Quaresima, fare festa nel deserto

La quaresima è un tempo di conversione, un termine che ci parla di cambiare direzione, ma verso dove? La storia del popolo di Israele e l’esempio di Gesù possono aiutarci a scoprirlo.

La tradizione spirituale ha sempre associato questo tempo liturgico ai quaranta giorni di Gesù nel deserto prima di cominciare il suo ministero pubblico, che a loro volta richiamano i quarant’anni di cammino del popolo d’Israele nel deserto, prima di entrare nella terra promessa.

Siamo chiamati, dunque, a incamminarci nel deserto. Lo scenario non è così attraente. Il deserto, infatti, si distingue per un’atmosfera tutt’altro che accogliente: caldo torrido di giorno e freddo di notte, pericoli di vipere e scorpioni, mancanza di acqua e soprattutto la prospettiva di un cammino senza un orizzonte chiaro.

Quando Mosè chiese al faraone di concedere al popolo di uscire dall’Egitto, presentò una motivazione un po’ curiosa: «Così dice il Signore, il Dio d’Israele: “Lascia partire il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto!”» (Es 5,1).

Dio invita il suo popolo a celebrargli una festa nel deserto. Il verbo ebraico utilizzato esprime proprio l’idea di una festa. Che festa si può celebrare in un deserto? Il lungo e faticoso viaggio del popolo guidato da Mosè è stato il modo per scoprirlo.

In questi anni di cammino, raccontati nel dettaglio dal Pentateuco, gli israeliti conobbero la fame, la sete e la stanchezza, si persero dietro agli idoli, si inoltrarono nei sentieri del peccato e impararono a stupirsi dei doni di Dio, come la manna, le quaglie o l’acqua scaturita dalla roccia. Nel deserto Israele ricevette la Legge di Dio, una luce che avrebbe guidato intere generazioni di ebrei per secoli.

Ma soprattutto nel deserto il popolo scoprì la sua relazione con Dio. Gli ebrei compresero che il loro era un Dio geloso, sollecito, “lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6). Impararono a lodare Dio per le meraviglie che operava in mezzo a loro, a chiedergli perdono, a ringraziarlo per il dono della libertà dalla schiavitù dell’Egitto. Nel deserto Israele imparò ad ascoltare la voce di Dio: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore” (Dt 6,4). In una parola, imparò a pregare.

Lo stesso Gesù, d’altra parte, nella sua intensa vita pubblica, quando già si era lasciato alle spalle le settimane di deserto, cercava ogni tanto questi spazi di preghiera: “al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”. (Mc 1,35)

Non è un caso che in quaresima la Chiesa ci inviti a cercare la conversione in tre aspetti, molto legati tra loro: il digiuno, l’elemosina e la preghiera. I primi due costituiscono in qualche modo lo scenario desertico in cui può fiorire la preghiera.

Il digiuno dall’essenziale e dal superfluo ci regala la fame di Dio, l’elemosina che richiede distacco dalle nostre sicurezze, economiche e di tempo, ci regala la povertà che diventa abbandono in Dio.

Quando, alla fine del lungo viaggio, finalmente il popolo d’Israele giunse alle porte della terra promessa, Dio volle lasciare chiaro il senso di quello che avevano vissuto. E li invitò a non “dimenticare il tuo Dio che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire” (Dt 8,14-16). Era il suo modo di sancire una verità che appartiene a ogni uomo: se vuoi essere felice non dimenticarti del tuo viaggio con Dio nel deserto, non dimenticarti di pregare.

Questa quaresima regaliamoci un viaggio nel deserto, con il desiderio di riscoprire il rapporto personale con Dio che è la preghiera, questa sarà la festa che il Signore ci ha preparato.

Giovanni Vassallo