiungerla anche se non sappiamo in che modo[36].

I cristiani devono essere: «allegri nella speranza»[37], perché se siamo fedeli ci attende la felicità del cielo: la visione di Dio faccia a faccia[38], la visione beatifica. «Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui»[39].

La vita cristiana è un cammino di felicità, non solo in Cielo ma già su questa terra, perché sin d’adesso assaporiamo un anticipo di quella felicità eterna grazie alla certezza che ci dà la vera speranza. Sappiamo che, finché dura la nostra vita terrena, ci sarà una felicità che si accompagnerà al dolore, alla croce. La speranza ci consente di vivere nella certezza che vale la pena lavorare e soffrire, per Amore[40], affinché i meravigliosi piani di Dio sulla nostra vita possano realizzarsi con la nostra collaborazione.

«La speranza non delude! Non è fondata su quello che noi possiamo fare o essere, e nemmeno su ciò in cui noi possiamo credere. Il suo fondamento, cioè il fondamento della speranza cristiana, è ciò che di più fedele e sicuro possa esserci, vale a dire l’amore che Dio stesso nutre per ciascuno di noi»[41].


5. L'amore per gli altri e per se stessi per amore di Dio

Rispondendo alla domanda sul comandamento principale, Gesù ha aggiunto: «E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso»[42]. Non si riferisce al comandamento formulato come secondo nel Decalogo, ma al secondo nucleo essenziale, assieme all'amore per Dio, che comprende diversi comandamenti del Decalogo. Gesù dice che questo secondo comandamento descrive è "simile" al primo, cioè è distinto, non è equivalente o intercambiabile, ma è allo stesso tempo inseparabile da quello. Per questo motivo la sua importanza è simile a quella del primo.

L'amore per Dio deve includere l'amore per coloro che Dio ama. «Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello»[43]. Non si può amare Dio senza amare tutti gli uomini e le donne, creati da lui a sua immagine e somiglianza e chiamati a essere suoi figli per grazia[44].

«Con i figli di Dio dobbiamo comportarci come figli di Dio»[45]. Il che vuol dire:

  1. Comportarsi come un figlio di Dio, come un altro Cristo. L'amore per gli altri ha come regola l'amore di Cristo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli»[46]. Lo Spirito Santo è stato mandato nei nostri cuori perché possiamo amare come figli di Dio, con l'amore di Cristo[47].
  2. Vedere negli altri dei figli di Dio, vedere Cristo: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me»[48]. Volere per loro il vero bene, quello che Dio vuole: che siano santi e quindi felici. La prima manifestazione della carità è l'apostolato. Allo stesso tempo, ci porta a preoccuparci dei loro bisogni materiali. Comprendere e far proprie le difficoltà spirituali e materiali degli altri. Saper perdonare. Avere misericordia[49]. «La carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, (...) non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male...»[50]. Praticare la correzione fraterna[51].

«Amerai il prossimo tuo come te stesso»[52] dice anche che c’è un giusto amore di sé, che porta a vedersi come Dio ci vede, a valorizzare quello che siamo e a cercare per noi il bene che Dio vuole: la santità e, quindi, la felicità in Lui.

C’è anche un amore disordinato per se stessi, l'egoismo, che porta ad anteporre la propria volontà a quella di Dio e il proprio interesse al servizio degli altri. Il giusto amore di sé esige la lotta contro l'egoismo, l'abnegazione, il dono di sé a Dio e agli altri. «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà»[53]. L’uomo «non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé»[54].


6. Quali sono i peccati contro il primo comandamento

I peccati contro il primo comandamento sono peccati contro le virtù teologali:

  1. Contro la fede: l’ateismo, l’agnosticismo, il dubbio intenzionale, l’indifferenza religiosa, l’eresia, l’apostasia, lo scisma, ecc. È anche contrario al primo comandamento mettere volontariamente in pericolo la propria fede. Contrari al culto di Dio sono il sacrilegio, la simonia, alcune pratiche di superstizione, magia, ecc. e il satanismo[55].
  2. Contro la speranza: la disperazione della propria salvezza[56] e, all'estremo opposto, la presunzione che la misericordia divina perdoni i peccati senza conversione o contrizione o senza bisogno del sacramento della Penitenza[57]. È inoltre contrario a questa virtù riporre la speranza della felicità finale in qualcosa che non è Dio.
  3. Contro la carità: qualsiasi peccato è contrario alla carità, ma ad essa si oppongono direttamente il rifiuto di Dio e la tiepidezza, che porta a non volere amarlo davvero con tutto il cuore.

7. Il secondo comandamento, “Non nominare di Dio invano”

Il secondo comandamento del Decalogo è: "Non nominare il nome di Dio invano". Questo comandamento impone di onorare e rispettare il nome di Dio[58], che non deve essere pronunciato: «se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo»[59]. Altrimenti, l'uomo perde, in misura maggiore o minore, il senso della realtà: dimentica chi è Dio e chi è lui e ritorna alla tentazione delle origini.

