Ricordo di don Ferdinando Rancan

Don Ferdinando Rancan, sacerdote della diocesi di Verona, è morto a Verona il 10 gennaio 2017 di primo mattino e il Vescovo mons. Giuseppe Zenti ne celebra i funerali in Cattedrale a Verona il 13 gennaio alle 10.00. In questo articolo don Andrea Mardegan ci regala un suo ricordo.

Offriamo qui il link al video di un'intervista a Telepace di alcuni anni fa, e a un'intervista scritta pubblicata sul sito www.josemariaescriva.info.

Don Ferdinando era nato a Tregnago(VR) il 14 giugno 1926. Lo ricordiamo con gratitudine e affetto particolare in questo sito perchè nel 1954 aveva aderito alla Società Sacerdotale della Santa Croce come socio aggregato. Fu dunque il primo sacerdote diocesano ad attingere in modo vocazionale allo spirito dell'Opus Dei che lo ha aiutato a cercare la santificazione nell'esercizio del ministero sacerdotale, in profonda unione con il Vescovo diocesano e il suo presbiterio.

Nella sua lunga vita si sono manifestati tanti doni di Dio. Fin dall'infanzia segnata dal dolore della scomparsa del padre in un incidente sul lavoro, e dalle malattie polmonari che non lo abbandoneranno mai lungo tutta la vita, ha maturato un'intima confidenza con Maria, madre di Dio. Nel prologo del suo fortunato libro In quella casa c'ero anch'io, Edizioni Fede e cultura, tradotto anche in spagnolo dalla casa editrice Rialp, don Ferdinando racconta: era un bambino di sei anni in un ospedale e soffriva di non poter avere visite, a differenza degli altri bambini, dalla mamma, che doveva lavorare, e dal papà, defunto. Gia convalescente si ritrova in cappella a pregare, con le suore, il rosario. Sente i canti delle litanie. Gli ispirano "struggente dolcezza". Così racconta di sé, bambino, in terza persona: "Fu appunto durante quel canto che il suo sguardo si fermò su un'immagine della Madonna che stava su un piedistallo a parete, sul lato destro dell'altare. Era una scultura policroma, di media grandezza, e raffigurava Maria ritta in piedi col suo bambino in braccio. Il suo sguardo non era rivolto al bambino, che aveva la guancia affettuosamente appoggiata alla sua, ma guardava davanti a sé , verso un eventuale devoto. In quel momento lo sguardo del bambino incontrò lo sguardo di Maria e avvenne l'imprevedibile. Improvvisamente egli si accorse che una persona lo stava guardando già da prima, senza che lui lo sapesse, e lo stava guardando come se vedesse i pensieri e lo stato d'animo che si portava dentro. Quella persona era una madre, e lo guardava con un sorriso che sprigionava affetto e tenerezza. Si rivolgeva a lui senza parole, ma sentiva chiaramente che gli diceva: "Bambino mio, non temere. Sono io tua madre. Ti terrò sempre con me, come questo bambino, Qui, tra le mie braccia, non ti accadrà nulla di male." Frutto di questa confidenza con Maria è anche il suo ultimo libro La Madonna racconta, Edizioni Fede e cultura, pubblicato nel 2016, vicino al compimento del 90esimo anno d'età.

Aveva terminato le scuole elementari, e di fronte al desiderio di sua madre di aiutarlo a proseguire negli studi pur non avendone la possibilità economica, il parroco di Tregnago gli fece la proposta di inserirsi nel seminario minore. Il piccolo Ferdinando rispose gioiosamente di si a quella prospettiva vocazionale inaspettata e vi rimase fedele lungo tutta la vita, con crescente entusiasmo. Seppe mantenersi fedele alla vocazione anche quando, a pochi giorni dall'ordinazione suddiaconale, nel 1949, in modo sorprendente fu espulso dal seminario diocesano dal vescovo mons. Cardinale, a causa di alcuni componimenti poetici che aveva scritto proprio per festeggiare, con gli altri seminaristi, il 25° anniversario dell'episcopato del suo Vescovo. Quelle poesie da lui declamate, che nello stile si ispiravano a Eliot, sembrarono al Vescovo "pervase da un pessimismo esistenzialista assai pericoloso, sintomo di una formazione e di una personalità distorte. Perciò all'istante prese la decisione di allontanarmi immediatamente definitivamente dagli studi e dalla prospettiva del sacerdozio". Così raccontava don Ferdinando molti anni più tardi, nella prefazione a Fiori di melograno, Società Editrice Athesis, Verona 1999, dove gli furono pubblicate quelle poesie e altre che scrisse in quei tre anni di solitudine e di prova interiore.

