Pasqua: lo sguardo del cuore

A partire da una Via Crucis che si svolge in “soggettiva”, don Enzo Arborea approfondisce i passaggi fondamentali che ci portano a festeggiare la Risurrezione nella Pasqua.

Qualche giorno, mentre visitavo una mostra di arte sacra a Roma, ho scoperto una Via Crucis molto originale che mi sta aiutando a pregare in questi tempi impegnativi. L’artista rappresenta le 14 stazioni non da un punto di osservazione oggettivo, esterno alla scena, ma assumendo il punto di vista dei protagonisti, il loro sguardo.[1]

Lo sguardo delle donne

Il primo sguardo che vorrei assumere è quello delle donne che si recano al sepolcro all’alba di Pasqua. Gesù muore sulla croce intorno alle tre del pomeriggio (Mc 15, 34-37). Siamo alla vigilia del sabato. È ormai sera quando Giuseppe di Arimatea va da Pilato a chiedere il corpo di Gesù: «Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all'entrata del sepolcro» (Mc 15, 46). Le operazioni, come cospargere il corpo con profumi e avvolgerlo nelle fasce, sono rimandate a dopo il sabato. Passato il giorno di riposo, di buon mattino, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome, si recano al sepolcro per completare le unzioni del corpo e la fasciatura. Lungo la strada, però, c’era una preoccupazione in loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?» (Mc 16, 3). Fermiamo qui l’immagine. Iniziamo a guardare la realtà con questo sguardo. Potremmo sentire quanto la loro preoccupazione fosse concreta. Per loro non era ancora Pasqua, e non avevano idea di quello che le aspettava una volta giunti al sepolcro. Potremmo sentire il loro stato di confusione interiore e di dolore profondo: avevano negli occhi lo sguardo di Gesù morto in croce, il suo corpo martoriato deposto dalla croce, la scena straziante di quel corpo tra le braccia della madre. Un mistero troppo grande per essere compreso. Le emozioni annebbiavano il loro cuore e la loro testa. E continuavano a chiedersi: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?» (Mc 16, 3).

Quante volte ci capita di sentirci così? Di non capire quello che ci sta accadendo, di vedere quella situazione o quell’altra ancora come “la pietra all’ingresso del sepolcro”, come un macigno che ci fa sentire in trappola e schiacciati. Ed è allora che le emozioni, la pancia prende il sopravvento sulla testa, sui sentimenti e sul cuore e non riusciamo più a vedere la “pasqua” ma solo la grande pietra davanti al sepolcro. Perdiamo di vista Gesù risorto. Quando le emozioni prendono il comando nella nostra vita ci possiamo trovare chiusi nelle nostre preoccupazioni, nel nostro umore nero. Magari facciamo anche quello che dobbiamo, andiamo di buon mattino verso il sepolcro, ma con il cuore appesantito, perché sono le emozioni negative che hanno preso il comando. E anche dopo l’annuncio dell’angelo (cfr. Mc 16, 6: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto»), il cuore non si apre alla gioia della Pasqua: «Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16, 8).

Lo sguardo dei discepoli sconfortati

Il secondo sguardo è quello dei discepoli di Emmaus. È Luca che racconta: «Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24, 13-16). A differenza delle donne, che erano ignare di tutto, loro erano in cammino consapevoli di quanto appena accaduto. «Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto» (Lc 24, 22-24). I discepoli conoscevano gli scritti, hanno seguito Gesù, la sua predicazione, le sue opere e la sua morte in croce. Hanno ascoltato il messaggio della risurrezione. Le donne hanno comunicato la propria esperienza, annunciando ciò che gli angeli hanno detto loro. Tutto inutile. Essi continuavano il loro cammino immersi nella tristezza e nello scoraggiamento, frutto della loro convinzione razionale e della mancanza di una prova certa. Tutte le speranze riposte in Gesù erano ormai svanite con il fallimento della croce. I conti non gli tornavano. Mancava la prova razionale che egli fosse vivo: «Alcuni dei nostri sono andati alla tomba […]. ma lui non l'hanno visto». Come possiamo credere a qualcosa che non si vede? I discepoli di Emmaus sono in preda ai loro ragionamenti e non riescono a spiegarsi razionalmente quello che stava accadendo. Non è logico! E allora decidono di allontanarsi da Gerusalemme, di rompere la comunione. Tutti facciamo esperienza di cosa voglia dire rimanere intrappolati nella nostra logica, nei nostri schemi mentali. Possiamo diventare così ciechi da non riuscire neppure a vedere Gesù che cammina accanto a noi: «Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24, 15-16). I discepoli non possono riconoscerlo, ma Gesù è presente e cammina con loro. Conversando con lui scopriranno la propria cecità. I discepoli di Emmaus hanno il cuore chiuso. Così come molto spesso capita anche a noi: Gesù si fa presente nella nostra vita, ci cerca, attraverso lo sguardo di un amico, nel tabernacolo della chiesa vicino casa, in un gesto gentile che non ci aspettavamo, eppure il nostro cuore, chiuso nei ragionamenti, prigioniero della testa, non riesce a vederlo, congela le emozioni e i sentimenti, e si dimentica dello sguardo di Dio.

