Viaggio apostolico di papa Francesco a Malta

Il 2 e il 3 aprile 2022 il papa si è recato a Malta per un viaggio apostolico. In questo articolo sono raccolti i discorsi e le omelie di papa Francesco.

Sabato 2 aprile

Incontro con le Autorità e il Corpo Diplomatico
Incontro di preghiera

Domenica 3 aprile

- Visita alla Grotta di san Paolo
- Santa Messa
Angelus
- Incontro con i Migranti


Incontro con le Autorità e il Corpo Diplomatico

Vi saluto cordialmente e ringrazio il Signor Presidente per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti i cittadini. I vostri antenati diedero ospitalità all’Apostolo Paolo mentre era diretto a Roma, trattando lui e i suoi compagni di viaggio «con rara umanità» (At 28,2); ora, venendo da Roma, sperimento anch’io la calorosa accoglienza dei maltesi, tesoro che nel Paese si tramanda di generazione in generazione.

Per la sua posizione Malta può essere definita il cuore del Mediterraneo. Ma non solo per la posizione: l’intreccio di avvenimenti storici e l’incontro di popolazioni fanno da millenni di queste isole un centro di vitalità e di cultura, di spiritualità e di bellezza, un crocevia che ha saputo accogliere e armonizzare influssi provenienti da molte parti. Questa diversità di influssi fa pensare alla varietà dei venti che caratterizzano il Paese. Non a caso nelle antiche rappresentazioni cartografiche del Mediterraneo la rosa dei venti era spesso collocata vicino all’isola di Malta. Vorrei prendere in prestito proprio l’immagine della rosa dei venti, che posiziona le correnti d’aria in base ai quattro punti cardinali, per delineare quattro influssi essenziali per la vita sociale e politica di questo Paese.

È prevalentemente da nord-ovest che i venti soffiano sulle isole maltesi. Il nord richiama l’Europa, in particolare la casa dell’Unione Europea, edificata perché vi abiti una grande famiglia unita nel custodire la pace. Unità e pace sono i doni che il popolo maltese chiede a Dio ogni volta che intona l’inno nazionale. La preghiera scritta da Dun Karm Psaila recita infatti: «Dona, Dio Onnipotente, saggezza e misericordia a chi governa, salute a chi lavora, e assicura al popolo maltese unità e pace». La pace segue l’unità e sgorga da essa. Ciò richiama l’importanza di lavorare insieme, di anteporre la coesione a ogni divisione, di rinsaldare radici e valori condivisi che hanno forgiato l’unicità della società maltese.

Ma per garantire una buona convivenza sociale, non basta consolidare il senso di appartenenza; occorre rafforzare le fondamenta del vivere comune, che poggia sul diritto e sulla legalità. L’onestà, la giustizia, il senso del dovere e la trasparenza sono pilastri essenziali di una società civilmente progredita. L’impegno a rimuovere l’illegalità e la corruzione sia dunque forte, come il vento che, soffiando da nord, spazza le coste del Paese. E siano sempre coltivate la legalità e la trasparenza, che permettono di sradicare malvivenza e criminalità, accomunate dal fatto di non agire alla luce del sole.

La casa europea, che s’impegna nel promuovere i valori della giustizia e dell’equità sociale, è anche in prima linea per la salvaguardia della più ampia casa del creato. L’ambiente in cui viviamo è un regalo del cielo, come ancora riconosce l’inno nazionale, chiedendo a Dio di guardare la bellezza di questa terra, madre adornata della più alta luce. È vero, a Malta, dove la luminosità del paesaggio allevia le difficoltà, il creato appare come il dono che, fra le prove della storia e della vita, ricorda la bellezza di abitare la terra. Va perciò custodito dall’avidità vorace, dall’ingordigia del denaro e dalla speculazione edilizia, che non compromette solo il paesaggio, ma il futuro. Invece, la tutela dell’ambiente e la giustizia sociale preparano l’avvenire, e sono ottime vie per far appassionare i giovani alla buona politica, sottraendoli alle tentazioni del disinteresse e del disimpegno.

Il vento del nord si mescola spesso con quello che spira da ovest. Questo Paese europeo, in particolare nella sua gioventù, condivide infatti gli stili di vita e di pensiero occidentali. Da ciò derivano grandi beni – penso per esempio ai valori della libertà e della democrazia –, ma anche rischi su cui occorre vigilare, perché la brama del progresso non porti a staccarsi dalle radici. Malta è un meraviglioso “laboratorio di sviluppo organico”, dove progredire non significa tagliare le radici con il passato in nome di una falsa prosperità dettata dal profitto, dai bisogni indotti dal consumismo, oltre che dal diritto di avere qualsiasi diritto. Per uno sviluppo sano, è importante custodire la memoria e tessere con rispetto l’armonia tra le generazioni, senza lasciarsi assorbire da omologazioni artificiali e da colonizzazioni ideologiche, che spesso avvengono, per esempio, nel campo della vita, del principio della vita. Sono colonizzazioni ideologiche che vanno contro il diritto alla vita dal momento del concepimento.

Alla base di una crescita solida c’è la persona umana, il rispetto della vita e della dignità di ogni uomo e di ogni donna. Conosco l’impegno dei maltesi nell’abbracciare e proteggere la vita. Già negli Atti degli Apostoli vi distinguevate per salvare tanta gente. Vi incoraggio a continuare a difendere la vita dall’inizio fino al suo termine naturale, ma anche a custodirla in ogni momento dallo scarto e dalla trascuratezza. Penso specialmente alla dignità dei lavoratori, degli anziani e dei malati. E ai giovani, che rischiano di buttare via il bene immenso che sono, inseguendo miraggi che lasciano dentro tanto vuoto. È quello che provocano il consumismo esasperato, la chiusura alle necessità degli altri e la piaga della droga, che soffoca la libertà creando dipendenza. Proteggiamo la bellezza della vita!

