Meditazioni: Lunedì della 3ª settimana di Quaresima

Riflessioni per meditare nel lunedì della terza settimana di Quaresima. I temi proposti sono: L’Eucaristia appaga ogni nostro anelito; La conversione è una questione di oggi; Ognuno di noi coopera alla santità di tutti.

- L’Eucaristia appaga ogni nostro anelito

- La conversione è una questione di oggi

- Ognuno di noi coopera alla santità di tutti


«L’anima mia ha sete di Dio» (Sal 41, 3), «il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente» (Sal 83, 3). Molti salmi ci parlano di un Dio in grado di attrarre e soddisfare i desideri, non solo della nostra anima, ma anche del nostro cuore e persino della nostra carne. Siamo stati creati per godere di Dio: con questa certezza ci avviciniamo alla Santa Messa, dove Dio stesso si dà a noi per saziare questi desideri. Tuttavia può succedere che non sempre sentiamo questo entusiasmo quando ci avviciniamo alla mensa dell’Eucarestia. Forse notiamo che il cuore si è aggrovigliato, l’anima è smarrita, il corpo estenuato. Allora abbiamo l’impressione di essere molto lontani da quel giubilo di cui parla il salmista.

Certe volte la nostra situazione si può paragonare a quella di Naaman il siro, re e capo del suo esercito. «Era un personaggio autorevole presso il suo signore e stimato, perché per suo mezzo il Signore aveva concesso la salvezza agli Aramei. Ma quest’uomo prode era lebbroso» (2 Re 5, 1). Era un uomo pieno di vigore, al culmine della carriera, ma per lui tutti i piaceri della vita erano diventati, dalla sera alla mattina, un tormento. Non è che le cose avessero cessato di essere buone; il guaio è che Naaman era malato. Aveva perduto la capacità di godere, ma non il desiderio.

Nell’Eucaristia troviamo tutto quello che desideriamo. L’Eucaristia è l’alimento che ci soddisfa, la medicina per ogni nostra malattia. «Con la tua continua misericordia, o Padre, purifica e rafforza la tua Chiesa – ti supplichiamo –, e poiché non può sostenersi senza di te, non privarla mai della tua guida»1[1] «Se trascurassimo l’Eucaristia, come potremmo rimediare alla nostra indigenza?»[2]. San Josemaría consigliava: «Amate la Messa. Fate la comunione con fame, anche se siete freddi e pieni di aridità: fate la comunione con fede, con speranza, con ardente carità»[3].


«C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il siro» (Lc 4, 27). Perché Naaman, fra tanti, fu ascoltato da Dio e salvato dal male che lo affliggeva? Perché a noi, fra tanti, il Signore rivolge ancora la sua affettuosa chiamata alla conversione? In gran parte è un mistero. Non lo sappiamo. Non abbiamo dei meriti particolari. Possiamo anche essere convinti che, da parte nostra, non abbiamo fatto altro che avanzare delle difficoltà, come in realtà è accaduto con Naaman, che per prima cosa «si sdegnò e se ne andò» (2 Re 5, 11).

Anche noi abbiamo cominciato la Quaresima con grandi aspettative e probabilmente ci siamo scoraggiati un poco notando che non ci sono stati grandi cambiamenti nella nostra vita. Forse ci succede come a Naaman, o come ad alcuni compaesani di Gesù, che volevano vedere prodigi e non seppero rendersi conto di quel che avevano davanti. Può succedere che speriamo per noi stessi una conversione più spettacolare, che riesca a dare una svolta radicale alla nostra vita. E finché ciò non avviene, andiamo ritardando la nostra vera conversione, quella che è veramente alla portata della nostra mano, in cose più piccole.

È vero che non possiamo diventare santi dalla sera alla mattina. «La santificazione è lavoro di tutta la vita»[4], ci ricorda san Josemaría, ed è Dio che la va facendo in noi senza che sappiamo bene come. Invece «la conversione è cosa di un istante»[5], e questo sì che possiamo farlo ora, ogni volta che ci disponiamo a pregare o che ci mettiamo alla presenza di Dio. Se Gesù è con noi, di che altro abbiamo bisogno per convertirci, per lasciarci guarire?


Naaman fu aiutato a reagire. «Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell’uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato» (2 Re 5, 14). Perché Naaman sì e i lebbrosi di Israele, o quelli che ascoltavano Gesù, no? Non sappiamo rispondere assolutamente; sappiamo invece che in queste scelte furono coinvolte altre persone: «Ora bande aramee avevano condotto via prigioniera dalla terra d’Israele una ragazza, che era finita al servizio della moglie di Naaman. – racconta la Scrittura –. Lei disse alla padrona: “Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che è a Samaria, certo lo libererebbe dalla sua lebbra”» (2 Re 5, 2-3).

Naaman il siro fu guarito dalla fede e dall’amore da questa ragazza israelita. È davvero sorprendente che lei, strappata alla sua terra e divenuta schiava, lungi dal covare sentimenti di odio, desidera sinceramente che il suo signore guarisca. Lo stesso atteggiamento lo notiamo poi nei servi di Naaman, che quando questi va via adirato dalla casa del profeta, lo aiutano a riflettere. Se non fosse stato per tutti costoro, il loro signore non sarebbe guarito.

Ogni storia di conversione, anche la nostra, trova dei complici tra le persone semplici e piene di fede che il Signore va mettendo al nostro fianco. E noi possiamo fare la stessa cosa nella vita di quelli che frequentiamo. «Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana»[6]. Fra tutte le persone, colei che più ci ama e ci aiuta è santa Maria: ella ci avvicina con delicatezza a suo figlio affinché Gesù ci guarisca.


[1] Lunedì della 3ª settimana di Quaresima, Orazione colletta.

[2] San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucaristia, n. 60.

[3] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 91,

[4] San Josemaría, Cammino, n. 285.

[5] Ibid.

[6] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 113.