Tema 17. La Chiesa e il mondo

La Chiesa è inseparabilmente umana e divina. Vive e agisce nel mondo però il suo fine e la sua forza non sono in questa terra, ma nel Cielo. La Chiesa cerca esclusivamente la salvezza dell’umanità ma si preoccupa anche delle questioni temporali. Ogni fedele cristiano partecipa alla missione della Chiesa secondo la sua condizione e la sua vocazione. I laici sono chiamati a santificare il mondo dall’interno. La Chiesa non può né deve sostituirsi allo Stato ma neanche può né deve essere estranea al mondo.

La Chiesa si manifesta al mondo come la comunità dei discepoli di Gesù. Crediamo che Cristo è il Figlio di Dio fatto carne, il volto umano di Dio, che continua a operare insieme allo Spirito Santo nella missione della Chiesa, sulla base del progetto divino della salvezza.

«Pertanto la Chiesa è inseparabilmente umana e divina. “È una società divina per la sua origine, soprannaturale per il suo fine e per i mezzi prossimamente ordinati a questo fine; ma, poiché si compone di uomini, è una comunità umana” (Leone XIII, Satis cognitum). Vive e agisce nel mondo, però il suo fine e la sua forza non sono su questa terra, ma nel Cielo»[1].

Tutti gli esseri creati recano l’impronta di Dio, in modo speciale le persone, create a sua immagine e somiglianza. In più, già nell’Antico Testamento si vede che Dio ha stabilito alcune realtà che chiamiamo “sacre” che possono essere persone (ministri sacri) o realtà materiali (il tempio e gli altri oggetti sottratti all’uso comune per il servizio a Dio). Queste “realtà sacre”, la cui destinazione è il culto, sono distinte dall’àmbito delle realtà create (come il lavoro, la famiglia, la cultura e le relazioni sociali, economiche e politiche, ecc.) che diciamo “profane” o “secolari”. Tuttavia, non si deve pensare che il sacro riguardi Dio e che ciò che è profano gli sia è estraneo.

In forza dell’Incarnazione del Figlio di Dio, le realtà profane possono essere vissute in unione a Lui, grazie all’azione dello Spirito Santo che si dà mediante la fede, i sacramenti e la preghiera personale. Così tutte queste realtà possono essere anche un mezzo per cooperare alla redenzione e un mezzo di santificazione, senza necessità di sottrarle al loro uso normale. Questa è la “secolarità cristiana” (da saeculum, che vuol dire secolo oppure mondo). Noi cristiani amiamo il mondo inanzitutto perché è stato creato da Dio e cerchiamo di condurlo a Dio, sapendo che nel mondo c’è anche il peccato ma che la grazia di Dio può ugualmente sanarlo ed elevarlo.

1. La Chiesa nella storia

La Chiesa, come comunità umana e sociale, si trova e vive nel mondo. Chiesa e mondo sono in stretta relazione tra loro ma non si identificano. Il mondo non è uno spazio estraneo a Dio: il suo senso non si esaurisce in ciò che è terreno perché Cristo lo chiama a una nuova modalità di esistenza, che Gesù chiama il “Regno di Dio”. Questo regno è una realtà spirituale, non politica. Il mondo non è indipendente da Dio come ritiene quel laicismo che vuole relegare la religione nell’àmbito del privato e dell’irrilevante.

Allo stesso tempo, il mondo gode di autonomia rispetto alla Chiesa come istituzione ecclesiastica. Gesù ha detto: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare»[2]. Non c’è una soluzione cristiana ufficiale per tutti i problemi del mondo, ma diverse soluzioni concrete. La Chiesa non si identifica con nessun sistema storico concreto: con nessuna ideologia, regime politico, economico o sociale. Che non vuol dire, come abbiamo già detto, che i valori terreni siano indipendenti da Dio. Nella concezione cristiana del mondo tutto è dono di Dio e il mondo è chiamato a essere una via per conoscere e amare Dio e di conseguenza, per amare il prossimo e servire l’umanità.

La missione della Chiesa non è un progetto politico e neppure aspira a “sacralizzare” il mondo, ma è missione religiosa: mira esclusivamente alla salvezza dell’umanità, una salvezza che va ben oltre il benessere o la giustizia terrena. Allo stesso tempo la Chiesa si preoccupa anche delle questioni temporali: la persona, infatti, non è un astratto, ma qualcuno che è posto in un contesto familiare e sociale, lavorativo ed economico, e, d’altra parte, il messaggio del Vangelo esige la redenzione dell’intera realtà con la promozione della giustizia e della pace, in modo tale che il Regno di Dio si possa andare edificando nella storia.