Nel frattempo, aiutato dal rettore del seminario, si era preparato alla maturità classica da privatista presso il liceo statale Maffei, e l'aveva ottenuta con ottimi voti, portando tutte le materie dei tre anni, come si faceva allora. Si era poi iscritto, sempre su suggerimento del rettore, alla facoltà di Scienze naturali a Roma, preparandosi a servire la sua diocesi come professore nel seminario, intimamente sperando che potesse cambiare la decisione del Vescovo. Così avvenne. Mons. Cardinale, che lui andava a salutare quando tornava da Roma, tre anni dopo quel fatto si rese conto dell'errore e lo reintegrò nel seminario conferendogli poi l'ordinazione sacerdotale il 28 giugno del 1953. Ferdinando continuò gli studi a Roma dopo l'ordinazione sacerdotale, e ciò gli diede l'opportunità di conoscere i sacerdoti dell'Opus Dei che organizzavano incontri per sacerdoti diocesani a Castelgandolfo. Il suo direttore spirituale, un famoso professore di teologia spirituale della Gregoriana, gesuita, lo incoraggiò decisamente a seguire la strada dell'Opus Dei, perchè vi vedeva la volontà di Dio per lui. Comprese allora che quel periodo di prova incomprensibile, era stata l'occasione per scoprire un senso più profondo della sua vocazione al sacerdozio: il Signore voleva che lo vivesse in grande sintonia spirituale con san Josemaría Escrivá e il suo spirito, per poterlo diffondere attraverso il suo ministero.

Ritornato a Verona, dopo la laurea, servì la sua diocesi come insegnante di matematica e scienze nel seminario, insegnante di religione al liceo Messedaglia, aiutante e confessore in varie parrocchie. Il nuovo Vescovo mons. Giuseppe Carraro lo incoraggiò a diffondere la conoscenza dell'Opus Dei attraverso i suoi incarichi diocesani, e così avvenne. Vari giovani e adulti, uomini e donne, aderirono in quegli anni all'Opus Dei a Verona e nei dintorni, tanto che i direttori dell'Opera in Italia, che non avevano il progetto di stabilire centri a Verona cambiarono i programmi e stabilirono centri in quella città che non aveva ancora un'università. Vari preti, anche di altre diocesi del Veneto (Venezia, Trento, Trieste), venivano raggiunti dall'amicizia di Ferdinando e aderivano volentieri, in vari modi, alla Società Sacerdotale della Santa Croce e diffondevano a loro volta l'Opus Dei nel loro ambiente.

Aveva sempre avuto grande talento intellettuale e letterario, che, a partire da una vita d'orazione semplice e profonda, lo portava a predicare con attrattiva ed efficacia. I libri cominciarono a essere pubblicati più tardi, prima resisteva all'idea che potessero servire. Ricordo le conversazioni con lui, negli anni in cui lavorai a Verona, nelle quali lo incoraggiavo in questo senso, e il risultato è stato molto positivo per tanti lettori. Cominciò a pubblicare per i suoi parrocchiani dell'antica pieve dei Santi Apostoli in centro città, ma poi i libri si diffondevano in tutta Italia e si moltiplicavano le ristampe, col passa parola le scorte finivano sempre. Scrisse sulla preghiera, sulla Messa, sulla preparazione al Matrimonio (Ricevi quest'anello, Studium, Roma 2007). Vari libri erano pubblicati pro-manuscripto, come se fossero da distribuire a mano, ma raggiungevano le decine di migliaia di copie. Ha ricevuto anche premi per quei libri, che lui sempre minimizzava.

Con i sacerdoti soci della Società Sacerdotale della Santa Croce ci incontravamo nella sua canonica il martedì a fine mattina, o, lasciata la parrocchia per limiti di età, nella sua casa, per riflessioni spirituali e formative, in spirito di famiglia e allegria. Ricordo molte risate e molte esperienze apostoliche di preti con voglia di portare Cristo in mezzo al mondo. Per festeggiare compleanni, anniversari, feste della Chiesa o di famiglia non mancava mai la famosa "bottiglia" che Ferdinando estraeva dalla sua dispensa, direttamente dalle vigne della Valpolicella, di Soave o di Lugana. Senza etichetta regalata dai produttori, e i preti veronesi facevano a gara ad indovinare dopo averlo gustato, da quale valle e vitigno quel vino proveniva. L'8 dicembre del 1995 compivo quarant'anni: arrivò a pranzo a casa mia con una bottiglia di recioto della Valpolicella, della vendemmia del mio anno di nascita: 1955.

