Testimonianza di Assunta Scorpiniti

San Josemaría e le donne nell’Opus Dei, a partire dal libro di Michele Dolz “Mia madre la Chiesa”, ed. San Paolo.

'La Calabria di Escrivá' di Assunta Scorpiniti.

“Mia madre la Chiesa. Vita di san Josemaría Escrivá”, di Michele Dolz è un libro importante e necessario alla conoscenza di san Josemaría Escrivá, dell’Opus Dei e del messaggio che l’ha portata nel cuore di 85 mila fedeli sparsi nei cinque continenti. 

Andrea Galli su “Avvenire” l’ha opportunamente definito “stimolante biografia divulgativa”, che, a mio avviso, costituisce il naturale sviluppo, o, se vogliamo, un approfondimento, una riscrittura, con l’aggiunta di ulteriori pregi, elementi informativi, di riflessione e letterari, della biografia ufficiale della canonizzazione di san Josemaría Escrivá; di un santo, ha affermato Giovanni Paolo II nell’omelia di quel giorno radioso, che ha lasciato al mondo un’eredità ascetica e missionaria esigente, e quella cosa, che come lui stesso definiva “straordinaria”: l’ordinario fatto con perfezione.

'La Calabria di Escrivá' di Assunta Scorpiniti.

Era quel volumetto, sempre di Michele Dolz, pubblicato dall’Ares proprio nell’occasione del 6 ottobre 2002, il libro che accompagnava la mia partenza per il “viaggio nel viaggio” sulle tracce di quello compiuto dal fondatore dell’Opus Dei in Calabria nel 1948, da cui è scaturito il mio libro “La Calabria di Escrivá”, che ho pubblicato con la casa editrice cosentina “Progetto 2000”. Il giorno era il 17 maggio 2004, che, casualmente, coincideva con l’anniversario della beatificazione, e io cominciavo a conoscere l’Opus Dei e il suo fondatore.

Il libro di questo sacerdote e scrittore spagnolo trapiantato da anni in Italia, ripercorre la vita di san Josemaría, dalla fondazione dell’Opus Dei fino alla morte, dopo un attento esame delle opere già pubblicate oltre che di documenti e fonti messe a disposizione dall’Opus Dei. 

Nel racconto, costruito su istantanee, episodi, curiosità e fondato sulla verità della grande storia quanto di piccole storie aventi il valore prezioso della testimonianza, pare specchiarsi il mio; quello, cioè, che, a partire dal viaggio del santo in Calabria, avvenuto nel 1948, propone un percorso ideale, di costruzione di un mondo di fede e spiritualità  tutto sotteso all’adesione al suo messaggio. 

 

Ritengo, tuttavia, di poter dare un’interpretazione specifica, o, per meglio dire, offrire la chiave di lettura di un preciso aspetto del libro e, più in generale,  della vita di san Josemaría Escrivá e dell’Opera di Dio: la presenza femminile. 

Parto dal titolo del libro. “Mia madre la Chiesa”.E’ un tema che mi è caro; molti miei studi e racconti della Calabria sono “abitati” dalle donne (quella “storia minore”…): le donne in emigrazione; le donne dei paesi e delle società tradizionali; le immigrate; le donne delle letterature e, ultimamente, le donne del mare…

Vi propongo questa considerazione che già è stata sottolineata, perché credo che sia molto importante insistere e riflettere su questo punto, anche per i pregiudizi che sussistono, tra cui quello sul ruolo delle donne nell’Opus Dei. Qualcuno dice che Escrivá le abbia inserite, ma con ruolo secondario. 

Parto dunque dal concetto di Chiesa-Madre: chi è la madre?La madre è colei che partorendoci ci fa entrare nel mondo e ci consente d’esistere; che ci assicura la sopravvivenza, fornendoci il nutrimento, che ci protegge e ci aiuta a crescere. 

La maternità è un valore alto, che nasce da un atto d’amore e come atto d’amore; è l’amore nella sua la dimensione universale, che va oltre la generazione fisica. E’ la capacità di avere il cuore grande; penso a Madre Teresa di Calcutta, che non ha partorito figli suoi, ma ha amato tanti figli col suo grande cuore di madre. 

Assunta Scorpiniti.

La Chiesa è madre perché, dicono i maestri di dottrina,  “ci ha generato alla vita”, e continua a darci il Salvatore, e non cessa di alimentarci e accompagnarci nel nostro cammino; non perde la forza di generare nuovi figli e continua a seguirli anche quando questi la abbandonano o la tradiscono. La chiesa ha generato tanti santi, come san Josemaría che affermava: “Amo con tutta l’anima la Chiesa, mia madre, questa Chiesa in cui ci sono milioni di anime che sono mio padre e mia madre, che amo come mio padre e mia madre!”.

Nel libro di Dolz c’è molto di questo aspetto della femminilità, di questa capacità di generare amore e vita; di vivificare, per questo, con la loro presenza, ambienti, circostanze e persone. Sono tanti i volti di donna che si affacciano tra le pagine. Ricordo che san Josemaría Escrivá aveva ricevuto una nuova ispirazione divina il 14 febbraio 1930: aprire l’Opera alle donne . 

