Pregare in corpo e anima: la mortificazione cristiana

Jutta Burggraf era docente di Teologia nell’Università di Navarra. È venuta a mancare nel 2010.

Vi sono cose che non comprendiamo. Possiamo avvicinarci a loro con la fede. E con l’amore. Perché Cristo è morto sulla croce? È stata indispensabile quella orribile passione per liberarci dalle nostre tenebre interiori? No, naturalmente. Dio avrebbe potuto perdonare i nostri peccati in mille altri modi, o addirittura non perdonarli.

La follia d’amore di Cristo

Probabilmente ha scelto di fare ciò che era più impressionante di qualsiasi cosa, ciò che dimostra con la massima evidenza la follia del suo grande amore: si è fatto uomo – uno di noi – e ha condiviso le gioie e i dolori della nostra vita sino alla fine.

Malgrado la sua onnipotenza eterna, liberamente si lasciò umiliare, flagellare, sputacchiare, ridicolizzare, coronare di spine e inchiodare a un legno. Perché? Forse per dimostrarci che è capace di fare “tutto” per noi, come un amico che muore per salvare l’altro. E per convincerci – una volta per tutte – che noi abbiamo un immenso valore: il nostro destino non è indifferente a Dio. Mistero di amore, sovrabbondanza di generosità.

Cristo è morto perché noi vivessimo

Questo vuol dire che noi cristiani ora siamo tenuti a vivere in modo severo e austero? Che non dobbiamo godere delle cose buone della vita? Tutto il contrario! Cristo è morto perché noi vivessimo; ha sofferto perché noi fossimo felici; ha spezzato le nostre catene perché annunciassimo il suo regno di libertà. L’opera di salvezza dovrebbe riflettersi sul volto, nello sguardo, nel sorriso e nella risata, nella serenità e nella fortezza, nella comprensione e nell’amicizia, nell’animo sincero, solidale e generoso dei “liberati”.

Chi si rende conto di essere profondamente accettato e amato, non può che trasmettere l’amore con gioia. E ha voglia di stare sempre più vicino all’amore della sua vita. Lo avvertiamo nell’amore umano, a volte con una chiarezza che ci fa tremare. Pensiamo, per esempio, alle donne tedesche che accompagnarono volontariamente i loro mariti ebrei nei campi di concentramento nazisti; o a quella madre che si abituò a tenere gli occhi chiusi durante quasi tutta la giornata per percepire il mondo così come lo percepiva il figlio cieco.

Condividere il destino di Cristo

Qualcosa di simile accade nell’amore a Cristo. I cristiani vogliono condividere il suo destino. Non è vero che due persone che sopportano insieme un grande dolore si uniscono più fortemente che quando partecipano insieme a una festa meravigliosa? Ecco perché i cristiani vogliono stare anche sulla croce e non si rifiutano di salire liberamente sul monte Calvario. Come fanno? Si sforzano di accettare di buon grado i molteplici problemi della vita quotidiana; se ne servono come di un materiale con il quale fabbricare una croce, “la loro croce”, quella per la quale Cristo li considera preparati, quella che Egli stesso porta con loro. Si sa che Dio è solito agire così con i suoi amici.

Le mortificazioni corporali, una lunga tradizione cristiana

Tuttavia chi ama è capace di “superare se stesso”, di fare follie. I cristiani vogliono identificarsi sempre più pienamente con l’amato che – liberamente! – si lasciò crocifiggere. Per questo, secondo una lunga tradizione, cercano, sempre liberamente, alcune “mortificazioni corporali”, come il digiuno, un austero pellegrinaggio e tante altre.

Ciò che amano, naturalmente, non è la croce in sé, ma il Crocifisso. Non vogliono avere cose migliori di quelle che ha Lui. Se la folla ha flagellato Gesù e gli ha sputato, non vogliono che ad essi siano riservati onori. Non vogliono vivere nella comodità e nell’imborghesimento, ma con Lui e come Lui. Questo è il primo aspetto, il più importante, della “mortificazione corporale”.

Anima e corpo, ordinare le passioni ed educare i sensi

Ce n’è anche un altro che riguarda la nostra natura: siamo corpo e anima. Tutte le nostre attività spirituali sono profondamente unite alla nostra vita sensibile. Inoltre la nostra natura umana è indebolita dal peccato. Vi sono disordine e tentazioni. Opporsi alla realtà e pretendere di contraddire i movimenti della natura appare del tutto inutile. Ogni azione che avesse questo fine condurrebbe unicamente alla rigidità di uno stoicismo disumano; però sarebbe ugualmente erroneo cedere a tutti i desideri e dimenticare la realtà che ciascuno vive. La cosa più conveniente è accettarsi come si è. Quando nel cuore c’è qualcosa che contraddice l’amore, abbiamo bisogno di tanta sincerità per riconoscere i nostri sentimenti, senza nasconderli o semplicemente reprimerli; ciò condurrebbe soltanto a un atteggiamento convulso.

Un cristiano vuole ripulire la sua “casa interiore”, ogni giorno di nuovo, perché Dio possa abitare in essa sempre più in profondità. È l’altro aspetto della “mortificazione corporale” che, indubbiamente, è una espressione poco felice: non si tratta di “uccidere” niente e nessuno, ma di ordinare le passioni ed educare i sensi. È importante che ciascuno trovi il proprio modo di agire, che lo aiuti a crescere nell’amore e, nel contempo, a superare le tentazioni. Non occorre che tutti facciano le stesse cose. Ogni epoca ha un suo stile particolare, una sua mentalità, delle consuetudini e modalità proprie.

Benché sia sicuramente più importante la lotta interiore, non dobbiamo disprezzare quella esteriore che può prepararci ad essa. Forse in passato il retto significato della “mortificazione corporale” è stato equivocato e si è arrivati all’esagerazione. Per questo oggi la “mortificazione” è rifiutata da vasti settori della società; però non è il caso che, a causa di alcune esagerazioni ben note, si rinunci a ogni tipo di vita ascetica. L’ascetica, piuttosto, deve essere vissuta in modo intelligente, prudente e opportuno.

Mettere ordine nel caos interiore che certe volte abbiamo, lo si può ottenere per amore a Dio, senza paura, senza scrupoli né formalismi, con molta fiducia e una grande libertà, e con un cuore generoso. È un modo di pregare: pregare con il corpo e con l’anima.

Un incontro più personale con Cristo, con libertà e fiducia

Se la lotta è sincera ci guiderà a un incontro più personale con Cristo. Attraverso di essa non si cerca la propria perfezione, ma l’amore di Dio. Non dobbiamo farci guidare dalla paura di “non far niente di male” e di non cadere mai; è decisivo, invece, il coraggio di rialzarsi sempre. Dio è altrettanto tenero e contento quando innalziamo a Lui il nostro cuore dolente e quando abbiamo voglia di mostrargli tutti i nostri successi ascetici e la nostra perfezione morale.

Se la lotta è fatta in umiltà, si accresce nel nostro cuore. Dio stesso, che vuole abitare in noi, ci fa partecipare non soltanto alla sua croce, ma anche alla sua risurrezione. Ci dà la forza di superare le nostre rigidità e le nostre ristrettezze, e la nostra cecità al momento di vedere l’indigenza degli altri. E ci dà la luce per vedere i nostri limiti e la grande necessità che abbiamo degli altri. In una parola, ci rende capaci di amare veramente.