La Chiesa ricorda a tutti quanto siano provvisori i traguardi temporali. Quello che noi uomini realizziamo richiede di essere migliorato, completato e radicalmente trasformato da Dio. Così entrerà a far parte di quel mondo nuovo che è il Regno.

Per questi motivi la Chiesa si occupa, anche a livello istituzionale, delle questioni sociali e temporali, non certo nei loro aspetti tecnici e contingenti ma in quanto possono impedire l’unione con Dio e la vita eterna. Il principale ostacolo a questo è il peccato e ogni peccato è personale. Le conseguenze del peccato possono arrivare a costituire nell’ambiente sociale vere e proprie “strutture di peccato” che impediscono agli uomini di raggiungere la verità e il bene comune, la vita della grazia e l’amore a Dio e al prossimo. Perciò, quando la Chiesa insegna la sua Dottrina sociale, non va oltre la missione che le è propria, ma l’affronta in mezzo alla complessità del mondo di oggi e cercando di mediare nel dialogo tra le culture e le religioni.

2. Cos’è la secolarità cristiana e qual è la missione della Chiesa

Come abbiamo detto, la visione cristiana del mondo che la Chiesa annuncia e insegna, si chiama secolarità cristiana o anche “dimensione secolare” dell’essere cristiano e della Chiesa. La secolarità cristiana ha la sua radice nel fatto che il Figlio di Dio si è fatto uomo in un tempo e in una cultura determinati; essa si realizza in modi diversi in tutti i cristiani. Il magistero della Chiesa insegna: «Tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; però lo sono in forme diverse»[3].

A tale proposito si può constatare che nella Chiesa si dà una pluralità di posizioni personali che comportano a loro volta diverse modalità di relazione con il mondo. Il Concilio Vaticano II lo fa notare quando dice che pastori, laici e religiosi partecipano alla missione della Chiesa ciascuno a suo modo, in modo peculiare o facendo la loro parte.

La missione della Chiesa è unica ed è la stessa per tutti i battezzati: la gloria di Dio (che Dio sia conosciuto, riconosciuto e amato) e la salvezza delle persone grazie all’incontro personale con Cristo. Questa missione può essere chiamata anche evangelizzazione, in quanto annuncia il messaggio di salvezza che Cristo ci ha portato: Vangelo è la “buona notizia” di questa salvezza.

Questo compito si declina secondo la vocazione e missione propria di ciascuno[4]. I laici esercitano il triplice ministero salvifico di Cristo e compiono la Missione “dall’interno”[5] delle realtà secolari, vale a dire, nel modo “comune” di relazione con il mondo (che condividono con i non cristiani). La vita religiosa testimonia la trascendenza del Regno di Dio al quale tutti aspiriamo, che si esprime con la “professione” dei consigli evangelici ed è necessario per la Chiesa e per il mondo, [6]. Per ciò che riguarda i ministri sacri, il Vaticano II dice: «Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il Popolo di Dio, ha istituito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il Corpo»[7]; «I pastori sono ordinati principalmente e propriamente al sacro ministero a motivo della loro speciale vocazione»[8]. Questo è il loro modo specifico di partecipazione alla Missione.

Quindi ogni fedele cristiano partecipa alla missione della Chiesa secondo la sua condizione e la sua vocazione, e secondo anche i doni ricevuti, che comprendono i sacramenti e i carismi. Da ciò dipendono anche i compiti che ciascuno deve svolgere all’interno dell’unica Missione della Chiesa.

Tutti i fedeli cristiani, in virtù del loro battesimo, hanno la capacità di svolgere diversi compiti all’interno della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Questi compiti si possono declinare in tre ambiti[9]: A) verso l’interno della Chiesa stessa (apostolato rivolto ai cristiani o “pastorale” ordinaria); B) “verso l’esterno”, vale a dire, le relazioni con altre religioni e con i non credenti; C) nell’ambito dell’ecumenismo (relazioni con i cristiani non cattolici nell’intento di arrivare all’unità dei cristiani). È importante sottolineare che qualunque sia l’àmbito al quale i fedeli partecipano, si tratta sempre dell’ambito più consono alla propria vocazione e alla propria missione.

Esistono alcuni compiti ecclesiali ai quali può partecipare qualunque battezzato e che si possono considerare in relazione con la fede (come la catechesi o l’insegnamento scolastico della religione), con il culto (come la partecipazione alla liturgia), con la carità (come l’aiuto ai più bisognosi) e in generale con la vita della Chiesa (come la partecipazione ai consigli o ai sinodi per contribuire a prendere decisioni pastorali). I fedeli possono anche collaborare con i pastori della Chiesa in attività nelle quali siano professionalmente abili; per esempio, nell’ambito economico, giuridico, ecc., comprese determinate attività di governo.

