Tema 19. La risurrezione della carne

Il corpo risuscitato sarà reale e materiale, ma non terreno né mortale. L’enigma della morte dell’uomo si comprende soltanto alla luce della risurrezione della carne di Cristo e della nostra risurrezione in Lui. La vita eterna è ciò che dà senso ultimo e permanente alla vita umana, all’impegno etico, alla dedizione generosa, al servizio sacrificato, all’impegno di comunicare la dottrina e l’amore di Cristo a tutte le anime.

Alla fine del Simbolo degli Apostoli la Chiesa proclama: «Credo nella risurrezione della carne e nella vita eterna». In questa formula sono contenuti e brevemente enunciati gli elementi fondamentali della speranza escatologica della Chiesa, vale a dire, di ciò che l’uomo spera al termine della propria vita. La base della speranza cristiana è la promessa divina.


1. La fede nella risurrezione della carne

    Molte volte la Chiesa ha proclamato la sua fede nella risurrezione di tutti i morti alla fine dei tempi. Si tratta in qualche modo della “estensione” della Risurrezione di Gesù Cristo, «il primogenito tra molti fratelli»[1], a tutti gli uomini, giusti e peccatori, che avrà luogo quando Egli verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti. Con la morte, come sappiamo, l’anima si separa dal corpo, ma con la risurrezione, corpo e anima si uniscono nuovamente tra loro nella gloria, per sempre[2]. Il dogma della risurrezione dei morti, se da un lato parla della pienezza della vita immortale alla quale l’uomo è destinato, dall’altro ricorda con vivezza la sua dignità, specialmente nel suo aspetto corporale. Parla della bontà del mondo, del corpo, del valore della storia vissuta giorno per giorno, della vocazione eterna della materia. È per questo che i Padri della Chiesa, rispondendo agli gnostici del II secolo, hanno insistito sulla risurrezione della carne, vale a dire, della vita dell’uomo nella sua materialità corporea.

    San Tommaso d’Aquino ritiene che la risurrezione dei morti sia naturale in relazione al destino dell’uomo (perché l’anima immortale è fatta per rimanere unita al corpo, e viceversa), ma è soprannaturale in relazione a Dio che è colui lo porta a compimento[3], vale a dire, naturale in quanto alla “causa finale”, soprannaturale in ciò che si riferisce alla “causa efficiente”.

    Il corpo risuscitato sarà reale e materiale, ma non terreno né mortale. San Paolo si oppone all’idea di una risurrezione come trasformazione umana all’interno della storia, e per questo parla del corpo risuscitato come “glorioso”[4] e “spirituale”[5]. La risurrezione dell’uomo, come quella di Cristo, avverrà per tutti, dopo la morte, alla fine dei tempi.

    La Chiesa non promette ai cristiani una vita di sicuro successo su questa terra, quella che si chiama utopia, dato che la nostra vita terrena è sempre segnata dalla Croce. Nello stesso tempo, il processo della risurrezione ha avuto inizio in qualche modo già qui sulla terra, grazie ai doni del Battesimo e dell’Eucaristia[6]. Secondo san Tommaso, dopo la risurrezione, l’anima informerà il corpo in modo così intenso che in esso saranno riflesse tutte le sue qualità morali e spirituali[7]. In questo senso la risurrezione finale, che avverrà con la venuta di Gesù Cristo nella gloria, renderà possibile il giudizio definitivo dei vivi e dei morti.

    Su ciò che riguarda la dottrina della risurrezione, si possono fare quattro osservazioni pratiche:

    1) La dottrina della risurrezione finale esclude le teorie della reincarnazione, secondo le quali l’anima umana, dopo la morte, emigra verso un altro corpo, ripetute volte se occorre, fintantoché non si compie definitivamente la sua purificazione. La vita umana è unica, non si ripete, e questo dà spessore a tutto quello che facciamo giorno per giorno. Al riguardo, il Concilio Vaticano II ha parlato di «unico corso della nostra vita»[8].

    2) Una manifestazione chiara della fede della Chiesa nella risurrezione del proprio corpo è la venerazione delle reliquie dei santi, così viva nella pietà dei credenti.

    3) Sebbene la cremazione non sia illecita, sempre che non venga scelta per motivi contrari alla fede[9], la Chiesa consiglia vivamente di mantenere la pia consuetudine di seppellire i corpi[10]; il corpo, nella sua materialità, è parte integrante della persona, risuscita alla fine dei tempi, ha avuto contatti con i sacramenti istituiti da Cristo ed è stato tempio dello Spirito Santo; si capisce allora che al momento della sepoltura deve essere rispettato nella sua materialità nel miglior modo possibile; l’odierno disprezzo della corporeità umana come creatura di Dio destinata alla risurrezione suggerisce di evitare la cremazione, oggi in modo particolare.

    4) La risurrezione dei morti coincide con quello che la Sacra Scrittura chiama la venuta di «nuovi cieli e di una terra nuova»[11]. Non soltanto l’uomo arriverà alla gloria, ma l’intero universo, nel quale egli vive e opera, sarà trasformato. «La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose (cfr. At 3, 21), e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo (cfr. Ef 1, 10; Col 1, 20; 2 Pt 3, 10-13)»[12]. Vi sarà sicuramente una continuità tra questo mondo e il mondo nuovo, ma anche una importante discontinuità segnata dalla perfezione, dalla permanenza e dalla più completa felicità.