I loro occhi si aprono quando finalmente il cuore riprende ad ardere, e finalmente vedono Gesù vivo davanti a loro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24.32). Il cuore dei discepoli comincia ad ardere perché cambia lo sguardo che si apre alla realtà, superando le convinzioni esclusivamente mentali. Rinasce il sentimento di amore. E trovano così il coraggio di tornare a Gerusalemme e di annunciare la Pasqua: «Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24, 35). Solo quando il nostro cuore si apre allo sguardo di Cristo, che tutto trasforma e rinnova, riusciamo a sentire il cuore ardere di amore vero e puro.

Lo sguardo di Maria

L’ultimo sguardo è quello di Maria. Giovanni ci racconta che «stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala» (Gv 19, 25). Maria “stava” sotto la croce, in silenzio, abituata a una presenza discreta vicino al Figlio, a custodire il cuore nella preghiera. È l’unica pronta ad accogliere la Croce e la Pasqua. Si era lasciata preparare da Dio lungo il corso di tutta la sua vita. Era cresciuta nella fede, e con fede profonda abbraccia il mistero della Pasqua. Immagino Maria vivere la paura, il mistero, il dolore, ma sceglie di vivere tutto nella fede con una sola la certezza che Lei non è sola ma è con Dio. C’è una totale unità nel cuore di Maria: emozioni, sentimenti, pensieri e volontà. Tutto orientato nello sguardo di Gesù, tutto sorretto da una fede solida. Maria è abbandonata completamente a Dio, ma senza perdere mai di vista la sua vocazione di Madre. Per Maria la Pasqua sarà ancora una volta un’occasione per dire fiat al suo essere Madre di Dio e per scoprire la sua vocazione di Madre dell’umanità: «Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé» (Gv 19, 26-27). Maria vive con fede profonda tutto quello che accade senza rinunciare ad essere sé stessa. Non si priva delle sue emozioni, né dei suoi sentimenti, né della sua ragione, ma integra tutto scegliendo ancora una volta di compiere la sua vocazione, di credere con tutto il cuore (cfr Rm 10, 10: «con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia»).

Lo sguardo di Maria ci aiuta – dinanzi alle vicende drammatiche che penetrano nelle nostre vite attraverso i media – a non lasciarci vincere dalle emozioni che ci fanno piombare nell’angoscia, né a farci imprigionare da una razionalità che potrebbe portarci all’indifferenza. Maria ci aiuta a credere con il cuore e a integrare nel cuore emozioni, sentimenti, ragionamenti e storie. Per amare dicendo di sì alla nostra identità di figli di Dio. Che la nostra Pasqua possa essere, come per Maria, un’occasione per dire ancora una volta “sì!” alla nostra vocazione di battezzati nella Chiesa, integrando tutto quello che siamo con lo sguardo del cuore sempre orientato a Cristo.

Don Enzo Arborea


[1] L’artista è Paola Grossi Gondi. La mostra dal titolo "La Grazia e l’innocenza. Immagini di maternità divina e umana" accoglieva le opere di 20 artisti della Scuola di Arte Sacra di Firenze ed è stata ospitata dai musei di San Salvatore in Lauro nel Pio Sodalizio dei Piceni, dal 20 al 31 marzo 2022.

Don Enzo Arborea