Una parte è dedicata al bellissimo ritratto della prima donna che il 14 febbraio 1932 aderì all’Opera: lo delineava in un suo scritto lo stesso san Josemaría ed era di una mendicante che nel suo ultimo respiro offrì la vita per l’intenzione di quel giovane sacerdote che le era amico.

María Ignacia García Escobar era, invece, una maestra andalusa di 34 anni, malata di tubercolosi, che ha lasciato un bellissimo diario spirituale, con la vivida testimonianza del grande compito missionario e di sostegno spirituale affidatole negli anni trenta da Escrivá. 

 

E poi c’è il capitolo intitolato “Figlie fedeli”, che si riferisce al dopoguerra spagnolo, in cui san Josemaría iniziò a costruire il popolo femminile dell’Opera, rivolgendosi alle sorelle dei suoi figli, alle amiche, alle donne che si affidavano a confessori amici. Le andava personalmente a cercare, e diceva loro: “Il bello è lasciarsi ‘usare’ da Dio”. Sono bellissime pagine da leggere queste, di testimonianza, come le formava, ma anche le insidie che affrontarono, fino all’apertura del primo centro femminile a Madrid nel 1942. C’è anche la cronaca dell’arrivo a Roma, nel 1946, delle figlie “amatissime”: Encarnita Ortega, Dora del Hoyo, Dorita Calvo, Julia Bustillo, Rosalía López. Fecero molto, insieme alla sorella di Escrivá, Carmen.

Reggio Calabria.

Michele Dolz osserva: “Su quelle figlie fedelissime il Padre potè contare per mandare avanti i piani di Dio. E dovette spiegare loro che un domani non molto lontano le sue figlie avrebbero svolto tutte le professioni… sarebbero state medici, avvocati, giornaliste, artiste…”. Anche se, in quel momento, affidò loro una necessaria gestione, diciamo domestica dei centri nascenti; le volle con sé a Roma, presenze indispensabili in quel 1946. Cito ancora Montserrat Grases, modello di santificazione nell’ordinario per tante giovani e in cammino verso gli altari e, infine, Guadalupe Ortiz che per tutta la vita, dice Michele Dolz, fu un appoggio importante per il fondatore. 

Mi pare che ce ne sia abbastanza, per sfatare, come tanti altri pregiudizi sull’Opus Dei, quello della presunta esistenza di un Escrivá maschilista; pensate che il 14 agosto 1951 è partito per Loreto per affidare, nel giorno dell’Assunzione, l’Opus Dei alla donna per eccellenza, alla Madonna.

San Josemaría scrisse, come ci viene ricordato in questo libro: “La donna è chiamata ad apportare alla famiglia, alla società civile e alla Chiesa, qualche cosa di caratteristico che le è proprio e solo lei può dare: la sua delicata tenerezza, la sua instancabile generosità, il suo amore per la concretezza, il suo estro, la sua capacità d’intuizione, la sua pietà profonda e semplice, la sua tenacia”.

Quasi con le stesse parole lo conferma, nell’enciclica “Mulieris Dignitatem”,  Giovanni Paolo II: «Quando diciamo che la donna è colei che riceve l’amore per amare a sua volta, non intendiamo solo e innanzitutto lo specifico rapporto sponsale del matrimonio. Intendiamo qualcosa di più universale, fondato sul fatto stesso di essere donna nell’insieme delle relazioni interpersonali, che nei modi più diversi strutturano la convivenza e la collaborazione tra le persone, uomini e donne. In questo contesto, ampio e diversificato, la donna rappresenta un valore particolare come persona umana e, nello stesso tempo, come quella persona concreta, per il fatto della sua femminilità» .

Ed ecco cosa io ritengo. Per come ho cercato di capire, studiare, “ripensare” la donna di questa terra con i parametri di quello che io chiamo il suo “sentimento”, del suo modo di essere e di agire, penso che la donna possa fare molto anche nell’apostolato dell’Opus Dei, che ho voluto studiare e capire attraverso la fede dei suoi figli calabresi.

San Josemaría in un incontro con giovani donne, nel 1972.

Ribadisco quello che ho detto in altre circostanze, da “esterna”, all’Opus Dei, che ho solo raccontato, nei miei numerosi itinerari nella Calabria: il messaggio di santificazione, che poi è fare il meglio possibile qui dove siamo e in tutto quello che facciamo, è di grande attualità e significato per tutti e, in particolare, nei nostri luoghi e tra la nostra gente. Può essere di grande aiuto.

E, visto che su quest’aspetto ho raccolto pareri diversi, credo che le fedeli dell’Opus Dei, debbano avere lo spazio, la possibilità e, soprattutto, la convinzione di riuscire a veicolarlo molto bene. E’ una capacità, peraltro riconosciuta da san Josemaría Escrivá e da papa Woityla, che può senz’altro essere assunta come paradigma di forza, tenacia e soprattutto di impegno ad affermare i valori etici che oggi più che mai ci richiede la nostra terra di Calabria.