    2. La risurrezione della carne. Il significato cristiano della morte

      L’enigma della morte dell’uomo si comprende solamente alla luce della risurrezione di Cristo e della nostra risurrezione in Lui. La morte, la perdita della vita umana, la separazione di anima e corpo, ci appare come il male più grande nell’ordine naturale. Tuttavia, essa sarà completamente quando Dio in Cristo risusciterà gli uomini alla fine dei tempi.

      La morte è certamente un evento naturale in quanto l’anima può separarsi dal corpo. Essa segna la fine del pellegrinaggio terreno. Dopo la morte l’uomo non può più meritare o demeritare e non avrà più la possibilità di pentirsi. Subito dopo la morte l’anima andrà in cielo, all’inferno o nel purgatorio, passando per quello che si chiama giudizio particolare[13]. L’inesorabilità della morte serve all’uomo per indirizzare bene la propria vita, per utilizzare bene il tempo e gli altri talenti che Dio gli ha dato, per comportarsi con rettitudine, per spendersi al servizio agli altri.

      D’altra parte la Scrittura insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato[14]. In questo senso, la morte è considerata come castigo per il peccato: l’uomo che voleva vivere facendo a meno di Dio deve accettare la pena e le conseguenze della rottura con Lui, con la società e con se stesso, come frutto del suo allontanamento.

      Eppure Cristo, con la sua obbedienza, ha vinto la morte e ha ottenuto la risurrezione e la salvezza per l’umanità. Per chi vive in Cristo grazie al Battesimo la morte rimane sempre dolorosa e ripugnante ma non è più un ricordo vivo del peccato bensì una preziosa opportunità per poter corredimere con Cristo, attraverso la sofferenza e donandosi agli altri. «Se moriamo con Cristo, con Lui anche vivremo»[15]. Per questa ragione, «grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo»[16]. Il graduale morire a se stessi che la vita cristiana porta con sé (la mortificazione) serve alla definitiva unione con Cristo per mezzo della morte.


      3. La vita eterna in intima comunione con Dio e la risurrezione della carne

        Quando Dio ha creato e ha redento l’uomo, lo ha destinato alla comunione eterna con Lui, a ciò che san Giovanni chiama la “vita eterna”, a ciò che si suole chiamare “il cielo”. Così Gesù comunica ai suoi la promessa del Padre: «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone»[17]. In che cosa consiste la vita eterna? Non è come «un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell'immergersi nell'oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo - il prima e il dopo - non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia»[18].

        In fin dei conti, la vita eterna è ciò che dà il senso ultimo e definitivo alla vita umana, all’impegno etico, alla donazione generosa, al servizio abnegato, alla voglia di comunicare l’amore e l’insegnamento di Cristo a tutte le anime. La speranza cristiana nel cielo non è individualistica, “per me”, ma riguarda tutti gli uomini[19]. In base alla promessa della vita eterna il cristiano si convince fermamente che “vale la pena” vivere in pienezza la vita cristiana. «Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva»[20].

        Quelli che muoiono in grazia saranno per sempre simili a Dio, perché lo vedono «così come egli è»[21], vale a dire «faccia a faccia»[22], quello che si chiama la “visione beatifica” di Dio. Il cielo è la massima espressione di donazione di Dio all’uomo.

        Allo stesso tempo in cielo l’uomo potrà amare quanti ha amato nel mondo con un amore puro e perpetuo. «Non dimenticarlo mai: dopo la morte vi accoglierà l’Amore. E nell’amore di Dio ritroverete tutti gli amori limpidi che avete avuto sulla terra»[23]. La felicità del cielo arriva al suo pieno compimento con la risurrezione dei morti.

        Che il Cielo duri eternamente non vuol dire che in esso l’uomo non sia più libero. Sicuramente in cielo l’uomo non pecca; non può peccare perché, vedendo Dio faccia a faccia, egli in realtà non vuole peccare. Nel modo libero di un figlio, l’uomo salvato rimarrà in comunione con Dio per sempre, perché “così vuole”. In cielo, la sua libertà raggiunge la piena realizzazione.

        Infine, secondo san Tommaso la vita eterna dipende dalla carità di ciascuno: «Chi ha più carità partecipa di più della luce della gloria e più perfettamente vedrà Dio e sarà felice»[24].


        4. L’inferno come rifiuto definitivo di Dio

          La Sacra Scrittura insegna che gli uomini che non si pentiranno dei loro peccati gravi perderanno il premio eterno della comunione con Dio, subendo al contrario la disgrazia perpetua. «Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati viene designato con la parola “inferno”»[25]. Dio non predestina nessuno alla condanna perpetua; è l’uomo che, cercando il suo fine ultimo al di fuori di Dio e della sua volontà, costruisce per sé un mondo isolato nel quale la luce e l’amore di Dio non possono penetrare. L’inferno è un mistero, il mistero dell’Amore rifiutato, ed è segno del potere distruttivo dell’uomo libero quando si allontana da Dio. Come hanno detto molti letterati, l’inferno è “il non amare più”.

