San Josemaría

Se potesse salvare una sola tra le massime di Escrivá, quale sceglierebbe?

Mi mette davvero in difficoltà, c'è l'imbarazzo della scelta! Non mi sono posto mai questa domanda, né me la pongo adesso, perché le considero tutte opportune e valide. Dico la prima che mi viene in mente: "Diceva un'anima d'orazione: nelle intenzioni, Gesù sia il nostro fine; negli affetti, il nostro Amore; nella parola, il nostro argomento; nelle azioni, il nostro modello".

Luigi Accattoli, Corriere della sera (Milano), 5 ottobre 2002. Quando pensa al beato Josemaría, quale idea, quale episodio forte le viene in mente?

Mi sovviene il fatto meraviglioso e reale, molto reale, del suo appassionato amore per Gesù Cristo e della sua paternità. Ho avuto la fortuna di vivere ventisei anni vicino a lui. Per me era sempre sorprendente la sincerità del suo affetto per ogni persona dell'Opera, anche se non l'aveva mai vista. Quanto poteva accadere a una figlia o a un figlio suo, ciò che gli raccontavano nelle lettere, ciò che potevano dirgli in un momento familiare... tutto lo interessava, prendeva tutto come qualcosa di proprio, perché ci amava veramente, come figli della sua orazione e della sua mortificazione. Tra lui e chiunque di noi non ci fu mai neppure la più tenue delle barriere: neppure una carta velina. L'ho visto piangere e soffrire per la morte di figlie e figli suoi che non conosceva neppure, con maggiore intensità che non i loro rispettivi parenti. Quando gli davano una di quelle notizie rimaneva umanamente distrutto, annichilito.

E chiudendo gli occhi come lo vede?

Lo vedo fra tante persone che parla di Dio. Lo vedo che va, che si fa incontro agli altri. Lo vedo che si dona a tutti noi, a tempo pieno, senza risparmiare un solo sforzo, senza riservare un minuto per sé. Tutte le nostre cose - un mal di denti, un esame, una preoccupazione familiare, una partita di pallone che stavamo per giocare -, tutto gli era noto e familiare. Eravamo la sua vita!

Pilar Urbano, Studi Cattolici, giugno 1994