Proseguendo nella rosa dei venti, guardiamo a sud. Da lì giungono tanti fratelli e sorelle in cerca di speranza. Vorrei ringraziare le Autorità e la popolazione per l’accoglienza loro riservata in nome del Vangelo, dell’umanità e del senso di ospitalità tipico dei maltesi. Secondo l’etimologia fenicia, Malta significa “porto sicuro”. Tuttavia, di fronte al crescente afflusso degli ultimi anni, timori e insicurezze hanno generato scoraggiamento e frustrazione. Per ben affrontare la complessa questione migratoria occorre situarla entro prospettive più ampie di tempo e di spazio. Di tempo: il fenomeno migratorio non è una circostanza del momento, ma segna la nostra epoca. Porta con sé i debiti di ingiustizie passate, di tanto sfruttamento, di cambiamenti climatici e di sventurati conflitti di cui si pagano le conseguenze. Dal sud povero e popolato masse di persone si spostano verso il nord più ricco: è un dato di fatto, che non si può respingere con anacronistiche chiusure, perché non vi saranno prosperità e integrazione nell’isolamento. C’è poi da considerare lo spazio: l’allargamento dell’emergenza migratoria – pensiamo ai rifugiati dalla martoriata Ucraina adesso – chiede risposte ampie e condivise. Non possono alcuni Paesi sobbarcarsi l’intero problema nell’indifferenza di altri! E non possono Paesi civili sancire per proprio interesse torbidi accordi con malviventi che schiavizzano le persone. Purtroppo questo succede. Il Mediterraneo ha bisogno di corresponsabilità europea, per diventare nuovamente teatro di solidarietà e non essere l’avamposto di un tragico naufragio di civiltà. Il mare nostrum non può diventare il cimitero più grande dell’Europa.

E a proposito di naufragio, penso a San Paolo, che nel corso della sua ultima traversata nel Mediterraneo giunse su queste coste in modo imprevisto e fu soccorso. Poi, morso da una vipera, fu giudicato un malvivente; poco dopo, invece, venne ritenuto una divinità per non averne subito conseguenze (cfr At 28,3-6). Tra le esagerazioni dei due estremi sfuggiva l’evidenza primaria: Paolo era un uomo, bisognoso di accoglienza. L’umanità viene prima di tutto e premia in tutto: lo insegna questo Paese, la cui storia ha beneficiato del disperato arrivo dell’apostolo naufrago. In nome del Vangelo che egli visse e predicò, allarghiamo il cuore e riscopriamo la bellezza di servire i bisognosi. Continuiamo su questa strada. Mentre oggi, nei confronti di chi attraversa il Mediterraneo in cerca di salvezza, prevalgono il timore e “la narrazione dell’invasione”, e l’obiettivo primario sembra essere la tutela ad ogni costo della propria sicurezza, aiutiamoci a non vedere il migrante come una minaccia e a non cedere alla tentazione di innalzare ponti levatoi e di erigere muri. L’altro non è un virus da cui difendersi, ma una persona da accogliere, e «l’ideale cristiano inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 88). Non lasciamo che l’indifferenza spenga il sogno di vivere insieme! Certo, accogliere costa fatica e richiede rinunce. Anche per San Paolo fu così: per mettersi in salvo fu prima necessario sacrificare i beni della nave (cfr At 27,38). Ma sono sante le rinunce fatte per un bene più grande, per la vita dell’uomo, che è il tesoro di Dio!

C’è, infine, il vento proveniente da est, che spesso soffia all’aurora. Omero lo chiamava “Euro” (Odissea V,379.423). Ma proprio dall’est Europa, dall’Oriente dove sorge prima la luce, sono giunte le tenebre della guerra. Pensavamo che invasioni di altri Paesi, brutali combattimenti nelle strade e minacce atomiche fossero ricordi oscuri di un passato lontano. Ma il vento gelido della guerra, che porta solo morte, distruzione e odio, si è abbattuto con prepotenza sulla vita di tanti e sulle giornate di tutti. E mentre ancora una volta qualche potente, tristemente rinchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalisti, provoca e fomenta conflitti, la gente comune avverte il bisogno di costruire un futuro che, o sarà insieme, o non sarà. Ora, nella notte della guerra che è calata sull’umanità, per favore, non facciamo svanire il sogno della pace.

Malta, che brilla di luce nel cuore del Mediterraneo, può ispirarci, perché è urgente ridare bellezza al volto dell’uomo, sfigurato dalla guerra. Una bella statua mediterranea risalente a secoli prima di Cristo raffigura la pace, Irene, come una donna che ha in braccio Pluto, la ricchezza. Ricorda che la pace genera benessere e la guerra solo povertà. E fa pensare il fatto che nella statua pace e ricchezza siano raffigurate come una mamma che tiene in braccio un bimbo. La tenerezza delle madri, che danno al mondo la vita, e la presenza delle donne sono l’alternativa vera alla logica scellerata del potere, che porta alla guerra. Di compassione e di cura abbiamo bisogno, non di visioni ideologiche e di populismi, che si nutrono di parole d’odio e non hanno a cuore la vita concreta del popolo, della gente comune.

Più di sessant’anni fa, a un mondo minacciato dalla distruzione, dove a dettare legge erano le contrapposizioni ideologiche e la ferrea logica degli schieramenti, dal bacino mediterraneo si levò una voce controcorrente, che all’esaltazione della propria parte oppose un sussulto profetico in nome della fraternità universale. Era la voce di Giorgio La Pira, che disse: «La congiuntura storica che viviamo, lo scontro di interessi e di ideologie che scuotono l’umanità in preda a un incredibile infantilismo, restituiscono al Mediterraneo una responsabilità capitale: definire di nuovo le norme di una Misura dove l’uomo lasciato al delirio e alla smisuratezza possa riconoscersi» (Intervento al Congresso Mediterraneo della Cultura, 19 febbraio 1960). Sono parole attuali; possiamo ripeterle perché hanno una grande attualità. Quanto ci serve una “misura umana” davanti all’aggressività infantile e distruttiva che ci minaccia, di fronte al rischio di una “guerra fredda allargata” che può soffocare la vita di interi popoli e generazioni! Quell’“infantilismo”, purtroppo, non è sparito. Riemerge prepotentemente nelle seduzioni dell’autocrazia, nei nuovi imperialismi, nell’aggressività diffusa, nell’incapacità di gettare ponti e di partire dai più poveri. Oggi è tanto difficile pensare con la logica della pace. Ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che anche stavolta è stato alimentato negli anni. Sì, la guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi. Ed è triste vedere come l’entusiasmo per la pace, sorto dopo la seconda guerra mondiale, si sia negli ultimi decenni affievolito, così come il cammino della comunità internazionale, con pochi potenti che vanno avanti per conto proprio, alla ricerca di spazi e zone d’influenza. E così non solo la pace, ma tante grandi questioni, come la lotta alla fame e alle disuguaglianze sono state di fatto derubricate dalle principali agende politiche.