Alcune di queste attività, che non richiedono il sacramento dell’Ordine, possono essere stabilite e supervisionate ufficialmente dalla Chiesa come “ministeri istituiti” (non ordinati). Per il fatto di partecipare a queste attività i fedeli laici non sono né più laici né meno laici. Allo stesso tempo, bisogna assicurarsi che le disimpegnino in conformità alla propria vocazione e la propria missione, in modo che non siano confusi con i pastori della Chiesa.

3. Il ruolo dei laici: la santificazione del mondo dall’interno

I fedeli laici, per la grazia del battesimo e i carismi donati dallo Spirito Santo, hanno ricevuto da Dio la vocazione e la missione proprie di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»[10].

Di conseguenza, oltre ai diversi compiti che possono svolgere al pari degli altri fedeli battezzati, la missione propria dei fedeli laici consiste nel santificare il mondo «dall’interno»[11]. E questo non solo perché passano la maggior parte del loro tempo in occupazioni secolari o risolvendo questioni temporali, e neppure perché dall’“interno” nella Chiesa devono “uscire” a santificare il mondo; ma perché collaborano con la grazia che dà unità, vita e stimolo alla loro vita cristiana lì dove si trovano e la inserisce nell’azione salvifica di Dio. Essi «sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in mezzo a tutti, e cioè pure in mezzo alla società umana»[12].

In tal modo i fedeli laici, mentre compiono alla presenza di Dio i loro obblighi professionali, familiari, sociali, ecc., ordinano a Dio la realtà temporale. Il Concilio Vaticano II ha insistito molto su questo punto: «Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno»[13].

Parlando del percorso moderno di evoluzione del laicato che ispirato queste affermazioni del Concilio Vaticano II sulla vocazione e la missione dei fedeli laici, san Josemaría asseriva poco dopo il Concilio: «Tutto ciò comporta una visione più profonda della Chiesa, vista come comunità formata da tutti i fedeli, per cui siamo tutti solidalmente responsabili di una stessa missione, che va compiuta da ciascuno d’accordo con le circostanze personali. I laici, grazie agli impulsi dello Spirito Santo, sono sempre più consapevoli di essere Chiesa e di avere quindi una missione specifica, sublime e necessaria perché voluta da Dio. E sanno che questa missione deriva dalla loro stessa condizione di cristiani, e non necessariamente da un mandato della Gerarchia; anche se evidentemente dovranno compiere questa missione in unione con la Gerarchia ecclesiastica e d’accordo con gli insegnamenti del Magistero»[14].

La vocazione dei ministri sacri e dei religiosi non li esime dal santificare il mondo, ma è diverso il modo in cui operano tale santificazione. I ministri ordinati la realizzano nell’esercizio del proprio ministero, mentre i membri della vita religiosa vi cooperano con la loro peculiare testimonianza escatologica.

In quanto ai pastori della Chiesa, prima di ogni altra cosa essi debbono dedicarsi all’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa; in secondo luogo, alla formazione dei fedeli e della loro coscienza in questo àmbito; infine, sono tenuti a esprimere un giudizio morale quando necessario, in situazioni eccezionali di ordine sociale o politico. Il discernimento dei pastori si muove sul piano del consiglio ai fedeli, non del comando, benché questo sarebbe possibile in circostanze eccezionali.

Alla Gerarchia non compete organizzare direttamente la società. Il suo compito è quello di dare sostegno morale e spirituale e l’orientamento dei “principi morali” che debbono guidare le attività che i laici porteranno avanti «con la loro libera iniziativa e senza aspettare passivamente consegne e direttive dei pastori»[15].

La Chiesa approva qualsiasi sistema sociale che rispetti la dignità dell’uomo e i fedeli debbono accogliere il Magistero sociale con l'adesione dell’intelletto, della volontà e delle opere[16].

L’intera missione della Chiesa ha come centro la carità, vale a dire, l’amore a Dio e al prossimo, e specialmente a chi ha più bisogno di aiuto. «Un uomo o una società che non reagiscano davanti alle tribolazioni e alle ingiustizie, e che non cerchino di alleviarle, non sono un uomo o una società all’altezza dell’amore del Cuore di Cristo»[17].

