Un sacerdote, un padre

All’alba del 23 marzo 1994, poche ore dopo il ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, è morto Álvaro del Portillo. L'Osservatore Romano ha pubblicato il 25 marzo questo articolo di mons. Javier Echevarría, che aveva accompagnato don Alvaro in questo viaggio.

Mons. Javier Echevarría, prelato dell'Opus Dei.

«Ieri notte un collasso cardiocircolatorio ha troncato la vita di S.E. Mons. Álvaro del Portillo, Prelato dell’Opus Dei. Mi aveva chiamato poco prima delle 4, comunicandomi l’improvviso malessere: mentre il medico gli prestava le cure necessarie, io stesso gli ho impartito gli ultimi sacramenti, secondo un suo esplicito desiderio.

Lo sguardo è velato dalle lacrime, ma sale dal cuore un sentito atto di ringraziamento: le circostanze che hanno accompagnato il suo transito al Cielo recano infatti il segno di un’ultima carezza paterna di Dio. La sera stessa eravamo rientrati da un pellegrinaggio in Terra Santa: una settimana di intensa preghiera, durante la quale ha potuto ripercorrere in commosso raccoglimento i passi di Gesù. Nel corso del viaggio ha tenuto incontri pastorali con numerosi fedeli, esortandoli a farsi promotori di pace: la pace sociale è conseguenza della pace interiore, che scaturisce dalla corrispondenza personale alla grazia divina, dalla lotta di ciascuno contro le tracce di peccato che portiamo in noi.

Ieri aveva celebrato la Santa Messa per l’ultima volta a Gerusalemme, nel Cenacolo. E proprio ieri sera era tornato a Roma: quando il Signore lo ha chiamato a Sé, un gruppo di suoi figli gli stava accanto. Le lacrime sono preghiera. E, nella preghiera, dolore e consolazione si incontrano e si confondono.

Ma la preghiera oggi è anche rivolta a supplicare da Dio la grazia di aiutarci a raccogliere l’eredità lasciataci da Mons. del Portillo. Tutta la sua vita è stata un continuo atto di fedeltà al messaggio spirituale di san Josemaría Escrivá. Qui la radice della fecondità con cui il Signore ha benedetto il lavoro di questo suo Servo da quando, nel 1935, era entrato ventunenne a far parte dell’Opus Dei.

Mons. Álvaro del Portillo ha celebrato la sua ultima Messa a Gerusalemme.

Nel mese di maggio del 1939, poco dopo la fine della guerra civile spagnola, san Josemaría Escrivá gli scriveva queste parole: «Com’è bianco il cammino —lungo— che ti resta da percorrere! Bianco e pieno di frutti, come un campo maturo. Benedetta fecondità d’apostolo, più bella di tutte le meraviglie della terra! »

Dopo la fine delle ostilità, seguirono in rapida successione la ripresa stabile delle attività apostoliche dell’Opus Dei in tutto il Paese, la laurea in ingegneria, l’inizio dell’attività professionale e, soprattutto, la stretta collaborazione con il Fondatore nel governo dell’Opus Dei: quasi quarant’anni vissuti insieme, gomito a gomito, giorno dopo giorno, e che sono stati una scuola continua di unione con Dio, di preghiera ininterrotta, di dedizione alle anime, di amore alla Croce, di un sacerdozio vissuto fin nelle fibre più riposte del cuore.

S.E. Mons. Álvaro del Portillo fu uno dei tre primi membri dell’Opus Dei a venir ordinato sacerdote il 25 giugno 1944. Fra pochi mesi avrebbe celebrato il giubileo sacerdotale. Le attese, espresse da san Josemaría in quella lettera, si sono compiute: una sequenza meravigliosa di grazie che mi sembra doveroso ricordare. Dio è fedele alle sue promesse. Ogni sacerdote, anche se si trova per il ministero nel villaggio più sperduto, è testimone della fecondità che promana dal sacerdozio di Cristo: frutti per lo più invisibili agli occhi degli uomini, non traducibili in dati statistici, ma la cui consistenza ha la durata dell’eternità. Frutti di grazia, di fedeltà all’impegno cristiano, di pace, di comprensione e di perdono, di generosità e di sacrificio, di dolore trasfigurato in amore.

Cristo è vivo nella sua Chiesa ed agisce attraverso la voce del sacerdote e le sue mani consacrate. La grazia, che fluisce dai sacramenti e dall’annuncio coraggioso e fedele della Parola, incessantemente rinnova i miracoli evangelici: “Anche adesso viene ridata la vista ai ciechi, a persone che avevano perso la capacità di guardare il cielo e di contemplare le meraviglie di Dio; si dà libertà agli zoppi e agli storpi che si trovavano paralizzati dalle proprie passioni, con un cuore che non sapeva più amare; si ridà l’udito ai sordi che non volevano più saperne di Dio; si riesce a far parlare i muti, che avevano la lingua impedita perché non volevano confessare le proprie sconfitte; e si risuscitano i morti, coloro nei quali il peccato aveva spento la vita” (Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, n. 131). Dispensatore dei misteri divini, il sacerdote fedele ascolta echeggiare nell’intimo della propria anima le parole di Gesù: «Rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10, 20). Io sono testimone dei prodigi operati da Dio attraverso il ministero di Mons. del Portillo; perciò non esito a credere che il Signore lo abbia accolto nella sua gloria.

