Vivere di fede

Mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane è un compito impegnativo. Ma lo era anche dar da mangiare a 5.000 persone con cinque pani e due pesci. E gli apostoli, dopo essersi rivolti a Cristo, ci riuscirono. Ecco un testo sulla vita di fede.

La notizia della morte di Giovanni il Battista colpì profondamente il Signore. Era venuto a liberarci dal peccato e dalla incrinatura che aveva provocato nella natura umana, che Egli volle assumere; ma proprio perché – eccetto il peccato – assunse questa natura fino alle ultime conseguenze, non rimase indifferente a questa nuova esperienza della malvagità – e, in questo caso, anche dalla frivola stupidità – che c’è nel cuore umano. Si sentì profondamente affranto e provò l’impulso di ritirarsi in un luogo tranquillo, dove poter pregare e meditare in pace[1].

Tuttavia, sceso dalla barca vide una gran folla e ne sentì compassione[2]. Passò il resto della giornata occupandosi di loro, delle loro anime e dei loro corpi: insegnò molte cose e guarì i malati. Il Signore non aveva provocato quella situazione, la sua intenzione era un’altra: voleva semplicemente meditare e riposare e fare meditare e riposare gli Apostoli. Ma il suo cuore sacerdotale non si lasciò sfuggire l’occasione inattesa di occuparsi degli altri, anche se questo per Lui significava dover superare uno stato d’animo molto comprensibile.

Come altre volte, nulla ci dicono gli evangelisti su ciò che Gesù predicò quel giorno. Per loro è sufficiente che, oltre al suo esempio di generosità, veniamo a conoscenza delle vicende di quella giornata, perché contengono insegnamenti importanti per chi desidera avere vita interiore e trasmettere ad altri il fuoco del Signore.

Magnanimità

Trascorsero alcune ore. La folla era ancora lì e il Maestro continuava a dare loro una serie di insegnamenti. I discepoli cominciarono a preoccuparsi pensando a ciò che sarebbe successo quando tutte quelle persone si sarebbero rese conto di non avere più tempo per raggiungere qualche posto dove poter acquistare qualcosa da mangiare. Si rivolsero a Gesù: il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare[3]. Quelle persone hanno una necessità e bisogna dar loro l’opportunità di soddisfarla prima che sia troppo tardi. La risposta del Signore fu sorprendente: Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare[4]. Il loro problema è anche un vostro problema: risolvetelo voi.

Probabilmente gli Apostoli non si erano rivolti a Gesù per sfuggire alla loro responsabilità, non stavano tentando di togliersi il problema. Era, né più né meno, un compito a tal punto superiore alle loro possibilità, che non era loro neppure passato per la testa che potesse riguardarli. Naturalmente, compativano la folla ma che altro potevano fare?

Ecco perché la risposta del Signore li lascia sconcertati: noi? Dobbiamo dar loro da mangiare noi? Ma se anche con la paga di duecento giornate di lavoro ci darebbero una quantità di pane irrisoria per una tale folla![5]. Che cosa possiamo fare noi?

Però il Maestro non cedette; volle che si caricassero il problema sulle spalle: qualcosa potete fare… Quanti pani avete? Andate a vedere[6]. Gli Apostoli riconoscono l’insufficienza dei loro mezzi: abbiamo cinque pani e due pesci[7]. Portatemeli qua[8].

Durante gli anni di attività apostolica che poi avrebbero vissuto, forse avranno ripensato spesso a quello che Gesù aveva loro insegnato quel giorno: se abbiamo soltanto questi mezzi, con questi mezzi dobbiamo affrontare il problema; non ci bastano i buoni propositi o la compassione, nel constatare le necessità della folla.

Neppure è sufficiente a un cristiano accorgersi che un punto di lotta o un obiettivo apostolico supera le proprie capacità. Noi cristiani dobbiamo avere il cuore grande e la mente sgombra: dobbiamo contare con serenità i pani che abbiamo e che cosa possiamo fare, senza lasciarci avvilire dalla situazione; benché possa sembrare assolutamente insufficiente, dobbiamo mettere ai piedi del Signore tutto ciò che abbiamo.

Gli evangelisti ci dicono che Gesù prese quel cibo, lo benedisse, spezzò i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e rimasero tanti pezzi che furono necessarie dodici ceste per contenerli: rimase più di quello che avevano all’inizio; l’intervento divino fece sì che i mezzi di coloro che personalmente ne disponevano crescessero nello sforzo generoso di utilizzarli per aiutare gli altri.

