È terminata per Gesù una giornata stancante. Sono venute ad ascoltarlo così tante persone che è stato costretto a parlare dalla barca di uno dei discepoli. Ha raccontato diverse parabole: il seminatore, la lampada accesa, il granello di senape... Una volta congedata la folla, Gesù e i suoi si dirigono verso la riva orientale del lago di Tiberiade, probabilmente a bordo della medesima imbarcazione. Soffia una brezza leggera. Non è il momento migliore per riposare, ma Gesù trova a poppa un piccolo guanciale e si lascia vincere dal sonno. Ha piena fiducia nelle mani esperte dei suoi apostoli nell’attraversare il lago.
Poco tempo dopo il mare si scatena: un po’ per volta la brezza si trasforma in un vento forte e assistiamo al racconto di una nuova parabola, fatta questa volta non con parole, ma dal vivo e in diretta. I vangeli ci parlano di una grande tempesta che minaccia di fare affondare la barca (cfr Mc 4, 37). Data la situazione geografica della zona, non è cosa che accade di rado: a nord il lago è fiancheggiato da montagne e si trova in una depressione di duecento metri sotto il livello del mare. Suole accadere quando scende la sera e il vento soffia infuriato da ponente, agitando le acque.
A bordo, non sulla riva
Molti padri della Chiesa hanno visto nella barca sbattuta dalle onde e dal vento, un'immagine della Chiesa stessa. «Il mare simboleggia la vita presente, e l’instabilità del mondo visibile; la tempesta indica ogni sorta di tribolazione, di difficoltà, che opprime l’uomo. La barca, invece, rappresenta la Chiesa costruita da Cristo e guidata dagli Apostoli»[1]. Nella sua ultima udienza generale, dopo quasi otto anni come successore di Pietro, Benedetto XVI confessava di aver passato, insieme a giornate di sole e di brezza leggera, anche altri momenti con venti di tempesta. «Ma ho sempre saputo – continuava – che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto»[2].
Molti padri della Chiesa hanno visto nella barca sbattuta dalle onde e dal vento, un'immagine della Chiesa stessa
Questa certezza, che fa parte del chiaroscuro della fede, ci induce a non guardare la tempesta dalla riva, come se fosse qualcosa che non ci riguarda. Non è una crociera durante la quale per una parte del tempo ci si dedica soltanto a guardare: siamo pescatori, compagni di lavoro di Pietro e degli apostoli. Abbiamo la responsabilità di aiutare coloro che salgono a bordo, ciascuno dal proprio posto, anche sostenendo il Papa che ci guida.
Appena due settimane dopo quell’ultima udienza del suo predecessore, alla fine del suo primo saluto il giorno in cui è stato eletto, papa Francesco ci ha ricordato di aver bisogno di noi, cosa che da quel giorno suole dire spesso: «E adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, che chiede la benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me»[3]. Così ci ha insegnato a fare anche san Josemaría; sin dai primi tempi aveva piacere che tutte le persone dell’Opus Dei e coloro che, in un modo o in un altro, si avvicinano al calore di questa famiglia, pregassero ogni giorno per il Papa, chiedendo a Dio, più concretamente, che lo guidi, gli dia coraggio, lo renda felice e non lo abbandoni nelle mani dei suoi nemici[4].
"prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica" (papa Francesco)
L’amore per il Papa, un dono che si riceve
All’imbrunire del 23 giugno 1946 san Josemaría arrivava a Roma dopo una serie di peripezie, tra le quali si poteva annoverare anche una tempesta sul mare, questa volta nel Mediterraneo. L’appartamento che i suoi figli avevano affittato, era dotato di una piccola terrazza che si affacciava su piazza della Città Leonina. Da lì si potevano scorgere le finestre delle stanze di papa Pio XII.
Il fondatore dell’Opus Dei passò la notte in veglia, pregando per la Chiesa e per il Romano Pontefice. Alcuni anni dopo raccontava che un ecclesiastico scherzò su quel gesto filiale, forse perché lo considerava ingenuo o inutile: «Risero di me. In un primo momento questa mormorazione mi fece soffrire; in seguito ha fatto sorgere nel mio cuore un amore verso il Romano Pontefice meno spagnolo – che è un amore che nasce dall’entusiasmo –, però molto più deciso, perché nasce dalla riflessione: più teologico, e dunque più profondo»[5].
