Per cosa brillano i tuoi occhi?

Siamo stati fatti per amare ed essere amati. In occasione della festa della fondazione dell’Opus Dei, don Roberto Sorrenti approfondisce il tema del desiderio, presente in ogni cuore, di qualcosa di grande e che sia amore. Puoi ascoltare la lettura in italiano dell'editoriale su Spotify o Soundcloud.

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Se ci si trova accanto alla sede di un’università tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre è possibile riconoscere i ragazzi che ne varcano la soglia per la prima volta. Alcuni si sono trasferiti dalla loro residenza abituale perché hanno scelto un ateneo prestigioso o un corso di studi che si offre solo in poche università. Altri magari hanno deciso di fare la stessa scelta di un amico o di un’amica con la quale condividono un sogno professionale.

Sta di fatto che, se ci capita di vedere da vicino questi ragazzi o queste ragazze, è facile riconoscere che sono ai primi giorni perché, semplificando, “i loro occhi brillano”: comincia una fase della loro vita che inciderà significativamente sul loro futuro.

Sono pieni di aspettative, di speranze, di sogni.

La sufficienza non basta

Ognuno di loro, in fondo, è come il giovane ricco di cui parla il Vangelo. Ha nel cuore, in modo più o meno palese, un desiderio di pienezza, un desiderio di eternità. Vorrebbe che la sua vita acquisti un senso ancora più profondo, senza fermarsi alla mediocrità o alla sola sufficienza. Il desiderio di migliorarsi e di migliorare il mondo in cui vivono è, per la maggior parte di essi, ciò che fa loro “brillare gli occhi”. E possiamo estendere questo desiderio anche ai giovani che subito dopo la scuola iniziano a lavorare, non solo agli universitari: migliorare il mondo ancora più direttamente, già con il proprio lavoro.

Il giovane ricco che ci presenta il Vangelo aveva osservato Gesù e le persone che lo seguivano. Probabilmente era rimasto colpito per l’amore gratuito con cui Gesù si prendeva cura delle persone che gli chiedevano aiuto. Vedendolo, capisce che la sua parola e la sua vita sono una risposta a questo desiderio di pienezza. Così si fa avanti e, mettendosi in ginocchio, gli chiede: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?»[1].

Lasciare traccia

Probabilmente, una domanda simile era quella che aveva determinato la vocazione di san Josemaría quando, in una mattina d’inverno del 1918 a Logroño, osservando la neve, il suo sguardo cadde sulle orme che avevano lasciato i piedi scalzi di un frate, in un lento incedere sulla strada. Anche in lui questo desiderio di pienezza di vita e di lasciare traccia, che molti giovani portano nel cuore, lo aveva spinto a chiedersi: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».

Parecchi anni dopo, ricordava in modo nitido che, osservando quelle orme incise nella gelida neve, la domanda del giovane del Vangelo era la stessa che viveva nella sua anima: “Ho cominciato a percepire l’Amore, a capire che il mio cuore mi chiedeva qualcosa di grande e che era amore […]. Non sapevo cosa volesse Dio da me, ma ovviamente era una scelta. Qualunque cosa fosse, sarebbe arrivata...”[2]. Quel seme ardente piantato nel suo cuore lo bruciava dentro, e allo stesso tempo lo lasciava nell'oscurità. Con la luce della grazia il Signore gli ha fatto realizzare la sua scelta, non con chiarezza abbagliante ma al buio, come nelle tenebre.[3]

La pienezza di vita si fa realtà solo quando si scopre l’amore che questo giovane del Vangelo, e molti altri dopo di lui, tra cui san Josemaría, riscontrano osservando Gesù e quanti lo seguono da vicino.

San Josemaría, per dieci anni, non seppe cosa il Signore gli chiedesse, però era certo che la sua vita, messa nelle mani di Dio, avrebbe raggiunto la pienezza. Il 2 ottobre 1928 scoprì che era chiamato a diffondere nel mondo la chiamata per tutti a santificarsi nel lavoro e nella vita ordinaria, e negli ultimi anni della sua vita poté vedere i frutti di questa sua donazione a Dio, con la diffusione di questo messaggio nei cinque continenti.

Carriera, denaro, fama

Siamo stati fatti per amare ed essere amati, solo così possiamo realmente essere felici.

Il resto: carriera, denaro, fama possono essere un mezzo, ma se diventano un fine lasciano sempre insoddisfatti.

E a volte, anche senza volerlo, è possibile che nelle aule universitarie o negli ambienti professionali si dia una forte priorità a questi mezzi. È giusto avere ambizione professionale, ma chi ne fa il fine della propria vita sentirà che, malgrado il successo più alto raggiunto, manca qualcosa.

È celebre l’affermazione di sant’Agostino scritta nelle sue confessioni: “Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.[4]

Gesù rispetta sempre la libertà di ogni persona, che può o meno rispondere a questa sua offerta di amore incondizionato, non forza nessuno (nemmeno il giovane di cui parla il Vangelo) ma se lo si osserva e lo si conosce, esercita una forte attrattiva, perché ogni persona (se è giovane dentro) possa colmare l’irresistibile desiderio di vivere una vita piena.


[1] Mc 10, 16.

[2] Cfr. Appunti di una meditazione, 19-III-1975.

[3] Cfr VÁZQUEZ DE PRADA, A., Il Fondatore dell’Opus Dei, vol. I, Leonardo International, Milano 1999.

[4] Sant'Agostino, Le Confessioni, I,1,1

Don Roberto Sorrenti