San Giovanni racconta questa scena come introduzione al lungo discorso del Signore sul Pane di vita. La relazione fra i due episodi è chiara: la moltiplicazione dei pani è figura del grande mistero dell’Eucaristia[9], nel quale il Signore ci dà un alimento sufficiente e sovrabbondante; e va anche più lontano, dato che mediante il prodigio della transustanziazione, ciò che era soltanto una cosa materiale e povera, si trasforma nel Corpo e nel Sangue di Cristo: alimento soprannaturale, Pane degli angeli, nuova manna che ristabilisce le forze del nuovo Popolo di Dio. Ma da questo episodio possiamo ricavare anche altri insegnamenti.

Se meditiamo la scena cercando di applicarla alla vita interiore, forse avremo l’impressione che il Signore ci dica: rifletti sui mezzi che hai a tua disposizione, esaminati con audacia; poi, metti ai miei piedi ciò che hai; e non ti preoccupare se qualcosa ti manca, perché Io ne ho in abbondanza.

Audacia

Riflettiamo ora sulla situazione degli Apostoli che, una volta decisi a mettere in gioco tutte le loro possibilità, devono svolgere l’incarico di distribuire qualcosa che è evidentemente insufficiente per una folla numerosa. Non è facile capire in che modo avvenne il miracolo. Miracoli di altro tipo possono essere forse più sorprendenti ma sono più facili da immaginare: Gesù mette la sua mano su un tale, pronuncia alcune parole, e il malato riacquista la salute che aveva perduta. Qui, invece, non è semplice sapere che cosa è successo esattamente, perché le cose possono essere andate in modi diversi (cfr. San Giovanni Crisostomo, Homiliae in Matthaeum, hom. 49, 2-3; Sant’Ilario, In Matthaeum, 14).

È possibile che il mucchio di pezzi nei quali Gesù aveva diviso i cinque pani e i due pesci aumentasse rapidamente di volume, e ciò che prima era poco, diventasse sovrabbondante, tra lo stupore degli Apostoli. In effetti, è possibile che accadesse questo; però c’è un’altra possibilità meno spettacolare, che aiuta a percepire con maggiore chiarezza un insegnamento fondamentale che probabilmente Cristo voleva trasmettere ai suoi discepoli e a tutti coloro, come noi, che lo avremmo seguito nel corso dei secoli.

È potuto accadere che il Signore abbia dato ad alcuni Apostoli una parte dei pezzi di pane e che essi abbiano cominciato a distribuirli tra la folla. A poco a poco, però, si saranno resi conto del prodigio: bastò per tutti e addirittura avanzarono molti pezzi. Neanche la manna era possibile conservare da un giorno all’altro[10]: Dio voleva che coloro che ricevevano quel cibo fossero ben consapevoli che era un dono divino e si abbandonassero in Lui, invece di cercare una sicurezza unicamente umana. Forse Gesù volle che gli Apostoli avessero un’esperienza del genere.

Alcuni fra i presenti capirono quello che era successo, e ne furono sorpresi e ammirati. Per gli Apostoli fu una chiara lezione di fede. Alcuni mesi dopo il Signore avrebbe chiesto loro di assumersi l’incarico di provvedere alla carenza di formazione di milioni di anime: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura[11]. Indubbiamente, stava per arrivare sulle loro spalle un compito che superava le loro possibilità: chi erano? Che cosa potevano fare? Non sarebbe stato più ragionevole proporsi mete alla loro portata?

Ma gli Apostoli si ricorderanno allora di tutto ciò che avevano vissuto. Ricorderanno che il Signore aveva chiesto loro di fare un conteggio dei mezzi a disposizione; per Lui era ugualmente difficile dar da mangiare a quella folla con cinque pani o con nessuno, però volle insegnare che da parte loro dovevano mettere tutto. Mediteranno che Egli non permise che la scarsezza di mezzi riducesse l’obiettivo che intendeva raggiungere; che non si era limitato a prestare un aiuto simbolico che non avrebbe risolto il problema. Ricorderanno anche che i loro mezzi erano stati sempre scarsi…, ma che alla fine erano sempre sufficienti. In definitiva, avranno imparato che non sarebbero mai state determinanti le condizioni in cui si trovavano – che comunque andavano esaminate –, ma il potere di Dio e le necessità delle anime.

Noi cristiani dobbiamo sentirci coinvolti dalla sete che Dio ha di anime in tutti gli ambienti e in tutte le attività[12]. "Dobbiamo mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane"[13]. Non possiamo rimandare l’inizio di questo compito fino a quando potremo disporre di tutti i pani necessari per dar da mangiare alla folla; non possiamo porci mete piccole nell’aiutare gli altri, anche se poi – di fatto – saremo costretti a procedere a piccoli passi fino a raggiungere le grandi mete.