L’amore per il Santo Padre, «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli»[6], va maturando poco per volta col trascorrere degli anni. Non c’è dubbio che all’inizio si alimenta di un entusiasmo umano, che con il tempo va diventando «più teologico», più cosciente delle sue motivazioni, della sua importanza e del suo carattere soprannaturale, difficile da spiegare soltanto con parametri umani.
"Grazie, mio Dio, per l’amore al Papa che hai messo nel mio cuore" (san Josemaría)
San Josemaría visse sotto la guida di diversi Papi. Quando era piccolo, san Pio X governava la Chiesa e a lui deve la grazia di aver ricevuto molto presto la sua prima comunione. Poi decise di farsi sacerdote quando il Papa regnante era Benedetto XV. L’Opus Dei nacque sotto il pontificato di Pio XI e ricevette la definitiva approvazione dalle mani del venerabile Pio XII, che fu il primo Papa che san Josemaría incontrò personalmente. San Giovanni XXIII lo ricevette varie volte, dimostrandogli un affetto paterno, e furono di san Paolo VI «le prime parole di affetto e di incoraggiamento»[7] che ascoltò arrivando a Roma. Il fondatore dell’Opus Dei ricorda in Cammino qualcosa che Dio gli aveva regalato fin da quando era giovane e che sarebbe stato il filo conduttore durante tutti questi pontificati: «Grazie, mio Dio, per l’amore al Papa che hai messo nel mio cuore»[8].
l’amore per il Papa è una cosa che non controlliamo necessariamente con la forza di volontà o con una naturale simpatia
Queste parole ci fanno capire che l’amore per il Romano Pontefice è una cosa che non controlliamo necessariamente con la forza di volontà, con una convinzione puramente teorica o con una naturale simpatia. Con questa breve preghiera san Josemaría considera questo amore come un dono di Dio, come una cosa ricevuta gratuitamente. Così si spiega meglio ciò che imparò nella sua prima notte romana: ad amare il Papa con un amore ricevuto da Dio, che non sia in balia delle tempeste, che non dipenda da una maggiore o minore affinità. La mattina stessa della sua morte il fondatore dell’Opus Dei chiese che una persona vicina a Paolo VI gli trasmettesse il seguente messaggio: «Da anni offro tutti i giorni la santa Messa per la Chiesa e per il Papa. Potete assicurargli – perché me lo avete sentito dire parecchie volte – che ho offerto al Signore la mia vita per il Papa, chiunque egli sia»[9].
San Josemaría, Santa Caterina, sant’Ireneo e tanti altri
Nella sede centrale dell’Opus Dei, a Roma, una piccola teca d’argento custodisce una reliquia di santa Caterina da Siena. Su uno smalto posto sull’urna si può leggere, in latino: «Amò con opere e veramente la Chiesa di Dio e il Romano Pontefice». La santa del XIV secolo aveva scritto in una delle sue lettere, riferendosi al Papa: «Quello che facciamo a lui, noi lo facciamo al Cristo del cielo, si tratti di riverenza che di vituperio»[10]. In un’altra lettera chiedeva anche: «Umilmente voglio che mettiamo la testa nel grembo di Cristo nel cielo con affetto e amore, e del Cristo sulla terra, che fa le sue veci, per reverenza al sangue di Cristo, del quale egli ha le chiavi»[11].
Le testimonianze dell'unione con il Papa nella vita dei santi sono numerose come i santi stessi
Questa convinzione sulla figura del Romano Pontefice – assillato, in quel secolo, da complesse e tempestose vicende – permetteva a santa Caterina di assumersi l’immensa responsabilità che pesa sulle spalle dei Papi, e la portava a coltivare una intensa preghiera di intercessione per loro. San Josemaría, lettore degli scritti della santa di Siena, diceva anche: «Mille volte mi taglierei la lingua con i denti e la sputerei lontano, prima di pronunciare la minima mormorazione contro chi più amo sulla terra, dopo il Signore e dopo Santa Maria: il dolce Cristo in terra, come sono solito dire, ripetendo le parole di santa Caterina»[12]. Questo atteggiamento è completamente contrario rispetto al parlare negativamente in pubblico sul Papa o a sminuire la fiducia in lui, neppure nei casi nei quali non si condivida personalmente qualche specifico criterio. Se proprio questo dovesse succedere, sarebbe dovuto da parte nostra almeno un «religioso ossequio dell’intelletto e della volontà»[13] ai suoi insegnamenti.
