Vi libererò dalla schiavitù, in qualunque luogo siate dispersi [Ger 29, 14]. Ci liberiamo dalla schiavitù, per mezzo dell'orazione: siamo e ci sentiamo liberi, sulle ali di un cantico d'anima innamorata, un canto d'amore che ci sprona a desiderare di non separarci da Dio. E un modo nuovo di camminare sulla terra, un modo soprannaturale, divino, meraviglioso.
Ricordando tanti scrittori castigliani del Cinquecento, forse anche noi vorremmo assaporarne l'esperienza: vivo perché non vivo, è Cristo che vive in me [Cfr Gal 2, 20].
Si accoglie allora con gioia il dovere di lavorare in questo mondo, e per molti anni, perché Gesù ha pochi amici sulla terra. Non ricusiamo il dovere di vivere, di spenderci — spremuti ben bene — al servizio di Dio e della Chiesa. Così: in libertà, in libertatem gloriae filiorum Dei [Rm 8, 21], qua liberiate Christus nos liberavit [Gal 4, 31]; con la libertà dei figli di Dio, che Cristo ci ha guadagnato morendo sul legno della Croce.
Può darsi che, fin dal principio, si alzino nuvole di polvere, e anche che i nemici della nostra santificazione impieghino una tecnica di terrorismo psicologico — di abuso di potere — così violenta e ben orchestrata, da attirare nella loro assurda direzione perfino chi, per molto tempo, ha mantenuto ben altra condotta, più logica e più retta. E benché la loro voce dia un suono da campana fessa, perché non è fusa in buon metallo ed è ben diversa dal richiamo del pastore, abusano della parola che è uno dei doni più preziosi che l'uomo abbia ricevuto da Dio, dono bellissimo per esprimere alti pensieri d'amore e di amicizia per il Signore e per le sue creature, al punto da far intendere il motivo per cui san Giacomo afferma che la lingua è un mondo d'iniquità [Gc 3, 6]. I danni che può produrre sono tanti: menzogne, denigrazioni, diffamazioni, soperchierie, insulti, mormorazioni tendenziose. (Amici di Dio, nn. 297-298)