«Il nome esprime l'essenza, l'identità della persona e il senso della sua vita. Dio ha un nome. Non è una forza anonima»[60]. Tuttavia, Dio non può essere racchiuso in concetti umani, né esiste un'idea in grado di rappresentarlo o un nome che possa esprimere in modo esaustivo l'essenza divina. Dio è "Santo", il che significa che è assolutamente superiore, che è al di sopra di ogni creatura, che è trascendente.

Tuttavia, affinché possiamo invocarlo e rivolgerci a Lui personalmente, nell'Antico Testamento «si è rivelato al suo popolo progressivamente e sotto diversi nomi»[61]. Il nome che ha manifestato a Mosè indica che Dio è l'Essere per essenza, che non ha ricevuto l'essere da nessuno e da cui tutto procede: «Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi. (...) Questo è il mio nome per sempre»[62]. Per rispetto alla santità di Dio il popolo di Israele non pronunciava il suo nome, ma lo sostituiva con il titolo di "Signore" ("Adonai" in ebraico; "Kyrios" in greco)[63]. Altri nomi di Dio nell'Antico Testamento sono: "Elohim", che è il plurale maiuscolo di "pienezza" o "grandezza"; "El-Saddai", che significa potente, onnipotente.

Nel Nuovo Testamento, Dio fa conoscere il mistero della sua vita intima: è un solo Dio in tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Gesù Cristo ci insegna a chiamare Dio «Padre»[64]: «Abba» è il modo familiare ebraico di dire Padre[65]. Dio è Padre di Gesù Cristo e Padre nostro, anche se non allo stesso modo, perché Lui è il Figlio unigenito e noi siamo figli per adozione. Ma questa peculiare adozione ci rende veramente figli[66], fratelli di Gesù Cristo[67], perché lo Spirito Santo è stato inviato nei nostri cuori e partecipiamo alla natura divina[68]. Siamo figli di Dio in Cristo. Di conseguenza, possiamo veramente rivolgerci a Dio chiamandolo "Padre", come consiglia san Josemaría: «Dio è un padre pieno di tenerezza, di infinito amore. Chiamalo Padre molte volte al giorno e digli - da solo a solo, nel tuo cuore - che lo ami, che lo adori, che senti l'orgoglio - che ti riempie»[69].

Nel Padre Nostro preghiamo: «Sia santificato il tuo nome». Il termine "santificare" va inteso qui nel senso di «riconoscere il nome di Dio come santo, trattare in una maniera santa»[70]. Questo è ciò che facciamo quando adoriamo, lodiamo o ringraziamo Dio. Ma le parole "sia santificato il tuo nome" sono anche una delle petizioni del Padre Nostro: nel pronunciarle chiediamo che il suo nome sia santificato attraverso di noi, cioè che con la nostra vita gli rendiamo gloria e portiamo gli altri a glorificarlo[71]. «Dipende inseparabilmente dalla nostra vita e dalla nostra preghiera che il suo Nome sia santificato tra le nazioni»[72].

Il rispetto del nome di Dio esige anche il rispetto del nome della Beata Vergine Maria, dei Santi e delle realtà sante in cui Dio è presente in un modo o nell'altro, soprattutto la Santissima Eucaristia, vera Presenza di Gesù Cristo, Seconda Persona della Santissima Trinità, tra gli uomini.

Il secondo comandamento proibisce ogni uso improprio del nome di Dio[73] e in particolare la bestemmia, che è un'espressione che «consiste nel proferire contro Dio interiormente o esteriormente parole di odio, di rimprovero, di sfida (...). È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. [...] La blasfemia per sua natura è un peccato grave»[74].

Proibisce anche di giurare il falso[75]. Giurare significa rendere Dio testimone di ciò che si afferma (ad esempio, dare garanzia di una promessa o di una testimonianza). È lecito prestare giuramento quando è necessario e quando si fa con verità e giustizia: per esempio, in un processo o quando si assume un incarico[76]. Altrimenti, il Signore ci insegna a non giurare: «sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no»[77].


8. Il nome cristiano nel secondo comandamento

«L’uomo in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso»[78]. Non è "qualcosa", ma "qualcuno", una persona. «Soltanto l'uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell'amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità»[79]. Nel Battesimo riceve un nome che rappresenta la sua unicità irripetibile davanti a Dio e agli altri[80]. Battezzare è anche chiamato "cristianizzare". Cristiano, seguace di Cristo, è il nome proprio di ogni battezzato: «fu ad Antiochia per la prima volta i discepoli [quelli che si convertivano ad essere evangelizzati] furono chiamati Cristiani»[81].