          Nel Nuovo Testamento la dottrina sull’inferno si presenta come un richiamo alla responsabilità nell’uso dei doni e dei talenti ricevuti e alla conversione. La sua esistenza fa intravedere all’uomo la gravità del peccato mortale e la necessità di evitarlo con tutti i mezzi, soprattutto mediante la preghiera fiduciosa e umile. La possibilità della condanna perpetua ricorda pure ai cristiani la necessità di vivere una vita interamente dedicata agli altri nell’apostolato cristiano.


          5. La risurrezione della carne. Purificarsi per poter incontrare Dio

            «Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo»[26]. Si può pensare che molti uomini, pur non avendo vissuto una vita santa sulla terra, non si siano neppure chiusi definitivamente nel peccato. La possibilità di essere purificati dopo la morte dalle impurità e dalle imperfezioni di una vita più o meno sbagliata si rivela dunque come una nuova manifestazione della bontà di Dio, che vuole vivere in intima comunione con l’uomo. «Il purgatorio è una misericordia di Dio, per purificare i difetti di quanti vogliono identificarsi con Lui»[27].

            L’Antico Testamento parla della purificazione ultraterrena[28]. Nella prima lettera ai Corinzi[29] san Paolo descrive la purificazione cristiana, in questa vita e nella futura, con l’immagine del fuoco, un fuoco che in qualche modo proviene da Gesù Cristo, Salvatore, Giudice e Fondamento della vita cristiana. Anche se la dottrina del Purgatorio non è stata definita formalmente fino al Medioevo[30], l’antichissima e unanime pratica di offrire suffragi per i defunti, specialmente nel santo Sacrificio eucaristico, è un chiaro indizio della fede della Chiesa nella purificazione al di là della morte. Non avrebbe senso pregare per i defunti se non potessero essere aiutati.

            Pertanto il purgatorio può essere considerato come uno stato di temporanea e dolorosa lontananza da Dio, nel quale si perdonano i peccati veniali, si purifica l’inclinazione al male che il peccato lascia nell’anima e si supera la “pena temporale” dovuta al peccato. Infatti, il peccato non solo offende Dio e condanna lo stesso peccatore, ma, mediante la comunione dei santi, reca danno alla Chiesa, al mondo, all’umanità intera. Comunque, la preghiera della Chiesa per i defunti ristabilisce in qualche modo l’ordine e la giustizia e ci riconcilia definitivamente con Dio.

            Nel purgatorio si soffre molto, secondo la situazione di ciascuno. Tuttavia si tratta di un dolore che ha un grande significato, «un dolore beato»[31]. Perciò si invitano i cristiani a cercare la purificazione dei peccati nella vita presente mediante la contrizione, la mortificazione, la riparazione e la vita santa.

            Paul O’Callaghan


            Bibliografia di base

            - Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 988-1050.


            Letture raccomandate

            - San Giovanni Paolo II, Catechesi sul Credo IV: Credo nella vita eterna (udienze dal 25-V al 4-VIII-1999).

            - Benedetto XVI, Spe salvi, 30-XI-2007.

            - San Josemaría, omelia La speranza del cristiano, in Amici di Dio, nn. 205-221.


            [1] Rm 8, 29.

            [2] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 997.

            [3] Cfr. Summa Contra Gentes, IV, 81.

            [4] Cfr. Fil 3, 21.

            [5] Cfr. 1 Cor 15, 44.

            [6] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1.000.

            [7] Summa Theologiae, III. Suppl., qq. 78-86.

            [8] Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.

            [9] CIC, n. 1176.

            [10] Cfr. Istruzione Ad Resurgendum cum Christo, della Congregazione della Dottrina della fede (2016), intorno alla sepoltura dei defunti e alla conservazione delle ceneri in caso di cremazione.

            [11] 2 Pt 3, 13; Ap 21, 1; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1042.

            [12] Lumen gentium, n. 48.

            [13] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1021-1022.

            [14] Cfr. Gn 3, 17-19; Sap 1, 13-14; 2, 23-24; Rm 5, 12; 6, 23; St 1, 15; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1007.

            [15] 2 Tm 2, 11.

            [16] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1010.

            [17] Mt 25, 21.

            [18] Benedetto XVI, Spe salvi, 12.

            [19] Cfr. Ivi, 13-15; 28; 48.

            [20] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1024.

            [21] 1 Gv 3, 2.

            [22] 1 Cor 13, 12.

            [23] San Josemaría, Amici di Dio, n. 221.

            [24] Summa Theologiae, I, q. 12, a. 6, c.

            [25] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1033.

            [26] Ivi, n. 1030.

            [27] San Josemaría, Solco, n. 889.

            [28] Cfr. 2 Mac 12, 40-45.

            [29] 1 Cor 3, 10-15.

            [30] cfr. DH 856, 1304.

            [31] Benedetto XVI, Spe salvi, n. 47.