Ma la soluzione alle crisi di ciascuno è prendersi cura di quelle di tutti, perché i problemi globali richiedono soluzioni globali. Aiutiamoci ad ascoltare la sete di pace della gente, lavoriamo per porre le basi di un dialogo sempre più allargato, ritorniamo a riunirci in conferenze internazionali per la pace, dove sia centrale il tema del disarmo, con lo sguardo rivolto alle generazioni che verranno! E gli ingenti fondi che continuano a essere destinati agli armamenti siano convertiti allo sviluppo, alla salute e alla nutrizione.

Guardando ancora ad est, vorrei infine rivolgere un pensiero al vicino Medio Oriente, che si riflette nella lingua di questo Paese, la quale si armonizza con altre, quasi a ricordare la capacità dei maltesi di generare benefiche convivenze, in una sorta di convivialità delle differenze. Di questo ha bisogno il Medio Oriente: il Libano, la Siria, lo Yemen e altri contesti dilaniati da problemi e violenza. Malta, cuore del Mediterraneo, continui a far pulsare il battito della speranza, la cura per la vita, l’accoglienza dell’altro, l’anelito di pace, con l’aiuto di Dio, il cui nome è pace.

Dio benedica Malta e Gozo!


Incontro di preghiera

Presso la croce di Gesù ci sono Maria e Giovanni. La Madre che ha dato alla luce il Figlio di Dio è addolorata per la sua morte mentre le tenebre avvolgono il mondo; il discepolo amato, che aveva lasciato tutto per seguirlo, ora è fermo ai piedi del Maestro crocifisso. Tutto sembra perduto, tutto sembra finito per sempre. E mentre prende su di sé le piaghe dell’umanità, Gesù prega: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46; Mc 15,34). Questa è anche la nostra preghiera nei momenti della vita segnati dalla sofferenza; è la preghiera che ogni giorno sale a Dio dal vostro cuore, Sandi e Domenico: grazie per la perseveranza del vostro amore, grazie per la vostra testimonianza di fede!

Eppure, l’ora di Gesù – che nel Vangelo di Giovanni è l’ora della morte sulla croce – non rappresenta la conclusione della storia, ma segna l’inizio di una vita nuova. Presso la croce, infatti, contempliamo l’amore misericordioso di Cristo, che spalanca le braccia verso di noi e, attraverso la sua morte, ci apre alla gioia della vita eterna. Dall’ora della fine si dischiude una vita che comincia; da quell’ora della morte inizia un’altra ora piena di vita: è il tempo della Chiesa che nasce. Da quella cellula originaria il Signore radunerà un popolo, che continuerà ad attraversare le strade impervie della storia, portando nel cuore la consolazione dello Spirito, con la quale asciugare le lacrime dell’umanità.

Fratelli e sorelle, da questo Santuario di Ta’ Pinu possiamo meditare insieme sul nuovo inizio che sgorga dall’ora di Gesù. Anche in questo luogo, prima dello splendido edificio che vediamo oggi, c’era solo una piccola cappella in stato di abbandono. Ne era stata disposta la demolizione: sembrava la fine. Ma una serie di eventi cambiarono il corso delle cose, come se il Signore volesse dire a questa popolazione: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata» (Is 62,4). Quella chiesetta è diventata il Santuario nazionale, meta di pellegrini e sorgente di vita nuova. Ce lo hai ricordato tu, Jennifer: qui molti affidano alla Madonna le loro sofferenze e le loro gioie, e tutti si sentono accolti. Qui venne pellegrino anche San Giovanni Paolo II, del quale oggi ricorre l’anniversario della morte. Un posto che sembrava perduto, ora rigenera fede e speranza nel Popolo di Dio.

Alla luce di questo, proviamo a cogliere anche per noi l’invito dell’ora di Gesù, di quell’ora della salvezza. Ci dice che, per rinnovare la nostra fede e la missione della comunità, siamo chiamati a ritornare a quell’inizio, alla Chiesa nascente che vediamo presso la croce in Maria e Giovanni. Ma che cosa significa ritornare a quell’inizio? Che cosa significa tornare alle origini?

Anzitutto, si tratta di riscoprire l’essenziale della fede. Tornare alla Chiesa delle origini non significa guardare all’indietro per copiare il modello ecclesiale della prima comunità cristiana. Non possiamo “saltare la storia”, come se il Signore non avesse parlato e operato grandi cose anche nella vita della Chiesa dei secoli successivi. Non significa nemmeno essere troppo idealisti, immaginando che in quella comunità non ci fossero difficoltà; al contrario, leggiamo che i discepoli discutono e arrivano persino a litigare tra di loro, e che non sempre comprendono gli insegnamenti del Signore. Piuttosto, tornare alle origini significa recuperare lo spirito della prima comunità cristiana, cioè ritornare al cuore e riscoprire il centro della fede: la relazione con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo al mondo intero. E questo è l’essenziale! Questa è la gioia della Chiesa: evangelizzare.

Vediamo infatti che, dopo l’ora della morte di Gesù, i primi discepoli, come Maria Maddalena e Giovanni, avendo visto la tomba vuota, senza perdere tempo, con il cuore trepidante, corrono per andare ad annunciare la buona notizia della Risurrezione. Il pianto di dolore presso la croce si trasforma nella gioia dell’annuncio. E penso anche agli Apostoli, di cui è scritto: «Ogni giorno, nel tempio e nelle case, non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo» (At 5,42). La principale preoccupazione dei discepoli di Gesù non era il prestigio della comunità e dei suoi ministri, non era l’influenza sociale, non era la ricercatezza del culto. No. L’inquietudine che li muoveva era l’annuncio e la testimonianza del Vangelo di Cristo (cfr Rm 1,1), perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.

