Meditazioni: Martedì della 29ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel martedì della ventinovesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Un cuore che veglia; Il centro delle nostre speranze; Mettere amore nella normalità.

- Un cuore che veglia

- Il centro delle nostre speranze

- Mettere amore nella normalità


Una volta Gesù diede questo avvertimento ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (Lc 12, 35). Le ampie vesti che usavano gli ebrei venivano strette alla cintura quando dovevano mettersi in cammino o mettersi a lavorare. Le parole di Gesù, quindi, sono un invito ad essere sempre disponibili per fare un determinato compito o per essere pronti a trasferirsi in altro luogo. Allo stesso scopo, quelli che attendevano l’arrivo di qualche visita o che stavano vigili e attenti per qualche importante motivo, tenevano le lampade accese.

Con questo esempio, tratto dalla quotidianità, il Signore esortava i suoi discepoli ad essere vigili. Da un lato, si riferisce alla disposizione dei cristiani che aspettano la venuta finale di Gesù. Dall’altro, si può anche intendere come «l’atteggiamento ordinario da tenere nella condotta di vita, in modo che le nostre buone scelte, compiute a volte dopo un impegnativo discernimento, possano proseguire in maniera perseverante e coerente e portare frutto»[1]. Si tratta, quindi, di una vigilanza che ci spinge a custodire il dono della vocazione che Dio ci ha dato, in modo che le nostre azioni e i nostri sentimenti siano conformi ad essa.

Al contrario, quella che non si lascia interpellare e confida nella sua capacità di controllo è un’anima che dorme. Questa sonnolenza può farci cadere «nell’autocompiacimento della nostra propria esistenza soddisfatta. Ma questa insensibilità delle anime, questa mancanza di vigilanza sia per la vicinanza di Dio che per la potenza incombente del male conferisce al maligno un potere nel mondo»[2]. Gesù non chiama gli apostoli a starsene tranquilli e a soffermarsi sul bene che fanno; li invita, piuttosto, a vegliare in ogni momento in modo che i loro cuori non si allontanino da lui. E questa vigilanza li porterà ad essere umili, perché non poggeranno la loro sicurezza nel proprio compiacimento, ma principalmente in Dio, il primo a vegliare su ciascuno di noi.


Gesù paragona questa vigilanza alla condotta dei servitori che attendono l’arrivo del loro padrone. Sanno che prima o dopo arriverà e che quel momento cambierà la loro esistenza, perché non saranno trattati come servi ma come pari: «li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12, 37). Cristo conosce che «noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere»[3]. Gesù è questo Signore per il quale noi cristiani stiamo vegliando e che al suo arrivo ci darà una vita molto più grande di quella che possiamo immaginare.

Nella vita di ogni giorno possiamo porre le nostre attese in realtà che ci riempiono di speranza: un progetto familiare, un poco di svago con amici, la celebrazione di una festa, ecc. In tal senso, il prelato dell’Opus Dei sottolinea: «Aspettare l’incontro quotidiano con Gesù nel tabernacolo: questo sarà segno di amore vero». E aggiunge che possiamo anche unire altre speranze più banali alla Eucaristia: «Fare del tabernacolo il centro, il punto di convergenza delle nostre speranze, sarà la strada sicura per crescere nell’amore di Cristo»[4]. Soltanto Gesù può saziare i nostri sogni più profondi di felicità. Mentre aspettiamo il suo arrivo possiamo già cominciare a godere di questa gioia nelle realtà quotidiane, quando le gustiamo insieme a lui.


«Mi piace parlare di via, di cammino, diceva in un'occasione san Josemaría, perché siamo in viaggio, diretti alla casa del Cielo, alla nostra Patria. Ma sappiate che una via, benché possa presentare alcuni tratti di particolare difficoltà, benché ci faccia guadare un fiume ogni tanto o attraversare un piccolo bosco quasi impenetrabile, di solito è qualcosa di comune, senza sorprese. Il pericolo è allora l'abitudine, il pensare che nelle cose consuete, di ogni istante, Dio non c'è, perché sono così semplici, tanto 'ordinarie'!»[5]. In effetti, a volte, la monotonia può impedirci di di capire quello che ci succede. Siccome ogni giorno facciamo praticamente le stesse cose, è facile finire con il non percepire che la realtà, il lavoro, le relazioni familiari o amicali, ecc, è più grande di quanto appare a prima vista: sono momenti nei quali Dio ci attende.

San Paolo conclude così la sua prima lettera ai Corinti: «Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti.Tutto si faccia tra voi nella carità» (1 Cor 16, 13-14). Essere vigili ci fa mettere amore in tutto quello che facciamo. Così, ogni giorno potrà essere unico, magari sarà l’espressione di un amore rinnovato, che si esprime in modo particolare in quella giornata e che ha un valore di eternità. «Impègnati nei tuoi doveri professionali per Amore: porta tutto a buon fine per Amore, insisto, e potrai sperimentare — proprio perché ami, anche se devi assaporare l'amarezza dell'incomprensione, dell'ingiustizia, dell'ingratitudine e perfino dell'insuccesso umano — le meraviglie che il tuo lavoro produce. Frutti succosi, semi di eternità!»[6]. Chiediamo alla Madonna di aiutarci a superare la routine, trasformando tutto quello che facciamo in un atto d’amore per suo Figlio.


[1] Francesco, Udienza, 14-XII-2022.

[2] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, seconda parte, Libreria Editrice Vaticana, p. 173, 2011.

[3] Benedetto XVI, Spe Salvi, n. 31.

[4] Mons. Fernando Ocáriz, Alla luce del Vangelo, “Il centro delle speranze”, Edizioni San Paolo, p. 159.

[5] San Josemaría, Amici di Dio, n. 313.

[6] San Josemaría, Ibidem, n. 68.