Meditazioni: Venerdì della 30ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel venerdì della trentesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: La legge di Dio è per il nostro bene; La libertà di fare ciò che si deve; Un giorno per fare memoria.

- La legge di Dio è per il nostro bene

- La libertà di fare ciò che si deve

- Un giorno per fare memoria


Con la sua predicazione, Gesù ha proposto un nuovo modo di vedere la realtà. Certi farisei non facevano altro che vigilare sul rispetto del compimento di certe norme che diventavano sempre più numerose. Di contro, Cristo ha messo al centro del suo messaggio l’amore di Dio, che vuole il bene delle persone. Alla fin fine, era proprio questo lo scopo della legge che il Signore aveva dato a Mosè: aiutare l’uomo a vivere in modo da essere felice. Tuttavia, le autorità giudaiche avevano stabilito una tale quantità di prescrizioni da far perdere il senso originale dei precetti divini: la cosa più importante era diventata compierle alla lettera. Non c'era quindi bisogno di scoprire il bene che facevano alla propria esistenza.

Per questo motivo, la maggioranza degli israeliti ascoltava volentieri la buona notizia di Gesù. Magari coglievano nelle sue parole un annuncio liberatorio, che rispondeva alle loro più profonde inquietudini. Nonostante ciò, i farisei non accoglievano questo messaggio e cercavano il momento opportuno per accusarlo di non rispettare la legge divina. E, un sabato, proprio mentre Gesù era a pranzo in casa di uno di loro, «ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa» (Lc 14, 2). Sembra proprio una situazione preparata apposta per mettere il Maestro con le spalle al muro: se lo guariva, potevano denunciarlo per non rispettare il giorno del Signore; se non lo faceva, allora sarebbe servito per dare forza alla loro interpretazione riguardo il sabato.

Il ragionamento di Gesù è semplice: «È lecito o no guarire di sabato?», chiede ai presenti. Di fronte all’assenza di una loro risposta, si avvicina al malato, lo guarisce e lo manda via. E chiede di nuovo: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?» (Lc 14, 3-5). Con questi interrogativi, il Signore mostra che la maniera in cui le autorità intendevano la legge non poteva provenire da Dio, perché ignorava il bene delle persone. Di contro, il bello del messaggio di Cristo è proprio nel fatto che lui è il primo interessato a farci felici. «Tutta la vita di Gesù, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale, tutto è prezioso e parla alla nostra vita personale. (...) A volte perdiamo l’entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno. Quando si riesce ad esprimere adeguatamente e con bellezza il contenuto essenziale del Vangelo, sicuramente quel messaggio risponderà alle domande più profonde dei cuori»[1].


Gesù non rifiuta la legge. Infatti, quando il giovane ricco gli chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna, egli richiama i comandamenti (cfr. Mc 10, 18). Nel compimento di tali precetti abbiamo le basi per costruire la nostra felicità. Aspirare ad avere una vita senza nessun obbligo, oltre ad essere abbastanza irrealistico, non garantirebbe un'esistenza felice: le nostre azioni mancherebbero di una motivazione grande al punto di dare un senso alla nostra vita. In più, un’impostazione di tal genere finirebbe col creare una serie di catene che nessuno ha voluto: «Spesso si pretende –ricorda il prelato dell’Opus Dei– una illusoria libertà illimitata, come meta finale del progresso, mentre non di rado si debbono lamentare anche tante forme di oppressione e di libertà apparenti, che sono, in realtà, catene che schiavizzano»[2].

Il comportamento dei farisei di questo episodio, però, fa vedere una vita che si è ridotta al compimento di norme. Essi, ormai, non cercano in Dio la loro felicità, ma trovavano la sicurezza e la soddisfazione nella esecuzione di precetti, indipendentemente dal loro significato. In più, consideravano la salvezza come una ricompensa delle loro buone opere, e non come un dono di Dio. Gesù, invece, invita a scoprire il vero significato della legge divina. Così, compiere i comandamenti non viene inteso come qualcosa di imposto, di estraneo a sé, ma come una corrispondenza all’amore di Dio che scopriamo all’inizio della nostra esistenza. «Qual è la verità, –si chiedeva san Josemaría, che inizia e porta a compimento in tutta la nostra vita il cammino della libertà? Ve lo dirò sinteticamente con la gioia e la sicurezza che derivano dalla relazione fra Dio e le sue creature: sapere che siamo opera delle mani di Dio, che siamo prediletti dalla Santissima Trinità, che siamo figli di un Padre eccelso. Chiedo al Signore che ci aiuti a renderci conto di tutto questo, ad assaporarlo giorno dopo giorno: in questo modo agiremo da persone libere»[3]. I comandamenti, come i doveri che avvolgono il nostro quotidiano, ci segnano la strada della felicità in terra ed in cielo quando li compiamo per amore di Dio e degli altri.


Tra quei precetti il cui significato originario si era appannato c’era quello del sabato. Si trattava di un comandamento che ricordava il riposo di Dio dopo la creazione del mondo: «Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato» (Es 20, 11). Si riferiva, anche, alla memoria della liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto: «Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato» (Dt 5, 15). In definitiva, Dio aveva affidato il sabato a Israele per averlo come segno di alleanza. Per questo era un giorno «santamente riservato alla lode di Dio, della sua opera creatrice e delle sue azioni salvifiche in favore di Israele»[4]. Per i cristiani, questo giorno divenne la domenica, il giorno della resurrezione di Gesù. Questo fatto richiama la piena realizzazione del sabato ebraico, perché «significa la nuova creazione»[5] che ci ha liberato dalla schiavitù del peccato.

Tanto il sabato ebraico che la domenica cristiana richiamano momenti concreti del passato che hanno una trascendenza che merita di essere rivissuta ogni settimana. In tal modo, si ricorda la propria origine, la fonte della vita che dà senso a tutto e che ci unisce gli uni agli altri. «La memoria è ciò che fa forte un popolo, perché si sente radicato in un cammino, radicato in una storia, radicato in un popolo. La memoria ci fa capire che non siamo soli, siamo un popolo: un popolo che ha storia, che ha passato, che ha vita»[6]. Allora, «la partecipazione alla celebrazione comunitaria dell'Eucaristia domenicale è una testimonianza di appartenenza e di fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. In questo modo i fedeli attestano la loro comunione nella fede e nella carità. Essi testimoniano al tempo stesso la santità di Dio e la loro speranza nella salvezza. Si rafforzano vicendevolmente sotto l'assistenza dello Spirito Santo»[7]. La Madonna ci aiuta a vivere la domenica con il desiderio di ricordare la nuova vita che suo Figlio ci ha dato e che ci unisce ai nostri fratelli nella fede.


[1] Francesco, Evangelii Gaudium, n. 265.

[2] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 9-I-2018, n. 1.

[3] San Josemaría, Amici di Dio, n. 26.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2171.

[5] Ibidem, n. 2174.

[6] Francesco, Omelia, 2-XI-2018.

[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2182.