Fratelli e sorelle, la Chiesa maltese vanta una storia preziosa da cui attingere tante ricchezze spirituali e pastorali. Tuttavia, la vita della Chiesa – ricordiamocelo sempre – non è mai solo “una storia passata da ricordare”, ma un “grande futuro da costruire”, docile ai progetti di Dio. Non può bastarci una fede fatta di usanze tramandate, di solenni celebrazioni, belle occasioni popolari, momenti forti ed emozionanti; abbiamo bisogno di una fede che si fonda e si rinnova nell’incontro personale con Cristo, nell’ascolto quotidiano della sua Parola, nella partecipazione attiva alla vita della Chiesa, nell’anima della pietà popolare.

La crisi della fede, l’apatia della pratica credente soprattutto nel dopo-pandemia e l’indifferenza di tanti giovani rispetto alla presenza di Dio non sono questioni che dobbiamo “addolcire”, pensando che tutto sommato un certo spirito religioso resista ancora, no. A volte, infatti, l’impalcatura può essere religiosa, ma dietro a quel vestito la fede invecchia. L’elegante guardaroba degli abiti religiosi, infatti, non sempre corrisponde a una fede vivace animata dal dinamismo dell’evangelizzazione. Occorre vigilare perché le pratiche religiose non si riducano alla ripetizione di un repertorio del passato, ma esprimano una fede viva, aperta, che diffonda la gioia del Vangelo, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.

So che avete iniziato, attraverso il Sinodo, un processo di rinnovamento: vi ringrazio per questo cammino. Fratelli, sorelle, questa è l’ora in cui tornare a quell’inizio, sotto la croce, guardando alla prima comunità cristiana. Per essere una Chiesa a cui stanno a cuore l’amicizia con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo, non la ricerca di spazi e attenzioni; una Chiesa che ha al centro la testimonianza e non qualche usanza religiosa; una Chiesa che desidera andare incontro a tutti con la lampada accesa del Vangelo e non essere un circolo chiuso. Non abbiate paura di intraprendere, come già fate, percorsi nuovi, magari anche rischiosi, di evangelizzazione e di annuncio, che toccano la vita, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.

Guardiamo ancora alle origini, a Maria e Giovanni sotto la croce. Alle sorgenti della Chiesa c’è il loro reciproco gesto di affidamento. Il Signore, infatti, affida ciascuno alle cure dell’altro: Giovanni a Maria e Maria a Giovanni, così che «da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,27). Ritornare all’inizio significa anche sviluppare l’arte dell’accoglienza. Tra le ultime parole di Gesù dalla croce, quelle rivolte alla Madre e a Giovanni esortano a fare dell’accoglienza lo stile perenne del discepolato. Non si trattò, infatti, di un semplice gesto di pietà, per cui Gesù affidò la mamma a Giovanni perché non rimanesse da sola dopo la sua morte, ma di un’indicazione concreta su come vivere il comandamento sommo, quello dell’amore. Il culto a Dio passa per la vicinanza al fratello.

E quanto è importante nella Chiesa l’amore tra i fratelli e l’accoglienza del prossimo! Il Signore ce lo ricorda nell’ora della croce, nella reciproca accoglienza di Maria e Giovanni, esortando la comunità cristiana di ogni tempo a non smarrire questa priorità. «Ecco tuo figlio», «ecco tua madre» (vv. 26.27); è come dire: siete salvati dallo stesso sangue, siete un’unica famiglia, dunque accoglietevi a vicenda, amatevi gli uni gli altri, curate le ferite gli uni degli altri. Senza sospetti, senza divisioni, dicerie, chiacchiere e diffidenze. Fratelli e sorelle, fate “sinodo”, cioè “camminate insieme”. Perché Dio è presente dove regna l’amore!

Carissimi, l’accoglienza reciproca, non per pura formalità ma in nome di Cristo, è una sfida permanente. Lo è anzitutto per le nostre relazioni ecclesiali, perché la nostra missione porta frutto se lavoriamo nell’amicizia e nella comunione fraterna. Siete due belle comunità, Malta e Gozo, Gozo e Malta – non so quale sia la più importante o quale la prima! –, proprio come due erano Maria e Giovanni! Le parole di Gesù sulla croce siano allora la vostra stella polare, per accogliervi a vicenda, creare familiarità, lavorare in comunione! E sempre andando avanti nell’evangelizzazione, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.

Ma l’accoglienza è anche la cartina di tornasole per verificare quanto effettivamente la Chiesa è permeata dallo spirito del Vangelo. Maria e Giovanni si accolgono non nel caldo rifugio del cenacolo, ma presso la croce, in quel luogo oscuro in cui si veniva condannati e crocifissi come malfattori. E anche noi, non possiamo accoglierci solo tra di noi, all’ombra delle nostre belle Chiese, mentre fuori tanti fratelli e sorelle soffrono e sono crocifissi dal dolore, dalla miseria, dalla povertà, dalla violenza. Vi trovate in una posizione geografica cruciale, che si affaccia sul Mediterraneo come polo di attrazione e approdo di salvezza per tante persone sballottate dalle tempeste della vita che, per motivi diversi, arrivano sulle vostre sponde. Nel volto di questi poveri è Cristo stesso che si presenta a voi. Questa è stata l’esperienza dell’Apostolo Paolo che, dopo un terribile naufragio, fu calorosamente accolto dai vostri antenati. Gli Atti degli Apostoli affermano: «Gli abitanti ci accolsero tutti attorno a un fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia e faceva freddo» (At 28,2).