Si imparava tanto di pastorale, di teologia, di esperienza di vita in quelle chiacchierate del martedì mattina. Si imparavano anche molte barzellette divertentissime. Ogni tanto ci fermavamo a pranzo da lui. Patrizia, sua alunna negli anni del liceo, poi sua catechista, preparava pranzi buonissimi. A lei dobbiamo che quelle poesie di cui si parlava prima, Fiori di melograno, siano state salvate: aveva buttato il quaderno in un cestino per eliminarle. Lei lo ha visto, gli ha chiesto il permesso di tenerlo. Le ha trascritte, inviate a vari premi letterari e ne ha vinti quattro per poesia inedita, e poi pubblicate.

Quando eravamo in piccolo gruppo, e c'era ormai molta consuetudine, apriva il cuore e raccontava anche fatti un po' speciali che erano accaduti nella sua vita. Ad esempio il rapporto tutto speciale con san Josemaría, che gli regalava ogni volta che si incontravano una bottiglia del cognac El fundador, (scherzando gli diceva essere l'unico Fundador che importasse davvero). In effetti l'Opus Dei a Verona iniziò con analogie forti con la storia del fondatore a Madrid: nella casa di don Ferdinando, con sua madre ad accudire i ragazzi che venivano per studiare e per gli incontri di formazione e di apostolato.

In una di quelle confidenze, ci raccontò un episodio che gli accadde il 26 giugno del 1975. Era a Gerusalemme in pellegrinaggio con la classe di seminario dalla quale era stato espulso, che festeggiava il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale. Avevano in programma di celebrare la Messa al santo Sepolcro alle 12.00 del mattino. Mentre entravano nel luogo santo per celebrare l'Eucaristia, uno sconosciuto lo avvicinò, gli porse un'immaginetta con il sacro Cuore di Gesù, e gli disse: preghi per una persona a lei è molto cara che sta morendo. Molto turbato offrì la Messa per quella eventuale persona in pericolo di vita. Il giorno tornavano in Italia in aereo, e uno dei preti presenti con il giornale in mano lo informa che era morto a Roma mons. Escrivá, alle 12,00 del giorno prima. Si accorse così di aver avuto il privilegio di offrire il sacrificio della Messa nel Santo Sepolcro, forse la prima Messa in ordine di tempo offerta dopo la sua morte, in suffragio per il sacerdote e Padre che era stato per lui faro di vita e di vocazione.

Il suo rapporto con san Josemaría era molto profondo. Ricordo che il Papa Giovanni Paolo II venne a Verona per beatificare due sacerdoti veronesi, don Nascimbeni e don Calabria, nel 1987. Al termine della messa allo stadio Bentegodi, io ero tutto preso dalla bellezza della liturgia, dal coro di tremila persone, e tornavamo verso gli spogliatoi trasformati in sagrestia. Don Ferdinando mi disse: "Sogniamo!" Io sulle prime non capii, poi ho colto: stava sognando che anche mons. Escrivá potesse arrivare alla beatificazione. Si affidava alla sua intercessione. A volte san Josemaría gli faceva favori anche divertenti oltre che utili. Come quella volta che un ladro rubò nella chiesa dei Santi Apostoli un leggio d'altare di legno dorato del settecento. Lo aiutava nella gestione della Chiesa un famoso ristoratore veronese, suo parrocchiano. Lo informò allarmato del furto. Don Ferdinando gli disse: preghiamo mons. Escrivá. E il ladro andò a pranzare proprio nel ristorante di quel signore e lasciò il suo involucro con i cappotti. Cosi fu scoperto. Povero ladro.

Mille episodi e insegnamenti si affollano ora nella mente e nel cuore. Mille insegnamenti sacerdotali. Con tanta gratitudine e affetto. Capisco le persone che lo piangono con gioia e grati a Dio per il dono della sua vita, e capisco che Verona domani gli voglia dare un saluto speciale. Telepace trasmetterà il funerale in diretta dalla cattedrale.

Don Andrea Mardegan