4. La libertà e la responsabilità dei laici

La libertà e la responsabilità che i cristiani vivono secondo la propria vocazione, quando si impegnano nelle diverse attività sociali, politiche e culturali,, richiede una distinzione tra laicità e laicismo. Per laicità s’intende che lo Stato è autonomo rispetto alle leggi ecclesiastiche; il laicismo, invece, rivendica l’autonomia della politica da ciò che riguarda l’ordine morale e lo stesso disegno divino, e tende a rinchiudere la religione in una sfera esclusivamente privata. In tal modo viola il diritto alla libertà religiosa ed è dannoso per l’ordine sociale[18].

Una sana laicità evita i due estremi: l’imposizione da parte dello Stato di una morale che stabilisca che cosa è buono o cattivo a tutti i livelli (in sostanza, una pseudo-religione) e il rifiuto a priori dei valori morali che provengono da ambiti culturali o religiosi ai quali si aderisce liberamente e che non debbono essere gestiti dal potere politico.

Va pure sottolineato che è illusorio ed ingiusto chiedere che i fedeli si comportino in politica “come se Dio non esistesse”. È illusorio, perché tutte le persone si comportano in base alle loro convinzioni culturali (religiose, filosofiche, politiche, ecc.), siano esse derivate da una fede religiosa o no, e queste influiscono sul comportamento sociale dei cittadini. È ingiusto perché tutti, credenti e non credenti, agiscono in base alle loro convinzioni personali a prescindere dalla loro origine. Si deve garantire soltanto che l’attività sociale e politica si attenga alla dignità dell’uomo e al bene comune.

L’impegno politico ispirato dalla propria fede, quando è centrato sulla dignità delle persone, non vuol dire sottomettere la politica alla religione; vuol dire che la politica è al servizio della persona e, pertanto, deve rispettare le esigenze della morale, che equivale a dire che deve rispettare e promuovere la dignità di ogni essere umano. In questo senso vivere l’impegno politico per un motivo trascendente si adegua perfettamente alla natura umana, incoraggia quell’impegno e genera risultati migliori.

La religione può e deve servire da elemento critico in ciò che si riferisce ai valori etici di una società. Dal canto suo, l’etica può e deve essere capace di valutare i credenti di qualsiasi religione in sulla coerenza delle loro credenze (o pratiche religiose o condotte pubbliche ispirate alla fede religiosa) con la dignità dell’uomo e il bene comune. Religione ed etica debbono avere spazi di dialogo all’interno della vita sociale e pubblica.

5. La Chiesa e lo Stato

Nel corso della storia i cristiani hanno concepito la loro missione di evangelizzare nel mondo in modi differenti. E così è cambiato anche il modo di pensare le relazioni istituzionali tra la Chiesa e lo Stato. Per alcuni secoli il modello che seguito nei paesi cristiani era quello di uno Stato confessionale cattolico, in cui il potere sacro dei re era avallato dall’autorità spirituale della Chiesa. Si trattava di una collaborazione reciproca, che in molti casi ha tolto libertà a una Chiesa di fatto assoggettata al potere temporale del re. I cambiamenti socio-politici avvenuti con l’Illuminismo hanno contribuito alla separazione tra la Chiesa e lo Stato, con il riconoscimento da parte dell’autorità della Chiesa della legittimità di qualunque governo eletto democraticamente dal popolo.

Tuttavia il regime di separazione non è l’ideale. La relazione istituzionale tra la Chiesa e lo Stato (che hanno natura e di fini diversi) implica piuttosto una distinzione senza separazione, una unione senza confusione[19]. Questa relazione è corretta e fruttuosa quando si stabiliscono relazioni amichevoli e collaborative tra i due ambiti, se si riconosce il ruolo della religione nella vita personale e sociale e se si rispetta il diritto alla libertà religiosa.

La Chiesa ha ricevuto da Cristo il mandato apostolico: «Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[20]. Con la sua dottrina e con la sua attività apostolica, sia a livello universale che al livello concreto delle Chiese particolari, siano esse occidentali che orientali, la Chiesa contribuisce al retto ordinamento delle realtà temporali, in modo che possano servire all’uomo per raggiungere il suo fine ultimo e non lo allontanino da esso.

I mezzi che la Chiesa come istituzione utilizza per compiere la sua missione sono, anzitutto, spirituali: la predicazione del Vangelo, l’amministrazione dei sacramenti, la preghiera. Ha bisogno, inoltre, di utilizzare mezzi materiali adeguati alla natura dei suoi membri, che sono persone umane[21]; questi mezzi debbono essere sempre in linea con il Vangelo. Infine la Chiesa ha bisogno di essere indipendente per poter realizzare la sua missione nel mondo, che non consiste in ogni caso in un potere di carattere politico o economico[22].