Ecco il Vangelo che siamo chiamati a vivere: accogliere, essere esperti di umanità, accendere fuochi di tenerezza quando il freddo della vita incombe su coloro che soffrono. E anche in questo caso da un’esperienza drammatica nacque qualcosa di importante, perché Paolo annunciò e diffuse il Vangelo e, in seguito, tanti annunciatori, predicatori, sacerdoti e missionari seguirono le sue orme, spinti dallo Spirito Santo, per evangelizzare, per portare avanti la gioia della Chiesa che è evangelizzare. Vorrei dire un grazie speciale a loro, a questi evangelizzatori, ai numerosi missionari maltesi che diffondono nel mondo intero la gioia del Vangelo, ai tanti sacerdoti, alle religiose e ai religiosi e a tutti voi. Come ha detto il vostro vescovo, Mons. Teuma, siete un’isola piccola, ma dal cuore grande. Siete un tesoro nella Chiesa e per la Chiesa. Lo dico un’altra volta: siete un tesoro nella Chiesa e per la Chiesa. Per custodirlo, bisogna tornare all’essenza del cristianesimo: all’amore di Dio, motore della nostra gioia, che ci fa uscire e percorrere le strade del mondo; e all’accoglienza del prossimo, che è la nostra testimonianza più semplice e bella nel mondo, e così andare avanti percorrendo le strade del mondo, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.

Il Signore vi accompagni su questa via e la Vergine Santa vi guidi. Lei, che chiese di pregare tre “Ave Maria” per ricordarci del suo cuore materno, riaccenda in noi suoi figli il fuoco della missione e il desiderio di prenderci cura gli uni degli altri. La Madonna vi custodisca e vi accompagni nell’evangelizzazione.


Visita alla Grotta di san Paolo

Dio di misericordia,
nella tua mirabile provvidenza
hai voluto che l’Apostolo Paolo
annunciasse il tuo amore agli abitanti di Malta,
i quali non ti conoscevano ancora.
Egli ha proclamato loro la tua parola
e ha guarito le loro infermità.

Salvati dal naufragio,
San Paolo e i compagni di viaggio
trovarono qui ad accoglierli
gente pagana di buon cuore,
che li trattò con rara umanità,
rendendosi conto che avevano bisogno
di rifugio, di sicurezza e di assistenza.
Nessuno conosceva i loro nomi,
la provenienza o la condizione sociale;
sapevano soltanto una cosa:
che avevano bisogno di aiuto.

Non c’era tempo per le discussioni,
per i giudizi, le analisi e i calcoli:
era il momento di prestare soccorso;
lasciarono le loro occupazioni
e così fecero.

Accesero un gran fuoco,
e li fecero asciugare e riscaldare.
Li accolsero con cuore aperto
e, insieme con Publio,
primo nel governo e nella misericordia,
trovarono per loro un alloggio.

Padre buono,
concedi a noi la grazia di un buon cuore
che batta per amore dei fratelli.
Aiutaci a riconoscere da lontano i bisogni
di quanti lottano tra le onde del mare,
sbattuti sulle rocce di una riva sconosciuta.
Fa’ che la nostra compassione
non si esaurisca in parole vane,
ma accenda il falò dell’accoglienza,
che fa dimenticare il maltempo,
riscalda i cuori e li unisce:
focolare della casa costruita sulla roccia,
dell’unica famiglia dei tuoi figli,
sorelle e fratelli tutti.
Tu li ami senza distinzione
e vuoi che diventino una cosa sola
con il tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore,
per la potenza del fuoco mandato dal cielo,
il tuo Spirito Santo,
che brucia ogni inimicizia,
e nella notte illumina il cammino
verso il tuo regno di amore e di pace.

℟. Amen.

PREGHIERA NELLA BASILICA DI SAN PAOLO

O Dio, la tua misericordia è infinita
e inesauribile il tesoro della tua bontà:
accresci benigno la fede del popolo a Te consacrato,
perché tutti comprendano con sapienza
quale amore li ha creati,
quale Sangue li ha redenti,
quale Spirito li ha rigenerati.
Per Cristo nostro Signore.

℟. Amen.


Santa Messa

Gesù «al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui» (Gv 8,2). Così comincia l’episodio della donna adultera. Lo sfondo si presenta sereno: una mattinata nel luogo santo, al cuore di Gerusalemme. Protagonista è il popolo di Dio, che nel cortile del tempio cerca Gesù, il Maestro: desidera ascoltarlo, perché quello che Lui dice illumina e riscalda. Il suo insegnamento non ha nulla di astratto, tocca la vita e la libera, la trasforma, la rinnova. Ecco il “fiuto” del popolo di Dio, che non si accontenta del tempio fatto di pietre, ma si raduna attorno alla persona di Gesù. Si intravede in questa pagina il popolo dei credenti di ogni tempo, il popolo santo di Dio, che qui a Malta è numeroso e vivace, fedele nella ricerca del Signore, legato a una fede concreta, vissuta. Vi ringrazio per questo.

Davanti al popolo che accorre a Lui, Gesù non ha fretta: «Sedette – dice il Vangelo – e si mise a insegnare loro» (v. 2). Ma alla scuola di Gesù ci sono dei posti vuoti. Ci sono degli assenti: sono la donna e i suoi accusatori. Non si sono recati come gli altri dal Maestro, e le ragioni della loro assenza sono diverse: scribi e farisei pensano di sapere già tutto, di non aver bisogno dell’insegnamento di Gesù; la donna, invece, è una persona smarrita, finita fuori strada cercando la felicità per vie sbagliate. Assenze dunque dovute a motivazioni differenti, come diverso è l’esito della loro vicenda. Soffermiamoci su questi assenti.

Anzitutto sugli accusatori della donna. In loro vediamo l’immagine di coloro che si vantano di essere giusti, osservanti della legge di Dio, persone a posto e perbene. Non badano ai propri difetti, ma sono attentissimi a scovare quelli degli altri. Così vanno da Gesù: non a cuore aperto per ascoltarlo, ma «per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (v. 6). È un intento che fotografa l’interiorità di queste persone colte e religiose, che conoscono le Scritture, frequentano il tempio, ma subordinano tutto ai propri interessi e non combattono contro i pensieri malevoli che si agitano nel loro cuore. Agli occhi della gente sembrano esperti di Dio, ma proprio loro non riconoscono Gesù, anzi lo vedono come un nemico da far fuori. Per farlo, gli mettono davanti una persona, come se fosse una cosa, chiamandola con disprezzo «questa donna» e denunciando pubblicamente il suo adulterio. Premono perché la donna sia lapidata, riversando contro di lei l’avversione che loro hanno per la compassione di Gesù. E fanno tutto questo sotto il manto della loro fama di uomini religiosi.