Durante il pellegrinaggio in Terra Santa.

Rileggo quello che ho scritto finora e vedo che le parole “fedele” e “fedeltà” sono le più ricorrenti: un’imperfezione stilistica che non intendo emendare, perché traccia il ritratto per me più pertinente della personalità di S.E. Álvaro del Portillo. Con lui ho condiviso la certezza che san Josemaría Escrivá fu lo strumento scelto da Dio per una missione provvidenziale per la vita della Chiesa ed in lui, in quarantaquattro anni di collaborazione, ho percepito la conseguenza coerente di tale convinzione: sempre, ma soprattutto dal 15 settembre 1975, quando, alla prima votazione e all’unanimità, fu designato a succedergli alla guida dell’Opus Dei, ha deciso di essere soltanto l’ombra del Fondatore. In questa fedeltà senza smanie di aggiornare ciò che, come il Vangelo, è perennemente attuale (del resto, fu lo stesso san Josemaría a scrivere che, nelle cose di Dio, aggiornamento significa soprattutto fedeltà) sta la causa della fecondità che ha scandito la traiettoria della sua vita di sacerdote.

Tracce di questa fecondità sacerdotale? Anzitutto i servigi resi alla Santa Sede, con instancabile assiduità e sempre in esemplare adesione al Papa: dall’opera prestata in numerose Commissioni conciliari, che lo videro fra i periti più attivi del Vaticano II, al lavoro come Consultore di svariate Congregazioni (Dottrina della Fede, Cause dei Santi, Clero, Religiosi, ecc.), Commissioni e Consigli Pontifici. In lui appariva tangibile l’aspirazione di san Josemaría Escrivá: “servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita”.

Dal giorno della sua elezione a successore del Fondatore sono trascorsi quasi 19 anni: in questo periodo hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale quasi 800 membri della Prelatura, desiderosi con tutto il cuore di servire la Chiesa. L’Opus Dei ha iniziato in modo stabile la propria attività apostolica in 20 nuovi paesi. Dal continente americano (Honduras, Nicaragua, Trinidad-Tobago, Repubblica Dominicana) all’Europa (Svezia, Finlandia, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), dall’Africa (Zaire, Costa d’Avorio, Camerun) all’Asia (India, Taiwan, Macao, Hong Kong, Singapore), dall’Oceania (Nuova Zelanda) fino a Gerusalemme: il suo impulso pastorale, sulla scia del dinamismo evangelizzatore al quale il Santo Padre Giovanni Paolo II sta richiamando tutta la Chiesa, ha dischiuso al messaggio dell’Opus Dei, la proclamazione della vocazione universale alla santità e del valore santificante del lavoro ordinario, orizzonti inesplorati.

Ovunque, iniziative sociali di grande rilievo, scandite sempre da ciò che costituisce la responsabilità prima e la cura preminente della sollecitudine dei Pastori: frutti spirituali di salvezza. Alcune di queste iniziative spiccano per la loro incidenza nella soluzione dei problemi locali in cui si inseriscono: nuove università in paesi impegnati nella formazione di quadri dirigenti capaci di contribuire a promuovere uno sviluppo omogeneo e rispettoso della dignità dell’uomo, opere educative e assistenziali in favore di aree e popolazioni particolarmente depresse, specie in America Latina ed in Africa. Non mancano traguardi dal sapore di vere e proprie pietre miliari nella storia dell’Opus Dei, perché rappresentano il compimento di progetti per i quali san Josemaría aveva operato di persona, con la preghiera ed il lavoro, per anni, come l’erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale. Nell’apertura dell’Ateneo Romano della Santa Croce si palpa l’eredità dello zelo del Fondatore nel prodigare le migliori energie al servizio della Chiesa, per la formazione di sacerdoti esemplari nella dottrina e nella vita spirituale.

17 maggio 1992, giorno della beatificazione di Josemaría Escrivá

Lo spirito cui S.E. Mons. Álvaro del Portillo ha voluto ispirare la propria missione di Prelato dell’Opus Dei si è venuto a condensare in modo particolare nella beatificazione del Fondatore. In quel giorno indimenticabile si è palesata ai nostri occhi la vera sostanza della fecondità di cui ho parlato: una fiumana di persone a testimoniare, in impressionante raccoglimento, che l’identità del cristiano sta nella ricerca di Dio, nella sete di santità, nell’amore alla Chiesa e al Papa.

E una folla di fedeli sta confluendo in queste ore nella Chiesa prelatizia dell’Opus Dei a pregare dinanzi alle spoglie mortali di Mons. del Portillo: nei loro occhi si legge commozione, affetto, gratitudine. Ripercorrendo ciò che egli ci ha insegnato in questi anni, posso affermare che oggi non si chiude una tappa della storia dell’Opus Dei e non si apre una fase nuova: prosegue, nella certezza di poter contare su un nuovo intercessore, la tappa della continuità, della fedeltà all’eredità spirituale di san Josemaría Escrivá.