Domenica della 15ª settimana del Tempo Ordinario (ciclo A)

Riflessioni per meditare nella domenica della quindicesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Gesù si fa capire; prendersi cura del terreno da seminare; siamo seminatori di pace.

- Gesù si fa capire

- Prendersi cura del terreno da seminare

- Siamo seminatori di pace


Gesù si fa capire

Dio «costruisce nei cieli il suo palazzo e fonda la sua volta sulla terra - dice il profeta Amos, descrivendo il Signore creatore dell’universo -; Egli chiama a raccolta le acque del mare e le riversa sulla terra» (Am 9, 6). Forse lo stesso Gesù, nel leggere queste parole del profeta, si sarà sorpreso nel considerare che la creazione intera ci rivela suo Padre. Proprio per questo il Vangelo ci presenta il Signore che esce all’aria libera, in riva al lago, come se volesse approfittare del contesto naturale – dell’opera di Dio, suo Padre – per parlare a quelli che gli sono vicini.

Anche se la riva è spaziosa, questa volta il luogo si riempie subito. Si è diffusa la voce che Gesù si trova lì. La spiaggia si dimostra piccola, per cui il Signore deve salire su una barca. Da questa tribuna dondolante e improvvisata si rivolge alla folla e racconta la storia di un seminatore che uscì a lavorare. «Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno» (Mt 13, 4-8)

Per molti dei presenti sarà stato facile immaginare la scena, perché era una realtà che avevano ben presente. Probabilmente a più di uno sarà accaduto qualcosa di simile. Gesù cerca i modi per farsi capire, cerca di toccare l’intelligenza e il cuore, parla a coloro che lo ascoltano nella lingua della loro esperienza personale. In definitiva, sa mettersi nei panni degli altri, perché è mosso da un profondo spirito di servizio. «Dio non è [...] una intelligenza matematica molto lontana da noi. Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è auto-comunicato fino ad incarnarsi»[1]. Diamo anche noi testimonianza del messaggio cristiano mettendoci nella situazione di quelli che ci stanno attorno, conoscendo le loro preoccupazioni e le loro aspirazioni?


Prendersi cura del terreno da seminare

Nella parabola del seminatore non tutti i semi vanno incontro allo stesso destino. Benché il seme sia sempre buono – dato che si tratta dei doni e delle grazie che Dio ha sparso nella nostra vita –, ha bisogno di un terreno adatto alla crescita e a dare frutto. Un cuore bloccato dalle paure, dal desiderio di tenere tutto sotto controllo o dalla voglia di accumulare beni materiali è un luogo dove il seme non può attecchire. Invece un’anima semplice, disposta ad accogliere l’amore divino, fa sì che i talenti fruttifichino per contribuire così al bene degli altri.

«Quando i nostri cuori sono superficiali, il seme non riesce a germinare: il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non “decolla” mai»[2]. Il seme ha bisogno di terra profonda in cui gettare le radici. Spesso le sostanze nutrienti necessarie alla crescita non si trovano negli strati più superficiali: si possono trovare solo in profondità. Il nostro mondo interiore avrà questa profondità se riesce ad andare oltre gli stati d’animo, se poggia nella stabilità matura delle convinzioni di fondo, negli ideali che vorremmo che ispirassero la nostra quotidianità.

La buona semente richiede un campo lavorato con diligenza e costanza. Certe volte i rovi crescono quando i terreni vengono trascurati e abbandonati al loro destino. «La fedeltà è un dono continuo, un amore, una liberalità, un distacco permanente e non una pura conseguenza dell’inerzia»[3]. Il buon seme attecchisce quando trova un impegno abituale nell’avere una vita di orazione, nel conoscere la ricchezza spirituale del cristianesimo, nel curare le relazioni umane nel lavoro e nella famiglia, ecc. Ognuno di questi ambiti è come uno dei diversi solchi che possiamo lavorare affinché, pazientemente, la vita contemplativa metta radici nella propria anima.


Siamo seminatori di pace

La storia del seminatore prosegue nella vita di ogni figli di Dio. Il Signore continua a lanciare la sua semente, desideroso di trovare cuori che la ricevano. Egli, per mezzo di ognuno di noi, «continua la sua semina divina. Cristo stringe il frumento nelle sue mani piagate, lo imbeve del suo sangue, lo pulisce, lo purifica e lo getta nel solco del mondo. Getta i chicchi a uno a uno, perché ogni cristiano dia testimonianza nel proprio ambiente della fecondità della morte e risurrezione del Signore»[4].

È consolante sapere che la nostra vita è seme divino nelle mani del Signore, lanciato in questo mondo che egli ha creato e che è buono. Quando facciamo in modo di agire cercando la gloria di Dio – alcune volte sbagliando, altre volte cadendo, ricominciando sempre -, quando ci muove il desiderio che altri scoprano la gioia della casa del Padre, il seme germina anche se a volte non ci accorgiamo della sua fioritura. «Se sei fedele agli impulsi della grazia – diceva san Josemaría -, darai buoni frutti: frutti duraturi per la gloria di Dio. L’essere santo comporta l’essere efficace, anche se il santo può non toccare o non vedere l’efficacia»[5].

Qualche volta possiamo scoraggiarci quando pensiamo, sbagliando, che attorno a noi non c’è un terreno adatto perché cresca il seme divino. Il Signore agisce in qualunque situazione, è un seminatore onnipotente. Chi lavora insieme al seminatore divino «è ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza»[6]. La Vergine Maria ci potrà aiutare a rimanere uniti a suo Figlio, imbevuti del suo sangue, rendendo sempre più feconda la nostra vita

[1] Benedetto XVI, Udienza, 28-XI-2012.

[2] Papa Francesco, Angelus, 16-VII-2017

[3] San Josemaría, Lettere vol. 1, lettera n. 2, 12, p. 82.

[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 157.

[5] San Josemaría, Forgia, n. 920.

[6] Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, n. 279.