10 parole di pace per 10 anni di pontificato di papa Francesco

In occasione del decimo anniversario dell’elezione di papa Francesco, condividiamo una raccolta di dieci suoi testi sulla pace, uno per ogni anno di pontificato.

Per leggere altre parole di papa Francesco, visita la nostra pagina dedicata al Papa.

3 dicembre 2013, Omelia

La parola di Dio oggi ci parla di pace e di gioia. Isaia nella sua profezia (11, 1-10) ci dice come saranno i giorni del Messia. Saranno giorni di pace. Una pace di gioia, una pace di lode, una pace, diciamo, rumorosa nella lode. Una pace feconda nella maternità di nuovi figli, una pace che viene proprio nella gioia della lode alla Trinità e nella evangelizzazione, cioè nell’andare a dire ai popoli chi è Gesù.

8 giugno 2014, Invocazione per la pace.

Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoria infonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per la gloria di Dio e il bene di tutti.

Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo.

10 settembre 2015, Meditazione mattutina

Ogni giorno, quando preghiamo il Padre Nostro, diciamo: perdonaci, come noi perdoniamo». è un condizionale: cerchiamo di convincere Dio di essere buono, come noi siamo buoni perdonando: al rovescio. Parole, no? Come si cantava in quella bella canzone: “Parole, parole, parole”, no? Credo che la cantasse Mina... Parole! Perdonatevi! Come il Signore vi ha perdonato, così fate voi! Perdonatevi gli uni agli altri! E per perdonarci un bel consiglio: sopportandovi a vicenda in famiglia, nel quartiere, nel lavoro... Sopportandoci a vicenda». Senza mettersi a sussurrare: «Questo ha fatto quello...». Bisogna «sopportare, perché anche quello sopporta me». In una parola, serve la «pazienza cristiana».

Quante donne eroiche ci sono nel nostro popolo che sopportano per il bene della famiglia, dei figli, tante brutalità, tante ingiustizie: sopportano e vanno avanti con la famiglia. Quanti uomini eroici ci sono nel nostro popolo cristiano che sopportano di alzarsi presto al mattino e andare al lavoro — tante volte un lavoro ingiusto, mal pagato — per tornare in tarda serata, per mantenere la moglie e i figli. Questi sono i giusti.

1 gennaio 2016, XLIX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Quante famiglie, poi, in mezzo a tante difficoltà lavorative e sociali, si impegnano concretamente per educare i loro figli “controcorrente”, a prezzo di tanti sacrifici, ai valori della solidarietà, della compassione e della fraternità! Quante famiglie aprono i loro cuori e le loro case a chi è nel bisogno, come ai rifugiati e ai migranti! Voglio ringraziare in modo particolare tutte le persone, le famiglie, le parrocchie, le comunità religiose, i monasteri e i santuari, che hanno risposto prontamente al mio appello ad accogliere una famiglia di rifugiati [28].

Infine, vorrei menzionare i giovani che si uniscono per realizzare progetti di solidarietà, e tutti coloro che aprono le loro mani per aiutare il prossimo bisognoso nelle proprie città, nel proprio Paese o in altre regioni del mondo. Voglio ringraziare e incoraggiare tutti coloro che si impegnano in azioni di questo genere, anche se non vengono pubblicizzate: la loro fame e sete di giustizia sarà saziata, la loro misericordia farà loro trovare misericordia e, in quanto operatori di pace, saranno chiamati figli di Dio (cfr Mt 5,6-9)

1 dicembre 2017, INCONTRO INTERRELIGIOSO ED ECUMENICO PER LA PACE

Uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti non solo contribuisce a una cultura di armonia e di pace; esso ne è il cuore pulsante. Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili! Quanta apertura è necessaria per accogliere le persone del nostro mondo, specialmente i giovani, che a volte si sentono soli e sconcertati nel ricercare il senso della vita!

