- Gesù è il re dell’Universo e di ciascuno di noi
- L’apparente debolezza del regno di Cristo
- Il servizio è il vero potere
CON LA SOLENNITÀ DI CRISTO RE arriva la fine dell’anno liturgico. Queste settimane nelle quali la Chiesa ci ha proposto di riflettere sulle ultime verità ci conducono a una certezza: Gesù Cristo è il Signore della storia universale e, al tempo stesso, di ogni storia personale. «Il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7, 14). Nulla di ciò che accade sfugge alla sua conoscenza. Nessuno dei nostri desideri va perduto, perché egli governa tutto.
Regnare Christum volumus, scelse come motto episcopale il beato Álvaro del Portillo: vogliamo che Cristo regni. È una delle giaculatorie che ripeteva san Josemaría fin da quando era molto giovane. «Cristo deve regnare innanzitutto nella nostra anima. Ma come risponderemmo se ci domandasse: tu, mi lasci regnare dentro di te? Io gli risponderei che per farlo regnare in me ho un grande bisogno della sua grazia: soltanto così anche il palpito più nascosto, il sospiro più impercettibile, lo sguardo più insignificante e la parola più banale, perfino la sensazione più elementare, tutto potrà tradursi in un osanna a Cristo, il mio Re»[1].
«Gesù oggi ci chiede di lasciare che Lui diventi il nostro re. Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, e indica – questo re – la strada all’uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che il regno di Gesù non è di questo mondo. Egli potrà dare un senso nuovo alla nostra vita, a volte messa a dura prova anche dai nostri sbagli e dai nostri peccati, soltanto a condizione che noi non seguiamo le logiche del mondo e dei suoi “re”»[2].
IL VANGELO CI FA INTRAVEDERE come durante il processo che precede la crocifissione la sorpresa di Pilato va aumentando durante il suo dialogo con Cristo. Non solo si tratta di un accusato che mostrava una dignità che mai aveva riscontrato in altri, ma il fatto è che Gesù, con le sue parole amabili, piene di mansuetudine, è penetrato nelle profondità della sua anima. Lo splendore della verità abbaglia il procuratore, che non riesce a decidere chiaramente che posizione prendere. Cristo stesso è la verità e davanti al suo sguardo nessun cuore rimane identico a prima.
Il contrasto sulla scena è evidente: da un lato, il potere dell’Impero romano che dominerà praticamente tutto il mondo fino allora conosciuto; dall’altro, l’autentico Signore dell’universo con l’apparente impossibilità di difendersi. Quelle mani, che hanno compiuto miracoli, come dare la vista ai ciechi o resuscitare i morti, che hanno accarezzato i malati e hanno consolato gli afflitti, sembrano ora incatenate. Potrebbero dominare legioni di angeli, hanno convertito il pane e il vino nel proprio corpo e nel proprio sangue, ma ora rimangono legate.
È un mistero che ci stupisce: Cristo non si difende. Il suo regno è quello di chi si dona e solo così comincia la salvezza. Gesù «vuole compiere la volontà del Padre fino in fondo e stabilire il suo regno non con le armi e la violenza, ma con l’apparente debolezza dell’amore che dona la vita. Il regno di Dio è un regno completamente diverso da quelli terreni»[3]. Questa «apparente debolezza» è quella che conquista la libertà delle anime. È la fragilità del Signore quella che infonde la vita nel mondo e nelle folle, quella che sa trarre il bene dal male, quella che infonde la grazia senza imporsi.
OGNI CRISTIANO è chiamato a essere Cristo che passa tra gli uomini. Guardare le mani legate del Signore ci spinge a darci come lui. Il suo esempio ci porta ad amare senza condizioni. Chi si dona depone le armi, rinuncia a difendersi. In tal modo impareremo ad ascoltare senza imporci, ad apprezzare quel che di buono c’è in ogni persona, a offrire il proprio tempo e la gioia che abbiamo dentro senza aspettarci niente in cambio.
In questo regno di Cristo, guardando Pilato, scopriamo che vale poco pretendere di avere ragione o sperare di farla franca; anche il bene che facciamo perde peso se non siamo mossi da un sincero desiderio di servire, come Cristo nella sua Passione. «Servizio: come mi piace questa parola! – diceva san Josemaría –. Servire il mio Re e, per lui, tutti coloro che sono stati redenti dal suo sangue. Se noi cristiani sapessimo servire! Andiamo dal Signore e confidiamogli la nostra decisione di voler imparare a servire, perché soltanto così potremo non solo conoscere e amare Cristo, ma farlo conoscere e farlo amare dagli altri»[4].
L’arcangelo san Gabriele predisse a Maria che suo Figlio avrebbe regnato per sempre. Ed ella credette prima di darlo al mondo. Più avanti, non senza qualche perplessità, avrebbe capito che tipo di regalità era quella di Gesù. Chiediamo a nostra Madre di riuscire a comprendere e a vivere, con una profondità sempre maggiore, quella maniera delicata con la quale suo Figlio regna.
[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 181.
[2] Papa Francesco, Angelus, 25-XI-2018.
[3] Benedetto XVI, Omelia, 25-XI-2012.
[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 182.
[5] San Josemaría, Es Cristo que pasa, n. 181.
[6] Francisco, Ángelus, 25-XI-2018.
[7] Benedicto XVI, Homilía, 25-XI-2012
[8] San Josemaría, Es Cristo que pasa, n. 182.