Le testimonianze di questa unione con il Papa nella vita dei santi sono altrettanto numerose come i santi stessi. Per menzionarne soltanto uno fra i tanti, possiamo pensare che mille anni prima, agli albori del cristianesimo, sant’Ireneo sentiva l’urgenza di pregare per l’unità con chi stava al comando della Chiesa di Roma. Già in quei primi tempi era chiaro che solamente «in essa, tutti quelli che vi si trovano, da tutte le parti, hanno conservato la tradizione apostolica»[14].
Potremmo dire, alla fin fine, che la barca della Chiesa ha un sistema di orientamento con tre sorgenti: prima di ogni altro Cristo che, anche se qualche volte dorme, è presente in ogni luogo e in ogni navigante; poi Maria, come stella che continua a illuminarci, anche quando le onde sono alte; e poi Pietro, a governare il timone per comando dello stesso Gesù. «Cristo. Maria. Il Papa. Non abbiamo appena indicato, in tre parole, gli amori che ricapitolano l’intera fede cattolica?»[15].
Pregare in mezzo alle ondate e ai venti
Nel meditare su questa tempesta del lago di Tiberiade, sant’Agostino esortava alla fiducia in colui che in verità governa non soltanto la barca, ma il mondo intero: «Tu imita piuttosto i venti e il mare: ubbidisci al Creatore. Il mare dà ascolto al comando di Cristo e tu sei sordo? Il mare ascolta e il vento cessa, e tu ancora soffi? Come mai? Parlare, agire, macchinare inganni: che cos'altro è questo se non continuare a soffiare e non voler cedere all'ordine di Cristo? Cercate di non lasciarvi abbattere dalle onde nel turbamento del vostro cuore»[16].
Nulla sfugge ai piani provvidenziali di Dio: neppure i venti o le ondate
Nulla sfugge ai piani provvidenziali di Dio: neppure i venti o le ondate. «“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nella barca della nostra vita. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio»[17]. Ma perché questa convinzione metta radici in noi, è necessario entrare nella sua logica mediate una vita contemplativa, una vita di orazione che si apra alle azioni di Dio, assai spesso sorprendenti per noi. Dovremo stare lontani dalla tentazione di voler prendere il timone nelle nostre mani. «L’amore per il Romano Pontefice deve essere in noi – diceva san Josemaría – vibrante e appassionato, perché in lui vediamo Cristo. Se parliamo con il Signore nella preghiera, acquisteremo uno sguardo limpido, che ci farà distinguere, anche negli avvenimenti che a volte non capiamo e che ci causano lacrime e dolore, l’azione dello Spirito Santo»[18].
Perfino il sonno di Gesù nella barca è redentivo. Questa apparente inattività è il suo modo abituale di agire: fa appello alla nostra libertà; ci coinvolge nella missione meravigliosa di portare agli uomini l’amore infinito di suo Padre. Il suo cuore è sempre sveglio, «non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele» (Sal 121, 4). Anche se a volte non capiamo i suoi tempi e i suoi modi – la sua pazienza –, alla fine potremo sempre dire di lui che, «come ha calmato la bufera delle acque, così ha calmato anche la bufera delle anime»[19].
[1] Benedetto XVI, Angelus 7-VIII-2011.
[2] Benedetto XVI, Udienza, 27-II-2013.
[3] Papa Francesco, Benedizione apostolica Urbi et orbi, 13-III-2013.
[4] Cfr. Preci dell’Opus Dei, dove è contenuta la tradizionale preghiera Oremus pro Pontifice.
[5] San Josemaría, Lettera 17, n. 19.
[6] Concilio Vaticano II, Cost. dog. Lumen Gentium, n. 23.
[7] San Josemaría, Colloqui, n. 46.
[8] San Josemaría, Cammino, n. 573.
[9] Beato Álvaro del Portillo, Intervista sul fondatore dell’Opus Dei, Ares, Milano 1992, p. 225.
[10] Santa Caterina da Siena, Lettera 207, I, 436.
[11] Santa Caterina da Siena, Lettera 28, I, 549.
[12] San Josemaría, Lettera 17, n. 53.
[13] Codice di Diritto Canonico, n. 752. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 892.
[14] Sant’Ireneo da Lione, Contro le eresie, III, 3, 2.
[15] San Josemaría, Istruzione sullo spirito soprannaturale dell’Opera, n. 31.
[16] Sant’Agostino, Sermone 63, n. 3.
[17] Papa Francesco, Un momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27-III-2020.
[18] San Josemaría, La Chiesa nostra Madre, Ares, Milano 1993, p. 64.
[19] San Cirillo, in Catena Aurea, Lc 8, 22-25.