7 luglio 2018, Preghiera ecumenica per la pace

Preghiamo uniti, per invocare dal Signore del cielo quella pace che i potenti in terra non sono ancora riusciti a trovare. Dal corso del Nilo alla Valle del Giordano e oltre, passando per l’Oronte fino al Tigri e all’Eufrate, risuoni il grido del Salmo: «Su di te sia pace!» (122,8). Per i fratelli che soffrono e per gli amici di ogni popolo e credo, ripetiamo: Su di te sia pace! Col salmista imploriamolo in modo particolare per Gerusalemme, città santa amata da Dio e ferita dagli uomini, sulla quale ancora il Signore piange: Su di te sia pace!

Sia pace: è il grido dei tanti Abele di oggi che sale al trono di Dio. Per loro non possiamo più permetterci, in Medio Oriente come ovunque nel mondo, di dire: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). L’indifferenza uccide, e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, oggi soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze. Per i piccoli, i semplici, i feriti, per loro dalla cui parte sta Dio, noi imploriamo: sia pace! Il «Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3), che risana i cuori affranti e fascia le ferite (cfr Sal 147,3), ascolti oggi la nostra preghiera.

16 gennaio 2018, Omelia

E di fronte alla rassegnazione che come un ruvido brusio mina i nostri legami vitali e ci divide, Gesù ci dice: beati quelli che si impegnano per la riconciliazione. Felici quelli che sono capaci di sporcarsi le mani e lavorare perché altri vivano in pace. Felici quelli che si sforzano di non seminare divisione. In questo modo, la beatitudine ci rende artefici di pace; ci invita ad impegnarci perché lo spirito della riconciliazione guadagni spazio fra noi. Vuoi gioia? Vuoi felicità? Felici quelli che lavorano perché altri possano avere una vita gioiosa. Desideri pace? Lavora per la pace.

Non posso fare a meno di evocare quel grande Pastore che ebbe Santiago, il quale in un Te Deum disse: « “Se vuoi la pace, lavora per la giustizia” [...] E se qualcuno ci domanda: “Cos’è la giustizia?”, o se per caso pensa che consista solo nel “non rubare”, gli diremo che esiste un’altra giustizia: quella che esige che ogni uomo sia trattato come uomo» (Card. Raúl Silva Henríquez, Omelia nel Te Deum Ecumenico, 18 settembre 1977).

28 aprile 2019, Regina Coeli

Il Risorto reca l’autentica pace, perché mediante il suo sacrificio sulla croce ha realizzato la riconciliazione tra Dio e l’umanità e ha vinto il peccato e la morte. Questa è la pace. I suoi discepoli per primi avevano bisogno di questa pace, perché, dopo la cattura e la condanna a morte del Maestro, erano piombati nello smarrimento e nella paura. Gesù si presenta vivo in mezzo a loro e, mostrando le sue piaghe – Gesù ha voluto conservare le sue piaghe –, nel corpo glorioso, dona la pace come frutto della sua vittoria. Ma quella sera non era presente l’apostolo Tommaso. Informato di questo straordinario avvenimento, egli, incredulo dinanzi alla testimonianza degli altri Apostoli, pretende di verificare di persona la verità di quanto essi affermano. Otto giorni dopo, cioè proprio come oggi, si ripete l’apparizione: Gesù viene incontro all’incredulità di Tommaso, invitandolo a toccare le sue piaghe. Esse costituiscono la fonte della pace, perché sono il segno dell’amore immenso di Gesù che ha sconfitto le forze ostili all’uomo, il peccato, la morte. Lo invita a toccare le piaghe. È un insegnamento per noi, come se Gesù dicesse a tutti noi: “Se tu non sei in pace, tocca le mie piaghe”.

20 ottobre 2020, Incontro internazionale di preghiera per la pace

Intanto, i conflitti continuano, e con essi il dolore e la morte. Mettere fine alla guerra è dovere improrogabile di tutti i responsabili politici di fronte a Dio. La pace è la priorità di ogni politica. Dio chiederà conto, a chi non ha cercato la pace o ha fomentato le tensioni e i conflitti, di tutti i giorni, i mesi, gli anni di guerra che sono passati e che hanno colpito i popoli!