Fratelli e sorelle, questi personaggi ci dicono che anche nella nostra religiosità possono insinuarsi il tarlo dell’ipocrisia e il vizio di puntare il dito. In ogni tempo, in ogni comunità. C’è sempre il pericolo di fraintendere Gesù, di averne il nome sulle labbra ma di smentirlo nei fatti. E lo si può fare anche innalzando vessilli con la croce. Come verificare allora se siamo discepoli alla scuola del Maestro? Dal nostro sguardo, da come guardiamo al prossimo e da come guardiamo a noi stessi. Questo è il punto per definire la nostra appartenenza.

Da come guardiamo al prossimo: se lo facciamo come Gesù ci mostra oggi, cioè con uno sguardo di misericordia, oppure in modo giudicante, a volte persino sprezzante, come gli accusatori del Vangelo, che si ergono a paladini di Dio ma non si accorgono di calpestare i fratelli. In realtà, chi crede di difendere la fede puntando il dito contro gli altri avrà pure una visione religiosa, ma non sposa lo spirito del Vangelo, perché dimentica la misericordia, che è il cuore di Dio.

Per capire se siamo veri discepoli del Maestro, occorre anche verificare come guardiamo a noi stessi. Gli accusatori della donna sono convinti di non avere nulla da imparare. In effetti il loro apparato esterno è perfetto, ma manca la verità del cuore. Sono il ritratto di quei credenti che, in ogni tempo, fanno della fede un elemento di facciata, dove ciò che risalta è l’esteriorità solenne, ma manca la povertà interiore, che è il tesoro più prezioso dell’uomo. Infatti, per Gesù quello che conta è l’apertura disponibile di chi non si sente arrivato, bensì bisognoso di salvezza. Ci fa bene allora, quando stiamo in preghiera e anche quando partecipiamo a belle funzioni religiose, chiederci se siamo sintonizzati con il Signore. Possiamo chiederlo direttamente a Lui: “Gesù, sono qui con Te, ma Tu che cosa vuoi da me? Cosa vuoi che cambi nel mio cuore, nella mia vita? Come vuoi che veda gli altri?”. Ci farà bene pregare così, perché il Maestro non si accontenta dell’apparenza, ma cerca la verità del cuore. E quando gli apriamo il cuore nella verità, può compiere prodigi in noi.

Lo vediamo nella donna adultera. La sua situazione sembra compromessa, ma ai suoi occhi si apre un orizzonte nuovo, impensabile prima. Ricoperta di insulti, pronta a ricevere parole implacabili e castighi severi, con stupore si vede assolta da Dio, che le spalanca davanti un futuro inatteso: «Nessuno ti ha condannata? – le dice Gesù – Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (vv. 10.11). Che differenza tra il Maestro e gli accusatori! Quelli avevano citato la Scrittura per condannare; Gesù, la Parola di Dio in persona, riabilita completamente la donna, restituendole speranza. Da questa vicenda impariamo che ogni osservazione, se non è mossa dalla carità e non contiene carità, affossa ulteriormente chi la riceve. Dio, invece, lascia sempre aperta una possibilità e sa trovare ogni volta vie di liberazione e di salvezza.

La vita di quella donna cambia grazie al perdono. Si sono incontrati la Misericordia e la miseria. Misericordia e miseria sono lì. E la donna cambia. Viene persino da pensare che, perdonata da Gesù, abbia imparato a sua volta a perdonare. Magari avrà visto nei suoi accusatori non più delle persone rigide e malvagie, ma coloro che le hanno permesso di incontrare Gesù. Il Signore desidera che anche noi suoi discepoli, noi come Chiesa, perdonati da Lui, diventiamo testimoni instancabili di riconciliazione: testimoni di un Dio per il quale non esiste la parola “irrecuperabile”; di un Dio che sempre perdona, sempre. Dio sempre perdona. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono. Un Dio che continua a credere in noi e dà ogni volta la possibilità di ricominciare. Non c’è peccato o fallimento che, portato a Lui, non possa diventare un’occasione per iniziare una vita nuova, diversa, nel segno della misericordia. Non c’è peccato che non possa andare su questa strada. Dio perdona tutto. Tutto.

Questo è il Signore Gesù. Lo conosce veramente chi fa esperienza del suo perdono. Chi, come la donna del Vangelo, scopre che Dio ci visita attraverso le nostre piaghe interiori. Proprio lì il Signore ama farsi presente, perché è venuto non per i sani ma per i malati (cfr Mt 9,12). E oggi è questa donna, che ha conosciuto la misericordia nella sua miseria e che va nel mondo risanata dal perdono di Gesù, a suggerirci, come Chiesa, di rimetterci da capo alla scuola del Vangelo, alla scuola del Dio della speranza che sempre sorprende. Se lo imitiamo, non saremo portati a concentrarci sulla denuncia dei peccati, ma a metterci con amore alla ricerca dei peccatori. Non staremo a contare i presenti, ma andremo in cerca degli assenti. Non torneremo a puntare il dito, ma inizieremo a porci in ascolto. Non scarteremo i disprezzati, ma guarderemo come primi coloro che sono considerati ultimi. Questo, fratelli e sorelle, ci insegna oggi Gesù con l’esempio. Lasciamoci stupire da Lui e accogliamo con gioia la sua novità.


Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Sono grato per le parole che Mons. Scicluna mi ha rivolto a nome vostro. Ma sono io che dico a voi: Grazzi! [Grazie!]

