Opus Dei 25 anni da «prelatura»

Intervista di Francesco Ognibene a mons. Echevarría pubblicata su Avvenire per il venticinquesimo anniversario dell'Opus Dei come Prelatura personale.

Venticinque anni dopo la decisione di Papa Wojtyla di farne una Prelatura personale, l’impegno apostolico dell’Opus Dei è sempre lo stesso: stare nel cuore della società, per trasformarla, e dentro la Chiesa, per servirla «come vuole essere servita», secondo l’espressione del fondatore san Josemaría Escrivá. Da quel 28 novembre 1982 è solo cambiato il vescovo prelato. Madrileno, 75 anni, alla guida dell’Opus Dei dal 1994 come secondo successore di Escrivá, monsignor Javier Echevarría ha appena indetto un Anno mariano che la Prelatura celebra da oggi sino al 28 novembre 2008.

Monsignor Echevarría, l’Opus Dei è la prima e - sinora - unica Prelatura personale della Chiesa cattolica. Cosa ha voluto dire per l’Opera quel passo?

«Giovanni Paolo II, con la costituzione apostolica Ut sit, eresse in Prelatura personale l’Opus Dei. Questa configurazione all’interno del diritto della Chiesa, prevista dal Concilio Vaticano II, si adatta allo spirito e alla realtà ecclesiale dell’Opus Dei e favorisce il compimento della missione dell’Opera nella Chiesa e al servizio di essa, in unione con i vescovi di ogni diocesi. Così è più feconda la preghiera e più incisivo lo slancio di evangelizzazione dei fedeli della Prelatura, sacerdoti e laici, e si offre alla Chiesa un valido contributo all’urgente evangelizzazione della società».

Perché Escrivá teneva tanto a una configurazione simile?

«Perché così la norma canonica si adatta alla realtà teologica voluta dal Signore. C’è un carisma di fondazione: l’Opus Dei fu fondato per ispirazione divina, come dice la costituzione Ut sit. Questo carisma si realizza in una piccola parte della Chiesa, l’Opus Dei, che è una circoscrizione ecclesiastica, di natura gerarchica- come affermò Giovanni Paolo II -, costituita da sacerdoti e laici, con a capo un prelato, nominato dal Papa con il compito di guidarla, in comunione con tutti i vescovi. Partecipa della bella missione di tutta la Chiesa e cioè, per usare un’espressione di sant’Agostino con echi paolini, riconciliare il mondo con Dio. L’amore per Dio e l’amore per il mondo sono inseparabili negli insegnamenti di san Josemaría, perché nel mondo, creato dal buon Dio, troviamo la sua presenza e la sua misericordia. Come diceva il fondatore, la Chiesa è Cristo presente tra noi».

In che rapporti si pongono la Prelatura e i suoi fedeli con le diocesi cui essi appartengono?

« L’Opus Dei vive e opera mediante 46 circoscrizioni in più di 60 Paesi, e serve la Chiesa in circa 350 diocesi in tutto il mondo. Il primo servizio dell’Opus Dei alle diocesi, alla Chiesa, è di essere fedelissimamente se stessa, e cioè proclamare la chiamata universale alla santità nella vita ordinaria e specialmente nell’esercizio del lavoro professionale. Questo a sua volta, con la grazia di Dio, fa crescere la vita cristiana tra i fedeli, provoca conversioni e, per esempio, può far aumentare la frequentazione della Messa domenicale nelle parrocchie, la presenza in opere di carità... La stragrande maggioranza dei sacerdoti della Prelatura presta un servizio alle Chiese locali, anche aiutando nelle parrocchie, oppure lavorando in ospedali, scuole, e così via. Per il resto, la Prelatura inizia sempre le sue attività in una diocesi d’accordo col vescovo locale».

Chi sono i membri dell’Opus Dei?

«Cristiani comuni che per una vocazione specifica si impegnano a portare la luce di Cristo ognuno nel proprio ambiente familiare, sociale e professionale. Con un paragone forse troppo semplicistico, direi che lo spartito è lo stesso per tutti i cristiani, anche se nell’orchestra ognuno suona uno strumento diverso. Quello che conta di più, in realtà, è il soffio dello Spirito Santo. Le persone che si avvicinano all’Opus Dei ricevono formazione cristiana e direzione spirituale adeguata alle proprie circostanze, per vivere il loro impegno nella vita ordinaria, ognuno sotto la propria responsabilità. Non ci consideriamo migliori o diversi dagli altri, sentiamo invece l’obbligo di vivere con radicalità la fede in ogni momento».

In questi 25 anni qual è stato il contributo della Prelatura nella formazione di un laicato all’altezza dei tempi?

«Per rispondere a questa domanda le vorrei raccontare del mio ultimo viaggio in Kazakistan. Alcuni giorni fa mi sono recato lì per stare assieme ai fedeli dell’Opus Dei che si trovano in quel Paese, dove i cattolici sono una minoranza esigua. Stanno lavorando con gioia e ricolmi di speranza, proprio attraverso la loro professione nella società. Cominciano già a spuntare i primi frutti. Aumenta il numero di donne e di uomini interessati alla fede cattolica. Sognano un futuro in cui la Chiesa avrà messo solide radici in tutta l’Asia centrale. Lo stesso spirito anima tante persone comuni in tutti gli angoli della terra: portare Cristo con la propria testimonianza di vita, nelle cose normali, quotidiane, attraverso il proprio esempio e la capacità di voler bene e servire gli altri che ci sono attorno. Insomma, è quanto san Josemaría chiamava apostolato di amicizia sincera e disinteressata, come al tempo dei primi cristiani. Se si ama veramente gli altri, si arriva alla fiducia reciproca e a un aiuto che partendo dalla comprensione, diventa vera fraternità».