La parola del Signore Gesù si impone per la sua sapienza profonda: «Rimetti la spada al suo posto – Egli dice –, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Mt 26,52). Quanti impugnano la spada, magari credendo di risolvere in fretta situazioni difficili, sperimenteranno su di sé, sui loro cari, sui loro Paesi, la morte che viene dalla spada. «Basta!» (Lc 22,38), dice Gesù quando i discepoli gli mostrano due spade, prima della Passione. “Basta!”: è una risposta senza equivoci verso ogni violenza. Quel “basta!” di Gesù supera i secoli e giunge forte fino a noi oggi: basta con le spade, le armi, la violenza, la guerra!

San Paolo VI, alle Nazioni Unite nel 1965, fece eco a questo appello dicendo: «Mai più la guerra!». Questa è l’implorazione di noi tutti, degli uomini e delle donne di buona volontà. È il sogno di tutti i cercatori e artigiani della pace, ben consapevoli che «ogni guerra rende il mondo peggiore di come l’ha trovato» (FT, 261).

30 ottobre 2021, Ai partecipanti al quarto forum di Parigi sulla pace

Non sprechiamo questa opportunità di migliorare il nostro mondo; di adottare con decisione modalità più giuste per attuare il progresso e costruire la pace. Animati da questa convinzione, è possibile generare modelli economici che servano i bisogni di tutti preservando i doni della natura, come pure politiche lungimiranti che promuovano lo sviluppo integrale della famiglia umana. [6]

Illustri Signore e Signori, affrontiamo insieme questa crisi cercando di risanare in profondità le ferite della famiglia umana. Ci possa ispirare questa parola che il profeta Geremia rivolse al popolo in tempo di grave crisi: «Fermatevi nelle strade e guardate, / informatevi dei sentieri del passato, / dove sta la strada buona percorretela, così troverete pace per la vostra vita» (Ger 6,16).

28 novembre 2022, Ai partecipanti all’incontro per la pace e la cura

Perché ci sia la pace, come dice bene il vostro motto, bisogna “prendersi cura”. Spesso parliamo di pace quando ci sentiamo direttamente minacciati, come nel caso di un possibile attacco nucleare o di una guerra combattuta alle nostre porte. Così come ci interessiamo ai diritti dei migranti quando abbiamo qualche parente o amico emigrato. In realtà, la pace ci riguarda sempre, sempre! Come sempre ci riguarda l’altro, il fratello e la sorella, e di lui e di lei dobbiamo prenderci cura.

Un modello per eccellenza del prendersi cura è quel samaritano del Vangelo, che ha soccorso uno sconosciuto che ha trovato ferito lungo la strada. Il samaritano non sapeva se quello sfortunato fosse una brava persona o un furfante, se fosse ricco o povero, istruito o ignorante, giudeo, samaritano come lui o straniero; non sapeva se quella sventura “se la fosse cercata” o no. Il Vangelo dice: «Lo vide e ne ebbe compassione» (Lc 10,33). Lo vide e ebbe compassione. Anche altri, prima di lui, avevano visto quell’uomo, ma erano andati dritti per la loro strada. Il samaritano non si è fatto tante domande, ha seguito il movimento della compassione.

1 gennaio 2023, Omelia

Fratelli, sorelle, per accogliere Dio e la sua pace non si può stare fermi, non si può stare comodi aspettando che le cose migliorino. Bisogna alzarsi, cogliere le occasioni di grazia, andare, rischiare. Bisogna rischiare. Oggi, all’inizio dell’anno, anziché stare a pensare e sperare che le cose cambino, ci farebbe bene chiederci: “Io, quest’anno, dove voglio andare? Verso chi vado a fare del bene?”. Tanti, nella Chiesa e nella società, aspettano il bene che tu e solo tu puoi dare, il tuo servizio. E, di fronte alla pigrizia che anestetizza e all’indifferenza che paralizza, di fronte al rischio di limitarci a rimanere seduti davanti a uno schermo con le mani su una tastiera, i pastori oggi ci provocano ad andare, a smuoverci per quel che succede nel mondo, a sporcarci le mani per fare del bene, a rinunciare a tante abitudini e comodità per aprirci alle novità di Dio, che si trovano nell’umiltà del servizio, nel coraggio di prendersi cura. Fratelli e sorelle, imitiamo i pastori: andiamo!