Vorrei esprimere la mia riconoscenza al Signor Presidente della Repubblica e alle Autorità, ai miei Fratelli vescovi, a voi, cari sacerdoti, religiosi e religiose, e a tutti i cittadini e i fedeli di Malta e di Gozo per l’accoglienza e l’affetto ricevuti. Questa sera, dopo aver incontrato diversi fratelli e sorelle migranti, sarà già ora di fare ritorno a Roma, ma porterò con me molti momenti e parole di questi giorni. Tanti gesti. Soprattutto conserverò nel cuore tanti volti, e il volto luminoso di Malta! Ringrazio anche coloro che hanno lavorato per questa visita; e vorrei salutare cordialmente i fratelli e le sorelle di varie confessioni cristiane e religioni che ho incontrato. A tutti chiedo di pregare per me; io lo farò per voi. Preghiamo a vicenda!

In queste isole si respira il senso del Popolo di Dio. Andate avanti così, ricordando che la fede cresce nella gioia e si rafforza nel dono. Proseguite la catena di santità che ha portato tanti maltesi a donarsi con entusiasmo a Dio e agli altri. Penso a Dun Ġorġ Preca, canonizzato quindici anni fa. E vorrei infine rivolgere una parola ai giovani, che sono il vostro avvenire. Cari amici giovani, condivido con voi la cosa più bella della vita. Sapete qual è? È la gioia di spendersi nell’amore, che ci fa liberi. Ma questa gioia ha un nome: Gesù. Vi auguro la bellezza di innamorarvi di Gesù, che è Dio della misericordia – lo abbiamo sentito oggi nel Vangelo –, che crede in voi, sogna con voi, ama le vostre vite e non vi deluderà mai. E per andare avanti sempre con Gesù anche con la famiglia, con il popolo di Dio, non dimenticatevi delle radici. Parlate con i vecchi, parlate con i nonni, parlate con gli anziani!

Il Signore vi accompagni e la Madonna vi custodisca. La preghiamo ora per la pace, pensando alla tragedia umanitaria della martoriata Ucraina, ancora sotto i bombardamenti di questa guerra sacrilega. Non stanchiamoci di pregare e di aiutare chi soffre. La pace sia con voi!


Incontro con i Migranti

Cari fratelli e sorelle!

Vi saluto tutti con affetto; sono contento di concludere la mia visita a Malta stando un po’ con voi. Ringrazio Padre Dionisio per la sua accoglienza; e soprattutto sono grato a Daniel e a Siriman per le loro testimonianze: ci avete aperto il vostro cuore e la vostra vita, e nello stesso tempo vi siete fatti portavoce di tanti fratelli e sorelle, costretti a lasciare la patria per cercare un rifugio sicuro.

Come dicevo qualche mese fa a Lesbo, «sono qui per dirvi che vi sono vicino… Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi» (Discorso a Mytilene, 5 dicembre 2021). Dal giorno in cui andai a Lampedusa, non vi ho mai dimenticato. Vi porto sempre nel cuore e siete sempre presenti nelle mie preghiere.

In questo incontro con voi migranti emerge pienamente il significato del motto del mio viaggio a Malta. È una citazione degli Atti degli Apostoli che dice: «Ci trattarono con rara umanità» (28,2). Si riferisce al modo in cui i maltesi accolsero l’Apostolo Paolo e tutti quelli che insieme a lui erano naufragati nei pressi dell’Isola. Li trattarono “con rara umanità”. Non solo con umanità, ma con una umanità non comune, una premura speciale, che San Luca ha voluto immortalare nel libro degli Atti. Auguro a Malta di trattare sempre in questo modo quanti approdano alle sue coste, di essere davvero per loro un “porto sicuro”.

Quella del naufragio è un’esperienza che migliaia di uomini, donne e bambini hanno fatto in questi anni nel Mediterraneo. E purtroppo per molti di loro è stata tragica. Proprio ieri si è appresa la notizia di un salvataggio avvenuto al largo della Libia, di soli quattro migranti di un’imbarcazione che ne conteneva circa novanta. Preghiamo per questi nostri fratelli che hanno trovato la morte nel nostro Mare Mediterraneo. E preghiamo anche per essere salvati da un altro naufragio che si consuma mentre succedono questi fatti: è il naufragio della civiltà, che minaccia non solo i profughi, ma tutti noi. Come possiamo salvarci da questo naufragio che rischia di far affondare la nave della nostra civiltà? Comportandoci con umanità. Guardando le persone non come dei numeri, ma per quello che sono – come ci ha detto Siriman –, cioè dei volti, delle storie, semplicemente uomini e donne, fratelli e sorelle. E pensando che al posto di quella persona che vedo su un barcone o in mare alla televisione, o in una foto, al posto suo potrei esserci io, o mio figlio, o mia figlia… Forse anche in questo momento, mentre siamo qui, dei barconi stanno attraversando il mare da sud a nord… Preghiamo per questi fratelli e sorelle che rischiano la vita nel mare in cerca di speranza. Anche voi avete vissuto questo dramma, e siete arrivati qui.

Le vostre storie fanno pensare a quelle di migliaia e migliaia di persone che nei giorni scorsi sono state costrette a fuggire dall’Ucraina a causa di quella guerra ingiusta e selvaggia. Ma anche a quelle di tanti altri uomini e donne che, alla ricerca di un luogo sicuro, si sono visti obbligati a lasciare la propria casa e la propria terra in Asia, in Africa e nelle Americhe, penso ai Rohingya… A tutti loro vanno il mio pensiero e la mia preghiera in questo momento.

Qualche tempo fa avevo ricevuto da questo vostro Centro un’altra testimonianza: la storia di un giovane che raccontava il momento doloroso in cui aveva dovuto lasciare sua madre e la sua famiglia di origine. Questo mi aveva commosso e fatto riflettere. Ma anche tu Daniel, anche tu Siriman, e ognuno di voi ha vissuto questa esperienza di partire staccandosi dalle proprie radici. È uno strappo. Uno strappo che lascia il segno. Non solo un dolore momentaneo, emotivo. Lascia una ferita profonda nel cammino di crescita di un giovane, di una giovane. Ci vuole tempo per risanare questa ferita; ci vuole tempo e soprattutto ci vogliono esperienze ricche di umanità: incontrare persone accoglienti, che sanno ascoltare, comprendere, accompagnare; e anche stare insieme ad altri compagni di viaggio, per condividere, per portare insieme il peso… Questo aiuta a rimarginare le ferite.