Quando ci proponiamo obiettivi alti e generosi, è facile che ci accorgiamo della sproporzione fra le nostre capacità e ciò che pensiamo che il Signore si aspetta, e che proviamo una certa vertigine, una sensazione di impotenza e di insicurezza che non dobbiamo considerare come la prova di una debolezza del la fede. Al contrario, è probabilmente una dimostrazione che l’amore di Dio ci sta spingendo al di là della nostra piccolezza. Questo sentimento di inquietudine, lungi dal contraddire la magnanimità, dà un senso alla speranza, perché dove c’è assoluta certezza, non può esistere la speranza[14].

Ottimismo

La fede con la quale il Signore si aspetta che operiamo, non sta, dunque, nella certezza che le nostre qualità si moltiplicheranno. Consiste piuttosto nel mettere i nostri cinque pani al servizio di Dio, nell’agire come se questi pani fossero sufficienti, anche se mentre agiamo continueremo ad avvertire i nostri limiti. La vita di fede non si dimostra nei sentimenti, ma nelle opere, anche quando i sentimenti sembrano contraddire le certezze fondamentali sulle quali poggia ogni nostro agire.

"L’ottimismo cristiano non è ottimismo dolciastro, e neppure la fiducia umana che tutto andrà bene. È un ottimismo che affonda le sue radici nella coscienza della libertà e nella sicurezza del potere della grazia; un ottimismo che porta a essere esigenti con noi stessi, a sforzarci per corrispondere in ogni momento alle chiamate di Dio"[15].

La fede del cristiano non è l’ingenuità di chi non si fa carico delle difficoltà e confida, perciò, nel fatto che tutto andrà bene. Al contrario, la fede genera un ottimismo "che affonda le sue radici nella coscienza della libertà", vale a dire, che sostiene e si alimenta della consapevolezza che le cose possono andar male e di fatto a volte andranno male, perché la libertà umana – la nostra e quella degli altri – non sempre andrà alla ricerca di ciò che Dio vuole. Per questo è "un ottimismo che porta […] a sforzarci per rispondere in ogni momento alle chiamate di Dio", pur sapendo che neanche così avremo la certezza che tutto andrà bene.

La fede che il Signore mi chiede e si aspetta da me, non è, dunque, la fiducia nel buon andamento delle cose: è la certezza che, comunque vadano le cose, Dio se ne servirà a mio favore, a favore di coloro che mi stanno attorno e della Chiesa intera. In altre parole, Dio non si aspetta da me che tutto mi vada per il verso giusto, né del resto io mi aspetto da Dio che ogni cosa che faccio avrà un’evoluzione favorevole; sarebbe ingenuo pensare che basti essere buono perché tutto sia positivo. Dio si aspetta che io mi fidi di Lui e che da parte mia predisponga ogni cosa perché tutto vada per il verso giusto. E io ho la certezza che, facendo ciò che Egli vuole, sto raggiungendo l’obiettivo che davvero importa nella mia vita, anche se non sempre tutto questo produrrà uno stato di cose positivo; alcune cose andranno male, ma io seguirò il consiglio dell’Apostolo: noli vinci a malo, sed vince in bono malumnon lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male[16], e per questo, malgrado tutto, il bene finirà per vincere: omnia in bonum!: tutto è per il bene!

Il Signore ha affidato alla Chiesa e a ogni cristiano una grande missione. È logico che abbiamo la sensazione che superi le nostre capacità e può anche succedere che, se ci pensiamo, alcune volte ci sentiamo avviliti, tanto è vero che, davanti a tanto lavoro, non sappiamo neppure da dove cominciare e abbiamo la tentazione di permettere che i nostri limiti ci blocchino.

La meditazione della scena che abbiamo considerato ci renderà nuovamente consapevoli che il Signore si aspetta che noi – come gli Apostoli – assumiamo la responsabilità di aiutare molte anime, dedicandoci a questo compito con tutte le nostre capacità. E si aspetta anche che cominciamo a fare quello che possiamo, senza lasciarci dominare dalla preoccupazione di non riuscire a concludere il lavoro. La scarsezza dei nostri pani e dei nostri pesci non dev’essere motivo sufficiente a impedire di fare in ogni momento ciò che dobbiamo fare: Dio provvederà. Così, anche se non ci sentiamo sicuri, staremo davvero vivendo di fede.


[1]Cfr. Mt 14, 13.

[2]Mt 14, 14.

[3]Mt 14, 15.

[4]Mt 14, 16.

[5]Cfr. Mc 6, 37; Gv 6, 7.

[6]Mc 6, 38.

[7]Ibid.

[8]Mt 14, 18.

[9]Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1335.

[10]Cfr. Es 16, 17-20.

[11]Mc 16, 15.

[12]Cfr. San Josemaría, Cammino, n. 301.

[13]San Josemaría, Forgia, n. 685.

[14]Cfr. Rm 8, 24.

[15]San Josemaría, Forgia, n. 659.

[16]Rm 12, 21.