100 anni di gratitudine (4) - Il meglio di ciò che Dio ha in serbo per te

In questa testimonianza Mariangela racconta della sua vocazione all’Opus Dei e di come l’ha condivisa con i genitori, che venivano da cammini differenti nella Chiesa Cattolica. “100 anni di gratitudine” è una raccolta di testimonianze che accompagnano le Assemblee regionali dell’Opus Dei per il 2024.

Sono cresciuta in una famiglia pugliese cristiana praticante. Mio papà fa parte del Cammino Neo-catecumenale da prima che nascessi, e viene da una famiglia semplice e non molto praticante, dove la carità si è sempre vissuta con i fatti, con la vicinanza e l’accoglienza nei confronti di familiari amici e conoscenti.

Mamma viene da una famiglia profondamente cattolica dove ho conosciuto la fedeltà, la pratica della fede nella Messa, nei rosari, nelle processioni, ma anche la fede che si fa dialogo e rapporto autentico con il Signore, soprattutto nei momenti duri della vita. Da tutti e quattro i nonni ho appreso il valore della famiglia, della fedeltà coniugale, del buon umore.

La fede vissuta in famiglia

Tra i primi ricordi che ho della pratica religiosa in famiglia ci sono le preghiere della sera che dicevamo con la mamma e qualche ricordo sfumato della benedizione ricevuta da papà che imponeva le mani su me e mia sorella poco prima di addormentarci.

La domenica, dopo la Messa e prima di pranzare, papà ci invitava a recitare le lodi in cui si dice una preghiera che ho ritrovato nella vita nei centri dell’Opera: «Cantiamo l’inno che i tre santi giovani innalzavano...». Le recitavamo anche a memoria in macchina quando andavamo a pranzo dai nonni materni che erano di un paese vicino. La parte delle preghiere spontanee era quella che mi costava di più, anche se dopo ero contenta. Ero curiosa delle intenzioni che avrebbero espresso gli altri, soprattutto mia sorella. Era un po’ aprirsi il cuore su cose che non condividevamo abitualmente.

Ricordo che qualche volta papà ci ha fatto partecipare ad attività per bambini promosse dalla Comunità Neo-catecumenale, ma lui stesso ricorda che non ne eravamo molto attratte, che preferivamo frequentare la nostra parrocchia. E così non ha mai forzato la mano, come non lo ha mai fatto con mamma. Per lui era importante che frequentassimo la Chiesa e la pratica religiosa. Per quanto riguarda il modo e i gruppi, l’unica cosa importante era che fossero seri.

In guardia dall’Opus Dei!

Ho conosciuto l’Opus Dei a 19 anni, quando sono andata a studiare a Roma Ingegneria Biomedica al Campus Bio-Medico e a vivere in una residenza universitaria gestita da persone dell’Opus Dei. L’Opera era qualcosa che mi attraeva, ma allo stesso tempo molti mi dicevano di stare in guardia, tanto che avevo iniziato a chiudermi e ad averne paura. Una volta ho condiviso le mie inquietudini con i miei genitori dicendo che volevo andar via dalla residenza universitaria, anche se non c’era alcun motivo concreto. Mio padre con la sua solita pragmaticità mi disse che a metà anno pagato non potevamo permetterci di cambiare alloggio, e mi disse anche che l’Opera era una cosa di Dio e che avrei potuto trascorrere in residenza la parte dell’anno accademico che restava, prendendo da lì il meglio che Dio aveva in serbo per me. Queste parole mi riempirono di molta pace e mi diedero una determinazione nuova.

Così rientrai a Roma e misi in pratica i consigli ricevuti, prendendo tutto quello che mi attraeva e a cui, per paura, stavo rinunciando: le catechesi, il circolo - un mezzo di formazione cristiana tipico dell’Opera a cui ero sfuggita fino a quel momento - i momenti di preghiera in cappella, i momenti familiari chiamate tertulie, insieme alle residenti e alle numerarie, le amicizie.

La preghiera della mamma: esaudita

A poco a poco la residenza è diventata casa, le persone dell’Opus Dei amiche e le altre residenti persone da cui imparare e con cui condividere. Soprattutto ho iniziato a pregare dialogando con il Signore come con un amico, secondo il consiglio di san Josemaría. Ho cominciato a scorgere l’immensità dell’amore di Dio per me e a percepire che mi chiedeva di amarlo in modo esclusivo. Ne parlai con un’amica numeraria, dicendole che avevo compreso di voler vivere il celibato ma non sapevo come configurare nella Chiesa questa donazione. Insieme capimmo che l’Opera, dove Dio aveva permesso che il mio cuore si aprisse, sarebbe stata la strada. Così chiesi di essere ammessa nell’Opera come numeraria.

Mi dissero che dovevo parlarne prima con i miei genitori. Parlai prima con la mamma: lei mi disse che aveva intuito che stava succedendo qualcosa e mi confidò che stava pregando per me, non tanto perché trovassi l’uomo della mia vita, ma una buona famiglia cristiana. Rimasi senza parole! Era stata esaudita alla lettera! Poi parlai con mio padre. Lo vidi commosso e tuttavia mantenne un atteggiamento serio, riflessivo, mi disse di pensarci bene. Mi lasciò libera.

Ogni tanto mi è capitato di averli visti meno contenti e con più ripensamenti, impauriti anche loro, con qualche riserva verso l’Opera, ma nel bilancio complessivo ho sentito il loro sostegno non solo in astratto, bensì nelle vicende concrete della mia vita di numeraria. È andata aumentando la loro comprensione e il loro affetto nei confronti dell’Opera e delle singole persone che hanno iniziato a far parte della mia famiglia soprannaturale e quindi anche della loro. Ogni giorno mi sostengono con la loro preghiera e con la loro sapienza umana spronandomi ad essere fedele nel mio cammino e soprattutto ad essere una buona cristiana.

Nella sua vocazione ho rivisto la mia

Abbiamo sperimentato che anche quando i terremoti della vita ci scuotono e interrogano il nostro cuore, la nostra fede vissuta ognuno secondo il proprio carisma e condivisa nella preghiera reciproca, ci è di grande aiuto, consolazione e speranza.

La mia vocazione mi ha regalato molte cose. Tra queste, il dono di poter vedere da vicino il germogliare della vita di Dio nelle persone. Qualche anno fa, ho potuto sperimentare questo stesso dono anche con la mia mamma che è entrata nel Cammino Neo-catecumenale dopo aver accompagnato papà nella sua ultima tappa di neo-catecumenato, a Gerusalemme. Diciamo sempre che lei ha iniziato il Cammino “dalla fine”. È stato molto bello vedere nascere la sua vocazione: nelle chiacchierate telefoniche mi raccontava dei sui primi incontri con la Comunità e della sua scoperta di Dio. Nella sua vocazione ho rivisto tratti della mia, cioè dell’azione di Dio, del suo modo straordinario di fare le cose.


“100 anni di gratitudine” è una raccolta di testimonianze che accompagnano le Assemblee regionali dell’Opus Dei per il 2024. Clicca qui per leggere le testimonianze pubblicate finora, o per approfondire i temi delle Assemblee regionali.