Lo Stato è una istituzione che deriva dalla naturale socialità umana, il cui fine è il bene comune della società civile. Questo bene non è solo materiale ma anche spirituale, perché i membri della società sono persone con corpo e anima. Il progresso sociale richiede, oltre i mezzi materiali, molti altri beni di carattere spirituale: la pace, l’ordine, la giustizia, la libertà, la sicurezza, ecc. Questi beni si possono raggiungere soltanto mediante l’esercizio delle virtù sociali, che lo Stato deve promuovere e tutelare (per esempio, la moralità pubblica).

La distinzione tra l'ambito religioso e quello politico esclude la “sacralità” dello Stato e che esso governi le coscienze, in quanto il fondamento morale della politica si trova fuori di essa. Da parte sua, la Chiesa non gode di un potere politico coercitivo. Dato che l’appartenenza ad essa, dal punto di vista civile, è volontaria, la sua potestà è di carattere spirituale e non impone un’unica soluzione politica. In tal modo Stato e Chiesa si adeguano alle proprie funzioni e questo favorisce la libertà religiosa e sociale.

Ne conseguono due importanti diritti: il diritto alla libertà religiosa, che garantisce dalla coercizione statale in materia religiosa; e il diritto alla libertà dei cattolici dalla gerarchia quando agiscono in àmbito temporale: «È diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa»[23].

6. La libertà religiosa

Come detto sopra, la distinzione istituzionale tra la Chiesa e lo Stato non implica la loro totale separazione, né che la Chiesa debba ridurre la propria azione all’ambito privato e spirituale. Sicuramente la Chiesa «non può e non deve mettersi al posto dello Stato; ma neanche può e non deve rimanere ai margini nella lotta per la giustizia»[24]. In questo senso, la Chiesa ha il diritto e il dovere di «insegnare la sua dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la sua missione tra gli uomini e dare il suo giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime»[25].

Un aspetto importante della relazione tra la Chiesa e lo Stato è il diritto alla libertà religiosa. Vegliare sul rispetto di questo diritto vuol dire vegliare sul rispetto dell’intero ordine sociale. Il diritto alla libertà sociale e civile in materia religiosa, per i credenti di qualsiasi religione, è la fonte e la sintesi di tutti i diritti dell’uomo.

In molti paesi la costituzione (o il sistema di leggi fondamentali che regolano il sistema di governo di uno Stato) garantisce ampiamente la libertà religiosa di tutti i cittadini e dei gruppi religiosi. Inoltre, dove possibile, la Chiesa cerca di stabilire degli accordi con lo Stato, in genere chiamati Concordati, nei quali si stabiliscono le soluzioni alle questioni concrete, come la libertà della Chiesa e delle sue istituzioni per esercitare la loro missione, convenzioni in materia educativa o economica, giorni di festa, ecc.

Enrique Colom, Christian Mendoza e Ramiro Pellitero


Bibliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2104-2109; 2244-2246; 2419-2425.

- Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, nn. 74-76; e Dignitatis humanae, nn. 1-8; 13-14.

- San Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 30-XII-1988, 36-44.


Letture raccomandate

- Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcune questioni relative all’impegno e alla condotta dei cattolici nella vita politica, 24-XI-2002.

- Compendio della dottrina sociale della Chiesa, nn. 49-55; 60-71; 189-191; 238-243; 377-427.

- San Josemaría, omelia Amare il mondo appassionatamente, in Colloqui con Mons. Escrivá, nn. 113-123.


[1] San Josemaría, “Il fine soprannaturale della Chiesa” in La Chiesa nostra Madre, n. 6.

[2] Mt 22, 21.

[3] Christifideles laici, n. 15.

[4] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 901-913.

[5] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 31.

[6] Sulla vita consacrata, cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 914-933.

[7] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18.

[8] Ibid., n. 31

[9] Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto Ad gentes, n. 6

[10] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 31.

[11] Ibid.

[12] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 43.

[13] Ibid.

[14] San Josemaría, Colloqui, n. 59.

[15] Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem, n. 7.

[16] Cfr. Lc 10, 16; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2032 e 2037.

[17] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 167.

[18] Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 572.

[19] Cfr. Mt 22, 15-21.

[20] Mt 28, 19.

[21] Cfr. At 4, 32-37; 1 Tm 5, 18.

[22] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2246; cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 426.

[23] Codice di Diritto Canonico, n. 227; cfr. Concilio Vaticano II, cost. past. Gaudium et spes, n. 76.

[24] Benedetto XVI, lett. enc. Deus caritas est, n. 28.

[25] Concilio Vaticano II, cost. past. Gaudium et spes, n. 76.