Dio chiama ciascuno per nome[82]. Ama ognuno personalmente. Da ciascuno si aspetta una risposta d'amore: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze". Nessuno può sostituirci in questa risposta. San Josemaría ci invita a meditare «con calma quella divina affermazione, che inquieta l'anima e, nello stesso tempo, le fa gustare la dolcezza del miele: Redemi te, et vocavi te nomine tuo: meus es tu (Is 43, 1); ti ho redento e ti ho chiamato per nome: sei mio. Non rubiamo a Dio ciò che è suo. Un Dio che ci ha amato fino a morire per noi, che ci ha scelti da tutta l'eternità, prima della creazione del mondo, per essere santi al suo cospetto»[83].

Javier López / Jorge Miras


Bibliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica, 2064-2132.

- Catechismo della Chiesa Cattolica, 203-213; 2142-2195.

- Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret, La Sfera dei libri, Madrid 2007, 176-180 (cap. 5, 2).


Letture raccomandate

- Benedetto XVI, Deus caritas est, 25-XII-2005, 1-18.

- Benedetto XVI, Spe salvi, 30-XI-2007.

—Francesco, Lumen fidei, 29-VI-2013.

- San Josemaría, Omelia Vita di fede, La speranza del cristiano, Con la forza dell'amore, in Amici di Dio, 190-237.

- San Josemaría, Omelia Il rapporto con Dio, , in Amici di Dio, 142-153.


[1] Dt 6, 5.

[2] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2134.

[3] Cfr. Ivi, n. 2086.

[4] Mc 12, 28-30.

[5] Cfr., ad esempio, Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 29.

[6] Gaudium et spes, 19, 1.

[7] Forgia, n. 204.

[8] 1 Co 10, 31.

[9] San Josemaría, Cammino, n. 780.

[10] Mt 10, 37.

[11] Mt 7, 21.

[12] Lc 22, 42.

[13] Cfr. 1 Ts 4, 3.

[14] Cfr. Mt 17, 5.

[15] Cfr. Gv 14, 21.

[16] San Josemaría, Cammino, n. 815; cfr. Ivi, n. 933.

[17] Cfr. 1 Gv 4, 19.

[18] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2094.

[19] 1 Gv 4, 10; Cfr. Gv 3, 16.

[20] Gal 2, 20.

[21] San Josemaría, È Gesù che passa, 87.

[22] Cfr. San Josemaría, Cammino, 91.

[23] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2628.

[24] Cfr. Ivi, n. 2095.

[25] Mt 4, 10.

[26] San Josemaría, Forgia, 263.

[27] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2638.

[28] 1 Co 4, 7.

[29] Gv 16, 23; cfr. 1 Gv 5, 14-15.

[30] Cfr. Fil 2, 8.

[31] San Josemaría, Cammino, 81.

[32] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2100.

[33] Ibid., 541.

[34] Ibid., 527. Cfr. Mt 26,6-13.

[35] Cfr. 1 Cor 13, 13.

[36] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2090

[37] Rm 12, 12.

[38] 1 Cor 13, 12.

[39] Rm 8, 17.

[40] San Josemaría, Forgia, 26.

[41] Francesco, Udienza generale, 15-II-2017.

[42] Mt 22, 39.

[43] 1 Gv 4, 19-21.

[44] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2069.

[45] San Josemaría, E’ Gesù che passa, 36.

[46] Gv 13, 34-35.

[47] Cfr. Rm 5, 5.

[48] Mt 25, 40.

[49] Cfr. Ivi 5, 7.

[50] 1 Cor 4-5.

[51] Cfr. Mt 18, 15.

[52] Ivi 22, 39.

[53] Ivi 16, 24-25.

[54] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 24.

[55] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2111-2128.

[56] Cfr. Ivi, n. 2091.

[57] Cfr. Ivi, n. 2092.

[58] Cfr. Ivi, n. 2142.

[59] Ivi, n. 2143.

[60] Ivi, n. 203.

[61] Ivi, n. 204.

[62] Es 3, 13-15; Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 213.

[63] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 209.

[64] Mt 6, 9.

[65] Cfr. Rm 8, 15.

[66] Cfr. 1 Gv 3, 1.

[67] Rm 8, 29.

[68] Cfr. Gal 4, 6; 2 Pt 1, 4.

[69] San Josemaría, Amici di Dio, 150.

[70] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2807.

[71] Cfr. Mt 5, 16.

[72] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2814

[73] Cfr. Ivi, n. 2146.

[74] Ivi, n. 2148.

[75] Cfr. Ivi, n. 2150.

[76] Cfr. Ivi, n. 2154.

[77] Mt 5, 37; Cfr. St 5, 12; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2153.

[78] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 24.

[79] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 356.

[80] Cfr. Ivi, nn- 2156 e 2158.

[81] At 11, 26.

[82] Cfr. 1 Sam 3, 4-10; Is 43, 1; Gv 10, 3; At 9, 4

[83] San Josemaría, Amici di Dio, 312.