Meditazioni: Venerdì della 28ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel venerdì della ventottesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Testimoniare la verità con le opere; Sincerità nell’accompagnamento spirituale; I combattimenti della vita spirituale.

- Testimoniare la verità con le opere

- Sincerità nell’accompagnamento spirituale

- I combattimenti della vita spirituale


Durante una affollata predicazione, con migliaia di persone che si accalcavano intorno a Gesù, il Signore dà un avvertimento ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia» (Lc 12, 1). I farisei erano davvero come «sepolcri imbiancati», belli a vedersi ma dentro avevano la morte. Con il loro comportamento, nascondevano la verità o la camuffavano con doppie intenzioni. Le loro azioni erano avvelenate dall’orgoglio, dato che vivevano preoccupandosi più di fare impressione agli altri che di servirli.

Dopo averli messi in guardia sul pericolo dell’ipocrisia e dell’astuzia, il Maestro invita i suoi discepoli a vivere sempre nella verità: «Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze» (Lc 12, 2-3). Gesù, che definisce se stesso «la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14, 6), ci indica il vero cammino per giungere al regno di Dio: abbracciare la verità per incontrare l’amore è la via sulla quale ci incamminiamo verso la vera libertà. Senza verità non c’è via, né tantomeno vita. Invece, cercando la verità troviamo la fede e l’amore, perché, alla fine, la verità è una persona: Gesù Cristo stesso.

Vivendo come figli di Dio, mostrando agli altri il suo amore, testimoniamo la verità incarnata in Cristo. «Domandiamoci: quale verità attestano le opere di noi cristiani, le nostre parole, le nostre scelte? (...) I cristiani non siamo uomini e donne eccezionali. Siamo, però, figli del Padre celeste, il quale è buono e non ci delude, e mette nel loro cuore l’amore per i fratelli. Questa verità non si dice tanto con i discorsi, è un modo di esistere, un modo di vivere e si vede in ogni singolo atto»[1].


Quando chiedevano a san Josemaría quale fosse la sua virtù umana preferita, la risposta era sempre la stessa: la sincerità. Nei suoi scritti abbondano i riferimenti a questa virtù, che mette al centro dell’impegno spirituale di un cristiano che vuole seguire Cristo in mezzo al mondo. Così scrive, ad esempio: «Mi hai chiesto un suggerimento per vincere nelle tue battaglie quotidiane, e ti ho risposto: nell'aprire la tua anima, racconta in primo luogo ciò che non vorresti che si sapesse. Così il diavolo finisce sempre sconfitto. — Apri la tua anima con chiarezza e semplicità, spalancala, perché entri — fin nell'ultimo cantuccio — il sole dell'Amore di Dio!»[2].

Nel Vangelo incontriamo molte persone che, dopo aver confidato a Gesù i loro timori e le loro fragilità, se ne vanno con una rinnovata energia nella loro vita. Nell’accompagnamento spirituale abbiamo un fratello che, mentre cammina al nostro fianco, ci aiuta a conoscerci meglio, cercando di portare un poco di luce sulle cose che ci succedono per scoprire quello che il Signore vuole dirci.

Nella direzione spirituale, la sincerità non riguarda solo le cose che sono andate per il verso sbagliato. Questa apertura dell’anima riguarda anche la manifestazione di nostri affetti e desideri più profondi. Per questo, in primo luogo, è necessaria la sincerità con se stessi. Scoprire questa dimensione interiore delle realtà che ci rallegrano o che ci intristiscono ci regala una importante conoscenza, perché ci indica dove sta il nostro cuore. Questo «richiede la capacità di fermarsi, di “disattivare il pilota automatico”, per acquistare consapevolezza sul nostro modo di fare, sui sentimenti che ci abitano, sui pensieri ricorrenti che ci condizionano, e spesso a nostra insaputa»[3].


La sincerità di vita è compatibile con errori e difetti, perché ci spinge a non nasconderli e a lottare per correggerli. Questa semplicità per san Josemaría ha una profonda radice evangelica: «Guarda: gli apostoli, con tutte le loro miserie palesi e innegabili, erano sinceri, semplici…, trasparenti. Anche tu hai miserie palesi e innegabili. — Magari non ti mancasse semplicità!»[4].

Il fondatore dell’Opus Dei ha dedicato una delle sue Lettere per parlare dell’umiltà nella vita spirituale. Incoraggiava i suoi figli a riconoscere di avere piedi di argilla e a non avere paura delle debolezze che potevano sperimentare. «Non inganniamoci: di miserie ne avremo. Anche da vecchi: le stesse cattive disposizioni di quando eravamo ventenni. Avremo ancora bisogno di lotta ascetica e dovremo chiedere al Signore che ci conceda l’umiltà. È un combattimento continuo. Militia est vita hominis super terram. La pace, però, consiste proprio nella guerra. La pace segue alla vittoria!»[5].

Indicava, quindi, dove trovare le fondamenta sulle quali costruire la nostra lotta per la santità. «Per noi la roccia consiste nella pietà, nella filiazione divina, nell’abbandono nelle mani di Dio, nella sincerità, nella continua attenzione alla realtà della vita ordinaria: “Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore (Sal 18, 2-3)»[6]. Nel sentirci figli di Dio, sappiamo che è sempre con noi e sempre attento alle nostre necessità. E con lui incontriamo nostra Madre, alla quale possiamo chiedere sostegno per vivere con la sicurezza di figli amati.


[1] Francesco, Udienza, 14 novembre 2018.

[2] San Josemaría, Forgia, n. 126.

[3] Francesco, Udienza, 5 ottobre 2022.

[4] San Josemaría, Cammino, n. 932.

[5] San Josemaría, Lettera 2, n. 10.

[6] Ibidem, n. 7.