Meditazioni: Lunedì della 30ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel lunedì della trentesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Cristo prende su di sé i nostri dolori; Una donna liberata dai suoi vincoli; Dio ama la nostra libertà.

- Cristo prende su di sé i nostri dolori

- Una donna liberata dai suoi vincoli

- Dio ama la nostra libertà


Come ogni sabato, una donna si reca alla sinagoga. Da diciotto anni soffre una malattia a causa di uno spirito (era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta» (Lc 13, 11). In questo giorno anche Gesù va alla sinagoga per predicare il Regno di Dio e invitare alla conversione. A un certo punto, Cristo si volge verso di lei, la chiama e le dice: «sei liberata dalla tua malattia» e senza che neppure le imponesse le mani, la donna stette diritta. (Lc 13, 12-13).

Un miracolo totalmente inaspettato. Quella donna non aveva chiesto nulla. Magari aveva sentito che il Maestro sarebbe passato dal suo villaggio e, per questo, aveva fatto il possibile per trovare nella sinagoga un posto nel quale il maestro potesse vederla. Ma, non ha aperto bocca e non ha gridato, come altri personaggi del Vangelo che pure sono stati guariti. Nonostante ciò, il Signore non solo si è accorto della sua presenza, ma soprattutto ha letto nel cuore di lei un desiderio grande di libertà. E con una sola parola ne scaccia la malattia: «Sei liberata».

Gesù, in questo modo, ci insegna che la risposta di Dio al dolore del mondo è la misericordia. La sofferenza commuove il suo cuore. Qualunque nostro problema, anche il più piccolo, lo addolora. Non è un Dio insensibile. Di fatto, anche Cristo «ha sperimentato in questo mondo l’afflizione e l’umiliazione. Ha raccolto le sofferenze umane, le ha assunte nella sua carne, le ha vissute fino in fondo una per una. Ha conosciuto ogni tipo di afflizione, quelle morali e quelle fisiche: ha provato la fame e la fatica, l’amarezza dell’incomprensione, è stato tradito e abbandonato, flagellato e crocifisso»[1]. La vicenda di questa donna curva si ripete anche oggi. Ovunque si possa trovare, chi soffre può avvertire il conforto della presenza di Cristo, che ci guarda con il desiderio di prendere il nostro dolore sulle proprie spalle.


La malattia impediva a quella donna di godere di tante cose buone della vita. Per lei era davvero difficile anche guardare il cielo; senza volerlo, i suoi occhi si fermavano soltanto verso il suolo che calpestava. Liberandola dai suoi vincoli, Cristo le fece vedere quello che sino ad allora le era impedito. Ritrovandosi libera e piena di gioia, «glorificava Dio» (Lc 13,13), «mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute» (Lc 13, 18).

Dal racconto dell’evangelista, scopriamo che la sua malattia aveva una causa, in qualche modo, spirituale. Quando il capo della sinagoga si indigna perchè tutto accade di sabato, Gesù risponde: «E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?»(Lc 13, 16). I Padri della Chiesa in questa donna curva, incapace di stare diritta, hanno visto la figura di quelle anime che sono talmente debilitate dai desideri della terra da non riuscire più ad occuparsi delle realtà divine. «Il peccatore, preoccupato dalle cose della terra e non cercando quelle del cielo, è incapace di guardare l’alto: siccome insegue desideri che portano in basso, la sua anima, perdendo la propria rettitudine, si incurva, e non vede al di là di quello che pensa senza smettere»[2].

A volte possiamo avere l’impressione di essere incatenati ai nostri difetti. Allora, sperimentiamo una non piccola difficoltà ad aspirare ai beni del cielo. In questi momenti, Dio si aspetta che, come quella donna, anche noi ci avviciniamo a lui confidandogli con sincerità i nostri timori. «Non ti turbi conoscerti come sei: così, di fango, scriveva san Josemaría. Non preoccuparti. Perché tu e io siamo figli di Dio, e questo è divinamente buono, scelti per chiamata divina da tutta l’eternità (...). Noi, che siamo di Dio in maniera speciale, suoi strumenti nonostante la nostra miseria personale, saremo efficaci se non perderemo l’umiltà, se non perderemo la coscienza della nostra debolezza»[3]. In questo modo, l’attrazione che può suscitare in noi la realtà del peccato non sarà un ostacolo nel rapporto con il Signore, ma ci spingerà ad essere più umili, a cercare l’unione con lui e a confidare nella sua forza.


Come la malattia della donna curva, anche il peccato vuol dire schiavitù, «fa in modo che l’uomo si senta estraneo a se stesso nel suo stesso intimo»[4]. Per questo, in un altro momento, Gesù dirà: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (Gv 8, 34-36). Noi cristiani, quindi, siamo chiamati alla libertà (cfr. Gal 5, 13). Sin dalla creazione, Dio ci ha dato la capacità di scegliere e volere il bene, e anche la possibilità di allontanarci da lui. «È un mistero della divina Sapienza, diceva san Josemaría, che, nel creare l’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gv 1, 26), abbia voluto correre il rischio sublime della libertà umana»[5].

«Sin dagli albori della storia, questo rischio, sottolinea il prelato dell’Opus Dei, ha portato effettivamente al rifiuto dell’Amore di Dio, con il peccato originale. S’indebolì così la capacità di bene della libertà umana e la volontà restò alquanto incline al peccato. Poi, i peccati personali debilitano ancor più la libertà e quindi il peccato comporta sempre, in maggiore o minore misura, una schiavitù (cfr. Rm 6, 17.20)»[6]. Malgrado ciò, l’uomo continua ad essere libero, e, per quanto a volte questa sua libertà possa essere fragile, Dio è il primo a rispettarla e amarla. Sapere che il Signore «non vuole schiavi, ma figli»[7], ci riempie di sicurezza, perché ci permette di vivere abbracciando la nostra condizione più profonda. «Quanto ci libera il perdono di Dio, che ci permette di rientrare in noi stessi e nella nostra vera casa»[8]. E sappiamo che in questa casa ci aspetta la Madonna, che vuole liberarci da tutto quello che può allontanarci da suo Figlio.


[1] Francesco, Discorso, 17-V-2014.

[2] San Gregorio Magno, Omelie sul Vangelo, n. 31.

[3] San Josemaría, Lettera 2, n. 20.

[4] San Giovanni Paolo II, Udienza, 3-VIII-1988.

[5] San Josemaría, Lettera 24-X-1965, n. 3.

[6] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 9-I-2018, n. 2.

[7] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 129.

[8] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 9-I-2018, n. 4.