Penso ai centri di accoglienza: quanto è importante che siano luoghi di umanità! Sappiamo che è difficile, ci sono tanti fattori che alimentano tensioni e rigidità. E tuttavia, in ogni continente, ci sono persone e comunità che accettano la sfida, consapevoli che la realtà delle migrazioni è un segno dei tempi dove è in gioco la civiltà. E per noi cristiani è in gioco anche la fedeltà al Vangelo di Gesù, che ha detto «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Questo non si crea in un giorno! Ci vuole tempo, ci vuole tanta pazienza, ci vuole soprattutto un amore fatto di vicinanza, di tenerezza e di compassione, come è l’amore di Dio per noi. Penso che dobbiamo dire un grande “grazie” a chi ha accettato tale sfida qui a Malta e ha dato vita a questo Centro. Lo facciamo con un applauso, tutti insieme!

Permettetemi, fratelli e sorelle, di esprimere un mio sogno. Che voi migranti, dopo aver sperimentato un’accoglienza ricca di umanità e di fraternità, possiate diventare in prima persona testimoni e animatori di accoglienza e di fraternità. Qui e dove Dio vorrà, dove la Provvidenza guiderà i vostri passi. Questo è il sogno che desidero condividere con voi e che metto nelle mani di Dio. Perché ciò che è impossibile a noi non è impossibile a Lui. Ritengo molto importante che nel mondo di oggi i migranti diventino testimoni dei valori umani essenziali per una vita dignitosa e fraterna. Sono valori che voi portate dentro, che appartengono alle vostre radici. Una volta rimarginata la ferita dello strappo, dello sradicamento, voi potete far emergere questa ricchezza che portate dentro, un patrimonio di umanità preziosissimo, e metterla in comune con le comunità nelle quali siete accolti e negli ambienti dove vi inserite. Questa è la strada! La strada della fraternità e dell’amicizia sociale. Qui c’è il futuro della famiglia umana in un mondo globalizzato. Sono contento di poter condividere oggi questo sogno con voi, così come voi, nelle vostre testimonianze, condividete i vostri sogni con me!

Mi pare che qui ci sia anche la risposta alla questione che sta al centro della tua testimonianza, Siriman. Tu ci hai ricordato che chi deve lasciare il proprio Paese parte con un sogno nel cuore: il sogno della libertà e della democrazia. Questo sogno si scontra con una realtà dura, spesso pericolosa, a volte terribile, disumana. Tu hai dato voce all’appello soffocato di milioni di migranti i cui diritti fondamentali sono violati, purtroppo a volte con la complicità delle autorità competenti. E questo è così, e questo voglio dirlo così: purtroppo a volte con la complicità delle autorità competenti. E hai richiamato l’attenzione sul punto-chiave: la dignità della persona. Lo ribadisco con le tue parole: voi non siete numeri, ma persone in carne e ossa, volti, sogni a volte infranti.

Da questo si può e si deve ripartire: dalle persone e dalla loro dignità. Non lasciamoci ingannare da chi dice: “Non c’è niente da fare”, “sono problemi più grandi di noi”, “io faccio gli affari miei, e gli altri che si arrangino”. No. Non cadiamo in questa trappola. Rispondiamo alla sfida dei migranti e dei rifugiati con lo stile dell’umanità, accendiamo fuochi di fraternità, intorno ai quali le persone possano riscaldarsi, risollevarsi, riaccendere la speranza. Rafforziamo il tessuto dell’amicizia sociale e la cultura dell’incontro, partendo da luoghi come questo, che certamente non saranno perfetti, ma sono “laboratori di pace”.

E poiché questo Centro porta il nome del Papa San Giovanni XXIII, mi piace ricordare quello che egli scrisse alla fine della sua memorabile Enciclica sulla pace: «Allontani [il Signore] dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo – la pace –; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace» (Pacem in terris, 91).

Cari fratelli e sorelle, fra poco, assieme ad alcuni di voi, accenderò una candela davanti all’immagine della Madonna. Un gesto semplice, ma con un grande significato. Nella tradizione cristiana, quella piccola fiammella è simbolo della fede in Dio. Ed è anche simbolo della speranza, una speranza che Maria, nostra Madre, sostiene nei momenti più difficili. È la speranza che ho visto oggi nei vostri occhi, che ha dato senso al vostro viaggio e vi fa andare avanti. La Madonna vi aiuti a non perdere mai questa speranza! A Lei affido ciascuno di voi e le vostre famiglie, e vi porto con me nel mio cuore e nella mia preghiera. E anche voi, mi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

PREGHIERA AL TERMINE DELL’INCONTRO CON I MIGRANTI

Signore Dio, creatore dell’universo,
sorgente di libertà e di pace,
di amore e di fraternità,
Tu ci hai creato a tua immagine
e hai infuso in tutti noi il tuo soffio vitale,
per farci partecipi del tuo essere in comunione.
Anche quando abbiamo infranto la tua alleanza
Tu non ci hai abbandonato in potere della morte
ma nella tua infinita misericordia
sempre ci hai chiamato a ritornare a Te
e a vivere come tuoi figli.
Infondi in noi il tuo Santo Spirito
e donaci un cuore nuovo,
capace di ascoltare il grido, spesso silenzioso,
dei nostri fratelli e sorelle che hanno perduto
il calore della casa e della patria.
Fa’ che possiamo donare loro speranza
con sguardi e gesti di umanità.
Fa’ di noi strumenti di pace
e di concreto amore fraterno.
Liberaci dalle paure e dai pregiudizi,
per fare nostre le loro sofferenze
e lottare insieme contro l’ingiustizia;
perché cresca un mondo in cui ogni persona
sia rispettata nella sua inviolabile dignità,
quella che Tu, o Padre, hai posto in noi
e il tuo Figlio ha consacrato per sempre.

Amen.


Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana